Le difficoltà dei Tribunali di sorveglianza. Parla Paola Cervo

Siede nella Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati, e da nemmeno un anno ha deciso di trasferirsi al tribunale di sorveglianza di Napoli. Paola Cervo ci racconta come funziona quello che è un mondo spesso lontano dai riflettori.

Intanto, come sta il settore dei tribunali di sorveglianza in Italia?

Malissimo, purtroppo. Non abbiamo avuto la possibilità di utilizzare gli addetti all’ufficio per il processo, che non erano previsti per la sorveglianza. Riceviamo così sempre più sentenze da eseguire da tribunali e corti di appello senza avere un rafforzamento degli organici.

Lei lavora a Napoli, qual è la vostra situazione?

Qui la pianta organica dei magistrati di sorveglianza è stata ampliata di due unità. Siamo 14 magistrati, sui novecento dell’intero distretto. Le difficoltà però restano, purtroppo. Basti pensare che in tutta la Campania ci sono oltre settemila detenuti.

Il problema principale che affrontate ogni giorno?

Il paradosso è che non ci sono cancellieri, la situazione è surreale. Parliamo di un contesto in cui la rapidità della decisione è fondamentale. L’attesa è un aggravio ulteriore per chi aspetta le decisioni. E poi c’è il tema della sanità penitenziaria.

La salute dei detenuti, insomma. Come mai?

Ci sono serie difficoltà che i detenuti affrontano nell’accesso alle cure. Spesso il carcere è un luogo patogeno, non solo per problematiche psicologiche ma anche fisiche. Capita che un malato debba saltare una visita oncologica perché non c’è sufficiente personale della Polizia penitenziaria che può accompagnarlo senza lasciare sguarnito un reparto dell’istituto.

La magistratura di sorveglianza ha sistematicamente a che fare con altre professioni, forse più di altre magistrature.

È vero, senza dubbio. Forse per questa ragione alcuni ci immaginano come una via di mezzo tra l’assistente sociale ed il funzionario amministrativo. Ma quella della sorveglianza è giurisdizione, che richiede risorse, e competenze proprie della magistratura.

Lei a Napoli che carico di lavoro ha?

Sono entrata in ruolo qui lo scorso ottobre e c’erano 746 pendenze. Poi nelle settimane seguenti e fino alla fine del 2024 ne sono sopravvenute altre 1142. Solo per la sottoscritta. Giusto per dare un’idea.

C’è poi il tema annoso del vostro ruolo rispetto alle pene pecuniarie. Tocca a voi la riscossione.

Esatto, è compito dei magistrati di sorveglianza riscuotere le pene pecuniarie. Per cui c’è un interesse immediato ed evidente per le casse dello Stato.

Proviamo a prendere un caso specifico.

Per esempio, per una rapina: da un’unica sentenza di condanna nascono due fascicoli, uno sulla pena pecuniaria e uno sulla pena detentiva. Quelli della pena pecuniaria sono soldi dello Stato. Grazie all’apporto degli addetti all’ufficio per il processo, i tribunali e le corti di appello possono pronunciare centinaia di sentenze di condanna a pena – anche – pecuniaria, e per riscuotere ciascuna di queste pene bisogna fare attività istruttoria e valutare la specifica situazione del condannato. Sono numeri enormi.

Quindi se non avete la possibilità di agire per chiedere indietro quei soldi lo Stato rischia di non averli?

O di averli molto in ritardo. Mesi, anni. Sostenere la magistratura di sorveglianza dovrebbe essere interesse comune.

Parliamo del lavoro dei detenuti. Che impatto ha per evitare le recidive?

Molto positivo. Chi lavora nel 98% dei casi non torna a delinquere. Chi non lo fa per due terzi torna a commettere reati. Questo succede perché c’è una responsabilizzazione dei detenuti, che si confrontano con le altre persone in maniera libera in un contesto dove le responsabilità e le ricompense sono reali. Le persone recuperano la propria dignità. È una realtà che si diffonde con qualche difficoltà, ma che funziona.

Ma è una procedura complessa?

Sì, nel senso che impone una determinata responsabilità per noi magistrati e in generale per tutte le persone coinvolte. E la stessa procedura di selezione è articolata.

Qual è oggi la situazione delle carceri italiane?

C’è una situazione di sovraffollamento drammatica. Non ovunque, per fortuna. Vorrei mettere l’accento su uno dei temi che mi preoccupa di più, quello dell’accesso alle cure. Sicuramente servono spazi per i detenuti, perché la privazione della libertà personale è già la pena. Non dobbiamo arrivare a privare della dignità le persone, mai.