Test psicologici ai magistrati, l’esempio francese

ROMA - INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - VESTIZIONE DEI MAGISTRATI E GIUDICI - TOGA TOGHE (Roma - 2010-01-29, Carmine Cuccuru / IPA) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Lei si sente superiore agli altri?

Pensa di essere un maniaco dell’ordine?”

Comparivano, tra le altre, queste domande nei test psicoattitudinali cui furono sottoposti gli aspiranti magistrati francesi nel novembre 2009, quando fu celebrato in Francia il primo concorso pubblico per l’accesso all’École Nationale de la Magistrature (ENM) che prevedeva anche la prova psicologica, come stabilito dal Decreto governativo n. 2008-1551 del 31 dicembre 2008 .

I test furono introdotti nell’intento di scartare, dopo le prove c.d. di ammissibilità e prima di quelle di ammissione, i candidati più “rigidi”, cioè quelli che non vantassero doti di umanità, capacità relazionali e di ascolto sufficientemente solide per affrontare la funzione giudiziaria.

Si articolavano in una parte scritta, costituita da semplici domande a risposta multipla, e in un successivo colloquio, da svolgere all’esito dell’interpretazione dei quiz da parte di uno psicologo. Il colloquio doveva essere affrontato con lo psicologo – incaricato di redigere una esegesi scritta dei test, nelle forme di un parere non vincolante – in presenza di un magistrato e di un altro membro della commissione. L’interpretazione che lo psicologo forniva delle risposte ai test poteva essere contestata dal candidato, il quale aveva diritto di presentare osservazioni.

I risultati dell’intero giudizio psicologico non erano soggetti a votazione, né a valutazione destinata ad entrare, puramente e semplicemente, nel punteggio finale delle prove concorsuali tecnico-giuridiche. Essa era concepita per fornire ai commissari “un quadro più chiaro” sull’esaminando.

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Negli anni immediatamente precedenti, la Francia era stata scossa dall’affaire d’Outreau: un caso giudiziario che suscitò enorme interesse mediatico, non soltanto per la gravità delle accuse sollevate contro diciassette imputati – i quali dovevano rispondere di abusi sessuali, riduzione in schiavitù ed altri reati nei confronti di minori – ma anche, e soprattutto, a causa della virata inaspettata che prese il procedimento penale, quando la principale fonte dell’accusa ritrattò tutte le sue dichiarazioni e chiese scusa agli incolpati. I quali, nel frattempo, erano stati sottoposti ad incalzanti procedure di controllo e a lunghe misure detentive (uno di loro morì in custodia cautelare in carcere, per intossicazione da farmaci).

Una commissione d’inchiesta parlamentare fu incaricata di portare alla luce i meccanismi distorti del sistema giudiziario, tra i quali spiccava – secondo l’opinione pubblica maggioritaria – l’incapacità dei magistrati di valutare adeguatamente le prove, di instaurare un corretto rapporto giurisdizionale con i testimoni, anche minori di età, e di individuare le giuste piste indiziarie, scartando quelle fuorvianti.

Uno dei giudici titolari del fascicolo presentò pubblicamente le proprie scuse per non aver condotto l’istruttoria come avrebbe dovuto.

Lo stesso Presidente Chirac espresse, a nome di tutto il Sistema Giustizia, delle parole di emenda per un disastro giudiziario definito senza eguali .

Che lo scandalo del caso di Outreau fosse strettamente connesso all’introduzione dei test psicologici per magistrati è fatto notorio  e se ne trova traccia in numerosi comunicati ufficiali (si veda, in particolare, il comunicato del Syndicat de la Magistrature datato 10 maggio 2017 ).

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L’allora Ministra della Giustizia Rachida Dati precisò, durante un discorso tenuto all’ENM, che la riforma non intendeva attuare una sorta di “pensiero unico di reclutamento”, selezionando un determinato profilo psicologico di magistrati, ma aspirava a realizzare un risultato efficiente in sede di concorso, individuando, a monte, “eventuali difficoltà o fragilità psicologiche” .

Spinte chiaramente populiste avevano indotto il Governo francese all’adozione di test di attitudine e di personalità al dichiarato di scopo di scartare, tra gli aspiranti magistrati, i giovani sprovvisti di sufficiente spessore umano , così facendo germogliare l’idea di una soluzione-miracolo, tanto immaginata quanto pericolosa: una prova che permettesse, insomma, di scovare i tratti di personalità incompatibili con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

L’introduzione dei test fu aspramente contestata degli organi rappresentativi della magistratura. Per il Syndicat de la Magistrature si trattava di prova assolutamente inaffidabili, pericolose, proprio per l’apparenza di scientificità che si voleva alle stesse conferire. Pure contraria era l’Union Syndicale des Magistrats, associazione apolitica.

Le stesse Commissioni di concorso ne segnalarono, più volte, la scarsa utilità.

A questo riguardo, deve segnalarsi che dei concorsi pubblici francesi resta pubblica traccia nei c.d. rapports du jury, che sono cosa diversa dai singoli verbali di valutazione dei partecipanti: essi costituiscono, finita tutta la procedura concorsuale, una sorta di commento ragionato, contenente spesso considerazioni di carattere sociologico e geografico sulla provenienza dei candidati e soprattutto un’analisi del tasso di riuscita, dei punti forti e deboli della platea concorsuale.

È interessante leggere le riflessioni svolte proprio sui test di attitudine e di personalità e sul colloquio con lo psicologo, in presenza di un magistrato, quali prove (in senso lato, perché non suscettibili, come detto, di votazione destinata ad entrare nel punteggio finale) che dovevano servire a identificare e valutare la capacità dei candidati ad esercitare funzioni giudiziarie e a segnalare eventuali ostacoli che potessero, in questo senso, suscitare delle riserve, con particolare riguardo all’assenza di diverse forme di capacità psichica: di adattamento, di ascolto, di scambio, di assumere una posizione autorevole ovvero umile, adeguata alla fattispecie lavorativa, di lavorare in gruppo.

Osserva in particolare il rapport du jury del concorso del 2016  che sui 402 candidati che si erano presentati, 362 avevano avuto un giudizio favorevole da parte dello psicologo, dunque circa il 90%. 40 aspiranti magistrati (dato simile a quello dell’anno precedente, ove se ne erano registrati 50) invece erano stati oggetto di “riserva”. La maggior parte di tali riserve riguardava la capacità di adottare una posizione di autorità o di umiltà (27,71%) e la capacità di relazionarsi agli altri, tramite doti di ascolto e di scambio (22,89%). Il tasso di pareri con riserva, però, era molto varabile a seconda dello psicologo: il dato poteva oscillare dal semplice 3,85% di pareri non positivi espressi da un professionista sino ad un massimo del 28,57% espresso da altro esperto, senza che, secondo la commissione di concorso, apprezzamenti tanto diversi si fondassero su dati obiettivi. Dei 40 candidati interessati, 11 avevano richiesto un secondo parere, all’esito del quale le riserve di idoneità psicologica erano state confermate soltanto per 4 partecipanti, cioè per l’1%. La bassa proporzione di richieste di un nuovo esame, dopo parere sfavorevole, poteva spiegarsi, secondo la commissione, sia in base a ragioni di ordine materiale – al candidato era richiesto di ripresentarsi nella sede concorsuale unica nazionale, cioè Bordeaux – sia per la possibilità, concessa allo stesso candidato, di fornire spiegazioni orali direttamente in sede di esame, per dimostrare che la riserva dello psicologo poteva essere determinata solo da fattori quali lo stress o l’emozione, e che non avrebbe, in ogni caso, impedito il sereno svolgimento di funzioni giurisdizionali. In definitiva, ad eccezione di un solo candidato, il parere dello psicologo non ebbe, in quel concorso, alcuna influenza determinante sulla decisione della commissione.

La commissione si interrogava, dunque, sulla reale utilità dei test e dei colloqui psicologici, visto anche il loro costo. Evidenti perplessità sorgevano in ordine all’interesse al mantenimento delle prove di idoneità psicologica, come era stato già segnalato alla Consigliera Arens, allora Presidente della Corte d’Appello e incaricata di fornire un parere professionale proprio su questo aspetto del concorso.

Andando indietro nel tempo, considerazioni di pari tenore sono contenute nel rapport du jury del 2014, il quale, pur esprimendosi in termini globalmente favorevoli rispetto alla necessità di valutazione dell’attitudine e della personalità, già indicava la possibilità di neutralizzare i pareri psicologici sfavorevoli mediante le spiegazioni fornite direttamente dal candidato e precisava, con rammarico, che la motivazione dei pareri con riserva e dei c.d. “contro-pareri” (cioè quelli sollecitati a seguito di richiesta di nuovo colloquio da parte del candidato) risultavano motivati soltanto sommariamente, col rischio di far percepire all’interessato l’espressione di un vero e proprio sentimento di arbitrio .

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Nel 2017 fu soppressa, in Francia, la prova di idoneità psicologica . 

La presenza di uno psicologo è tuttora prevista per legge nelle procedure concorsuali per l’accesso alla magistratura: lo psicologo è membro della commissione, con la quale valuta, in particolare, il comportamento tenuto dal candidato durante la prova orale, e segnatamente durante la c.d. mise en situation.

Ai rapports du jury degli anni successivi al 2016 è sempre allegato il rapporto del membro non giurista della composizione, contenente considerazioni generali sul contegno tenuto dai partecipanti, sulla capacità di calarsi nel ruolo richiesto ovvero di mantenere le distanze dagli altri attori.

Non può tacersi che in un caso, tra le altre riflessioni, lo psicologo aveva espresso perplessità riguardo al fatto che tutti i candidati avessero bevuto direttamente dalla bottiglietta che era stata loro fornita, ignorando il bicchiere di plastica posto accanto, e si era chiesto se quella generalizzata secchezza di fauci – vista la breve durata della prova orale pratica – fosse sintomatica di stress .

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L’Associazione Nazionale Magistrati e tutte le articolazioni correntizie dei magistrati italiani hanno espresso preoccupazione e disappunto per la recente proposta normativa, volta a verificare “l’idoneità psicoattitudinale allo svolgimento delle funzioni giudiziarie degli aspiranti magistrati”.

L’esperienza d’oltralpe dovrebbe far riflettere su diversi temi.

I test psicoattitudinali e quelli di personalità non possono considerarsi del tutto oggettivi, perché la loro capacità predittiva – non scientifica ma solo tendenziale – deve calarsi in una globale valutazione del candidato-persona, chiaramente non riducibile ad un quiz. In Francia, essi si dimostrarono inutili, costosi e poco rivelatori delle temute devianze.

È chiaro a tutti che falsificazioni dei test potrebbero derivare da suggerimenti nelle sedi preparatorie. Pure in assenza di specifiche indicazioni tecniche, in via prudenziale, nessuno avrebbe l’impudenza di rispondere con l’affermativa al quesito “Lei si sente superiore agli altri?”.

Come ha ricordato il presidente Santalucia, al di là di specifiche eccentricità, immediatamente rilevate, la magistratura italiana non soffre di squilibri allarmanti, e la collettività può confidare nella validità dei meccanismi di controllo sull’idoneità e sull’equilibrio, che operano in fase di selezione e durante tutta la carriera del magistrato.