La riforma Cartabia della giustizia penale

Il contributo è tratto – con l’autorizzazione dell’Editore – da: Andrea Conz – Luigi Levita (cur.), La riforma Cartabia della giustizia penale. Commento organico alla Legge n. 134/2021. Prefazione di Marcello Daniele e Paolo Ferrua, Dike Giuridica, Roma, 2021.

 

L’articolo 2 della L. n. 134/2021 completa lo schema a doppio binario della c.d. “riforma Cartabia”, aggiungendo “all’elenco di buone intenzioni” (cit. VAIRA, Processi lunghi e difesa più debole, il Ddl Cartabia non centra l’obiettivo, su Guida al Diritto – Il sole 24 ore, n. 37, 2 ottobre 2021) previsto dal primo comma, una serie disposizioni immediatamente precettive incidenti, nel loro insieme, su istituti sia di natura processuale, che sostanziale.

In particolare, il comma 1 interviene sulla disciplina del codice penale in materia di prescrizione dei reati perseguendo la finalità di:

  • confermare la regola, introdotta con la legge n. 3/2019 (c.d. “Spazzacorrotti”), secondo la quale il corso della prescrizione del reato si blocca con la sentenza di primo grado, sia essa di assoluzione o di condanna;
  • escludere che al decreto penale di condanna, emesso fuori dal contraddittorio delle parti, possa conseguire l’effetto definitivamente interruttivo del corso della prescrizione;
  • prevedere che se la sentenza viene annullata, con regressione del procedimento al primo grado o ad una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla pronuncia definitiva di annullamento.

Il testo finale del provvedimento legislativo accoglie gli emendamenti introdotti dalla Commissione di studi sulla riforma del processo penale (di seguito definita “Commissione Lattanzi”), che in combinato con le nuove disposizioni in materia di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione (di cui ai co. 2 e ss.), hanno sensibilmente modificato l’impianto dell’originario disegno di legge A.C. 2435.

Ne consegue che la vita dei processi penali sarà scandita da due diversi timer, l’uno espressivo della finalità rieducativa della pena, per l’appunto rappresentato dalla prescrizione, l’altro di carattere processuale e dai contorni più “sfumati”, che interverrà solo nei gradi (eventuali) di impugnazione.

La ratio dell’articolata modifica, come si evince dalla relazione finale della Commissione Lattanzi (cfr. Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. a.c. 2435, 24 maggio 2021, pag. 50) muove dalla premessa che lentezza del processo e prescrizione del reato sono due problemi diversi, che tuttavia si alimentano reciprocamente.

Processi lenti, infatti, favoriscono la prescrizione così come la prospettiva della prescrizione favorisce processi lenti.

Osserva, infatti la Commissione Lattanzi: “i dati statistici sono eloquenti. Un recente report della Commissione per l’efficienza della giustizia, istituita presso il Consiglio d’Europa ha evidenziato come il giudizio di primo grado abbia in Italia una durata media tre volte superiore a quella 50 europea. Come anticipato, il giudizio di appello, addirittura, ha una durata media otto volte superiore. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, relativi al 2019 (gli ultimi non influenzati dai rallentamenti dovuti a all’emergenza pandemica), i procedimenti definiti con la prescrizione del reato rappresentano il 9% di quelli avviati a livello nazionale. L’incidenza della prescrizione è di circa il 38% durante le indagini, del 32% nel giudizio di primo grado, del 26% nel giudizio d’appello; mentre è insignificante nel giudizio di legittimità (0,8%). Il nesso tra lentezza del processo e prescrizione del reato è reso evidente da un confronto tra i relativi dati. Ad esempio, nel 2019 il DT del giudizio d’appello è stato nel distretto di Napoli pari a 2031 giorni; la percentuale dei procedimenti prescritti in appello in quel distretto è stata del 32,8%. Nello stesso anno, nel distretto di Milano il DT è stato di sei volte inferiore (335 giorni); correlativamente, la percentuale dei procedimenti definiti nel giudizio di appello con la prescrizione del reato è stata solo del 4,5% (fonte: Ministero della Giustizia e relazioni per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019 nei distretti di corte d’appello di Napoli e Milano). Questa realtà, che per molteplici cause rappresenta ormai da tempo una condizione strutturale, comporta in un significativo numero di casi, tanto la lesione dei diritti dell’imputato, quanto la frustrazione della domanda di giustizia delle vittime e delle persone offese dal reato in genere, oltre che della società. La lentezza del processo, anzitutto, ne può comportare una irragionevole durata, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione e con l’art. 6 della CEDU; un vulnus che si estende a ulteriori principi fondamentali, tra i quali l’immediatezza, il diritto di difesa e, in caso di condanna, il finalismo rieducativo della pena, che rischia di essere vanificato quando la pena viene eseguita a distanza di molti anni dal fatto nei confronti di una persona che, per il decorso del tempo, è ormai diversa. Il problema è testimoniato dalle numerose condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia, per violazione dell’art. 6 CEDU, così come dagli indennizzi pagati dallo Stato a titolo di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo ai sensi della cd. legge Pinto (l. 24 marzo 2001, n. 89)”.

Quando l’azione penale è esercitata tempestivamente, e la prescrizione del reato matura nl corso del processo, risultano frustrate le aspettative di giustizia individuali e sociali.

Al processo è impedito di assolvere alla sua funzione fisiologica: l’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità. Si tratta di aspettative giuridicamente rilevanti che sottendono anche la tutela di beni giuridici, ivi compresi quelli che hanno il rango di diritti fondamentali, come ha più volte messo in evidenza la Corte europea dei diritti dell’uomo, sottolineando l’ineffettività della tutela allorquando il processo si definisce con la prescrizione (cfr., tra le altre, Corte EDU, Sez. II, 29 marzo 2011, Alikaj c. Italia; Corte EDU, Sez. II, 1° luglio 2014, Saba c. Italia; Corte EDU, Sez. IV, 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia).

Va tuttavia precisato che la scelta di politica legislativa compiuta dal Parlamento non ha inteso perseguire la prima (e forse preferibile) opzione di modifica prospettata dalla Commissione Lattanzi, che auspicava venisse affidato allo strumento della delega l’integrale modifica della prescrizione, in sinergia con la riforma del processo penale.

La Relazione finale, al riguardo, osserva: “L’intervento sulla disciplina della prescrizione attraverso una disposizione prescrittiva sembrerebbe suggerito dalla ritenuta opportunità di intervenire senza indugio, per evitare che la riforma realizzata con la l. n. 3/2019 produca effetti che si intendono evitare; in particolare, il paventato processo “senza fine” dopo la sentenza di primo grado, venuta meno la prospettiva della prescrizione nei giudizi di impugnazione. Senonché la Commissione rileva, impregiudicata ogni valutazione politica che ad essa non compete, che dal punto di vista tecnico non vi sono ragioni che rendono urgente anticipare la riforma della prescrizione: gli effetti della riforma del 2019 – entrata in vigore il 1° gennaio 2020 – si produrranno infatti a partire dal 1° gennaio 2025, per le contravvenzioni, e dal 1° giugno 2027, per i delitti. E’ solo a partire da quelle date – coincidenti con lo spirare dei termini più brevi di prescrizione dei reati (quattro anni, per le contravvenzioni; sei anni, per i delitti), prolungati di un quarto per effetto di atti interruttivi – che potrà dirsi che la prescrizione del reato è impedita dal meccanismo di sospensione (rectius, blocco) del corso della prescrizione introdotto dalla riforma del 2019. Ciò rilevato, si ribadisce che la delega legislativa rappresenta lo strumento più indicato per una riforma della prescrizione che si accompagni a una riforma del processo, diretta a incidere 52 sulla durata del medesimo. Lo strumento della delega potrebbe consentire una riforma di più ampio respiro, che rivedendo l’assetto delineato dalla legge ex Cirielli interessi anche i termini di prescrizione del reato. Se e in che limiti quei termini debbano tenere conto dei tempi del processo dipende, per l’appunto, dall’assetto del processo e dai relativi tempi. D’altra parte, la Commissione rileva come una razionalizzazione dei termini di prescrizione sia opportuna, come ha unanimemente rilevato la dottrina dopo la riforma del 2005 (cd. legge ex Cirelli), rispetto ai non pochi casi in cui quei termini risultano eccessivamente brevi rispetto alla durata media del processo. Per altro verso, l’ancoraggio del termine prescrizionale al massimo edittale ha prodotto inasprimenti sanzionatori non sempre coerenti con il principio di proporzione, con effetti di distorsione del sistema, che renderebbero opportuna una razionalizzazione. Ancora, le discipline del raddoppio dei termini di prescrizione e del prolungamento dei termini stessi per effetto di atti interruttivi dovrebbero essere opportunamente riviste e razionalizzate” (cfr. Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. a.c. 2435, 24 maggio 2021, pag. 52) .

21.1 Disposizioni in materia di prescrizione del reato (art. 2, co. 1)

L’art. 2, co. 1, L. n. 134/2021 introduce innanzitutto il nuovo art. 161 bis c.p., rubricato “Cessazione del corso della prescrizione”, secondo il quale “il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado. Nondimeno, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento”. Contestualmente, la citata norma dispone, alla lett. a), l’abrogazione del secondo e del quarto comma dell’art. 159 c.p., nonché, alla lett. b), la sostituzione delle parole “e il decreto di citazione a giudizio”, previste dall’art. 160, co. 1, c.p., con le parole “il decreto di citazione a giudizio e il decreto di condanna”.

In linea di continuità con le riforme del 2017 e del 2019, con l’art. 161 bis c.p. il legislatore mira a ridurre, nell’ottica dell’efficienza dell’azione penale e della salvaguardia della vittima da reato, l’incidenza della prescrizione nei giudizi di impugnazione.

Difatti, la nuova norma sulla cessazione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado conferma, in larga parte, l’impianto della previgente disciplina della prescrizione prevista dall’art. 159, co. 2, c.p. così come modificato dalla legge n. 3 del 2019 (c.d. Spazzacorrotti), in base al quale il blocco della prescrizione operava dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado – sia di condanna che di assoluzione – fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del decreto di condanna.

Per questa ragione, il citato comma 2 dell’art. 159 c.p. è stato abrogato dalla lettera a) dell’art. 2, co. 1, in commento.

Tuttavia, il blocco della prescrizione viene circoscritto solo alla sentenza di primo grado, ma non più al decreto penale di condanna, il quale, invece, con la coeva modifica dell’art. 160, co. 1, c.p. viene inserito tra gli atti interruttivi del corso della prescrizione.

È opportuno rilevare che nonostante la legge n. 3/2019 sia intervenuta sulla disposizione che disciplina la sospensione della prescrizione, non di autentica sospensione si è trattato posto che dal momento della pronuncia della sentenza di primo grado non è più prevista alcuna possibilità che il corso della prescrizione riprenda a decorrere, fino alla definitività della sentenza. Il comma secondo dell’art. 159 c.p., ora abrogato, stabiliva infatti, che a partire dal 1° gennaio 2020, il corso della prescrizione sarebbe stato sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto (Per un commento integrale della legge n. 3 del 2019, si rinvia all’apposito dossier del Servizio Studio sull’A.S. 955 “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” del novembre 2018).

La medesima lett. a) abroga anche il quarto comma dell’art. 159 c.p., che prevedeva, per le ipotesi di sospensione del procedimento dovute all’assenza dell’imputato (ai sensi dell’art. 420 quater c.p.p.), una durata massima della sospensione della prescrizione del reato non superiore ai termini previsti dall’art. 16, co. 2, c.p. (che individua i termini massimi di prescrizione, in presenza di cause di interruzione del corso della prescrizione, diversamente modulandoli in rapporto al tipo di reato).

Tale abrogazione è conseguenziale all’introduzione della nuova disciplina del processo in assenza (si veda, al riguardo, il paragrafo del presente volume sul commento dell’art. 1, co. 7, L. n. 134/2021), caratterizzata dal superamento del modello sospensivo del procedimento e dall’introduzione di una regolamentazione ad hoc, anche agli effetti del computo dei termini di prescrizione del reato.

La lett. b) dell’art. 2, co. 1, incide, come anticipato, sull’art. 160 c.p., che disciplina l’interruzione del corso della prescrizione, inserendo tra gli atti interruttivi della stessa il decreto penale di condanna, emesso in assenza di contraddittorio.

E’ opportuno ricordare che il procedimento per decreto, previsto e disciplinato dagli artt. 459 c.p.p. e ss., si caratterizza per l’assenza del contraddittorio e l’emissione di un decreto penale di condanna inaudita altera parte su richiesta del PM, quando all’imputato deve essere applicata solo una pena pecuniaria.

Si rammenta, altresì, che l’art. 160 c.p. disciplina l’interruzione del corso della prescrizione collegandola: (i) all’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto; (ii) all’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice; (iii) all’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio; (iv) al provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione; (v) alla richiesta di rinvio a giudizio; (vi) al decreto di fissazione della udienza preliminare; (vii) all’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato; (viii) al decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena; (ix) alla presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo; (x) al decreto che dispone il giudizio immediato; (xi) al decreto che dispone il giudizio; (xii) al decreto di citazione a giudizio.

21.2 Disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione (art. 2, co. 2-6)

L’art. 2, commi da 2 a 6, L. n. 134/2021, accogliendo la seconda alternativa prospettata dalla Commissione Lattanzi per il caso in cui il Parlamento avesse inteso introdurre norme immediatamente precettive e incidenti sulla disciplina del codice penale in materia di prescrizione, introduce nel codice di procedura penale l’istituto dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.

In particolare, viene disposta una articolata modifica del codice di rito anzitutto mediante l’introduzione del nuovo art. 344 bis, rubricato “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del procedimento penale”.

La fattispecie non ha tardato a sollevare gli strali critici dei primi commentatori, che hanno persuasivamente osservato: “Il nuovo istituto parrebbe foriero di irragionevole applicazione, alla luce della dubbia compatibilità con il principio di uguaglianza e di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Nel dettaglio, rispetto ad un reato ancora perseguibile per non essere maturati i termini di prescrizione, la dichiarazione di improcedibilità risulterebbe irragionevolmente ostativa al doveroso accertamento dello Stato in relazione ad un reato non estinto. Quanto al rilevato contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza, si comprende come evidenti disparità ed incongruenze si produrrebbero qualora fosse invocata l’improcedibilità dell’azione penale per il decorso del termine di fase dell’impugnazione con conseguente impossibilità di prosecuzione del giudizio, a fronte di processi diluiti in un arco temporale eccessivo ma conforme alle prescrizioni disposte in tema di improcedibilità. In altre parole, si tratterebbe di un meccanismo solo apparentemente predisposto alla garanzia della ragionevole durata dei processi, in linea con le fonti sovranazionali, ove in concreto si tradurrebbe nell’attuazione della ragionevole durata dei gradi di impugnazione, attuando ingiustificate disparità di trattamento”(cit. Riforma Penale: tra novità e profili di criticità, su www.filodiritto.com, 29 settembre 2021). Analoga posizione critica ha assunto autorevole dottrina, rilevando “si è presenza di un istituto ibrido, al pari di altri già previsti dal codice di rito, anche se in questo caso l’ibridismo è molto più ampio, la prescrizione è una cosa, ha un suo statuto, mentre qui la prescrizione temporale cessa con la sentenza, non è neanche più sospesa, non se ne può parlare più. L’ibridismo è quindi dato dal fatto che all’interno del codice vengono inseriti due meccanismi diversi, cioè: prima il tempo corre in un certo modo (n.d.r. secondo la prescrizionee poi corre in un altro (n.d.r. per l’improcedibilità) (cit. L’improcedibilità secondo Giorgio Spangher, su www.giurisprudenzapenale.com, 1 ottobre 2021).

La nuova disposizione prevede, rispettivamente ai commi 1 e 2, che la mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni, e del giudizio di cassazione entro il termine di un anno, costituiscano cause di improcedibilità dell’azione penale. Si tratta di termini corrispondenti a quelli di ragionevole durata del processo civile previsti dalla c.d. “legge Pinto” per i rispettivi gradi di giudizio.

Occorre osservare che la disciplina processuale delle condizioni di procedibilità di cui agli artt. 336 e ss. c.p.p. individua ipotesi eccezionali nelle quali l’esercizio dell’azione penale è subordinato all’integrazione di un fattore condizionante, cioè di un atto o un fatto in mancanza del quale, anche se la notizia di reato appare fondata, è inibito l’esercizio della stessa. La conseguenza della improcedibilità, anche a fronte di una condanna in primo grado, è il proscioglimento dell’imputato.

Il comma 3 del nuovo art. 344 bis c.p.p. prevede che i suddetti termini decorrano dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della sentenza. La disposizione va coordinata con l’art. 544 c.p.p. il quale stabilisce che, qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata della sentenza, vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia.

Inoltre, l’art. 154 disp.att. c.p.p. prevede che il Presidente della Corte d’Appello possa prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall’art. 544 c.p.p., per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi.

La decorrenza dei termini di durata dei giudizi di impugnazione viene così fissata tra un minimo di tre mesi dopo la pronuncia della sentenza (in caso di motivazione contestuale) a un massimo di nove mesi (in caso di termine massimo per il deposito, pari a novanta giorni, che sia stato prorogato nella misura massima prevista dalla legge, pari sempre a novanta giorni).

La nuova norma, tuttavia, sancisce che i termini di durata massima definiti dai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis c.p.p. possono essere prorogati dal giudice che procede. Stabilisce, infatti, il comma 4:

  • una possibile proroga, fino a un anno per i giudizi d’appello e fino a sei mesi per i giudizi in cassazione, applicabile a qualsiasi procedimento penale in presenza di requisiti di complessità (numero delle parti o delle imputazioni; numero o complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare);
  • ulteriori possibili proroghe, della medesima durata e per le medesime ragioni, senza un limite temporale massimo, applicabili solo ai procedimenti per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni oppure nel massimo a 10 anni

Dati i limiti edittali individuati, la proroga sarà ad esempio possibile per i reati di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270 bis c.p.), arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270 quater c.p.), organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo (art. 270 quater.1 c.p.), addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270 quinquies c.p.).

Un regime parzialmente differente viene invece previsto per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa, ai sensi dell’articolo 416 bis.1, co.1 c.p..

Tali delitti sono ricompresi fra quelli per i quali possono essere concesse le “ulteriori proroghe” previste dalla nuova norma, ma, a differenza delle ipotesi precedentemente indicate, è stabilito un limite massimo complessivamente non superiore a tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione.

Il nuovo art. 344 bis c.p.p. delinea quindi un sistema che, a seconda dei reati per cui si procede, prevede un diverso regime di improcedibilità e quindi una possibile durata massima del giudizio impugnazione a “geometrie variabili”.

Il comma 5 della citata norma disciplina inoltre la possibilità per l’imputato e il suo difensore di proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che dispone la proroga dei termini previsti per il giudizio d’appello. Il ricorso, che non ha effetto sospensivo, deve essere presentato, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell’ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione. La Corte di cassazione decide, in camera di consiglio, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti. In caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la questione non può essere riproposta con l’impugnazione della sentenza.

Il comma 6 del nuovo art. 344 bis c.p.p. disciplina poi la sospensione dei termini di durata massima del processo, con effetto per tutti gli imputati, negli stessi casi in cui è prevista la sospensione della prescrizione del reato (art. 159, co. 1 c.p.). Inoltre, nel giudizio d’appello è prevista la sospensione per il tempo occorrente per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale; in questo caso, in particolare, il periodo di sospensione tra un’udienza e l’altra non può comunque eccedere i sessanta giorni.

Infine, con specifico riferimento alle ipotesi di irreperibilità dell’imputato, è prevista la sospensione dei termini quando sia necessario procedere a nuove ricerche per la notifica del decreto di citazione (ex art. 159 c.p.p.).

Il comma 7 prevede che l’imputato possa sempre rinunciare alla declaratoria di improcedibilità, chiedendo la prosecuzione del processo, con un facoltà che si appalesa analoga a quella della rinuncia alla prescrizione del reato prevista dall’art. 157, co. 7, c.p.

Inoltre, con specifico riferimento al giudizio di appello, il comma 8 dell’art. 344 bis c.p.p. prevede che, fermo quanto stabilito dalla disciplina sull’annullamento parziale, le disposizioni dei commi 1, 4, 5, 6 e 7 trovino applicazione anche nel giudizio conseguente all’annullamento della sentenza da parte della Cassazione, con rinvio al giudice competente per l’appello.

In questo caso, il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per il deposito della sentenza dall’art. 617 c.p.p (pari a massimo trenta giorni dalla deliberazione).

Infine, con disposizione anch’essa mutuata dalla disciplina (sostanziale) della prescrizione (cfr. art. 157, co. 8, c.p.), il comma 9 dell’art. 344 bis c.p.p. esclude l’applicabilità della disciplina dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ai procedimenti per i delitti particolarmente riprovevoli e puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

Nell’ottica di favorire l’armonica introduzione dell’art. 344 bis c.p.p. nel corpus normativo previgente, la lettera b) del comma 2 dell’art. 2 in commento ha novellato l’art. 578 c.p.p., relativo alla decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione.

La disposizione prevede che, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

In particolare, la modifica amplia l’ambito operativo della norma, contemplando, al nuovo co. 1 bis, anche l’ipotesi di decisione sugli effetti civili in caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.

L’articolo 2 della L. n. 134/2021, esaurisce la disciplina della nuove fattispecie dettando un peculiare regime transitorio, che mira a consentire una graduale applicazione della riforma; anzitutto, viene previsto che le disposizioni in materia di improcedibilità si applicano solo nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020 (coerentemente con la data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, che ha previsto il blocco della prescrizione del reato nei giudizi di impugnazione).

In relazione a tali reati, viene previsto che se i procedimenti sono già pervenuti al giudice d’appello o alla Corte di Cassazione, i termini massimi di durata del processo decorrono dalla data di entrata in vigore della nuova legge, mentre se l’impugnazione è proposta entro il trentuno dicembre 2024, il termine di durata del giudizio d’appello è di tre anni e quello di durata del giudizio in Cassazione è di un anno e sei mesi.

Analoghi termini si applicano in caso di giudizio conseguente ad un annullamento con rinvio pronunciato entro il 2024.

21.3 Modifiche in tema di compiuta identificazione della persona sottoposta ad indagini e dell’imputato (art. 2, co. 7-10)

L’art. 2, commi da 7 a 10, L. n. 134/2021 introduce specifiche disposizioni volte ad assicurare la più compiuta identificazione di alcune categorie di persone sottoposte al procedimento penale, con specifico riguardo agli apolidi, alle persone della quali è ignota la cittadinanza, ai cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea o cittadini dell’Unione europea privi del codice fiscale o che sono attualmente, o sono stati in passato, titolari anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea.

A tal fine, il comma 7 modifica l’articolo 66 c.p.p., con riguardo alla verifica dell’identità personale dell’imputato.

L’art. 66 c.p.p., in particolare, reca la disciplina della verifica dell’identità personale dell’imputato, specificando che nel primo atto cui è presente, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant’altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di fornire le proprie generalità o le fornisce false. Il co. 2 prevede che l’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona.

La novella mira a specificare che nei provvedimenti destinati a essere iscritti nel casellario giudiziale deve essere riportato il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti il provvedimento è emesso, anche quando si procede nei confronti delle categorie summenzionate.

Si rammenta che il d.P.R. 313 del 2002 (c.d. Testo unico del casellario) all’articolo 4, prevede che ogni provvedimento giudiziario e amministrativo è iscritto per estratto contenente i seguenti dati: cognome, nome, luogo e data di nascita, codice identificativo della persona cui si riferisce il provvedimento; codice identificativo è il codice fiscale per il cittadino italiano e per il cittadino di Stato dell’Unione europea che abbia il domicilio fiscale in Italia, nonché il codice individuato ai sensi dell’articolo 43 per il cittadino dell’Unione europea che non abbia il codice fiscale e per il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea. L’art. 43 del medesimo Testo unico prevede che, al fine di consentire la sicura riferibilità di un procedimento ad un cittadino di Stato appartenente all’Unione europea, che non abbia il codice fiscale, o ad un cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’interno, sentiti la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie – e il Garante per la protezione dei dati personali, sono stabilite le regole tecniche che consentono, nei casi previsti dal presente testo unico, l’adozione di un codice identificativo attraverso l’utilizzazione del sistema di riconoscimento delle impronte digitali esistente presso il Ministero dell’interno.

Il comma 8 integra l’articolo 349, co. 2 c.p.p, che prevede che all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti. La novella è volta a specificare che tali rilievi debbono essere sempre eseguiti quando si procede nei confronti di un cittadino di uno Stato non dell’Unione europea che non abbia il codice fiscale e per il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea.

In tal caso, la polizia giudiziaria deve trasmettere al pubblico ministero copia del cartellino foto-dattiloscopico e comunicare il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini.

Il comma 9, invece, integra l’articolo 431 c.p.p, sulla formazione del fascicolo del dibattimento, inserendo tra gli atti che devono essere inseriti nello stesso una copia del cartellino foto-dattiloscopico con indicazione del codice univoco identificativo, quando si procede nei confronti di una persona rientrante nelle categorie indicate.

Infine, il comma 10 integra, con l’inserimento del nuovo co. 1 bis, l’articolo 110 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, il quale elenca i certificati da richiedere quando il nome della persona alla quale il reato è attribuito è stato iscritto nel registro delle notizie di reato.

La novella dispone che la segreteria acquisisce altresì, ove necessario, una copia del cartellino foto-dattiloscopico e provvede, in ogni caso, ad annotare il codice univoco identificativo della persona nel registro delle notizie di reato, anche quando la persona alla quale il reato è attribuito è rientra in una delle categorie summenzionate.

21.4 Tutela delle vittime da reato (art. 2, co. 11-13)

L’art. 2, ai commi da 11 a 13, L. n. 132/2021 integra le disposizioni vigenti a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere introdotte con legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso), estendendone la portata applicativa anche alle vittime dei suddetti reati in forma tentata e alle vittime di tentato omicidio.

Giova segnalare che la portata applicativa di alcune disposizioni del codice di procedura penale a tutela delle vittime di violenza domestica o di genere era limitata alle seguenti fattispecie delittuose: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (artt. 609 bis, 609 ter e 609 octies c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609 quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612 bis c.p.); lesioni personali aggravate da legami familiari e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 582 e art. 583 bis aggravati ai sensi dell’art. 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1 e ai sensi dell’art. 577, primo e secondo comma); la novella ne estende l’ambito operativo anche alle ipotesi di delitti in forma tentata, nonché all’ipotesi di tentato omicidio.

Con le novelle introdotte, inoltre, viene previsto che alle suddette fattispecie si applichino anche tutte le disposizioni introdotte nell’ordinamento dalla legge n. 69 del 2019, ed, in specie:

  • l’art. 90 ter, co. 1 bisp.p., in base al quale le comunicazioni relative ai provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, nonché di eventuale evasione dell’imputato, sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato;
  • l’ art. 362, co. 1 ter, c.p.p., in base al quale il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa;
  • l’art. 659, co. 2 bis p.p., in base al quale quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato, il pubblico ministero che cura l’esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore;
  • l’art. 64 bis, disp. att .c.p.p., in base al quale ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all’esercizio della potestà genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l’archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione a determinati reati è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente.

Avv. Sisto Macchiarelli

In foto: René Magritte, Golconda (1953), Menil Collection, Houston (Usa)