L’articolo 123 della Costituzione

Ritratto del professor Sterpa

di Alessandro Sterpa, professore associato di Diritto costituzionale e pubblico presso l’Università degli Studi della Tuscia

Art. 123 – Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.

Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto è sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.

In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali. 

 

Abstract: esame delle previsioni costituzionali dedicate allo Statuto delle Regioni ordinarie così come risultante dalle previsioni introdotte con la legge cost. n. 1 del 1999 e con la legge cost. n. 3 del 2001.

Parole chiave: statuto regionale; armonia con la Costituzione; forma di governo regionale; fonti del diritto regionale.

SOMMARIO: 1. Premessa2. Lo Statuto come fonte regionale del diritto – 2.1. La procedura di adozione, il referendum e la promulgazione3. Il contenuto necessario dello Statuto3.1. Il contenuto ulteriore dello Statuto e il valore “non giuridico” delle disposizioni di principio 4. Il circuito delle fonti sulla disciplina della forma di governo e del sistema di elezione5. Osservazioni conclusive

1. Premessa

Il testo vigente dell’art. 123 della Costituzione costituisce il risultato delle innovazioni apportate al testo originario dalla legge cost. n. 1 del 1999 e dalla successiva legge cost. n. 3 del 2001[1]. In particolare, dette novelle hanno formalmente incrementato l’autonomia statutaria delle Regioni ordinarie nella misura in cui, in particolare, hanno reso la fonte del diritto del tutto propria della Regione in quanto svincolata dalle originarie procedure di adozione che imponevano un ruolo decisivo dello Stato; un ruolo talmente rilevante da essere in grado di incidere sul contenuto stesso degli Statuti, oltre a rendere non chiara la natura stessa della fonte visto che si trattava di un atto che, pur deliberato dal Consiglio regionale, era “approvato con legge della Repubblica”. La centralità dello Statuto nella regolazione della vita istituzionale regionale, in particolare per disciplinarne gli organi e la forma di governo oltre che l’assetto istituzionale, è stata confermata dalla “seconda stagione statutaria” che dopo il 1999 ha visto (con tempi e soluzioni differenti) progressivamente tutte le Regioni adottare i nuovi Statuti.

Non tratteremo in questa sede degli Statuti delle Regioni speciali che, come noto, sono fonti di rango costituzionale adottate sulla base dell’art. 116 della Costituzione e destinatarie di specifiche previsioni con la legge cost. n. 2 del 2001 che ha esteso ad esse il modello di forma di governo con elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Regione già prevista per le Regioni ordinarie con la legge cost. n. 1 del 1999. Forma di governo che proprio lo Statuto, ordinario o speciale, è competente a modificare eliminando l’elezione diretta.

 

2. Lo Statuto come fonte regionale del diritto

Il primo aspetto che occorre sottolineare è costituito dal fatto che lo Statuto regionale è oggi fonte regionale a tutti gli effetti, adottata dalla Regione senza “interferenze procedurali” statali, visto che l’unico strumento che lo Stato può utilizzare per condizionarne i contenuti è costituto dal ricorso alla Corte costituzionale che deve può dichiararne l’illegittimità costituzionale qualora l’atto non sia “in armonia” con la Costituzione. Si tratta di un limite di non facile definizione. Per usare le parole della Corte costituzionale, “il riferimento all’“armonia”, lungi dal depotenziarla, rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito” (sent. n. 304 del 2002)[2]. Tant’è che, ad esempio, dopo aver già annullato una legge della Regione Liguria, la Corte costituzionale ha impedito allo Statuo della Regione Marche di definire il Consiglio regionale come Parlamento della Regione.

Lo Statuto, inoltre, è una fonte regionale che, come vedremo, regola non solamente le materie indicate nell’articolo 123 Cost. (la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti) ma più complessivamente il funzionamento dell’istituzione regionale e le modalità di produzione delle norme e dei provvedimenti regolatori e amministrativi regionali. In questo senso, in alcuni casi lo Statuto si trova in una posizione gerarchicamente superiore alla legge regionale (come fonte sulle fonti ossia che ne regola l’iter di formazione), mentre in altri è più generalmente una fonte a competenza riservata (sent. n. 372 del 2004)[3]. Parte della dottrina riconduce i rapporti tra le due fonti regionali sempre allo schema della competenza non fornendo rilevanza alla diversa procedura di adozione[4].

Il controllo statale sullo Statuto regionale si realizza attraverso l’impugnativa innanzi alla Corte costituzionale entro 30 giorni dalla pubblicazione. In quella sede, come è ampiamente accaduto peraltro dopo il 1999, il Giudice delle leggi potrà dichiarare l’illegittimità dell’intero Statuto o di una parte di esso. Nel caso la Corte costituzionale annullasse parte dello Statuto, lo stesso potrà essere comunque promulgato se le parti colpite non ne precludano la complessiva applicazione come si ricava dal combinato delle pronunce della Corte costituzionale (sent. n. 445 del 2005) pur essendosi pronunciato in modo diverso con un parere il Consiglio di Stato (Sez. I, nn. 12036 e 12054 del 2004).

 

2.1 La procedura di adozione, il referendum e la promulgazione

 La procedura per l’adozione dello Statuto regionale prevede una doppia deliberazione da parte del Consiglio regionale a maggioranza assoluta, con un intervallo tra le due deliberazioni non inferiore ai tre mesi. Si tratta di una procedura molto simile a quella che l’art. 138 della Costituzione prevede per le leggi costituzionali, quasi a voler ricordare la ampia valenza politico-istituzionale dello Statuto che, pur non essendo come in latri ordinamenti giuridici una “costituzione locale” ma contenendo le principali regole dell’ente, deve essere il frutto della ponderazione delle istanze di maggioranza e opposizione.

Va segnalato che la Costituzione prevede la possibilità che si svolga un referendum (a prescindere dalla maggioranza che lo ha approvato) prima dell’entrata in vigore dello Statuto se, dopo la prima pubblicazione meramente notiziale, ne facciano richiesta un cinquantesimo degli elettori o un quinto dei consiglieri regionali. Per l’applicazione di queste previsioni è sorto un problema giuridico. Per tenere il referendum è necessaria una disciplina ad hoc visto che si prima della legge cost. n. 1 del 1999 non esisteva il referendum statutario ma al tempo stesso è lo Statuto a dover disciplinare i referendum regionali. La questione si poteva risolvere con l’adozione di una legge regionale in materia per il solo primo referendum, ma in molte regioni, più semplicemente, non si è potuto chiedere il referendum[5]. Oggi, con l’entrata in vigore di tutti i nuovi Statuti, il tema è superato.

Quanto al referendum, è evidente che si tratta di uno strumento pensato affinché le forze politiche di opposizione possano fermare eventuali decisioni non condivise. Tuttavia, nonostante l’assenza del quorum di partecipazione, l’istituto non ha conosciuto molta fortuna.

Si è anche posto il problema di definire se l’eventuale impugnativa alla Corte costituzionale dovesse essere precedente o successiva all’eventuale referendum: la Corte costituzionale con la sentenza n. 304 del 2002 sembra aver aderito alla dottrina che aveva sostenuto la necessaria antecedenza della eventuale pronuncia del Giudice di legittimità costituzionale per evitare che la Corte si dovesse pronunciare, magari annullandolo, su di un testo approvato anche dall’elettorato[6].

 

3. Il contenuto necessario dello Statuto

Come abbiamo detto, costituiscono oggetto della disciplina dello Statuto, secondo la Costituzione, la forma di governo, i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum nonché la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti. Spetta inoltre allo Statuto, in quanto implicita nei termini impiegati dal testo costituzionale, anche la disciplina degli organi regionali e dunque non solo il loro rapporto reciproco ossia la forma di governo.

Sul punto occorre ricordare, rinviando ad altri articoli della Costituzione e al contenuto (anche transitorio) della legge cost. n. 1 del 1999, che lo Statuto è in grado di modificare la forma di governo “proposta” come ordinaria dalla riforma del 1999 ossia la previsione dell’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Regione contestualmente alla scelta dei componenti del Consiglio regionale. La forma di governo iper-razionalizzata[7], prevede che in caso di sfiducia da parte dell’organo assembleare o in caso di dimissioni del vertice dell’esecutivo, si torni al voto per rieleggere entrambi gli organi sulla base della nota formula simul stabunt, simul cadent. Come ha precisato la Corte costituzionale, tra Giunta e Consiglio, in ragione della contestuale elezione e del sistema elettorale (che deve garantire stabili maggioranze e garanzia delle minoranze[8]) esiste una “consonanza politica” di partenza (sent. n. 12 del 2006).

Sostanzialmente lo Statuto può tornare al modello precedente nel quale il Presidente della Regione è eletto dal Consiglio regionale. Non è possibile invece, ibridare le forme come – ad esempio – ha provato la Regione Calabria che, prevedendo un ticket elettorale prevedeva la possibilità che al Presidente eletto subentrasse (una sorta di staffetta) il suo vice. La Corte costituzionale con la sentenza n. 4 del 2002 ha dichiarato illegittimo lo Statuto.

Tema complesso quello della disciplina degli organi regionali. Come noto, dopo una precedente giurisprudenza che ammetteva la piena competenza regionale in materia, con la sent. n. 198 del 2012 la Corte costituzionale ha dichiarato che spetta allo Stato definire il numero dei Consiglieri regionali, sia per questioni attinenti al coordinamento della spesa pubblica, sia per garantire un migliore equilibrio tra rappresentati e rappresentanti. Così, infatti, le Regioni hanno visto interventi normativi statali nel 2011 e nel 2014 che hanno inciso molto sulla propria organizzazione anche con materie riservate, sulla carta, allo Statuto[9].

Lo Statuto è anche la fonte del diritto competente a definire se l’esercizio della potestà regolamentare spetta al Consiglio o alla Giunta dopo che, con la modifica costituzionale, non è più necessari che spetti al Consiglio. Dopo la sentenza n. 313 del 2003, che ha riconosciuto questa competenza allo Statuto, in quasi tutte le Regioni è stata introdotta (salvo eccezioni per alcuni casi) la competenza della Giunta, così da riprodurre la logica della potestà regolamentare statale come è di competenza del Governo. Quanto alle tipologie di regolamenti, in molti hanno sottolineato la possibilità di individuare tipologie simili (ad eccezione di quelli indipendenti) a quelle previste dalla legge n. 400 del 1988 per il Governo.

Il ruolo dello Statuto come “fonte sulle fonti” lo si trova confermato anche nella possibilità, ad esso riconosciuta, di disciplinare l’iter legis regionale prevedendo, nel caso, anche maggioranze differenti per alcune materie (si pensi alla legge elettorale) ma sempre non potendo creare fonti primarie nuove ulteriori rispetto alla legge; come noto, ad esempio, la Corte costituzionale ha precisato che non possono essere previsti decreti legislativi regionali o altri atti aventi forza e valore di legge (sent. n. 361 del 2010)[10].

Resta infine da segnalare che gli Statuti, competenti in materia di referendum hanno potuto disegnarne le tipologie ammesse su base regionale; le Regioni hanno confermato quelli abrogativi (già previsti in precedenza) e quelli consultivi ossia le due tipologie previste a livello statale: la prima nell’art. 75 Cost. la secondo con l’unico referendum nazionale consultivo del 1989 sul Parlamento dell’Unione europea. Per introdurre quest’ultima tipologia di referendum, formalmente “di indirizzo”, fu adottata una legge costituzionale[11].

A seguito della legge cost. n. 3 del 2001, compito dello Statuto è anche quello di regolare il Consiglio delle autonomie locali ossia l’organo che, in ogni Regione, costituisce il luogo di confronto con Comuni, Province e altri enti locali. Le modalità per la sua composizione cambiano da Regione a Regione e le leggi regionali e statali prevedono specifiche competenze per il CAL, non solo nei procedimenti che portano all’adozione delle leggi e dei provvedimenti regionali. In molte occasioni lo Stato fa riferimento ai CAL proprio per raccordare le scelte normative da adottare con il tessuto locale, senza dimenticare che il Consiglio delle autonomie locali, proprio attraverso quest’organo, può proporre alla Regione di impugnare una legge statale che si ritenesse lesiva delle autonomie territoriali[12].

 

3.1 Il contenuto ulteriore dello Statuto e il valore “non giuridico” delle disposizioni di principio

Nella seconda fase statutaria, le Regioni hanno inserito negli Statuti anche previsioni ulteriori non direttamente riconducibili alle materie che la Costituzione assegna a questa fonte del diritto. In particolare, ciò è accaduto con riguardo a principi e diritti che sono stati inseriti in certi casi nel silenzio delle previsioni costituzionali, in altri in rapporto dialettico con esse. Il Governo impugnò una serie di Statuti (non tutti) innanzi alla Corte costituzionale che con tre sentenze optò per l’assenza di un valore giuridico di quelle previsioni con una discutibile argomentazione giuridica.

Vale la pena ricordare le parole del Giudice delle leggi, secondo il quale, se è vero che il ruolo delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività “è rilevante ai fini «dell’esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di altri possibili contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo» (sentenza n. 2 del 2004)”, tuttavia “tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione” (sentenza n. 196 del 2003). Così, sempre secondo la Corte costituzionale, se si accolgono le premesse “sul carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, ne deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa” (sent. n. 372 del 2004).

La decisione si presta a critica, sia con riguardo all’esito – che non tiene conto della ormai acclarata dimensione multilivello dei diritti fino alla CEDU e alle norme dell’Unione europea e delle altre organizzazioni internazionali – sia con riferimento alle argomentazioni[13].

Va infine ricordato che, nel silenzio della Costituzione, gli Statuti regionali hanno introdotto anche un organo di controllo interno, diversamente nominato, ma generalmente collegio di garanzia statutaria, composto da soggetti esterni e chiamato ad esprimersi, con procedure ed effetti di volta in volta differenti, sulla produzione normativa regione e, in particolare, sul rispetto delle previsioni statutarie. Non a caso, chiamata a pronunciarsi sulla Consulta statutaria della Regione Umbria, la Corte costituzionale ha precisato: “in ogni caso, la disposizione impugnata fa espresso riferimento ad un potere consultivo della Commissione, da esplicarsi attraverso semplici pareri, che, se negativi sul piano della conformità statutaria, determinano come conseguenza il solo obbligo di riesame, senza che siano previste maggioranze qualificate ed anche senza vincolo in ordine ad alcuna modifica delle disposizioni normative interessate” (sent. n. 378 del 2004).

 

4. Il circuito delle fonti sulla disciplina della forma di governo e del sistema di elezione

Un ulteriore ragionamento a parte merita la competenza statutaria sulla forma di governo, nella misura in cui la sua regolazione non è ridotta alle previsioni contenuti nella Costituzione e nello Statuto ma si estende almeno alla regolazione del “sistema di elezione” degli organi, oltre che ai regolamenti dei Consigli regionali. Il punto, però è che la Costituzione assegna non allo Statuto ma alla legge statale e a quella regionale (si tratta di una potestà legislativa concorrente) la regolazione della legge elettorale, dei casi di ineleggibilità e incompatibilità. Lo Stato, quindi, ha posto i principi fondamentali delle materie con la legge n. 165 del 2004 spettandone l’integrazione alla singola Regione. Nel combinato di queste due fonti, per intenderci, si trovano i diversi meccanismi elettorali (tutti devo permettere la formazione di maggioranze in Consiglio per il Presidente eletto oltre che tutelare le minoranze) ma anche le specifiche regole per incompatibilità (inclusa quella tra assessore e consigliere), nonché di ineleggibilità anche del Presidente dopo due mandati consecutivi.

Spetta invece allo Stato la disciplina della durata degli organi elettivi (che la stessa legge quadro fissa a 5 anni) e i casi di incandidabilità ossia quando un soggetto non può rimuovere una causa ostativa per essere candidato, quindi neppure per essere eletto.

Più volte la Corte costituzionale è intervenuta per dirimere questioni di competenza nell’ambito di questo complesso sistema di interventi normativi e, in quei casi, ha anche confermato che spetta allo Statuto la disciplina della prorogatio degli organi regionali e non quella della loro proroga ed è ancora di competenza regionale la disciplina dell’indizione delle elezioni che, come noto, sono indette dal Presidente dell’ente anche se dimissionario o, nel caso egli sia impossibilitato, dal suo vice Presidente. Come ha precisato la Corte costituzionale “l’istituto della prorogatio, a differenza della vera e propria proroga (cfr., rispettivamente, art. 61, secondo comma, e art. 60, secondo comma, Cost., per quanto riguarda le Camere), non incide infatti sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto” (sent. n. 196 del 2003).

 

5. Osservazioni conclusive

La giurisprudenza costituzionale ha di fatto ridotto la portata innovativa delle previsioni dell’art. 123 della Costituzione nella misura in cui non solo ha confermato inevitabilmente che, diversamente da altri Paesi con autonomie territoriali di tipo regional-statuale, il nostro sistema non riconosce una portata “costituzionale” agli Statuti (e peraltro non riconosce neppure all’impianto una natura federale); la giurisprudenza costituzionale ha anche ridotto gli spazi di azione normativa degli Statuti, relegandoli ad atti organizzativi sulla falsariga degli statuti degli enti locali che, invece, non sono fonti primarie del diritto ma sono sottoposte alla legge statale.

Nonostante ciò, va anche ricordato che gli Statuti hanno rappresentato un momento di formalizzazione della identità territoriale degli enti territoriali autonomi, pur con eccessi colpiti dalla declaratoria di illegittimità costituzionale. Una tensione identitaria che però, non trovando negli Statuti terreno fertile, si è in certi casi spostata sulla legge; non a caso la Corte costituzionale, ad esempio, ha annullato norme della Regione Veneto allorché facevano riferimento alla nazione veneta o piuttosto impiegavano in modo improprio l’istituto referendario[14] e ha colpito quelle sardo che – pur speciale – non avrebbe potuto fare riferimento al popolo sardo[15].

In sostanza, non molto è cambiato rispetto ai precedenti statuti regionali, quelli disciplinati dalla Costituzione dal 1948 al 1999 e che, come noto, erano frutto di una trattativa nei contenuti con il Parlamento prima di essere approvati con legge statale e che, oltre l’armonia con la Costituzione, erano vincolati al rispetto dei principi legislativi statali. Ciò quasi a voler confermare che nel sistema italiano, già parte di un processo federale sovranazionale con l’Unione europea, resta uno spazio non ampio di autonomia politico-normativa regionale[16].

 

 

 

[1]Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con legge della Repubblica”.

[2] Cfr. anche sent. n. 12 del 2006.

[3] Nello stesso senso, cfr. le sentt. n. 378 e n. 379 del 2004.

[4] In questo senso G. D’Alessandro, art. 123, in in F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G. Vigevani, La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, Bologna, Il Mulino, vol. II, (ISBN 978-88-15-27226-3), 2018, pp. 412-413, ora anche nell’edizione 2021 (ISBN 978-88-15-29222-3). Cfr. inoltre G. D’Alessandro, I nuovi statuti delle Regioni ordinarie, Padova, Cedam, 2008.

[5] A. Sterpa, L’eguaglianza del diritto di voto dei cittadini italiani in Italia: il diritto di voto per le elezioni regionali in C. Calvieri, a cura di, Divieto di discriminazione e giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 2006, pp.89-117.

[6] Cfr. B. Caravita, F. Fabrizzi, A. Sterpa, Lineamenti di diritto costituzionale delle regioni e degli enti locali, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 159-160.

[7] N. Viceconte, La forma di governo nelle Regioni ad autonomia ordinaria. Il parlamentarismo iper-razionalizzato e l’autonomia statutaria, Napoli, Jovene, 2010, pp. 35 e A. Buratti, Rappresentanza e responsabilità politica nella forma di governo regionale, Napoli, Jovene, 2010.

[8] Cfr. sent. n. 12 del 2006 e le riflessioni di A. Buratti, Dal rapporto di fiducia alla “consonanza politica”. Rigidità della forma di governo regionale e libertà del processo politico, in Giurisprudenza costituzionale 2006, 90 e ss.

[9] Cfr. anche le sentenze n. 23 del 2014, n. 198 del 2012; ordinanze n. 258 e n. 31 del 2013, sent. n. 35 del 2014 e da ultimo, sul taglio delle indennità da parte della stessa autonomia territoriale la sent. n. 182 del 2022.

[10] Per ricordare le parole della Corte costituzionale, “pacifico che a livello regionale è solo il Consiglio reginale l’organo titolare del potere legislativo”. Cfr. G. D’Alessandro, La Corte costituzionale e le “mere parvenze di legge”: una prima lettura della sent. n. 361 del 2010, in Giustamm.it, n. 12/2010.

[11] Indizione di un referendum di indirizzo sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarà eletto nel 1989.

[12] Art. 9 della legge n. 131 del 2003.

[13] Cfr. A. Sterpa, Il miraggio dei diritti costituzionali nel deserto della “forma di regione” in Italian paper on federalism (ISSN 2281-9339), Issirfa-CNR, n. 3 del 2021, pp. 1-30.

[14] “Laddove il popolo, in sede di revisione, può intervenire come istanza ultima di decisione e nella sua totalità, esso è evocato dalla legge regionale nella sua parzialità di frazione autonoma insediata in una porzione del territorio nazionale, quasi che nella nostra Costituzione, ai fini della revisione, non esistesse un solo popolo, che dà forma all’unità politica della Nazione e vi fossero invece più popoli” (sent. n. 496 del 2000).

[15] Sull’espressione “popolo sardo” (sent. n. 365 del 2007) cfr. le riflessioni di O. Chessa, La resurrezione della sovranità statale nella sent. n. 367 del 2007, in Le Regioni, 2000 e B. Caravita Il tabù della sovranità e gli “istituti tipici di ordinamenti statuali di tipo federale in radice incompatibili con il grado di autonomia regionale attualmente assicurato nel nostro ordinamento costituzionale” in federalismi.it, n. 22 del 2007.

[16] Crfr. A. Sterpa, Il pendolo e la livella. Il “federalismo all’italiana” e le riforme, Torino, Giappichelli, 2015 e Id., Come ri-politicizzare l’autonomia regionale? in corso di pubblicazione.