Le Shitstorm: diffamazione, molestie e atti persecutori

Le Shitstorm (diffamazione, molestie e atti persecutori)

Col termine “shitstorm” (letteralmente “tempesta di escrementi”) si intende un fenomeno, tipico del web e soprattutto legato ai social network, che si verifica quando una persona, un gruppo o un’azienda vengono letteralmente presi a bersaglio da centinaia e spesso migliaia di messaggi di insulti e minacce e questo, come detto, avviene soprattutto su profili social, blog o altre piattaforme online che offrono la possibilità di inserire un commento a terze parti. Il fenomeno in italiano può essere indicato anche con i termini “macchina del fango”, “campagna denigratoria” o “di delegittimazione”, “linciaggio morale”, o più semplicemente “serie di insulti e minacce”.

La “shitstorm” vera e propria andrebbe poi distinta dal mero aumento di commenti negativi che possono colpire una persona (soprattutto se famosa) o un’azienda in rete. La distinzione sebbene non sia stato ancora ben definito il fenomeno dovrebbe tener conto di alcuni parametri come 1) l’aumento esponenziale dei commenti negativi entro uno spazio temporale molto breve, 2) l’uso di parole fortemente offensive ed aggressive del tutto “svincolate” da una critica anche aspra che può colpire qualcuno, e 3) la presenza tra gli autori dei commenti negativi di moltissimi profili “fake” ovvero falsi in quanto. sebbene quest’ultimo elemento non sia risolutivo, normalmente, quando viene esercitato legittimamente il diritto di critica (contro un soggetto che ha fatto affermazioni che non condividiamo o contro una azienda che secondo noi ha commesso errori commerciali o di comunicazione) le “proteste” vengono poste in essere da soggetti che “vogliono” essere riconosciuti, mentre la presenza di tantissimi profili “fake” spesso superiori a quelli reali è sicuramente un indice di un possibile “attacco” strumentale al “bersaglio” prescelto. Il fenomeno “shitstorm” occorre precisare non è connesso esclusivamente alla problematica delle fake news anche se sempre più spesso i gruppi organizzati che diffondono fake news tendono ad “attaccare” sui profili social coloro che, cercando di riaffermare la verità, si contrappongono alla loro “narrativa distorta”, non a caso fenomeni di “shitstorm” hanno recentemente colpito medici, politici e giornalisti favorevoli alle vaccinazioni. A tal proposito va evidenziato che è proprio di questi giorni l’allarme destato dall’incitamento su alcuni gruppi del social network “Telegram” (sul quale sono “migrati” la maggior parte dei gruppi complottistici a seguito del “giro di vite” di Facebook e Twitter contro le fake news) a “subissare” (a mezzo internet o a mezzo telefono) di messaggi di insulti vari politici, medici e giornalisti, incitamento corredato dalla divulgazione dei numeri di telefono dei “bersagli”. Recenti esempi di shitstorm li abbiamo, poi, in relazione ai gestori di locali che chiedono il “green pass” (come previsto dalla legge) e che si sono visti invadere le “bacheche” dei loro social nonché le bacheche di “App” commerciali (come Tripadvisor) da centinaia di commenti negativi falsi postati dai no-vax che in tal modo vogliono “punire” chi si oppone alla loro visione distorta e falsata della pandemia. A tal proposito occorre osservare come in questo caso le “shitstorm” siano frutto di una precisa volontà diffamatoria, perfettamente pianificata sui social network tramite gli inviti fatti su questo o quel gruppo di no-vax ad “aggredire” telematicamente il bersaglio prescelto. Quanto ora osservato ci consente di fare una prima osservazione sul fenomeno “shitstorm” e cioè che esso può essere sia frutto di una attività “concertata e pianificata” posta in essere coscientemente da un gruppo di persone sia invece può essere il frutto della occasionale “convergenza” non voluta ne pianificata di vari soggetti legati da una medesima visione politica o ideologica. La circostanza che una shitstorm sia frutto di una scelta concertata e semmai pianificata su piattaforme social dove i vari partecipanti si incontrano virtualmente e decidono le mosse da fare ovvero sia frutto di decisioni individuali tra loro non concertate ma che convergono sul medesimo bersaglio non è indifferente per la valutazione sotto eventuali profili penali del fenomeno perché appunto nel caso di azioni “concertate” potrà essere contestato il “concorso” tra più soggetti eventualmente anche con l’aggravante del numero e, nel caso il medesimo gruppo organizzato si proponga di “colpire” un numero indeterminato di “avversari” o soggetti percepiti come tali (si pensi al già citato gruppo che ha diffuso in rete numeri di telefono ed indirizzi mail di medici e membri del governo istigando a inondarli di insulti).

Sotto il profilo del diritto penale sicuramente quando una “shitstorm” sia posta in essere con messaggi offensivi e lesivi della reputazione del singolo sui social network o comunque tramite internet, di un gruppo (esempio l’ordine dei medici) o di una azienda ricorre il delitto di diffamazione aggravato dall’uso di “altro mezzo di pubblicità” per il quale vale quanto osservato precedentemente in relazione all’art. 595 c.p.. In realtà il fenomeno dello shitstorm potrebbe prescindere da messaggi lesivi della reputazione come, ad esempio, se venissero inviate al soggetto ovvero ad una ditta centinaia di mail “neutre” al solo scopo che “intasare” le caselle di posta elettronica determinando così l’impossibilità a lavorare o quantomeno causando forti disservizi.

Diversamente, non pare che nel caso di “shitstorm” che, come abbiamo detto, si concretizza in un vero e proprio “linciaggio mediatico” possa trovare applicazione la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. che punisce chi “”chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo””. “Nulla questio” c’è da dire sul fatto che il fenomeno dello “shitstorm” rechi disturbo e molestia al soggetto preso di mira dalla valanga di insulti e messaggi in genere, ma dall’interpretazione della giurisprudenza non pare che possa rientrare l’attività posta in essere su internet. La norma infatti punisce chi ponga in essere molestie “in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero col mezzo del telefono” e proprio in relazione alla condotta posta in essere tramite l’uso del telefono la Cassazione ha affermato che l’utilizzo di mezzi diversi dal telefono come la posta ordinaria (Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 40716 del 13 settembre 2018), o messaggi di posta elettronica (Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 24510 del 30 giugno 2010) non integri la contravvenzione de quo in quanto difetterebbe il “carattere invasivo del mezzo telefonico” (per la posta ordinaria) non comportando tale condotta un’immediata interazione tra il mittente e il destinatario (vedi sentenza 40716/2018), mentre per quanto attiene ai messaggi di posta elettronica tramite pc carattere invasivo del mezzo impiegato, sarebbe “escluso” poiché i destinatari ““per nulla avvertiti dell’arrivo dei messaggi, potevano leggerli solo in quanto avessero deciso di aprirli””. Cassazione Penale, Sez. 1, Sentenza n. 36779 del 27/09/2011). L’interpretazione restrittiva data dalla Cassazione non sembra del tutto condivisibile proprio alla luce dell’ultima sentenza citata (la 36779 del 20119) secondo la quale “Ai fini della configurabilità del reato di molestia o disturbo alla persona, al mezzo del telefono deve equipararsi qualsiasi mezzo di trasmissione – tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza – di voci e suoni imposti al destinatario senza alcuna possibilità di sottrarsi all’immediata interazione con il mittente, se non dismettendo l’uso del telefono”. A ciò si aggiunga che sempre secondo la Cassazione l’art. 660 c.p. trova applicazione anche laddove la molestia sia recata attraverso “l’invio di short messages system (SMS) trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi, i quali non possono essere assimilati a messaggi di tipo epistolare, in quanto il destinatario di essi è costretto, sia de auditu che de visu a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale, in tal modo, realizza l’obiettivo di recare disturbo al destinatario” (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 28680 del 1 luglio 2004). Orbene occorre evidenziare innanzi tutto che con l’indicazione “mezzo del telefono” il legislatore del 1930 voleva sicuramente far riferimento all’unico mezzo di comunicazione a distanza che fosse nella disponibilità del singolo privato, in quanto altri mezzi (come la radio per esempio) non erano disponibili ai privati. La stessa Cassazione come ricordato interpreta la locuzione “a mezzo telefono” come “”qualsiasi mezzo di trasmissione – tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza – di voci e suoni imposti al destinatario”” e dunque atteso che i moderni telefoni contengono “app” che segnalano l’arrivo di messaggi con suoni chiaramente avvertibili al pari di uno squillo del telefono (la stessa posta elettronica viene annunciata da uno squillo) e che oramai le persone non possono vivere, salvo rarissime eccezioni, “disconnesse dalla rete” non si comprende perché un sms (che comunque deve essere aperto per leggerlo) rientri nella nozione di comunicazione a mezzo telefono idonea (ove molesta) ad integrare la fattispecie di cui all’art. 660 c.p. e non lo sia per esempio l’avviso della ricezione di un messaggio su una chat di WhatsApp o su Facebook. In ogni caso ad oggi l’orientamento della giurisprudenza non consente di ricondurre il fenomeno di Shitstorm su internet alla ipotesi dell’art. 660 c.p..

Diversamente dalla fattispecie di cui all’art. 660 c.p. si può ritenere che fenomeni di “shitstorm” soprattutto quando frutto del “concerto” e dell’accordo di più persone possano integrare, sussistendone tutti i requisiti, il delitto di cui all’art. 612bis c.p. che punisce chi “..con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, il delitto, se commesso sui social, sarebbe anzi aggravato addirittura ai sensi del comma 2 del citato articolo che prevede come circostanza aggravante l’aver commesso il fatto “attraverso strumenti informatici o telematici”.

Deve evidenziarsi che al fine dell’integrazione del delitto di atti persecutori secondo la giurisprudenza di legittimità non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori, comunque veicolati, “abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica” (Cassazione penale Sez. 5, Sentenza n. 18646 del 17/02/2017; conforme sentenza n. 16864 del 2011). Appare evidente che il fenomeno della “shitstorm” che, si ripete, non consiste in alcuni sporadici messaggi di minacce ed insulti ma come è stato detto in atti di cyber bullismo che sfociano in un vero e proprio linciaggio telematico sia idoneo a generare nel “bersaglio” quando sia una persona fisica o anche un gruppo di persone una apprensione tale da minarne l’equilibrio psicologico e la serenità e determinarne mutamenti nella vita di tutti i giorni ad esempio costringendo il soggetto a chiudere i profili social il che può al giorno d’oggi sicuramente determina una compressione della sua sfera di socialità.

di Stefano Latorre, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio

Tratto da Spunti di riflessione di diritto penale, parte VIII. Leggi le parti I, II, III, IV, V, VI, VII su https://lamagistratura.it/penale-e-sorveglianza/le-fake-news-al-tempo-della-pandemia/

In foto: Mare mosso a Étretat” di Claude Monet, Musée des Beaux Arts.