L’articolo 76 della Costituzione

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di Giovanni Guzzetta, professore ordinario di Diritto costituzionale e pubblico nell’Università di Roma Tor Vergata

Art. 76 – L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. 

Abstract: La delegazione legislativa costituisce una delle modalità previste dalla Costituzione per consentire al Governo di adottare atti di rango primario, derogando al principio cardine del nostro ordinamento in base al quale “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” (art. 70).
La delegazione legislativa, nel modello costituzionale, si compone di due fasi che fanno capo a procedimenti distinti: a) la legge di delegazione e b) il decreto-legislativo delegato.
Tale modello ha subito nel corso degli anni numerose trasformazioni, dovuti anche allo stretto legame che il sistema delle fonti ha con la forma di Stato e la forma di governo.
Le peculiarità di queste ultime hanno accresciuto il ricorso agli atti normativi del governo.
In questa cornice la delegazione legislativa si dimostra uno strumento particolarmente duttile, capace di consentire riforme di ampio respiro, così come interventi puntuali e micro-settoriali e suscettibile di sviluppi sia virtuosi che molto criticabili.
Il saggio si conclude sottolineando che i problemi legati agli atti aventi forza di legge non potranno essere compiutamente affrontati senza mettere mano al procedimento legislativo ordinario, delle cui inefficienze (tecniche e politiche) l’uso dei primi costituisce spesso un tentativo di aggiramento e compensazione.

Parole chiave: Legge di delegazione, decreto legislativo delegato, forma di governo, forma di stato, fonti, legge

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il disegno costituzionale sulla delegazione legislativa. – 3. La funzione della delega e l’evoluzione successiva all’entrata in vigore della Costituzione. – 4. L’applicazione delle previsioni costituzionali in via legislativa e in forza dell’interpretazione della giurisprudenza costituzionale. – 5. Conclusioni.

 

1. Premessa

La delegazione legislativa (ricognitivamente, anche per il ricco apparato bibliografico, cfr. per tutti, A. Celotto e E. Frontoni 2002, 697 ss.; M. Ruotolo e S. Spuntarelli 2006 e M. Malo 2008, 696 ss.) costituisce una delle modalità previste dalla nostra Costituzione per consentire al Governo (che è da intendere qui esclusivamente come organo collegiale, non essendo ammissibili deleghe a singoli Ministri o subdeleghe da parte del Governo (cfr. rispettivamente, C. cost.  sentt. nn. 4 del 1961, 16 del 1965, 125 del 1976 e l’art. 2 della l. n. 400/1988, da un lato, e C. cost. sentt. nn. 54 del 1957, 38 del 1959 e 139/1976, dall’altro) di adottare atti c.d. di rango primario (anche a contenuto provvedimentale: cfr. C. cost., n. 60 del 1957), dotati di valore di legge formale e perciò in grado di di sostituirsi alla legge e agli altri atti aventi forza di legge (salvo eccezioni in base all’applicazione del principio di competenza e ad altri limiti costituzionali di cui si dirà).

La previsione costituzionale consente cioè di derogare al principio cardine del nostro ordinamento, scolpito nell’art. 70 della Costituzione e in base al quale “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Si tratta, in quest’ultimo caso di un principio che trova le proprie radici nelle origini del costituzionalismo moderno, sorto dal crollo dell’ancien régime e della forma di stato assolutistica con le rivoluzioni del XVII e XVIII secolo e ispirato al principio della centralità della legge quale atto cui concorre principalmente la rappresentanza politica del popolo divenuto titolare della sovranità (tanto da far escludere, in origine, l’ammissibilità stessa della delega della funzione legislativa:  sul relativo dibattito, per tutti, L. Paladin, 1979, 1 ss.).

La stretta connessione tra forma di Stato, forma di governo e sistema delle fonti costituisce un dato acquisito della riflessione dottrinale e della giurisprudenza (cfr. recentissimamente anche C. cost. sent. n. 146 del 2024, a proposito dell’istituto del decreto-legge, ma con considerazioni di ordine generale; in dottrina, da ultimo, con ampi riferimenti dottrinali P. Carnevale 2023, 139 ss.).  Il sistema delle fonti, insomma, rappresenta la proiezione sul piano dell’ordinamento giuridico oggettivo di scelte politiche di allocazione del potere, a partire dalla legge come atto espressione dell’indirizzo politico per eccellenza.

Ciononostante, l’evoluzione dei sistemi politici costituzionali ha messo in luce, fin da subito, l’esigenza di consentire deroghe a quel principio in favore dell’organo esecutivo, soprattutto negli ordinamenti di tipo parlamentare, fondati sul continuum tra maggioranza, che dà la fiducia al Governo e quest’ultimo (cfr. sempre C. cost. sent. n. 146 del 2024).

Le ragioni che hanno condotto all’emergere di istituti volti a rafforzare la competenza legislativa primaria (e non solo) del Governo sono molteplici e non è possibile, in questa sede, darne compiutamente conto. Basti menzionare il problema della gestione delle emergenze e degli stati di guerra (su tali punti cfr., nell’attuale Costituzione, rispettivamente l’art. 77 e 78). A ciò va aggiunto un fenomeno assai più pervasivo e strutturale, costituito dal passaggio al c.d. Stato amministrativo. Ci si riferisce alla crescita esponenziale dei compiti pubblici rispetto all’epoca liberale in cui sorse il modello della “centralità della legge”, con il conseguente impatto sulla domanda di normazione, sia sul piano quantitativo, ma soprattutto qualitativo. L’allargamento del suffragio, il conseguente insorgere di una domanda di giustizia sociale, che è all’origine della nascita del c.d.  Stato sociale, la complessità crescente delle società contemporanee sia in termini di istanze socioeconomiche (con i relativi conflitti) che di progresso tecnologico (con la necessità di adozione di articolate normative tecniche) ha modificato radicalmente l’attività di governo lato sensu intesa. L’amministrativizzazione della legge e della normazione, intesa come disciplina per la gestione, spesso in concreto, di tali situazioni e una conseguente sempre più spiccata “provvedimentalizzazione” degli atti normativi ha stravolto il sistema delle fonti conferendo centralità agli organi cui spetta presidiare l’esercizio delle funzioni di amministrazioni, in primis il Governo, quale vertice dell’Amministrazione stessa.

In questa sede non può che prendersi atto di tale circostanza, ricordando che il fenomeno descritto ha fortemente modificato, non solo in Italia, ma in tutte le democrazie avanzate e non, il modo e i mezzi di produrre il diritto.

A ciò si aggiunta, sotto il profilo della forma di Stato, l’insorgere di numerosi centri di competenza normativa “concorrenziali” al Parlamento (si pensi alla dimensione sovranazionale e internazionale, di cui è evidente riflesso, l’art. 117, comma 1, Cost.) oltre che a quella dell’articolazione territoriale interna: artt. 5, 114 ss. e spec. 117, 2 comma, ss. Cost.).

In questo quadro le fonti normative (anche primarie) di provenienza governativa hanno avuto un significativo (e talvolta patologico) incremento anche in considerazione della complessità e lentezza (particolarmente accentuata in Italia) delle procedure decisionali parlamentari tradizionali.

Si comprende pertanto perché, a fronte del silenzio dello Statuto Albertino (che la dottrina ritenne tacitamente modificato solo con l’approvazione della l. n. 100 del 1926, contente una compiuta disciplina della delega), i Costituenti abbiano invece (non senza perplessità e contrasti) deciso di disciplinare espressamente tali fonti e in particolare il decreto-legge e il decreto legislativo, tra i quali sussiste oggettivamente ormai anche un rapporto di complementarietà (cfr. infra l’ultimo paragrafo).

L’evoluzione è continuata anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, cosicché conviene, adesso, soffermarsi sul modello desumibile dalla Carte e sulle sue successive evoluzioni.

 

2. Il disegno costituzionale sulla delegazione legislativa

Ad una mera interpretazione letterale, l’art. 76 della Costituzione appare particolarmente essenziale e lineare. Innanzitutto, ne emerge chiaramente (anche in combinato disposto con l’art. 77 cost. comma 1), la sua natura derogatoria rispetto al menzionato principio di cui all’art. 70 Cost.

Sul piano testuale emergono i seguenti dati:

a) la delega ha a oggetto l’esercizio della funzione legislativa, non la sua titolarità (superandosi così definitivamente il dibattito dell’epoca precedente), con la conseguenza, ormai pacifica in dottrina e in giurisprudenza che, conformemente al modello di teoria generale della delegazione, il Parlamento può sempre intervenire anche successivamente al conferimento della delega per conformarla ulteriormente e perfino per revocarla espressamente o tacitamente %%.

b) La delegazione non è libera, ma sottoposta a vincoli per lo stesso legislatore (si tratta di una riserva di legge parlamentare esclusiva e rinforzata): vincoli procedurali (obbligo di approvazione in Assemblea: art. 72 u.c.) e vincoli sostanziali. In particolare con riferimento a questi ultimi, il legislatore è tenuto a definire un “termine”, l’ “oggetto della delegazione” e i “principi e criteri e criteri direttivi” (se tale espressione individui concetti diversi o si risolva, secondo un’interpretazione che appare prevalente, in un’endiadi sia consentito rinviare, anche per i riferimenti al relativo dibattito, a G. Guzzetta e F.S. Marini, 2022, 90 s. e, per un caso di annullamento di una legge di delega per l’indeterminatezza dei medesimi, cfr. C. cost. n. 354 del 1998).

A questi limiti sostanziali espressi si aggiungono dei limiti impliciti quanto al perimetro della funzione il cui esercizio può essere delegato. Per unanime interpretazione dottrinale non sono infatti delegabili, né la funzione legislativa di rango costituzionale, né quella sottoposta a limiti di competenza (o a particolari procedure: si pensi alla legge di cui all’art. 81, comma 6 Cost.) che impongono una riserva di legge in capo al legislatore parlamentare. In particolare appare pacifico che non possa essere delegato l’esercizio di quelle funzioni rispetto alle quali il Parlamento esercita una funzione di controllo politico nei confronti del Parlamento (si pensi alla legge di bilancio, di conversione dei decreti-legge o a quella di autorizzazione alla ratifica: così, per tutti, V. Crisafulli, 1993, 94).

Il legislatore non è invece vincolato ad adottare una legge a contenuto esclusivamente riservato alla delega, nel senso che le disposizioni di delegazione possono essere integrate in un atto legislativo che abbia, per altri profili, un contenuto immediatamente efficace.

c) Anche il Governo incontra, a fortiori, dei limiti nell’esercizio della delega, immediatamente desumibili dalla Costituzione e consistenti nel rispetto del termine, dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi, oltre che i limiti propri del tipo di fonte primaria cui il decreto legislativo delegato appartiene (non può ad esempio intervenire in materie riservante ad altra fonte, né abrogare le norme della legge di delega che ne costituiscono le condizioni di esercizio). La dottrina e la Corte costituzionale (fin dalla sent. 3/1957, ma vedi anche cost. n. 340, n. 170 e n. 50 del 2007, C. Cost. n. 98/2008, C. Cost. n. 134 e n. 237 del 2013; C. Cost. n. 59/2016) hanno così riconosciuto nelle norme legislative di delegazione un parametro di legittimità del decreto legislativo delegato. Conseguentemente, come ricordato dalla Corte costituzionale (sent. n. 98 del 2008): “Il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante, secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno, relativo alla norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi (tra le più recenti, sentenze n. 340, n. 170 e n. 50 del 2007.

Non costituisce, invece, un limite giuridico il mancato o parziale esercizio della delega (cfr., ad. es., C. cost. sentt. n. 41 del 1975 e n. 265 del 1996).

 

3. La funzione della delega e l’evoluzione successiva all’entrata in vigore della Costituzione

Prima di procedere al necessario approfondimento dei diversi profili, risulta evidente che la delegazione consiste nel convergere di due procedimenti teleologicamente connessi ma distinti.

Come detto, entrambi i procedimenti sono sottoposti a limiti che la Corte costituzionale è abilitata a sindacare. Si tratta però di limiti, rispetto ai quali, il soggetto procedente gode di alcuni margini di flessibilità, legati alla natura stessa dell’istituto e alle diverse funzioni che la delega può assumere.

Sotto questo profilo in dottrina sono state individuate varie tipologie che vanno da una finalità di mero riordino della disciplina esistente, in cui più accentuata è la natura compilativa del decreto delegato, fino alle deleghe finalizzate alla realizzazione di ampie riforme, la cui complessità rende per il legislatore preferibile non percorrere le ordinarie procedure parlamentari di approvazione delle leggi, anche per la necessità di assicurare coerenza e sistematicità al disegno, far uso di informazioni e competenze derivanti dalla expertise tecnico-amministrativa del Governo quale terminale delle pubbliche amministrazioni, gestire la produzione di corpus normativo che l’articolato processo meramente parlamentare renderebbe certamente meno agevole ed efficace.

A queste rationes di fondo se ne sono aggiunte altre nel corso dei decenni, condizionate sia dall’assetto del sistema politico che dalla trasformazione dell’ordinamento giuridico in concomitanza con il ruolo, sempre più significativo assunto dall’ordinamento dell’Unione europea e dai vincoli da esso derivanti.

Si tratta di funzioni attribuite alla delega che si integrano con quelle originarie, ma che hanno assunto tratti di ricorrenza tali da svincolare l’istituto a singole occasioni di utilizzo e a determinarne una stabilità e diffusione crescenti (sulla relativa evoluzione, per tutti, M. Ruotolo e S. Spuntarelli 2006, 1493 ss.).

Con riferimento al diritto dell’Unione europea si è ormai affermata la scelta privilegiata di dare attuazione alle norme europee non direttamente applicabili (in genere Direttive) mediante il ricorso allo strumento della delega che rinvia, per la definizione dei vincoli al legislatore delegato, (anche) alla normativa europea stessa. Il modello è stato codificato a più riprese (cfr. l. n. 89/1989; l. n. 11/2005) e da ultimo con la l. n. 234/2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”, la quale prevede, agli artt. 29 ss., che le Camere adottino una c.d. “legge di delegazione europea” (oltre che una “legge europea”), con cadenza annuale, per dare attuazione agli obblighi discendenti dal diritto dell’Unione. Il procedimento ivi previsto si caratterizza, per quanto qui interessa, per la previsione di principi e criteri direttivi di ordine “generale” (valevoli cioè per tutte i decreti legislativi che verranno adottati), dal rinvio alle norme sovranazionali quali “principi e criteri direttivi della delega” oltre che procedure partecipative per i soggetti (si pensi agli enti regionali) costituzionalmente coinvolti a vario titolo nell’attuazione del diritto sovranazionale.

Come si vede già da questo primo esempio, la delegazione legislativa si può inserire in un processo di normazione che coinvolge livelli di normazione sovranazionale e intrastatuale, assai più complesso di quello identificato dall’art. 76 Cost., del quale costituisce solo un “segmento”.

Lo schema di leggi con cadenza annuale che, a loro volta possano contenere deleghe, si è poi esteso ad altri ambiti (si pensi alla c.d. “legge annuale sulla concorrenza” o a leggi per la semplificazione normativa e/o amministrativa: cfr. art. 20 l. n. 59 del 1997, così come modificato dalla l. n. 229 del 2003, la cui sostituzione, mediante abrogazione è prevista dal Ddl governativo presentato il 15 luglio 2024 al Senato recante “Misure per la semplificazione normativa e il miglioramento della qualità della normazione e deleghe al Governo per la semplificazione, il riordino e il riassetto in determinate materie” che stabilisce l’obbligo per il Governo di presentare una legge annuale di “semplificazione normativa”, anche mediante conferimento di apposite deleghe).

Una seconda circostanza che ha reso centrale l’uso della delegazione legislativa discende dall’assetto che il sistema politico è venuto assumendo nel corso dei decenni, a partire dall’entrata in vigore della Costituzione. Si tratta di una circostanza che, ancora una volta mostra la stretta connessione tra sistema delle fonti e forma di Stato e di Governo.

Senza poter entrare eccessivamente nei dettagli, può essere sufficiente rilevare come la strutturazione del processo politico nella attuale forma di governo (caratterizzato, per limitarsi a qualche battuta, da una forte instabilità degli esecutivi, dalla loro breve durata, dalla complessità delle procedure parlamentari che, malgrado gli sforzi, non assicurano né la tempestività decisionale, né la totale disponibilità per il “governo in parlamento” dei tempi di approvazione delle misure di attuazione dell’indirizzo politico perseguito) nonché l’accrescersi dei soggetti, istituzionali e non, interessati alle decisioni, ha determinato l’effetto di assegnare alla delegazione legislativa (ma in un certo senso il discorso vale anche per i decreti-legge) il compito di assicurare, nella fase che va dall’approvazione della delega all’emanazione del decreto legislativo, la funzione di consentire l’interlocuzione formale (e informale) con i soggetti menzionati, onde consentire al Governo, in fase di varo del decreto, di tenerne adeguatamente conto (si è data applicazione, in questo caso alla prevalente opinione dottrinale che ritiene ammissibili limiti ulteriori, anche procedimentali, al legislatore delegato, ivi compresa la consultazione di determinati soggetti: sul punto, anche per una casistica, per tutti, N. Lupo 2002, 15 ss., M. Ruotolo e S. Spuntarelli 2006, 1493, M. Malo 2008, 703 s.) . È evidente che, rispetto a una legge ordinaria, il cui iter si conclude uno actu, una procedura, per dir così, a più segmenti di intervento (ma v. infra anche quanto si dirà in merito ai decreti legislativi e correttivi), con ampi spazi per la negoziazione, consente una maggiore “duttilità” politica nell’attuazione dell’indirizzo di governo (in generale G. Marchetti 2016, spec. 235 ss. e U. Ronga 2020, spec. 41 ss. e la lett. ivi citata).

Il fenomeno, però (e qui emergono profili più patologici), non crea solo esiti virtuosi. Mentre, infatti, nell’originario modello costituzionale lo schema tipico della legislazione delegata prevedeva una chiara scansione temporale dell’efficacia delle norme per i consociati (destinata a dispiegarsi definitivamente solo con l’entrata in vigore del decreto legislativo: così, tra i tanti, V. Crisafulli, 1993, 96 e, per alcune precisazioni in occasione di un particolare caso recente, G.U. Rescigno 2023, 1705 ss.) l’accrescersi della complessità normativa  e politica dei processi decisionali (a cominciare dall’irrompere dei vari livelli di governo) ha consentito che si generassero fenomeni che hanno ulteriormente accentuato la tendenza a rendere l’attività normativa una sorta di continuo work in progress destinato ad essere continuamente oggetti di revisioni e ripensamenti.

Un esempio emblematico è quello delle deleghe con doppio termine, il secondo dei quali è destinato ad operare con riferimento all’emanazione dei cc.dd. decreti e integrativi e correttivi (su cui, da ultimo, L. Gori 2019, E. Caterina 2021 e G. Marchetti 2022), i quali sono finalizzati appunto a integrare, modificare e correggere i primi decreti di attuazione della delega. Un fenomeno (avallato dalla giurisprudenza costituzionale: cfr. sent n. 206 del 2001) che è andato dilatandosi oltre lo schema appena descritto e consentendo una prassi in cui sono presenti anche le “riaperture” della delega proprio per consentire interventi integrativi e correttivi “a posteriori” abilitati da differenti e successive speciali leggi di delegazione (per l’esame delle diverse tipologie e patologie di tali deleghe “polifasiche”, anche rispetto al principio di istantaneità della delega, cfr. tutti M. Ruotolo e S. Spuntarelli 2006, 1494 s. e L. Gori 2019).

L’intento, di per sé astrattamente commendevole, determina però situazione di forte incertezza sul piano ordinamentale, creando anche problemi di diritto intertemporale che si aggiungono a quelli posti in essere dalla prassi sempre più contorta in materia di decreti-legge.

A ciò si aggiunga che, là dove la catena di interventi normativi intercetti, ad esempio, una normativa europea, cui è necessario dare attuazione, la certezza del diritto rischia di essere ancor più minacciata in considerazione degli effetti immediati che comunque, in base alla giurisprudenza europea e interna, debbono essere riconosciuti, seppure limitatamente, a tali atti sovranazionali là dove il termine per la trasposizione sia decorso.

 

4. L’applicazione delle previsioni costituzionali in via legislativa e in forza dell’interpretazione della giurisprudenza costituzionale

All’evoluzione concreta in termini di politica legislativa nell’uso della decretazione, sommariamente descritta, corrispondono sia interventi legislativi che giurisprudenziali, i quali hanno contribuito a sistematizzarla e, sostanzialmente, a legittimarla.

Sul primo versante, va segnalato (oltre all’art. 16, che esclude il controllo preventivo di legittimità da parte della Corte dei conti) l’art. 14 della l. n. 400/1988 (“Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”), del quale meritano di essere segnalati, al di là degli aspetti più di contorno (“I decreti legislativi (…) sono emanati dal Presidente della Repubblica con la denominazione di “decreto legislativo” e con l’indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione, della deliberazione del Consiglio dei ministri e degli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione”, comma 1), le previsioni: a) dell’obbligo, per il Governo, ai fini del rispetto del termine di esercizio della delega, di trasmettere il testo del decreto legislativo al Presidente della Repubblica “per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza”; b) la possibilità di esercizio frazionato della delega se questa “si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina” (c.d. delega plurima); c) in quest’ultimo caso, l’obbligo di informazione periodica del Parlamento, da parte del Governo, “sui criteri che segue nell’organizzazione dell’esercizio della delega”; d) la previsione, per le deleghe ultrabiennali, che il governo obbligatoriamente richieda “il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati”, con possibilità di un secondo esame qualora il Governo non si conformi alle indicazioni delle Commissioni quanto a “eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti alle direttive della legge di delegazione”.

Si tratta di disposizioni che, in parte chiariscono dubbi sorti all’indomani dell’approvazione del testo costituzionale (si pensi alla circostanza per cui deve ormai ritenersi pacifico che il termine per la delega corrisponda all’atto di emanazione del Presidente della Repubblica, come peraltro già ritenuto dalla Corte costituzionale, tra l’altro, nelle sentt. nn. 91del 1962, 83 del 1974 e 184 del 1981, o alla disciplina delle “deroghe plurime”).

Con riferimento a tali disposizioni, o a disposizioni equivalenti che pretendano di disciplinare il procedimento di delega oltre quanto previsto in Costituzione (cfr., ad es., art. 2, l. n. 42 del 2009, in tema di leale collaborazione tra Stato e autonomie: cfr. C. cost. sent. n. 219 del 2013 e soprattutto, e più in generale, sent. 251del 2016, nella quale è stata dichiarata l’incostituzionalità della c.d. “legge Madia” per aver omesso la condizione dell’intesa preventiva per la validità dei decreti delegati da essa previsti: cfr. R. Bifulco 2017 e A. Sterpa 2017), si deve però, in generale, sciogliere il nodo problematico relativo al vincolo discendente da tali disposizioni, trattandosi di previsioni contenute in una legge ordinaria e che pertanto non dovrebbero ritenersi idonee a vincolare il legislatore futuro.

A questo proposito si ritiene necessario per questo e per ogni altra ipotesi (si pensi alle previsioni di un obbligo di presentazioni di leggi annuali di delega) che la questione vada distinta in due profili: quello relativo ai vincoli diretti al legislatore medesimo e quello relativo ai vincoli per il governo come soggetto esercente la delega.

Sul primo aspetto sembra si possa dire che valga quanto accennato: i limiti al legislatore futuro sono pienamente derogabili da quest’ultimo (a meno che, ovviamente, non siano esplicitazioni di vincoli riconducibili alla Costituzione stessa). Sul secondo versante, invece, sembra, a chi scrive, più convincente  la tesi che la previsione di cui all’art. 76 Cost., relativamente al limite dei principi e criteri direttivi, consenta anche al legislatore di stabilire una disciplina generale (applicabile, cioè, a un numero indefinito di deleghe future) cui il Governo sia comunque tenuto a conformarsi (salva ovviamente diversa disposizione della singola legge di delegazione: in questo senso, secondo lo schema della integrazione tacita della legge di delega, F. Sorrentino 2004, 147). Trattandosi, infatti, nel caso del potere legislativo, di un’attribuzione del Parlamento non devolvibile, ma solo delegabile, non si vede per quale motivo le Camere non possano ulteriormente conformare (in via generale) modalità e contenuti dell’attività delegata.

La soluzione opposta – oltre che contrastare con una prassi così consolidata da far ritenere essere sorta una vera e propria consuetudine costituzionale – implicherebbe di ritenere l’esistenza di un obbligo costituzionale che impone alla sola dalla sola legge di delegazione di determinare, di volta in volta, le condizioni della delega.

In verità, però, come detto, non sembra da escludersi, anche in relazione alla prassi interna e internazionale, l’ammissibilità di una etero-integrazione della legge di delega, ad esempio, in tema di determinazione dei principi e criteri direttivi (individuabili per relationem in forza di un espresso rinvio della legge di delega, o anche in base a un’interpretazione sistematico-teleologica della delega stessa e del sistema normativo in cui si inserisce : cfr. rispettivamente, da un lato, C. cost. n. 156 del 1987 e, dall’altro, C. cost. C. cost. n. 96 del 2024, n. 79 del 2019, n. 198 del 2018 e n. 104 del 2017, n. 134 del 2013) ovvero con riferimento all’oggetto (per il quale, anche di recente, la Corte costituzionale, con la sent. 44/2024, ha ribadito la possibilità di individuazione, al di là della lettera della legge delegante, sulla base dei principi in essa contenuti e di una interpretazione teleologica, rafforzata dal riferimento ai lavori preparatori).

Ciò che, come accennato, ha consentito di strutturare il sistema di trasposizione degli obblighi europei con l’individuazione nella legge di sistema sulla “attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea “ (l. n. 234/2012) di alcuni e principi e criteri direttivi generali che integrano quelli di volta in volta individuabili dalla singola legge di delegazione “di trasposizione” (sul dibattito dottrinale in tema di vincoli generali al legislatore delegato, rinvenienti da norme estranee alla legge di delega cfr. comunque M. Ruotolo e S. Spuntarelli 2006, 1489 ss.).

 

5. Conclusioni

Come riconosciuto anche di recente dalla Corte costituzionale, il meccanismo della delega costituisce, in conclusione, uno strumento “duttile” di produzione normativa, nel contesto dell’attuale forma di Stato e di Governo, adattabile agli scopi (più generali o particolari: sull’uso delle “ampie deleghe” per la realizzazione di importanti politiche pubbliche cfr., da ultimo, N. Lupo 2022) di volta in volta perseguiti dal legislatore (cfr., sul tema, in generale, cfr. S. Staiano, 1990).

È utile, a questo proposito, riportare la sintesi complessivamente operata dalla Corte costituzionale proprio di recente (sent. n. 22/2024), nella quale si ribadisce “un’interpretazione flessibile, consapevole dell’esistenza di settori dell’ordinamento che, per la complessità dei rapporti e la tecnicità e interconnessione delle regole, mal si prestano ad un esame ed approvazione diretta delle Camere. L’area della codificazione è quella elettiva della delegazione legislativa ad ampio spettro ed infatti a seguito di legge di delega sono stati approvati vari codici. In questi casi i principi e criteri direttivi della legge di delega tracciano gli obiettivi ed esprimono le linee di fondo delle scelte del legislatore delegante. Ampi quindi sono il potere e l’«attività di “riempimento” normativo» conferiti al legislatore delegato (sentenza n. 166 del 2023). Ricorrente è l’affermazione, nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo» (sentenze n. 133 del 2021 e n. 212 del 2018). Ampia è spesso anche la delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi al fine di adeguare il quadro normativo nazionale alle disposizioni europee (sentenza n. 260 del 2021). Ma, all’opposto, la legge di delega può contenere principi e criteri direttivi molto puntuali e specifici, di tal che il potere di riempimento del legislatore delegato si riduce notevolmente fino talora a restringersi quasi ad un’opera di sostanziale trasposizione, in disposizioni di legge, di regole già contenute nella legge di delega (come nella fattispecie di cui alla sentenza n. 166 del 2023, che ha affermato che la legge di delega può anche contenere una «norma compiuta, integrativa non più, e non solo, di un principio o criterio direttivo, ma di una vera e propria regula iuris [che] nella sua portata vale a ridurre, in modo corrispondente, i margini di discrezionalità ed il cosiddetto potere di riempimento del legislatore delegato»). (…) In tali evenienze lo scrutinio di questa Corte, nel verificare la conformità ai «principi e criteri direttivi» e il rispetto dei limiti degli «oggetti» della delega, è molto stretto.

Come si è cercato sinteticamente di dimostrare l’istituto della delega risente fortemente di tutti quegli elementi che connotano la forma di Stato e di Governo nell’assetto attuale dell’ordinamento italiano. La sua evoluzione è figlia, pertanto, dei problemi che assillano la prima e la seconda e il cui precipitato si riscontra nell’inadeguatezza delle procedure parlamentari ordinarie a far fronte alle domande decisionali che derivano dalla complessità dell’intreccio politico tra livelli di governo e spinte sociali. La duttilità dello strumento consente un utilizzo virtuoso, ma anche degenerazioni viziose, dello stesso.

Non è un caso se l’evoluzione (o per qualcuno l’involuzione) della delega legislativa (per un recente bilancio critico E. Pacini, 2023 81 ss.) è andata di pari passo con quella di altre fonti riconducibili all’esecutivo, quali il decreto-legge e quella regolamentare, fino a creare dei veri e propri intrecci tra di esse (L. Gori, 2016). Si pensi, solo per fare qualche esempio, alle leggi di conversione di decreti-legge contenenti proroghe, anche “innominate”, di precedenti deleghe (cfr. l. n. 20 del 2007, su cui N. Lupo 2020 6 e nt. 13) o norme di delegazione vere e proprie (anche per intervenire con disposizioni integrative e correttive su preesistenti decreti legislativi: ad es. l. n. 265 del 2004), alla stagione dei testi unici misti a carattere compilativo (recanti disposizioni tratte dalla legislazione ordinaria e da quella regolamentare), all’uso della delega legislativa per la determinazione dei principi fondamentali della legislazione regionale concorrente (cfr. C. cost. n. 50 del 2005; in generale su tutti questi problemi, si rinvia ancora a M. Ruotolo e S. Spuntarelli 2006, passim e alla letteratura ivi citata).

Se ne trae un quadro complessivo in cui la certezza del diritto (sul cui valore cfr., da ultimo, ancora C. cost. n. 146 del 2024) è spesso fortemente minacciata dalla precarietà (sul punto ad es. A. Celotto e E. Frontoni 708), estemporaneità (N. Lupo 2022, 2), volatilità e, complessivamente, caoticità della normazione, con grave danno per l’affidamento dei cittadini e per la stabilità delle politiche pubbliche.

È evidente che un’inversione di tendenza (spesso auspicata dai moniti sia della Corte costituzionale che del Presidente della Repubblica) non potrà avvenire senza che si metta mano al procedimento legislativo ordinario, per aggirare la cui complessità e oggettiva inadeguatezza (obiettivo attualmente perseguito solo mediante l’uso massiccio di strumenti quali la questione di fiducia, il c.d. bicameralismo alternato e la “blindatura” delle leggi di bilancio: per tutti N. Lupo 2022 passim), la fantasia creatrice dei titolari del potere normativo ha prodotto ogni sorta di variante al modello costituzionale originario (sul punto, da ultimo, G. Marchetti 2019).

 

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[1] dato il formato del contributo e in ossequio alle indicazioni di editing, non è possibile dar conto della vastissima letteratura anche monografica sul tema. Ci si è limitati a indicare i saggi citati nel testo, anche in quel caso senza pretesa di completezza e considerando, tranne qualche eccezione, i contributi più recenti, dai quali è possibile trarre ulteriori indicazioni bibliografiche più risalenti.