di Floriana Lisena, magistrato ordinario con funzioni di Gip/Gup presso il Tribunale di Rieti
Art. 56 – La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati è di quattrocento, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per trecentonovantadue e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Abstract: l’art. 56 detta la disciplina della Camera dei deputati per quel che riguarda la legittimazione elettiva, il numero dei componenti, la capacità elettorale passiva, il criterio di riparto dei seggi.
Quanto al primo aspetto, vengono esplicitati due requisiti essenziali della forma di Stato democratico: il suffragio universale e diretto per l’elezione dei deputati.
Il numero di questi ultimi, originariamente calcolato in base al criterio del rapporto con gli abitanti, come deciso dai costituenti, è stato stabilito in modo fisso a partire dalla revisione costituzionale del 1963, recentemente ridotto a quattrocento con la riforma costituzionale del 2020.
Per quel che concerne la capacità elettorale passiva, per essere candidato a deputato occorrono venticinque anni.
Infine, per determinare i seggi da attribuire a ciascuna circoscrizione, si deve ripartire il numero totale di quelli in palio in base agli abitanti di ciascuna circoscrizione, secondo i dati dell’ultimo censimento della popolazione disponibile, applicando il criterio dei quozienti interi e dei più alti resti.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Legittimazione attiva a suffragio universale e diretto. – 3. Numero dei componenti. – 4. Capacità elettorale passiva. – 5. Sistema elettorale. – 5.1. Circoscrizione Estero.
1. Premessa
L’art. 56 è dedicato alla Camera dei deputati e consta di quattro commi che riguardano: a) la legittimazione elettiva a suffragio universale e diretto (1° comma); b) l’individuazione del numero dei componenti (2° comma); c) l’individuazione dell’età minima ai fini della capacità elettorale passiva (3° comma); d) il criterio di riparto dei seggi fra le diverse circoscrizioni territoriali (4° comma).
Alla Costituente il contenuto dell’articolo in esame non suscitò un dibattito molto approfondito, se non per l’aspetto del numero dei componenti della Camera dei deputati. Invero, i costituenti predilessero il criterio del rapporto con gli abitanti, poi definitivamente superato dalla revisione costituzionale del 1963 (legge cost., 9 febbraio 1963, n. 2), che ha stabilito un numero fisso di componenti in seicentotrenta, poi ridotto all’attuale numero di quattrocento, ad opera della legge cost. 19 ottobre 2020, n. 1.
Dopo l’istituzione della circoscrizione Estero per l’elezione di entrambe le Camere, con la legge cost. 17 gennaio 2000, n. 1, al fine di permettere la possibilità di esercitare dall’estero il diritto di voto da parte dei cittadini ivi residenti, la l. 23 gennaio 2001, n. 1 ha provveduto a fissare il numero dei deputati della circoscrizione Estero in dodici, anche questo ridotto a otto dalla legge cost. 19 ottobre 2020, n. 1.
La disciplina dell’art. 56 introduce alcune disposizioni che portano a differenziare la Camera dei deputati rispetto al Senato della Repubblica.
In primo luogo, è richiesta una età diversa per l’elettorato passivo: alla Camera per essere candidato a deputato occorrono venticinque anni (art. 56, 3° comma, Cost.); al Senato per essere candidato a senatore occorrono quaranta anni (art. 58, 2° comma, Cost.).
In passato era richiesta un’età diversa anche per l’elettorato attivo: difatti, per eleggere un deputato alla Camera bastava aver compiuto diciotto anni, mentre per eleggere un senatore al Senato occorreva aver compiuto venticinque anni. Tuttavia, tale differenza è stata eliminata dalla legge cost. 18 ottobre 2021, n. 1, che, intervenendo sull’art. 58, 1° comma, Cost., ha abbassato da venticinque a diciotto anni l’età per eleggere i componenti del Senato della Repubblica.
In secondo luogo, diverso è il numero dei membri: dopo la citata l. cost. n. 1 del 2020, che ha modificato gli artt. 56 e 57 Cost., il numero dei deputati è passato da seicentotrenta a quattrocento (compresi i deputati eletti nella circoscrizione Estero, che sono ridotti da dodici a otto), mentre il numero dei senatori elettivi è stato ridotto da trecentoquindici a duecento (compresi i senatori eletti nella circoscrizione Estero, che passano da sei a quattro).
2. Legittimazione attiva a suffragio universale e diretto
Nell’ordinamento italiano, il Parlamento è l’unico organo a legittimazione democratica, in quanto i membri delle due Camere dalle quali è composto (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) risultano designati direttamente – seppur attraverso la mediazione dei partiti politici – da parte dal corpo elettorale. Si è, in tal modo, attuata una delle regole dei sistemi democratici moderni, fondati sui meccanismi elettivi, oltre che sul principio maggioritario e sulla trasmissione rappresentativa del potere.
Per questo, nel 1° comma dell’art. 56 sono esplicitati due requisiti necessari per l’elezione dei membri della Camera dei deputati, che deve avvenire a suffragio universale e diretto.
Quanto al primo, il suffragio universale costituisce uno dei cardini della forma di stato democratico-pluralista, ed è già stabilito dal 1° comma dell’art. 48 Cost., il quale dispone che “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, nonché specificazione dei principi della sovranità popolare e del principio democratico, espressi nell’art. 1 Cost. Il suffragio universale è, infatti, una condizione minima affinché uno Stato possa definirsi come democratico.
Nell’ordinamento italiano, l’allargamento dei soggetti ammessi al diritto di voto si è andato sviluppando secondo quattro fasi[1], in un arco temporale che ha coperto quasi un secolo: a) la fase del suffragio censitario (1848-1881), caratterizzata dall’attribuzione dell’elettorato attivo solo a coloro che avessero raggiunto i venticinque anni di età, fossero alfabetizzati, fossero in possesso di determinati livelli di reddito o in alternativa occupassero una posizione sociale di prestigio; b) la fase del suffragio misto (1882-1911), durante la quale il tetto del censo fu notevolmente ridotto ed affiancato da requisiti di capacità che ne diminuirono l’impatto, e dall’abbassamento l’età per l’attribuzione del diritto di voto a ventuno anni, con un conseguente sensibile allargamento della base elettorale; c) la fase del suffragio universale limitato ai soli cittadini di sesso maschile (1913-1924), caratterizzata inizialmente da qualche restrizione per gli elettori aventi fra i ventuno e i trent’anni, poi rimosse nel 1919; d) il suffragio universale anche femminile, introdotto dal d.lg.lt. n. 23 del 1945.
Inoltre, l’articolo in esame prevede espressamente che i membri della Camera debbano essere eletti a suffragio diretto. Ciò esclude qualsiasi modalità di elezione di secondo grado, facendo ricorso ad esempio ai c.d. grandi elettori sul modello statunitense, sia tramite la costituzione di collegi ad hoc sia per mezzo di collegi pre-esistenti.
3. Numero dei componenti
Il numero dei parlamentari è disciplinato secondo varie modalità nei diversi ordinamenti, per quanto concerne la fonte giuridica (disposizione costituzionale o legge organica o legge ordinaria) e la determinazione numerica (in numero prestabilito o in rapporto alla popolazione).
Nel nostro ordinamento, il numero dei parlamentari è determinato dalla Costituzione in numero fisso, dopo la revisione costituzionale del 1963, mentre nell’impianto costituzionale originario era stabilito in rapporto alla popolazione. Al termine di un lungo dibattito sulle riforme istituzionali, nel 2020 il Parlamento italiano è giunto a deliberare una riduzione del numero dei parlamentari: il vigente 2° comma dell’art. 56 fissa il numero dei componenti della Camera dei deputati in quattrocento, di cui otto eletti nella circoscrizione Estero.
Nel dettaglio, la formulazione originaria del testo degli artt. 56 e 57 Cost., come approvati dall’Assemblea costituente, non prevedeva un numero fisso di parlamentari, bensì un rapporto numerico costante tra gli abitanti e gli eletti, in modo che il numero dei parlamentari potesse mutare con il variare della popolazione. In particolare, era previsto che fosse eletto un deputato ogni 80.000 abitanti o frazione superiore a 40.000 abitanti: al contempo, per ogni Regione era eletto un senatore ogni 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000 abitanti, con un minimo di sei senatori, fatta eccezione per la Valle d’Aosta alla quale si attribuiva un unico seggio.
La revisione costituzionale del 1963 (legge cost. n. 2 del 1963) ha abbandonato il criterio del rapporto con gli abitanti e stabilito per entrambe le Camere un numero fisso di componenti. Venivano così aggiunti all’art. 56 due commi: il 2° comma, col quale si stabiliva il numero di seicentotrenta deputati, e il 4° comma, che fissava il criterio di riparto fra le circoscrizioni di quei seggi.
A seguito delle modificazioni previste dalla legge cost. 19 ottobre 2020, n. 1, il numero complessivo dei deputati è sceso agli attuali quattrocento (anziché seicentotrenta) ed il numero degli eletti nella circoscrizione Estero è pari a otto deputati (anziché dodici).
4. Capacità elettorale passiva
Le Camere sono elette dai cittadini che godono del diritto di elettorato attivo. In particolare, sono elettori i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni sia per l’elezione della Camera dei deputati che per l’elezione del Senato della Repubblica.
In passato era richiesta un’età diversa per eleggere un deputato (diciotto anni) e un senatore (venticinque anni); tuttavia tale differenza è stata eliminata dalla legge cost. 18 ottobre 2021, n. 1, che, intervenendo sull’art. 58, 1° comma, Cost., ha abbassato da venticinque a diciotto anni l’età per eleggere i componenti del Senato della Repubblica.
Sono invece eleggibili e, dunque, godono del diritto di elettorato passivo: alla Camera dei deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età (art. 56, 3° comma, Cost.); al Senato della Repubblica gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno (art. 58, 2° comma, Cost.).
Difatti, i costituenti hanno inserito una restrizione maggiore dell’elettorato passivo del Senato quale elemento di differenziazione fra le due Camere, per cui la capacità elettorale passiva è stata fissata al raggiungimento del quarantesimo anno di età. Una tale differenziazione era ritenuta opportuna per caratterizzare il Senato come una sorta di camera di riflessione e di raffreddamento nei confronti delle decisioni prese dalla Camera dei deputati.
L’unico requisito, quindi, per l’eleggibilità a deputato nei collegi nazionali – al di là delle cause di ineleggibilità e incompatibilità previste dalla legge – sono i venticinque anni di età.
Nella circoscrizione Estero, in passato, era previsto un requisito ulteriore dall’art. 8, 1° comma, lett. b), della l. n. 459 del 2001, che sottoponeva la candidabilità al possesso della residenza nella stessa circoscrizione Estero.
La disposizione della legge in questione aveva suscitato critiche in dottrina per la presunta illegittimità costituzionale di una norma che prevedeva un ulteriore requisito per l’elettorato passivo, differenziando i cittadini italiani residenti all’interno dei confini nazionali e quelli al di fuori. Tuttavia, altri avevano evidenziato che tutelare il circuito rappresentativo della circoscrizione Estero, obbligando i candidati che vi si presentano alla residenza, avrebbe lo scopo di evitare un’occupazione da parte di candidati paracadutati dal territorio nazionale, che potrebbe quindi ostacolare lo stabilirsi di un nesso di rappresentatività reale. In altri termini, se sono gli emigrati di lunga data residenti nella circoscrizione Estero a dover essere rappresentati in ragione della loro specificità, pare infatti una conseguenza tutt’altro che irrazionale l’imposizione dell’obbligo di residenza per i candidati che sono chiamati a rappresentarne le istanze[2].
Ad ogni modo, in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 165 del 2017, non è più richiesto il requisito della residenza nella ripartizione della circoscrizione Estero per chi intenda candidarsi: si prevede che gli elettori residenti in Italia possano essere candidati in una sola ripartizione della circoscrizione Estero, mentre gli elettori residenti all’estero possono essere candidati solo nella ripartizione di residenza della circoscrizione Estero.
5. Sistema elettorale
Il 4° comma dell’art. 56 stabilisce che, per determinare i seggi da attribuire a ciascuna circoscrizione, si debba ripartire il numero totale di quelli in palio in base agli abitanti di ciascuna circoscrizione, secondo i dati dell’ultimo censimento della popolazione disponibile, applicando il criterio dei quozienti interi e dei più alti resti.
Per quel che riguarda i sistemi elettorali per la formazione delle due Camere, di essi non v’è menzione nella Costituzione – la quale si limita a dettare i caratteri necessari del voto – poiché l’Assemblea costituente non volle deliberatamente prendere posizione al riguardo, lasciando le relative scelte al Parlamento. Da alcuni principi impliciti nel sistema si ricava, tuttavia, che è esclusa qualsiasi forma di rappresentanza della sola maggioranza e che, al contrario, deve essere adottato un sistema elettorale che garantisca la rappresentanza delle minoranze.
Tuttavia, non è mancata la tesi, seppur minoritaria, secondo cui fosse stato implicitamente costituzionalizzato il sistema elettorale proporzionale. Si è rintracciato, invero, nell’originario impianto costituzionale, un vero e proprio divieto di introdurre sistemi elettorali selettivi, da cui discenderebbe a contrario un obbligo di utilizzare il sistema proporzionale, facendo leva principalmente sul principio di uguaglianza[3], secondo il quale si sarebbe dovuta garantire l’eguaglianza del voto sia in entrata che in uscita. Detto altrimenti, il dato testuale del 4° comma dell’art. 56, che in relazione alla distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni in cui è diviso il territorio per l’elezione della Camera dei deputati pone come criterio quello della proporzione rispetto alla popolazione, implicherebbe non solo che la proporzionalità venga rispettata preventivamente, nel momento in cui il legislatore indica quanti seggi spettano a ogni circoscrizione, ossia in entrata, ma anche successivamente, a conclusione delle operazioni elettorali, quando i seggi vengono effettivamente assegnati, ossia in uscita.
Tale interpretazione, però, è stata smentita dalla stessa Corte costituzionale, la quale – a partire dalla sent. n. 43 del 1961 – ha sempre affermato che il principio del voto uguale è valido solamente in entrata, cioè al momento dell’espressione del voto, mentre è nella disponibilità del legislatore modificare la normativa elettorale, introducendo sistemi più o meno selettivi.
La distorsione della proporzionalità del sistema può, infatti, trovare legittimazione nel bilanciamento con altri principi costituzionali, come il perseguimento di condizioni che assicurino una certa minima stabilità al rapporto fiduciario e dunque all’esercizio della funzione esecutiva[4].
Ad ogni modo, nell’intento dei costituenti traspare una certa preferenza per il sistema proporzionale, maggiormente confacente ad un modello di democrazia fondata sui partiti e sulla loro rappresentanza proporzionale, almeno in seno alla Camera dei deputati, nonché il più adatto al contesto politico e partitico dell’epoca.
D’altronde, il meccanismo attraverso il quale i voti espressi dagli aventi diritto si traducono in seggi è lo strumento per perseguire sia obiettivi di natura strettamente politica sia obiettivi di natura istituzionale, di volta in volta attuati mediante la scelta tra sistemi maggioritari, proporzionali o – più frequentemente – misti.
Nel nostro ordinamento, il sistema elettorale prescelto per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ha subito una profonda evoluzione nel corso degli anni, all’esito della quale è prevalso un sistema elettorale misto, che unisce una componente maggioritaria uninominale ad una proporzionale plurinominale.
Volendo, invero, ripercorrere brevemente tale evoluzione, i sistemi elettorali per l’elezione di Camera e Senato sono stati fino alla riforma del 1993 sostanzialmente proporzionali. Come anticipato, la preferenza per tale sistema si manifestò già nella legge elettorale per l’elezione dell’Assemblea costituente (d.l.lgt. n. 74 del 1946) e fu dettata soprattutto dall’esigenza di garantire una effettiva rappresentatività a tutti i movimenti politici attivi nell’epoca del dopoguerra. Tuttavia, ciò comportò un costo in termini di efficienza del sistema di governo, caratterizzato dall’instabilità dei governi in carica.
Un breve parentesi fu rappresentata dal sistema introdotto dalla cd. legge truffa (l. n. 148 del 1953), la quale fu adottata proprio per ovviare al problema della fragilità dei governi di coalizione. La disciplina in essa contenuta prevedeva una correzione maggioritaria alla legge elettorale della Camera, assegnando ai partiti coalizzati che avessero ottenuto la metà più uno dei voti validi un premio di maggioranza consistente nell’attribuzione del 64% dei seggi alla Camera dei deputati. Nelle elezioni politiche del luglio del 1953, i quattro partiti coalizzati per pochi voti non superarono la soglia del 50% più uno, per cui il premio previsto non scattò. Dopo tale fallimento, la legge fu abrogata ed il sistema proporzionale fu ristabilito, abbandonandosi per un lungo periodo di tempo ogni ipotesi di riforma del sistema elettorale.
Gli inconvenienti connessi al sistema proporzionale puro hanno condotto all’emanazione delle leggi elettorali nn. 276 e 277 del 1993 (cd. legge Mattarellum), con le quali fu profondamente modificato il sistema elettorale per l’elezione del Parlamento italiano. Con tali leggi si delineò un sistema cd. misto, caratterizzato dalla commistione di elementi propri sia del sistema maggioritario che di quello proporzionale: così per una parte il sistema poteva definirsi maggioritario (3/4 dei deputati e dei senatori erano eletti in collegi uninominali secondo la regola plurality, che assegna il seggio al candidato che ottiene più voti rispetto agli altri), ma per una parte ancora proporzionale (1/4 dei deputati e dei senatori era eletto secondo il metodo D’Hondt).
Con la legge elettorale n. 270 del 2005 (cd. legge Porcellum) era stato reintrodotto in Italia il sistema proporzionale: i seggi venivano assegnati in proporzione ai voti validi ottenuti dalle liste indipendenti o collegate tra loro che avessero superato le cd. soglie di sbarramento per accedere alla ripartizione, salva la correzione del proporzionalismo mediante premi di maggioranza.
Dopo l’intervento della Corte costituzionale con la sent. 13 gennaio 2014, n. 1, che ha dichiarato incostituzionale alcune previsioni della l. n. 270 del 2005, in particolare per ciò che concerneva il meccanismo del premio di maggioranza, era stata approvata una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati (l. 6 maggio 2015, n. 52, cd. Italicum), la quale prevedeva la ripartizione dei seggi su base nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti, assegnando alla lista che otteneva almeno il 40% dei voti validi su base nazionale trecentoquaranta seggi (premio di maggioranza). I seggi erano successivamente ripartiti nelle circoscrizioni, in misura proporzionale al numero di voti che ciascuna lista aveva ottenuto; si procedeva infine alla ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali delle circoscrizioni, anche in tal caso in misura proporzionale al numero di voti ottenuto da ciascuna lista.
L’originaria disciplina prevedeva anche un eventuale turno di ballottaggio: se nessuna lista avesse raggiunto la soglia del 40%, si sarebbe proceduto a un turno di ballottaggio tra le due liste con il maggior numero di voti; alla lista che prevaleva nel ballottaggio dovevano essere attribuiti trecentoquaranta seggi. Tuttavia, la Consulta, con la sent. 9 febbraio 2017, n. 35, ha ritenuto la previsione del turno di ballottaggio incostituzionale: una lista potrebbe accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. In tal modo, si correrebbe il rischio di trasformare artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta.
Infine, il Parlamento ha approvato la legge elettorale 3 novembre 2017, n. 165 – attualmente vigente – basata, sia per il Senato, sia per la Camera, su un sistema misto di attribuzione dei seggi, per una parte proporzionale e per altra parte maggioritario. In particolare, i 3/8 dei seggi, sia alla Camera che al Senato, sono assegnati in collegi uninominali, costituiti all’interno delle circoscrizioni, con formula maggioritaria, in cui è proclamato eletto il candidato più votato (si aggiunge la Valle d’Aosta che si articola in un collegio uninominale maggioritario per la Camera e uno per il Senato). L’assegnazione dei restanti seggi avviene, nell’ambito di collegi plurinominali, con metodo proporzionale tra le liste e le coalizioni di liste che hanno superato le soglie di sbarramento.
Terminata la sintetica esposizione dei sistemi elettorali adottati nel nostro ordinamento nel corso degli anni, è possibile sostenere che caratteri necessari, in quanto da considerarsi discendenti direttamente dal testo costituzionale dell’art. 56, sono la necessità della suddivisione del territorio in circoscrizioni e la ripartizione proporzionale dei seggi tra le circoscrizioni[5].
Il primo elemento – il riferimento alla circoscrizione – dovrebbe escludere che la legislazione elettorale possa esaurirsi nella previsione di un collegio unico nazionale nel quale distribuire i seggi. La Costituzione richiede, invece, che i seggi siano assegnati all’interno di ripartizioni geografiche minori, ancorché il legislatore sia poi libero, nel limite generale della ragionevolezza, di individuarne numero e ampiezza in concreto. Si potrebbe dire che, con tale disposizione, la Costituzione attua una forma di rappresentanza reale e concreta e non virtuale e astratta: la ripartizione in una pluralità di collegi è promossa dall’esigenza di avvicinare gli elettori agli eleggibili, così da facilitare ai primi la scelta fra questi ultimi e nello stesso tempo da mantenere i contatti fra gli uni e gli altri[6]. Se i deputati non fossero eletti in circoscrizioni territoriali di dimensioni ragionevoli, dunque, né gli elettori sarebbero in grado di scegliere effettivamente tra i candidati, né sarebbe possibile costruire effettivamente un rapporto di rappresentanza tra i primi ed i secondi.
Una volta stabilito che la rappresentanza popolare si può realizzare nella Camera dei deputati soltanto attraverso un meccanismo elettorale organizzato in ripartizioni geografiche più piccole, il meccanismo di allocazione tra queste dei seggi non ha altro scopo che quello di proteggere il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. e, in particolare, l’uguaglianza dei voti ex art. 48 Cost. In effetti, se alcune circoscrizioni ricevessero un numero di seggi inferiore a quello che spetta loro proporzionalmente, ciò implicherebbe una sotto-rappresentazione parlamentare degli elettori di quella circoscrizione a favore di una sovra-rappresentazione di altri, con buona pace dei principio di uguaglianza, di cui al comma 1 dell’art. 3 della Costituzione, e dunque un ridotto peso del proprio voto rispetto a quello degli elettori della circoscrizioni sovra-rappresentate, a detrimento dell’uguaglianza dei voti, di cui all’art. 48 della Costituzione[7].
Il riferimento alla circoscrizione, inoltre, produce una conseguenza ulteriore rispetto a quella di avvicinare elettori ed eletti. Esso, in particolare, fa sì che, nella composizione parlamentare, non vengano sotto-rappresentati gli abitanti delle circoscrizioni con più forte astensionismo a favore di quelli delle circoscrizioni con una maggiore affluenza al voto. In effetti, un calcolo centralizzato a livello nazionale determinerebbe l’assegnazione dei seggi a favore delle aree con più alta partecipazione al voto degli aventi diritto. Viceversa, ciò è neutralizzato dalla ripartizione circoscrizionale dei seggi, giacché, a due circoscrizioni con identica popolazione ma con un diverso tasso di astensionismo sarà assegnato lo stesso numero di seggi[8].
Ultima considerazione relativa al comma in esame riguarda la compatibilità dello stesso con il fenomeno del c.d. slittamento dei seggi da una circoscrizione ad altra. Con tale espressione si allude alla possibilità che, al termine delle operazioni elettorali, i seggi originariamente assegnati ad una circoscrizione non vengano integralmente attribuiti a candidati in quella circoscrizione, perché assegnati in altra. Si tratta di una eventualità ineliminabile, per l’impossibilità di assicurare per tutte le circoscrizioni e in tutti i casi la perfetta concordanza tra seggi assegnati e seggi spettanti alle circoscrizioni stesse e l’impossibilità di ottenere che i partiti in ogni singola circoscrizione abbiano una rappresentanza proporzionale ai voti ottenuti in quella circoscrizione[9].
Si è osservato criticamente che, in tal modo, il voto espresso da un elettore, sulla base delle liste che gli sono presentate nella circoscrizione in cui vota, può finire per favorire un candidato di altra circoscrizione, che egli non ha potuto considerare e che, magari, non avrebbe mai voluto favorire. Tale assenza di collegamento anche solo sul piano della conoscibilità formale dell’eligendo da parte dell’elettore sarebbe incompatibile con la necessità di costruire un rapporto di rappresentanza reale e concreto, desunta dall’art. 56, 4° comma, Cost.[10]
Tutte le leggi elettorali adottate per l’elezione della Camera, per vero, hanno previsto la possibilità di uno slittamento di seggi.
Tali slittamenti sono generalmente considerati dalla dottrina compatibili con il 4° comma dell’art. 56, perché si estendono solo all’individuazione dei seggi in palio e non agli effetti del sistema elettorale[11] e, dunque, si applicherebbero solo in entrata e non anche in uscita.
Inoltre, si è osservato che i casi di scostamento sono sempre stati marginali e casuali, non tali, cioè, da poter essere considerati come preordinati a favorire alcune circoscrizioni piuttosto che altre[12].
In secondo luogo, anche la giurisprudenza costituzionale[13] ha sostenuto che si tratta di bilanciare due diversi beni: da un lato la rappresentanza politica, che richiederebbe di rispettare la proporzionalità tra le forze politiche a livello nazionale anche a discapito, se necessario, della ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni in funzione della loro consistenza demografica, dall’altro la rappresentanza territoriale, che impedirebbe di rispettare una distribuzione dei seggi tra le forze politiche in funzione della loro consistenza nazionale. Lo slittamento dei seggi sarebbe previsto proprio per privilegiare la prima, ossia la rappresentanza politica a livello nazionale. D’altra parte, la Corte costituzionale ha ricordato che i deputati eletti nella circoscrizione regionale non sono rappresentanti della Regione né come ente, né come comunità, ma rappresentano l’intera Nazione (art. 67 Cost.)[14]. Infatti, la ripartizione in circoscrizioni, pur essendo promossa dall’esigenza di avvicinare gli elettori agli eleggibili, così da facilitare ai primi la scelta fra questi ultimi e nello stesso tempo da mantenere i contatti fra gli uni e gli altri, non fa venir meno l’unità del corpo elettorale, costituendo i singoli collegi delle sue articolazioni localizzate nelle varie parti del territorio[15].
I fenomeni di slittamento, pertanto, non sono impediti dalle leggi elettorali vigenti in Italia, non hanno assunto un rilievo quantitativo eccessivamente rilevante e sono configurati come meccanismi di traslazione fondati sulla mera casualità.
5.1 Circoscrizione Estero
Come anticipato, nel 2001 è intervenuta una modifica del 2° comma dell’art. 56 (l. cost. n. 1 del 2001), tramite la quale è stata riservata una quota di dodici deputati – poi ridotti ad otto nel 2020 – alla circoscrizione Estero. Come è stato rilevato, si tratta di una disposizione peculiare nel panorama delle Costituzioni vigenti nei principali Paesi europei, dove si riscontrano, sì, norme generali a tutela del voto dei cittadini residenti all’estero, ma raramente ne viene prevista una specifica e differenziata rappresentanza[16].
In base alla disciplina dettata dalla l. n. 459 del 2001, i deputati di cui all’art. 56, 2° comma, sono eletti all’interno di quattro ripartizioni: a) Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia; b) America meridionale; c) America settentrionale e centrale; d) Africa, Asia, Oceania e Antartide.
Si specifica anche come debbano essere ripartiti i seggi in palio tra di esse: viene attribuito un seggio a ciascuna ripartizione, mentre i restanti sono assegnati in proporzione al numero dei cittadini italiani residenti in ognuna di esse, applicando il criterio dei quozienti interi e dei più alti resti.
Il numero di seggi in palio fa quindi sì che alle ripartizioni più popolose siano comunque attribuiti dei seggi in più e che, al contrario, alle meno popolose ne sia assicurato in ogni modo almeno uno, per garantire una certa distribuzione dei seggi nelle diverse parti del mondo anche dove le comunità italiane sono più piccole. Ciò risponderebbe all’esigenza di garantire non tanto una rappresentanza per territorio, bensì la rappresentanza effettiva degli emigrati di lunga data[17].
[1] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Leggi d’Italia, Wolters Kluwer, 2024, online.
[2] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, in Commentario alla Costituzione, cit.
[3] C. Lavagna, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 857 ss.; A. Ferrara, Democrazia e Stato nel capitalismo maturo, in Democr. e dir., 1979, 513 ss.; G. U. Rescigno, Democrazia e principio maggioritario, in Quaderni cost., 1994, 221 ss.
[4] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, in Commentario alla Costituzione, cit.
[5] L. Spadacini, L’Italicum di fronte al comma 4 dell’art. 56 Cost. tra radicamento territoriale della rappresentanza e principio di uguaglianza, in www.nomos-leattualitaneldiritto.it, 2016.
[6] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, Cedam, 1991, 441.
[7] L. Spadacini, L’Italicum di fronte al comma 4 dell’art. 56 Cost. tra radicamento territoriale della rappresentanza e principio di uguaglianza, cit.
[8] L. Spadacini, L’Italicum di fronte al comma 4 dell’art. 56 Cost. tra radicamento territoriale della rappresentanza e principio di uguaglianza, cit.
[9] G. Schepis, I sistemi elettorali, Empoli, 1955, 144 ss.
[10] L. Spadacini, L’Italicum di fronte al comma 4 dell’art. 56 Cost. tra radicamento territoriale della rappresentanza e principio di uguaglianza, cit.
[11] M. Rubechi, Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive, Torino, Giappichelli, 2016, 121.
[12] A. Russo, Collegi elettorali ed eguaglianza del voto. Un’indagine sulle principali democrazie stabilizzate, Milano, Giuffrè 1998,30; G. Tarli Barbieri, Lo “slittamento dei seggi” all’esame della Corte costituzionale, in Le Regioni, n. 4/2014, 882.
[13] Cfr. Sent. n. 271 del 2010.
[14] Cfr. Sent. n. 41 del 2014.
[15] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, cit., 441.
[16] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, in Commentario alla Costituzione, cit.
[17] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, in Commentario alla Costituzione, cit.