Le Sezioni unite sulla recidiva reiterata in assenza di una precedente dichiarazione di recidiva semplice

ROMA - LA CORTE DI CASSAZIONE IN PIAZZA DEI TRIBUNALI (ROMA - 2011-03-06, Lorenzo Daloiso / Giacominofoto) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

di Filippo Lombardi, giudice penale presso il Tribunale di Lagonegro

 

Nota a Cassazione penale, Sezioni unite, 30 marzo 2023 (dep. 25 luglio 2023), n. 32318

Presidente M. Cassano, Estensore C. Zaza, imp. S.M. e D.L.S., P.M. P. Fimiani (concl. parz. conf.)

 Abstract:  Con la sentenza annotata, le Sezioni unite della Corte di cassazione affrontano il quesito inerente ai presupposti per la dichiarazione di recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4 c.p.; in particolare, affermano che per dichiarare l’imputato “recidivo reiterato” non occorre una previa dichiarazione di recidiva semplice. Si tentano di fornire, con questo commento, alcuni spunti di riflessione sulla tenuta e sulle criticità dell’impianto motivazionale.

Parole chiave: recidiva, reiterata, semplice, dichiarazione, colpevolezza

 

  1. I principi fondamentali in tema di recidiva e i presupposti per la dichiarazione della recidiva reiterata secondo le Sezioni unite.

Con la sentenza n. 32318 del 2023, le Sezioni unite della Corte di legittimità si sono pronunciate sulla questione se, per l’applicazione della recidiva reiterata ai sensi dell’art. 99 co. 4, c.p., sia o meno necessaria la precedente dichiarazione formale di recidivo semplice.

Prima di affrontare il peculiare quesito, il giudice nomofilattico a composizione allargata ha sintetizzato i principi più accreditati sull’istituto in parola. La recidiva viene preliminarmente definita – in ossequio alla impostazione ormai granitica – quale circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole che necessita di essere specificamente contestata, non potendo essere applicata autonomamente dal giudice; la contestazione deve avere ad oggetto la singola imputazione cui l’aggravante inerisce, potendo però essere ascritta in calce alla serie di imputazioni ove il pubblico ministero intenda riferirla a ciascuna di esse (a meno che si tratti di reati di indole diversa o commessi in momenti diversi, cfr. sul punto Cass. sez. II, 9 marzo 2021, n. 22966, CED 281456; conf. Cass. sez. V, 18 dicembre 1973, dep. 1974, n. 2588, CED 126591). È del resto altrettanto pacifico che, ove la pubblica accusa dovesse contestare genericamente la recidiva di cui all’art. 99 c.p. senza ulteriori specificazioni, la contestazione andrebbe riferita alla recidiva semplice (v. sul punto, ex multis, Cass. sez. III, 1° dicembre 2016, dep. 2017, n. 43795, CED 270843).

La recidiva si intende poi applicata quando si traduce nell’aggravamento della pena o quando penetra nel giudizio di comparazione delle circostanze.

Dal punto di vista strutturale, è opinione ormai consolidata che la recidiva non possa ritenersi espressione di un mero status soggettivo del reo costituito dai suoi precedenti penali. Pertanto, il suo riconoscimento si fonda non solo sul presupposto formale della precedente condanna, ma anche sul requisito sostanziale costituito dalla maggiore colpevolezza e pericolosità del reo. Il requisito sostanziale, spiegano limpidamente i supremi giudici con la sentenza qui annotata, impone la valutazione di «significatività del nuovo delitto nell’ambito della reiterazione dei reati e si risolve nello stabilire se e quanto tale delitto esprima una maggiore rimproverabilità, in quanto dimostrativo di un atteggiamento di indifferenza verso la legge, dell’assenza di un ripensamento critico a seguito delle precedenti condanne e, in conclusione, di una risoluzione criminosa più consapevole e determinata. La maggiore dimensione di colpevolezza, ravvisabile nel nuovo delitto, viene rappresentata in sostanza nella sua espressività, ove rapportata ai delitti oggetto delle precedenti condanne, della resistenza del reo all’effetto dissuasivo derivante dalla revisione del proprio vissuto criminale in conseguenza di tali condanne, e del conseguente rafforzamento della propria determinazione criminosa». La colpevolezza accentuata si regge sul consolidamento del proposito criminoso del reo nonostante il monito ipoteticamente promanante dalle risultanze giudiziali; la maggiore attitudine a delinquere assume la natura di consequenziale risvolto della peculiare colpevolezza del reo.

Nell’esaminare il complesso della serie criminale e l’incidenza assunta dall’ultimo episodio al vaglio, dovranno valutarsi necessariamente i tratti essenziali dei singoli illeciti: la qualità delle condotte, il loro grado di offensività, la loro omogeneità o eterogeneità, il tipo di devianza che esse sottintendono, e infine la distanza temporale tra i fatti, quest’ultima al fine di sondare l’eventuale occasionalità della ricaduta nel crimine.

Venendo al peculiare quesito rimesso all’attenzione del più autorevole consesso di legittimità, le Sezioni unite analizzano gli orientamenti giurisprudenziali emersi sul punto.

Un consolidato orientamento esclude la necessità che, ai fini della dichiarazione di recidiva reiterata, sussista una precedente dichiarazione di recidiva semplice. Si ritiene sufficiente che il reo risulti gravato da più condanne irrevocabili per reati che, letti congiuntamente a quello al vaglio, dimostrino la maggiore attitudine criminosa dell’imputato. Ciò perché l’art. 99 co. 4 c.p. non richiama una precedente dichiarazione di recidiva, né tale necessità può trarsi dall’utilizzo del termine recidivo, siccome esso è utilizzato dal legislatore non per richiamare uno stato di recidivanza giudizialmente accertato e dichiarato, bensì soltanto per comodità espositiva: per non riportare nel testo della norma il presupposto letterale di cui al primo comma del medesimo articolo, vale a dire la precedente condanna per delitto non colposo.

Ritengono le Sezioni unite che questo orientamento sia rimasto incontrastato; è vero che altra giurisprudenza ha affermato che requisito essenziale per la dichiarazione della recidiva reiterata è il passaggio in giudicato della prima condanna ma tale considerazione appare ovvia, in quanto, ove la prima condanna non fosse ancora passata in giudicato al momento della commissione del secondo reato, andrebbero ritenuti a monte insussistenti i presupposti per una dichiarazione di recidiva semplice, sicché non potrebbero mai porsi le condizioni per la declaratoria della recidiva reiterata. Dunque, questo secondo filone giurisprudenziale non si oppone al primo, bensì affronta un aspetto diverso che non fa dubitare della sua sostenibilità.

Le Sezioni Unite, dunque, ammettono che la questione ad esse rimessa va affrontata non a cagione della esistenza di una disputa giurisprudenziale attuale, ma per prevenire una disputa futura sul rilievo, nell’ambito della verifica giudiziale, del connotato sostanziale della recidiva costituito dalla accresciuta attitudine a delinquere del reo.

Ebbene, le Sezioni unite attribuiscono massimo credito al primo (e unico) orientamento formatosi in materia, riprendendone e specificandone gli argomenti.

In primo luogo, sul piano letterale viene ritenuta significativa la mancanza, nella norma, di un espresso riferimento ad una precedente affermazione giudiziaria della recidiva semplice. Spiegano i supremi giudici che l’intento legislativo, nell’adoperare il termine recidivo all’art. 99 co. 4 c.p., è quello di richiamare la prima parte del tessuto letterale di cui al primo comma del medesimo articolo, vale a dire di soggetto condannato per un primo delitto non colposo che ne commetta un altro, e non anche la seconda parte di quel testo, concernente il riconoscimento giudiziale della recidiva e l’applicazione del trattamento sanzionatorio.

Il secondo argomento è sistematico e coinvolge innanzitutto l’art. 105 c.p. sulla dichiarazione di delinquente o contravventore professionale. Si richiede nella norma che la persona che si trovi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità commetta un altro reato, a voler intendersi con tale locuzione che il grado superiore di delinquenza professionale può essere dichiarata sebbene manchi una precedente dichiarazione del grado inferiore di delinquenza abituale.

Ancora, trova un aggancio nell’art. 162 bis c.p. nella parte in cui esclude l’operatività dell’oblazione per i recidivi reiterati, nozione che è stata – nel settore di riferimento – interpretata come non necessitante una dichiarazione giudiziale, risultando sufficiente la mera sussistenza dei precedenti che, per numero e natura, integrino l’ipotesi recidivante.

Infine, le Sezioni unite richiamano il patteggiamento c.d. allargato. Esso, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., non può essere richiesto da coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza o recidivi reiterati. Con la sentenza n. 35738 del 2010 “Calibè” (in CED 247840), le Sezioni unite hanno escluso una automatica equiparazione tra il caso del delinquente qualificato e il caso del recidivo reiterato, ritenendo la norma volutamente onnicomprensiva e generica ancora per esigenze di uniformità lessicale nella esposizione delle situazioni ostative, senza che ciò inibisca una differenziazione sostanziale tra le due condizioni soggettive.

È però evidente per le Sezioni unite che, a fronte di questi argomenti, occorre pur sempre confrontarsi con il presupposto sostanziale della recidiva, che, coniugandosi a quello formale legato ai precedenti penali, si regge invece sulla accentuata attitudine a delinquere del reo, in quanto manifestazione di maggiore colpevolezza e pericolosità. Secondo il supremo organo nomofilattico, proprio la valorizzazione del connotato sostanziale circa la spiccata colpevolezza e pericolosità dell’individuo, che supera il rigido formalismo legato alla mera sussistenza del precedente giudiziale, non può contraddittoriamente condurre ad accogliere una concezione di nuovo basata su una rigidità applicativa, in virtù della quale si ritenga indispensabile la precedente dichiarazione di recidiva semplice in capo al reo.

D’altra parte, chiosano le Sezioni unite prima di calare i principi nel caso concreto sottoposto, il vaglio sulla accresciuta attitudine a delinquere in capo al reo è pienamente sperimentabile anche nei casi in cui non risulti una precedente declaratoria di recidiva semplice, poiché il suo oggetto è «la totalità dei reati compresi nella sequela recidivante, nel loro apporto all’incremento dell’attitudine suindicata», assorbendo così «quella che sarebbe stata la valutazione sul passaggio della recidiva semplice».

 

  1. Alcune riflessioni sull’impianto motivazionale.

Il nucleo fondamentale della pronuncia delle Sezioni unite è costituito evidentemente dalla prospettiva che l’ordinamento giuridico, per il tramite dell’autorità giudiziaria, intende assumere nei riguardi della complessiva sequela di reati posti in essere dall’imputato durante la sua carriera criminale, elemento cui il supremo consesso di legittimità attribuisce la capacità di assorbire il vaglio della recidiva semplice. Si riconosce il massimo grado di pregnanza alla valutazione globale che il giudice dovrà eseguire nel processo in cui la recidiva reiterata è contestata, prescindendo dal precipuo significato delle vicende criminose già giudicate, le quali andranno saggiate nella loro obbiettiva esistenza e nei loro rapporti con l’ultima fattispecie al vaglio, onde eventualmente desumere in quello specifico momento processuale un’esponenziale attitudine della persona al compimento di atti delittuosi.

L’orientamento propugnato dalle Sezioni unite mira anche a porre rimedio ai casi in cui al soggetto agente non sia stata contestata la recidiva semplice in occasione della seconda fattispecie criminosa da lui posta in essere, pur avendo egli già manifestato la speciale attitudine a delinquere richiesta dall’istituto; da questa prospettiva, si comprende di certo l’utilità promanante da un giudizio di valore che non tenga conto della precondizione formale costituita dalla declaratoria di recidiva semplice.

Tuttavia, alcuni passaggi motivazionali non convincono del tutto, e soprattutto, a parere di chi scrive, la pronuncia, pur autorevole, non riesce fino in fondo a privare di fondamento l’interpretazione opposta, secondo cui l’applicazione della recidiva reiterata necessita proprio di una precedente dichiarazione di recidiva semplice.

In primo luogo, appaiono per certi versi forzati i ragionamenti intorno alla oblazione di cui all’art. 162 bis c.p. e al patteggiamento allargato.

Per quanto attiene al primo, va intanto osservato come l’art. 162 bis c.p. precluda l’oblazione quando ricorre il caso di cui all’art. 99 co. 4 c.p., vale a dire quando l’imputato sia un recidivo reiterato.

La locuzione adoperata all’art. 162 bis c.p., che menziona la ricorrenza del caso ex art. 99 co. 4 c.p., non spiega alcunché circa l’interpretazione da impiegare per l’individuazione dei presupposti della recidiva reiterata; al contrario, è la preclusione disciplinata nell’ambito dell’oblazione facoltativa a risentire a valle di quell’interpretazione, dipendendo deduttivamente da essa. Ritenere allora che l’espressione adoperata nell’art. 162 bis c.p. corrobori una certa esegesi sostanzialista della recidiva reiterata configura un cortocircuito logico e infonde nella decisione delle Sezioni unite un alto tasso di autoreferenzialità, rischiando la stessa di apparire meramente proiettata ad avallare la tesi giurisprudenziale formatasi intorno ai rapporti tra oblazione e recidiva reiterata.

Con riferimento alla preclusione nell’ambito dell’applicazione della pena ex artt. 444 ss. c.p.p., le Sezioni unite – riprendendo altra massima giurisprudenziale pure promanante dal più ampio consesso di legittimità – superano l’eloquente dato letterale («coloro che siano stati dichiarati […] recidivi ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.»), ricostruendo una volontà legislativa in stridente contrasto con esso, secondo la quale l’equiparazione dei recidivi ai delinquenti, quanto alla previa dichiarazione della condizione soggettiva, avrebbe quale unico scopo la semplificazione testuale della norma, ma non richiederebbe per i recidivi reiterati un accertamento formale di detta condizione.

Non persuade, a parere di chi scrive, neppure l’argomento finalizzato a scongiurare, come si è visto, il ritorno di rigidità applicative. Il ragionamento delle Sezioni unite pare essere il seguente: poiché l’applicazione rigida della recidiva, fondata sull’esistenza documentale del precedente, è stata superata nel senso di richiedere – oltre al dato formale – il dato sostanziale delle spiccate colpevolezza e attitudine a delinquere alla luce dei precedenti a carico, esigere quale presupposto della recidiva reiterata la precedente declaratoria di recidiva semplice costituirebbe un ritorno a quello stesso formalismo che si intendeva scongiurare. Il ragionamento pare per certi versi forzato, siccome trattasi in realtà di formalismi o rigidità applicative estremamente diversi.

La rigidità applicativa legata alla sufficienza del precedente è contraria ai principi cardine del sistema penale costituzionale, siccome istituisce un aumento di pena in assenza di un controllo sulla maggiore colpevolezza, dunque nella totale indifferenza rispetto a manifestazioni sostanziali del reo che possano imporre l’aumento di pena e l’accentuata esigenza rieducativa. La rigidità applicativa legata alla precedente declaratoria di recidiva formale invece, risulterebbe opportuna oltre che altrettanto sostenibile sul piano giuridico.

Come è stato argomentato dalla dottrina più autorevole, l’istituto della recidiva reiterata si regge sulla particolare ostinazione manifestata da colui il quale, ricadendo nella recidiva, implementa la progressione criminosa e denota una crescente pericolosità cui l’ordinamento può ritenere legittimo reagire con una importante elevazione del trattamento sanzionatorio. Affinché si possa concretamente discorrere di una insistenza del reo nel violare i dettami dell’ordinamento – si afferma in letteratura – occorre considerare il recidivo reiterato soltanto quando esista un precedente accertamento giudiziale mediante il quale la recidiva sia stata ritenuta e applicata nei suoi riguardi.

Aderendo alle superiori riflessioni, andrebbe necessariamente rimeditato anche l’argomento lessicale propugnato dalle Sezioni unite, nella parte in cui si evidenzia che nell’ordinamento penale, non risultando una precisa definizione di recidivo, diviene plausibile che il legislatore non abbia pensato al recidivo reiterato come soggetto necessariamente attinto da una precedente dichiarazione giudiziale di recidiva; del resto, la formulazione lessicale appare talmente neutra da non escludere in maniera irrimediabile l’interpretazione opposta, secondo cui il concetto di recidivo di cui all’art. 99 co. 4 c.p. presume strutturalmente una previa declaratoria di recidiva semplice.

La sentenza poi, a parere dello scrivente, non si confronta con la possibilità che, anche l’istituto della recidiva possa essere reso compatibile con le esigenze di prevedibilità o conoscibilità di cui all’art. 59 c.p.

E’ nota la tesi per cui la recidiva costituisce una circostanza aggravante, fondata – nel tentativo di ricondurre ad unità le teorie dottrinali opposte storicamente emerse sul punto – non soltanto sulla maggiore colpevolezza palesata dalla violazione del precetto penale e dalla indifferenza serbata nei confronti del monito scolpito nella precedente condanna; ma anche sulla correlata pericolosità sociale del reo, non adeguatamente rieducato all’esito dei trascorsi criminali e particolarmente incline al compimento di azioni delittuose. E’ anche noto il dibattito sui rapporti tra recidiva e regime di imputazione delle circostanze aggravanti ex art. 59 del codice penale: una parte invero maggioritaria della dottrina, ribadendo che il fondamento della recidiva è costituito dalla più intensa rimproverabilità o pericolosità della persona, che sono manifestazioni di una propensione interiore del reo, ha sostenuto che l’istituto della recidiva costituirebbe una deroga al criterio di imputazione previsto dall’art. 59 cit. per le aggravanti, sicché mai potrebbe imporsi il vaglio circa la conoscenza o conoscibilità, in capo al soggetto agente, della propria rimproverabilità o pericolosità; secondo altra opinione, il requisito della conoscenza o conoscibilità risulterebbe invece essenziale, ma dovrebbe assumere quale oggetto il precedente giudicato, onde saggiare la memoria che l’imputato conservava di esso al momento del fatto e, consequenzialmente, la maggiore riprovevolezza della sua condotta.

Orbene, il discorso sostanzialista propugnato dalla dottrina maggioritaria, e accolto dalla giurisprudenza di legittimità anche con la sentenza qui annotata, non pare tenere in debito conto la massima peculiarità della recidiva reiterata, costituita dall’incedere criminoso del reo.

A fronte dei considerevoli effetti procedimentali previsti nel caso di contestazione della recidiva nonché dell’importante inasprimento della risposta sanzionatoria nel caso di applicazione della circostanza, è opportuno che alla valorizzazione degli episodi nel loro complesso e della obbiettiva attitudine a delinquere del reo, si accompagni anche il vaglio di conoscenza, in capo a costui, della progressività che il suo percorso criminale sta assumendo agli occhi dell’ordinamento e dell’autorità giudiziaria. È in questa prospettiva che si potrebbe iniziare a intravedere una compatibilità tra la recidiva reiterata e il criterio di imputazione di cui all’articolo 59 c.p.

Escludere il rilievo della pregressa declaratoria della recidiva semplice significa invece fondare la prevedibilità della circostanza sulla presenza dei precedenti giudiziali, noti al reo, e sulla riferibilità alla persona in esame di una spiccata attitudine a delinquere genericamente intesa e affidata ad una ponderazione oscillante, non ricollegabile in maniera certa ad una sua crescita esponenziale nei fenomeni criminosi, ma squisitamente calibrata sulla venuta ad esistenza dell’ultimo episodio delittuoso e sul rapporto che il giudice intravede tra questo e i fatti per cui precedentemente è intervenuta condanna.

Diversamente, ove il reo conoscesse, oltre al contenuto del proprio casellario giudiziale, anche una valutazione già eseguita dall’autorità giudiziaria sulla sua peculiare attitudine al crimine, cristallizzata in cosa giudicata con il riconoscimento della recidiva semplice, egli si troverebbe in una condizione psicologica di perfetta prevedibilità del fatto che, nel caso di ulteriore reato, anche il giudizio di pericolosità potrà ancora mutare in senso peggiorativo comportando l’applicazione della recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4 c.p.; d’altra parte, anche il momento applicativo in sede giudiziale ne risentirebbe favorevolmente, fruendo l’interprete di una precedente decisione irrevocabile che segna un punto fermo e un importante precedente nella storia criminale dell’imputato, limitandosi al contempo, opportunamente, la discrezionalità di cui il giudice può servirsi nella valutazione della pericolosità e della colpevolezza della persona.

Vero quanto sopra, l’argomento propugnato dalla Corte di cassazione, mentre mira a prevenire logiche formalistiche, rischia forse di suffragare una impostazione dogmatica che indebolisce la componente sostanziale dell’istituto a vantaggio di quella formale. Il pericolo dietro l’angolo è infatti quello di legittimare il giudice del processo in cui è contestata la recidiva reiterata a svolgere un giudizio sostanziale sulla spiccata attitudine al crimine meno vincolato ed eteroguidato, e dunque più esposto all’arbitrarietà, e un giudizio formale che – siccome basato esclusivamente sulla esistenza di più condanne storicamente inflitte alla persona – risulta invece massimamente riscontrato. La paradossale conseguenza è che il momento valutativo della recidiva reiterata apparirà particolarmente irrobustito sotto il profilo formale e almeno in parte indebolito proprio su quel versante sostanziale rivendicato a gran voce dai fautori del sistema penale costituzionalmente orientato.

L’adesione alla tesi avallata dalle Sezioni unite comporta in definitiva alcune importanti scoperture sul problema della ostinazione criminosa e sulla prevedibilità (in capo al reo) dell’applicazione di una circostanza, come quella della recidiva reiterata, dalle molteplici e gravi conseguenze per il reo.

Nell’ottica giudiziale, ove si volesse assicurare un vaglio calibrato sui connotati di crescente pericolosità del soggetto agente, mai dichiarato recidivo semplice, una seria riflessione a tal proposito dovrebbe transitare, prima, per la valutazione delle fattispecie criminose per cui è intervenuta condanna e, poi, per il vaglio dell’ultimo episodio illecito posto in comparazione con esse. Perciò, opportuno se non doveroso sarebbe per il giudice acquisire (almeno) la sentenza relativa al secondo reato, al fine di scandagliare con sicurezza la citata attitudine a delinquere, mediante i passaggi motivazionali – trasfusi in cosa giudicata – che il precedente giudice ha dedicato agli aspetti della colpevolezza e della pericolosità.

 

Riferimenti bibliografici:

M. Ambrosetti, La recidiva tra colpevolezza e pericolosità, in Discrimen, 30.08.2023.

Aceto, Recidiva qualificata: per le SS.UU. non è necessaria la precedente dichiarazione di recidivo, in Quot. giur., 03.08.2023.

Di Florio, Sul rapporto tra recidiva reiterata e recidiva semplice: la parola alle Sezioni Unite, in Jus, 31.07.2023.

G. Rutigliano, Alle Sezioni unite una questione sui presupposti per l’applicazione della recidiva reiterata, in Pen. dir. e proc., 20.02.2023.

Melchionda, Recidiva reiterata e pregresso status del recidivo: la cassazione si avvicina alla “chiusura del cerchio”, in Sist. pen., 2021, 2, p. 143 ss.

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