di Filippo Lombardi, giudice penale presso il Tribunale di Lagonegro
Abstract: Le riflessioni che seguono hanno per oggetto la valutazione della prova critica nell’ordinamento penale. Più nello specifico si ragionerà sulla attuale impostazione giurisprudenziale secondo la quale la valutazione del compendio indiziario transita per due fasi: la prima, volta a saggiare la gravità e la precisione di ciascun indizio; la seconda, finalizzata a verificarne la convergenza verso il fatto da provare.
Nel passare in rassegna in maniera critica le nozioni di gravità, precisione e concordanza, si proporrà una rilettura delle medesime al fine di rendere compatibile la loro portata ontologica con la doppia fase di verifica richiesta dall’orientamento dominante di legittimità.
Parole chiave: indizi, gravità, precisione, concordanza, valutazione
In letteratura e in giurisprudenza l’indizio viene definito quale fatto noto dal quale, mediante un ragionamento inferenziale fondato su regole logiche, massime di esperienza o leggi scientifiche, si addiviene alla conclusione circa l’esistenza del fatto da provare, a propria volta riconducibile allo schema dell’art. 187 c.p.p.; la prova indiziaria assume una propria dignità nell’ordinamento processuale italiano poiché ritenuta sostenibile a determinate condizioni che ne attestano l’idoneità dimostrativa, stadio al di sotto del quale si staglia la mera logica del sospetto o della congettura, non retta da solide basi e pertanto affatto adoperabile per affermare la responsabilità personale al di là di ogni ragionevole dubbio[1].
Si è tradizionalmente distinto tra la prova diretta, anche detta prova rappresentativa, la quale restituisce all’occhio dell’interprete direttamente il fatto da provare (ad esempio: il testimone riferisce di avere assistito al furto e ne descrive la dinamica); e la prova indiretta, anche detta prova critica, la quale è eventualmente in grado di ricondurre all’oggetto di prova con l’ausilio del ragionamento logico, cosiddetto abduttivo: la prova indiretta o critica è costituita dagli indizi[2].
È possibile intanto scorgere interferenze sul piano pratico tra il concetto di prova rappresentativa e quello di indizio. La circostanza indiziante infatti deve pur sempre essere provata col ricorso ai normali meccanismi dimostrativi: detto altrimenti, l’esistenza di un fattore indiziario deve essere autonomamente dimostrata nel processo; ad esempio, potrà essere assunta una prova rappresentativa (es. testimoniale o documentale) dalla quale emergerà che Tizio è stato visto allontanarsi dalla casa ove poi verrà ritrovato il cadavere di Caio, con alcuni schizzi di sangue sulla maglietta (circostanza indiziante).
L’indizio, al contrario, non potrà essere provato da un altro indizio: il meccanismo inferenziale noto come praesumptio de praesumpto non è ammesso dalla giurisprudenza granitica poiché contrasta con la regola della certezza dell’indizio, secondo la quale quest’ultimo, costituendo a propria volta l’oggetto di ordinaria attività probatoria, deve risultare esaustivamente descritto e perimetrato all’interno del compendio probatorio[3].
Occorre ora introdurre il tema della capacità dimostrativa degli indizi nell’ordinamento penale, siccome di speciale rilevanza ai nostri fini. L’art. 192 co. 2 c.p.p. prescrive che l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. La disposizione normativa appare particolarmente laconica poiché non definisce le tre nozioni, rimettendole alla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale e dando inevitabilmente la stura alle prime problematiche di carattere esegetico.
Si è soliti infatti ritenere che l’indizio sia grave quando convincente poiché resistente alle obiezioni, e che sia preciso, quando sia specifico, univoco e insuscettibile di diverse interpretazioni[4].
V’è da dire che, per quanto attiene al concetto di precisione, si intravede una velata disputa interpretativa, poiché una parte della dottrina, in linea del resto con la giurisprudenza tradizionale, ha privilegiato il concetto di precisione come univocità dell’indizio, nel senso che gli elementi indiziari devono apparire non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o anche più verosimile, in definitiva non equivoci; si è sostenuto allora che la precisione è inversamente proporzionale al numero dei collegamenti possibili col fatto da accertare e con ogni altra possibile ipotesi di fatto[5].
I sostenitori di questa tesi ritengono inoltre che gli indizi debbano godere di un quarto requisito innominato che consiste nella certezza, intesa come incontrastabile esistenza della circostanza indiziante siccome accertata processualmente[6].
A parere di chi scrive, si rischia così di accreditare in maniera larvata una sorta di omogeneità funzionale delle due nozioni di gravità e precisione, perché entrambe – in prospettive quasi sinonimiche – atterrebbero alla sostenibilità e alla forza persuasiva del ragionamento presuntivo. Siccome la gravità come resistenza alle obiezioni non può che dipendere direttamente dall’univocità dell’inferenza, cioè dalla possibilità di escluderne di ulteriori, il concetto di precisione rischia di tradursi in un duplicato della gravità.
Ecco perché altra parte della giurisprudenza, soprattutto di recente, ha diversamente statuito nel senso che la certezza configurerebbe proprio l’espressione del requisito normativo della precisione; tale ermeneutica appare preferibile poiché evita la cennata sovrapposizione funzionale tra i due connotati, che vanno più utilmente ricondotti a due ambiti operativi diversi[7].
È auspicabile infatti che la precisione attenga al terreno probatorio, nel senso che è preciso l’indizio quando il suo sostrato fattuale risulti adeguatamente provato all’esito del dibattimento, emergendo esso con chiarezza dal compendio istruttorio, una volta compiuta la valutazione della credibilità (es. nel caso di prova dichiarativa) o della genuinità (es. nel caso di prova documentale) della fonte e della attendibilità dell’elemento probatorio ricavato. La precisione deriva dunque dalla limpida affermazione del fatto indiziante sotto il profilo dimostrativo e dalla sua chiara delineazione sul piano naturalistico[8].
La gravità attiene invece alla serietà del ragionamento inferenziale e incarna il carattere di massimo spessore sul quale si regge la parità tra prova diretta e prova indiretta nel nostro sistema processuale: si sostiene infatti che entrambe le categorie probatorie assumano la stessa dignità dimostrativa, in quanto, mentre l’efficacia della prova indiretta deriva dalla tenuta del ragionamento inferenziale, l’accreditamento della prova diretta si basa sulla positiva valutazione circa l’affidabilità della fonte e l’attendibilità dell’elemento da essa fornito[9].
Come si anticipava, l’indizio si regge su un fatto storico noto, dal quale – col ricorso alla logica comune o all’apporto tecnico-scientifico – si risale all’esistenza di un fatto storico ignoto, che è il fatto da provare e che finisce per costituire l’innesco causale del primo secondo criteri di necessità. Orbene, il ragionamento inferenziale si fonda generalmente su regole sociali o scientifiche, entrambe di natura marcatamente probabilistica, poiché tendenzialmente rimandanti ad una serie di antecedenti logici.
Rari sono i casi in cui un data situazione può essere generata soltanto da un fattore causale secondo una relazione univoca e non altrimenti spiegabile. In queste ipotesi, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, il singolo indizio può costituire una prova logica compiuta ed in sé sufficiente[10]. Tuttavia, è dubbia la sostenibilità di una simile impostazione, in quanto essa si pone in diretto contrasto col tessuto letterale dell’art. 192 co. 2 c.p.p., che esclude la significatività del singolo indizio sotto il profilo probatorio.
Orbene, posto che degli indizi vanno valutati la gravità, la precisione e la concordanza, la giurisprudenza di legittimità più accreditata ha fornito nel tempo importanti spunti sui passaggi da seguire per la relativa verifica, elaborando la teoria della valutazione bifasica[11]; il frazionamento dell’operazione intellettiva risente, ad ogni buon conto, di una disfunzionalità ontologica della gravità qualora parametrata al singolo indizio.
In effetti, mentre la precisione può istantaneamente caratterizzare l’indizio atomisticamente considerato, operando sul piano della prova in dibattimento circa l’esistenza del fatto indiziante, la gravità dell’indizio, per come definita dalla giurisprudenza, non può mai connotare con rassicurante certezza la circostanza indiziante. Ove interpretata nel senso della resistenza alle obiezioni, infatti, la gravità del ragionamento inferenziale non verrà mai ad esistenza in un unico momento valutativo degli indizi, siccome questi ultimi rimandano ad un giudizio di natura presuntiva o comunque probabilistica sempre controvertibile; e tale criticità non viene meno, a parere di chi scrive, neppure volendo rileggere – come patrocinato da alcuni in letteratura – la resistenza alle obiezioni come accettabile marginalità del risultato atipico.
Si intende dire che nessun indizio, neppure quello più evocativo risulta, da solo, non adeguatamente falsificabile, tanto da relegare nell’alveo della marginalità una possibile lettura alternativa: il DNA dell’imputato rinvenuto sul corpo della vittima di omicidio non rende di per sé marginale l’ipotesi che l’imputato non abbia ucciso la vittima; il sangue della vittima sulla maglietta della persona che si allontana dall’abitazione ove verrà scoperto il cadavere non riduce in un alveo di marginalità l’ipotesi che quella persona non abbia cagionato l’evento morte. Le presunzioni, vale a dire i ragionamenti logici, assumono una concreta gravità soltanto quando sintetizzate nella lettura integrata dell’intero compendio indiziario.
In definitiva, appare destinata al fallimento ogni opzione ricostruttiva che richieda la rigorosa verifica della gravità e della precisione di ciascun indizio in una prima fase e l’analisi della loro concordanza in una seconda fase, siccome sarebbe impossibile, in ogni caso, superare il primo stadio valutativo, a cagione della ontologica non gravità dell’indizio da solo considerato.
Se deve esservi un primo stadio esegetico avente ad oggetto l’indizio isolatamente vagliato, appare inevitabile una rimodulazione concettuale della nozione di gravità. Essa infatti non può che essere intesa come astratta vocazione dimostrativa del fattore indiziante rispetto all’oggetto di prova perimetrato ai sensi dell’art. 187 c.p.p.; sinteticamente, la gravità – almeno in una prima fase di lettura – andrebbe interpretata in astratto, vale a dire come ipotetica riconducibilità del fatto noto (conseguente) al fatto ignoto (antecedente).
La precisione, invece, non subisce rimaneggiamenti, potendo ancora essere qualificata in termini di incontroversa esistenza della circostanza indiziante sotto il profilo istruttorio, già sostenibile nella prima fase di giudizio.
La concordanza, infine, da apprezzare nella seconda fase di verifica, costituisce il tratto unificante della valutazione indiziaria, poiché è la stessa lettura unitaria e convergente degli indizi che ne plasma in concreto la gravità. L’analisi degli indizi nella loro totalità e complessità, in altri termini, assume contestualmente la funzione di incrementare o stabilizzare il ragionamento abduttivo per gli indizi più precari, e di accertare la compenetrazione di tutti i dati disponibili e la loro comune direzione verso il fatto da provare, dal momento in cui essi appaiono convergenti e non contrastanti tra loro e con gli altri dati ed elementi certi[12].
Il secondo frammento temporale della verifica avrebbe dunque (anche) la funzione di sopperire ad eventuali deficit di gravità dell’indizio, così che la scarsa o minore gravità di uno o di alcuni indizi potrà essere compensata dalla forza persuasiva di altri indizi al momento della loro lettura unitaria. Sul punto, rammenta la Corte di legittimità, più debole è la regola sociale o scientifica che informa le presunzioni e maggiore dovrà essere il numero di indizi rilevabili dal compendio istruttorio: infatti, maggiore è il numero di indizi convergenti e più sostenibile sarà il superamento della soglia legale dell’oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto un’ipotesi alternativa alla ricostruzione che logicamente avvince un elevato numero di elementi indizianti, pur astrattamente formulabile, sarebbe priva di apprezzabile riscontro ed estranea all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana[13].
L’orientamento giurisprudenziale è attualmente granitico ed è stato ribadito con recenti pronunzie. Si è infatti statuito che di ciascun indizio occorre saggiare la valenza qualitativa individuale e, solo una volta acquisita la sua portata indicativa, si può passare al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto[14].
Note
[1] R. Angeletti, Il processo indiziario. Indizio, sospetto e congettura al vaglio della giurisprudenza di legittimità, Giappichelli, 2021, p. 14 ss.
[2] A. Scalfati e a., Manuale di diritto processuale penale, Giappichelli, 2023, p. 274 ss.
[3] Conf. Cass. sez. VI, 2 dicembre 2020, n. 37108, CED 280195.
[4] G. Garuti, Processo indiziario e accertamento del fatto, in Dir. pen. proc., 2013, 7, p. 784 ss.
[5] Cass. sez. IV, 30 gennaio 1992, n. 1035, in Riv. pen., 1993, p. 515; Cass. sez. VI, 14 settembre 1994, n. 9916, CED 199451.
[6] M. Daniele, Indizi (diritto processuale penale), in Enc. dir. – Annali X, Giuffrè, 2017, p. 505 ss.
[7] Cfr. Cass. sez. I, 2 maggio 2016, n. 18149.
[8] In questi termini, Cass. sez. V, 17 novembre 2022, dep. 2023, n. 2337.
[9] F. M. Grifantini, La nozione di indizio nel codice di procedura penale, in Riv. dir. proc., 2013, 1, p. 12 ss.
[10] Cass. sez. IV, 19 marzo 2009, n. 19730, CED 243508.
[11] Cass. sez. un., 12 luglio 2005, n. 33748.
[12] Cass. sez. IV, 31 gennaio 2023, n. 19935.
[13] Cfr. Cass. sez. I, 18 novembre 2020, n. 8863; Cass. sez. II, 12 luglio 2019, n. 35827; Cass. pen., sez. V, 30 aprile 2019, n. 36152; Cass. sez. I, 12 aprile 2016, n. 20461.
[14] In termini, Cass. sez. IV, 21 marzo 2023, n. 17194; Cass. sez. I, 18 novembre 2020, dep. 2021, n. 8863, CED 280605; v. anche Cass. sez. I, 30 novembre 2017, n. 1790, CED 272056.
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In foto: Picasso, La fenetre ouverte, Novembre 1929