Le notifiche a mezzo del servizio postale

di Filippo Lombardi
Giudice del Tribunale di Lagonegro

Nota a Cassazione penale, sez. IV, 1° febbraio 2024 (ud. 9 gennaio 2024), n. 4359 Presidente Piccialli, Estensore Mari

Con la sentenza in epigrafe la corte di legittimità si è pronunciata sulle regole che presidiano al perfezionamento della notifica all’imputato, qualora essa venga eseguita dall’ufficiale giudiziario servendosi del servizio postale. Il caso di specie attiene alla notifica del decreto penale di condanna, ma dalla pronuncia sono ricavabili principi generali, atti a innescare successive riflessioni sul rapporto tra la notifica a mezzo posta dell’atto introduttivo del giudizio e i presupposti del processo in assenza.

Nel caso di specie, il giudice di prime cure ha ritenuto correttamente eseguita la notifica del decreto penale di condanna all’imputato mediante «immissione nella cassetta postale della comunicazione di avvenuto deposito e della successiva attestazione di spedizione della stessa comunicazione e del mancato ritiro del piego».

Giova incidentalmente richiamare le norme di rilievo allorquando l’operatore postale non riesca ad eseguire la notifica nelle mani del destinatario. Soccorrono in questa materia gli artt. 7 co. 2 e ss. e 8 della Legge n. 890 del 1982: il primo disciplina la consegna a persona diversa dal destinatario, mentre il secondo regola l’impossibilità assoluta di consegna per rifiuto o mancanza di persone idonee alla ricezione.

Stando all’art. 7 co. 2 e ss. della legge citata, nel caso di presenza nel luogo di destinazione di soggetti diversi dall’interessato e idonei alla ricezione (purché non infraquattordicenni né affetti da patologie mentali), l’operatore consegna ad uno di essi la raccomandata contenente l’atto da notificare e ne forma l’avviso di ricevimento secondo i requisiti di cui all’art. 7 co. 3 L. cit.; deve poi spedire una raccomandata al destinatario con l’avviso che l’atto è stato consegnato a soggetto diverso (cosiddetta C.A.N., “comunicazione di avvenuta notificazione”).

Secondo un orientamento giurisprudenziale, in questi casi la notifica si perfeziona con l’attestazione di invio della seconda raccomandata (la suddetta comunicazione di avvenuta notificazione), non richiedendosi la prova della ricezione della stessa. È a questo orientamento che si è ispirata la decisione del giudice per le indagini preliminari (in termini, Cass. pen., sez. III, 21 febbraio 2019, n. 36241, CED n. 277583; Cass. pen., sez. III, 2 febbraio 2017, n. 36598, CED n. 270729).

Diversamente si ritiene con riguardo al caso della mancata consegna, cui consegue ex art. 8 della legge speciale in esame il deposito presso l’ufficio postale con seguente invio della c.d. comunicazione di avvenuto deposito (C.A.D.), la quale va eseguita in favore del destinatario per il tramite di una raccomandata munita di ricevuta di ritorno.

In questo secondo caso, l’orientamento maggioritario ritiene perfezionata la notifica soltanto quando si abbia prova della ricezione della seconda raccomandata (ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2022, n. 21492, CED n. 283429); non mancano però decisioni di segno contrario che, parimenti a quanto affermato sulla efficacia della notifica ex art. 7 della legge 890/1982, riconnettono la validità della procedura comunicativa alla sola prova dell’invio della comunicazione (cfr. ad esempio Cass. pen., sez. IV, 27 marzo 2019, n. 18949, CED n. 276263; Cass. pen., sez. III, 10 novembre 2016, dep. 2017, n. 11938, CED n. 270306).

La corte di cassazione, con la sentenza qui brevemente annotata, stigmatizza la decisione del giudice per le indagini preliminari, rafforzando l’orientamento ermeneutico secondo cui, nel caso di mancata notifica col servizio postale, cagionata dal rifiuto o dall’assenza di soggetti legittimati, il perfezionamento dell’iter comunicativo dipende dalla prova certa circa la ricezione della seconda raccomandata (comunicazione di avvenuto deposito).

Al fine di dirimere la controversia, il giudice nomofilattico valorizza una tesi giurisprudenziale che ha avuto particolare seguito negli anni per cui, sia nel caso di mancata consegna sia nell’ipotesi della consegna del plico a persona diversa dall’interessato, è necessaria la prova dell’avvenuta ricezione della comunicazione di avvenuto deposito o di avvenuta consegna (Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2022, n. 21492, cit.; nello stesso senso Cass. pen., sez. III, 30 giugno 2021, n. 36330, CED n. 281947; Cass. pen., sez. II, 4 aprile 2019, n. 24807, CED n. 276968; di recente si veda anche la sentenza Cass. civ., sez. un., 15 aprile 2021, n. 10012, CED n. 660953).

In questo modo, la corte sembra implicitamente aderire alla concezione da ultimo segnalata, che poggia sulla unificazione delle due fattispecie sotto l’egida di un unico principio regolatore.

La pronuncia appare di innegabile pregio, in quanto il principio di diritto ivi scolpito sembra più coerente con le fondamentali acquisizioni in tema di conoscenza del processo in capo all’imputato, affermate dalla giurisprudenza di legittimità più autorevole (cfr. ad esempio Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, dep. 2020, n. 23948) e tutelate in particolar modo dall’ordinamento europeo (art. 6 CEDU) nonché, in sostanziale recepimento delle sollecitazioni sovranazionali, dall’attuale sistema normativo interno, inciso sul punto dal decreto legislativo n. 150 del 2022 (c.d. riforma “Cartabia”).

Si consentano a tale riguardo alcune brevi osservazioni.

In primo luogo, pur ammettendo che, con la sentenza qui annotata, la corte di cassazione abbia ribadito la conformazione dell’ipotesi della consegna a soggetto diverso dall’imputato a quella della mancata consegna, e per l’effetto ora richieda che il perfezionamento della notifica nel primo caso si fondi sulla prova certa dell’avvenuta consegna della comunicazione di avvenuta notificazione, va dato atto che il tessuto letterale dell’art. 7 della legge 890 del 1982 non risulta ancora conformato a quello del successivo articolo 8 il quale – dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998 e l’intervento legislativo che ne è conseguito – prevede la necessità che la comunicazione di avvenuto deposito sia caratterizzato dalla emissione di un avviso di ricevimento che perverrà all’attenzione dell’autorità giudiziaria.

Condivisibilmente la cassazione, con la sentenza in esame, estende all’ipotesi della comunicazione di avvenuta notifica l’elemento della prova di avvenuta ricezione, che costituirà un fattore essenziale per le verifiche sul perfezionamento della procedura comunicativa e sulla conoscenza del processo. Infatti, senza la c.d. “ricevuta di ritorno”, il giudice non ha elementi sufficienti per dichiarare l’assenza; perciò, ove dovesse manifestarsi tale penuria documentale, dovrà necessariamente essere disposta la notifica a mani proprie a mezzo della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 420 bis co. 5, c.p.p.

L’interpretazione sostenuta dalla corte di legittimità con la sentenza qui annotata è l’unica in grado di adeguare pienamente la disposizione di cui all’art. 7 cit. al principio di ragionevole durata del procedimento e a quello di ragionevolezza.

Ove, infatti, si prescindesse dalla necessità di ottenere un principio di prova sulla conoscenza dell’avviso di notifica, si finirebbe per giustificare una lacuna di sistema atta a imporre fisiologicamente il rinvio del processo per consentire le ricerche dell’imputato ad opera della polizia giudiziaria al fine di eseguire la più garantista notifica a mani proprie (art. 420 bis co. 5 c.p.p.), modalità che, benché per natura idonea a sopire ogni dubbio in tema di conoscenza del processo, è prevista come sussidiaria. Del resto, sotto altro versante, parrebbe in conflitto col principio di ragionevolezza una normativa – quella in materia di notifiche – naturalmente pensata per incentivare la progressione procedurale e che, per una mancanza strutturale non colmata in via interpretativa, non garantisse all’autorità giudiziaria i dati conoscitivi indispensabili per procedere. 

Ove l’operatore postale abbia fruttuosamente inviato una raccomandata con ricevuta di ritorno per comunicare all’interessato l’avvenuta notifica a persona diversa nel luogo di destinazione, si ritiene che la consegna dell’atto introduttivo a soggetto diverso rappresenti il primo fattore costitutivo per il giudizio in assenza, a patto che risultino integrati gli ulteriori requisiti ex art. 420 bis co. 2, c.p.p. (es. che l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia o che la notifica sia stata eseguita presso il domicilio dichiarato), e che non si dimostri – secondo il regime della presunzione relativa – che il soggetto che ha ricevuto l’atto lo abbia occultato o ne abbia in altro modo reso impossibile la conoscenza in favore del diretto interessato.

Discorso diverso deve essere svolto con riguardo alla più problematica ipotesi di cui all’art. 8 della legge n. 890 del 1982. In questo caso si è detto che l’imputato viene informato del deposito dell’atto giudiziario presso l’ufficio postale, con raccomandata con ricevuta di ritorno, e che il perfezionamento della comunicazione di avvenuto deposito deve essere attestato con la prova precisa della sua avvenuta ricezione.

Tuttavia, in questo caso, l’assenza di una prossimità e di una relazione qualificata tra il destinatario e il soggetto che ha ricevuto il plico (l’impersonale ufficio postale) esclude una presunzione relativa di conoscenza, dovendo essere attentamente scrutate le vicende successive inerenti al ritiro del piego.

Può in prima battuta affermarsi che, qualora il destinatario ritiri l’atto personalmente o per il tramite di un delegato, si configuri l’ipotesi di cui all’art. 420 bis c.p.p., che consente senz’altro di procedere in assenza qualora la notificazione della citazione a comparire sia stata eseguita «in mani proprie» o «di persona da lui espressamente delegata al ritiro».

Caso opposto è rappresentato dal mancato ritiro, con perfezionamento formale della notificazione trascorsi dieci giorni dalla consegna della comunicazione di avvenuto deposito, e restituzione del plico al mittente una volta decorsi sei mesi dalla data del deposito stesso.

Occorre interrogarsi sulla influenza che procedura comunicativa in esame sortisce sul giudizio in absentia e sulla validità della notifica del decreto penale di condanna (con sua conseguente esecutività)

Chi scrive ritiene che in questo caso, ove si tratti di un domicilio dichiarato o eletto, si debba procedere alla comunicazione sostitutiva al difensore ex art. 161 co. 4 c.p.p., la quale eventualmente corroborerà la conoscenza diretta intanto assunta dal destinatario, qualora medio tempore egli abbia ottenuto materialmente il plico prima della sua restituzione al mittente.

Ove invece non si verta in tema di domicilio dichiarato o eletto, parrebbe doversi escludere che possa applicarsi, ai fini della procedibilità in assenza, l’art. 420 bis co. 3, c.p.p. nella parte in cui valorizza la volontaria sottrazione alla conoscenza: risulterebbe forzata l’interpretazione secondo cui il mancato ritiro di un atto significhi autodeterminazione a mantenersi in uno stato di ignoranza rispetto al suo contenuto, potendo il mancato ritiro dipendere anche da mera negligenza, superficialità o dimenticanza.

Deve pure porsi mente al fatto che la comunicazione di avvenuto deposito rende edotto il destinatario della circostanza che un atto giudiziario è stato depositato presso l’ufficio postale, ma non specifica se trattasi di una citazione in giudizio nella qualità di imputato; pertanto non può inferirsi che la pur volontaria sottrazione di sé alla (generica) conoscenza di un atto giudiziario significhi per ciò solo sottrarsi dolosamente alla (specifica) cognizione circa l’esistenza di un processo a proprio carico.

In questo caso, dunque, occorrerà procedere ai sensi dell’art. 420 bis co. 5 c.p.p., onerando della notifica la polizia giudiziaria; un ulteriore esito negativo dovrà innescare la pronuncia di non doversi procedere ex art. 420 quater c.p.p. così come modificato dalla riforma “Cartabia” (nello stesso senso, la giurisprudenza di legittimità maggioritaria: si veda ex multis Cass. pen., sez. V, 5 marzo 2018, n. 31992, CED n. 273313).

Solo per completezza, va brevemente rammentato che, nell’ulteriore caso della irreperibilità del destinatario (nel senso ampio preso in considerazione dall’art. 9 della legge n. 890 del 1982), va senza dubbio disposta la notifica a mezzo polizia giudiziaria a mani proprie ai sensi dell’art. 420 bis co. 5 del codice di rito e che, soltanto nel caso in cui l’irreperibilità sia stata attestata nel luogo indicato quale domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., l’art. 170 co. 3 c.p.p., così come interpretato dalle Sezioni unite penali con la sentenza n. 14573/2021 (depositata nel 2022, in CED n. 282848), si impone di procedere senz’altro alla notifica ex art. 161 co. 4 c.p.p. al difensore.

Deve opportunamente rilevarsi che, con le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 150 del 2022, l’applicazione dell’art. 161 co. 4 c.p.p. viene ridimensionata, avendo ad oggetto esclusivamente la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, operando per le altre notifiche la domiciliazione ex lege presso il difensore (cfr. art. 157 bis c.p.p.).

Va osservato, in chiusura, che alle ipotesi di notifica al difensore, nella sua veste di domiciliatario espresso (artt. 161 co. 1 e 162 co. 4 bis c.p.p.) o ex lege (art. 161 co. 4 c.p.p.), la recente giurisprudenza, a partire dalle note Sezioni Unite “Ismail” (n. 23948/2020), riserva una sempre più marcata diffidenza ai fini del giudizio di conoscenza. 

Difatti, a fronte del perfezionamento formale della procedura notificatoria, si ritiene necessario che il giudice accerti la sussistenza di un concreto rapporto tra assistito e difensore, dovendo esso essere escluso – con conseguente effetto ostativo rispetto alla declaratoria di assenza – ogni qual volta dagli atti emergano situazioni idonee a recidere il legame professionale e il “contatto” tra il difensore e l’imputato, con conseguente paralisi del flusso comunicativo tra il secondo e il primo che abbia intanto ricevuto per suo conto la consegna dell’atto introduttivo del giudizio (cfr. di recente Cass. pen., sez. I, 24 gennaio 2024, n. 3048).

Sentenza Casszione 4359-2024