
Commento all’articolo 24 della Costituzione, commi I, II (per la parte civile), III
di Rosaria Giordano, magistrato, e Fabrizio Di Marzio, ordinario presso l’Università di Chieti-Pescara e avvocato cassazionista
Art. 24 – Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Sommario: 1. Il diritto di agire in giudizio e l’effettività delle posizioni giuridiche garantite sul piano sostanziale; 2.Le modalità di declinazione del diritto di accesso al giudice; 3. Il diritto di difesa nel processo civile; 4. Il diritto di azione e difesa in giudizio dei non abbienti nel sistema del patrocinio a spese dello Stato; 5. Note bibliografiche.
1. Il diritto di agire in giudizio e l’effettività delle posizioni giuridiche garantite sul piano sostanziale
L’art. 24, primo comma, Cost. sancisce espressamente il diritto di ciascuno di agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive.
Tale garanzia ha una valenza fondamentale poiché il riconoscimento di un diritto che non può ottenere tutela in sede giurisdizionale sarebbe una vana proclamazione: il diritto esiste, inatti, nella misura in cui può essere fatto valere in giudizio ove venga leso o ne sia incerta l’esatta portata[1].
Di qui la particolare importanza, anche sul piano ideologico, della previsione di un diritto generale di azione nella Costituzione repubblicana, dopo l’esperienza del ventennio fascista e del secondo conflitto mondiale, anche ai fini della tutela degli interessi legittimi nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Nella giurisprudenza costituzionale il diritto di accesso al giudice, ascritto tra i substantialia processus[2], è stato definito inviolabile[3] e annoverato tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale[4].
Il diritto di azione, nelle sue varie sfaccettature, deve essere declinato secondo un canone di effettività[5]: vi è dunque che una violazione dell’art. 24 Cost. può ritenersi sussistente nei casi di sostanziale impedimento o di eccessiva difficoltà[6] nell’esercizio del diritto di azione, pur formalmente garantito, o di imposizione di oneri tali da compromettere irreparabilmente l’effettività della tutela[7].
In virtù di tali canoni è stato affrontato anche il problema della giurisdizione condizionata, che si pone dinanzi a filtri all’accesso alla giustizia che sono stati ritenuti conformi al principio espresso dall’art. 24, primo comma, Cost., purché vengano rispettati i seguenti requisiti: il legislatore non deve rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa[8], è tenuto a contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile e ad operare un congruo bilanciamento tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e quelle che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire[9].
- I principi enunciati dalle Corti sovranazionali europee
Nell’ambito di una tutela multilivello dei diritti fondamentali[10], non si può trascurare di ricordare che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito da lungo tempo, sin dalla fondamentale pronuncia Golder[11], che, sebbene l’art 6 della CEDU non contempli espressamente tra le garanzie dell’ equo processo anche quella dell’accesso al giudice, tale garanzia rientra implicitamente nell’ambito tutelato da tale previsione, poiché, ove non vi fosse la possibilità di denunciare in sede giurisdizionale la violazione dei propri diritti, anche le altre garanzie di carattere processuale risulterebbero prive di qualsivoglia significato.
Al contempo, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo riconosce che il diritto di accesso al giudice può essere limitato purché non venga di conseguenza ristretta la portata del diritto in questione al punto da comprometterlo nella sua stessa sostanza; ogni limitazione del diritto in questione tuttavia postula il perseguimento di uno scopo legittimo e un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito[12].
Nello stesso solco sembra porsi, inoltre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea laddove afferma che il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e che è stato ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: pertanto, il principio di autonomia processuale degli Stati membri è limitato dai criteri di equivalenza e di effettività della tutela[13].
In realtà l’approccio pratico-casistico utilizzato dalle Corti sovranazionali europee ha consentito talora una declinazione più coerente del principio fondamentale del diritto di accesso al giudice, non di rado proprio quando l’ostacolo all’effettività della tutela è rappresentato dall’applicazione di regole processuali interpretate in modo eccessivamente formalistico[14]. Invero, da lungo tempo, la Corte di Strasburgo ha sottolineato che il diritto di accesso al giudice deve essere sempre considerato in vista dell’ obiettivo di ottenere una decisione di merito sul diritto oggetto della controversia, sicché il giudizio può concludersi con una pronuncia di rito soltanto nelle ipotesi in cui i relativi ostacoli normativi siano finalizzati ad una corretta organizzazione del sistema processuale e non anche laddove gli stessi siano stati introdotti fittiziamente per privare di ogni valenza il riconoscimento del diritto di accesso al giudice[15].
2.Le modalità di declinazione del diritto di accesso al giudice
2.1. Nel processo di cognizione
2.1.1.Il diritto a una decisione sul merito della domanda
Il diritto di ciascuno di agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive, sancito dal primo comma dell’art. 24 Cost., postula la concreta possibilità di ottenere una decisione sul merito del “bene della vita” controverso.
La questione appena richiamata è particolarmente delicata poiché inerisce al rapporto tra le regole del giudizio, necessarie ad assicurarne un ordinato svolgimento, e l’esigenza di assicurare una pronuncia del giudice sul diritto in contesa, pronuncia che non può essere preclusa da quel “formalismo estremo” che, come sottolineato dalla dottrina più autorevole, inizia laddove finisce il diritto[16].
In tale prospettiva può leggersi quella giurisprudenza costituzionale la quale ha sottolineato che le regole processuali non possono costituire l’ostacolo meramente formale che impedisce l’esame della domanda nel merito, in quanto così esorbiterebbero dalla propria funzione[17].
Pronunce come quella richiamata sono espressive di un’evoluzione della giurisprudenza costituzionale verso un’interpretazione dell’art. 24 Cost. nel senso che l’« azione » non può essere concepita quale mero potere di mettere in moto il processo o « diritto-mezzo al provvedimento di merito », bensì quale diritto di disporre attraverso il processo di rimedi costruiti in funzione dei bisogni che emergono nei diversi tipi di situazioni sostanziali[18].
2.2. La tutela cautelare
Una considerazione del diritto di accesso al giudice in coerenza con un canone di effettività ne postula il riconoscimento non solo ai fini dell’accertamento dei diritti nel giudizio ordinario di cognizione, ma anche in sede cautelare.
Come noto, infatti, la tutela cautelare è volta ad evitare che, nel tempo necessario ad ottenere un provvedimento di merito su una posizione giuridica soggettiva che si assume lesa, l’effettività di tale provvedimento venga compromessa, per la parte che ha ragione, da pericoli di infruttuosità o di tardività[19]: di qui la sussistenza di un’intrinseca correlazione tra la tutela cautelare e il diritto di agire in giudizio sancito dall’art. 24 Cost.[20].
E’ costante nella giurisprudenza costituzionale l’affermazione del principio secondo cui la tutela cautelare è strumentale all’effettività della tutela giurisdizionale e, pur potendo essere variamente configurata e modulata, è necessaria e deve essere effettiva[21], in quanto costituisce espressione emblematica del già richiamato principio per il quale “la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione”[22].
Pietra miliare di tale elaborazione – che ha poi costituito il fondamento in forza del quale la tutela cautelare atipica è stata introdotta negli anni successivi anche nel processo amministrativo[23] – è la nota sentenza n. 190 del 1985, Est. Virgilio Andrioli, la quale ha affermato il principio in virtù del quale dall’art. 700 c.p.c. si può enucleare la direttiva secondo cui, tutte le volte che il diritto assistito da fumus boni iuris è minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito[24].
2.3. La tutela esecutiva
Per altro verso, il diritto accertato nel corso del processo potrebbe non trovare concreta attuazione in mancanza della collaborazione dell’obbligato: di qui anche l’indefettibilità, per un effettivo rispetto del diritto proclamato dal primo comma dell’art. 24 Cost., della tutela esecutiva[25].
Nella delineata prospettiva, nella giurisprudenza costituzionale è stato più volte sottolineato che la fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, quale connotato intrinseco ed essenziale della funzione giurisdizionale, è costituzionalmente necessaria ex art. 24 Cost.[26], poiché consente al creditore di soddisfare la propria pretesa anche in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore[27].
Pertanto limitazioni al relativo diritto possono essere ammesse purché non trasmodino in un’ingiustificabile compromissione dello stesso[28].
Questa compromissione si verifica tutte le volte che il limite alla possibilità di agire in executivis si configura come definitivo: in detta prospettiva, la Corte costituzionale ha recentemente ritenuto che l’impossibilità, anche se per un breve periodo di tempo, di pignorare beni immobili di soggetti privati si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., in ragione degli effetti sostanziali dell’atto di pignoramento, in assenza dei quali la garanzia dei creditori chirografari può essere irreparabilmente caducata[29].
Inoltre il diritto alla tutela esecutiva può essere limitato solo in presenza di circostanze eccezionali[30].
Lungo tali direttrici si è mossa anche la recente giurisprudenza costituzionale chiamata a confrontarsi con le delicate problematiche insorte durante l’emergenza pandemica nel bilanciamento tra il diritto di soddisfarsi in sede esecutiva e quello di abitazione, riaffermando l’importanza del primo circoscrivendo la legittimità di eventuali limitazioni dello stesso per periodi di tempo limitati e solo a fronte di una graduale riduzione delle misure con l’attenuarsi delle esigenze di tutela della salute collettiva[31].
- Il diritto di difesa nel processo civile
L’art. 24, secondo comma Cost., detta una norma di carattere generale, volta a garantire l’esercizio della difesa in ogni stato e grado di qualunque procedimento giurisdizionale[32].
La norma è stata intesa dalla Corte Costituzionale nel senso che il principio di “ineluttabilità” della difesa tecnica, inteso come obbligo per la parte di avvalersi di un difensore, deve ritenersi contemplato con riguardo al solo processo penale ove venga in rilievo la tutela della libertà personale dell’imputato[33].
Tuttavia, sebbene sia stata riconosciuta un’ampia discrezionalità del legislatore nell’individuare le concrete modalità di esercizio del diritto di difesa nei giudizi diversi da quelli penali[34], la giurisprudenza costituzionale ha al contempo sottolineato che questa scelta deve essere giustificata da ragioni oggettive, quali, ad esempio, la tenuità del valore della lite e la natura della controversia[35].
La dottrina più autorevole ha sottolineato che l’esigenza di difesa della parte e di intermediazione di un difensore particolarmente qualificato si avverte in termini più drammatici in un ordinamento, come il nostro, specie quando il giudizio del magistrato conduce un tipo di processo caratterizzato da norme rigorose che caratterizzano in singoli momenti processuali e dunque la parte è tenuta ad agire e a difendersi a regola d’arte, secondo la tecnica del processo, se vuole che quella sua scelta sia proficua. Ed è a questo punto che entra in gioco colui che di quella tecnica ha il dominio e che perciò, a differenza di tutti coloro che non lo conoscono, «è in grado di dare corpo a questo strumento dalla conformazione complessa»[36].
Del resto, in un processo permeato di tecnicismo, la presenza del difensore, almeno quando vengano in rilievo questioni tecniche delicate, consente di evitare al giudice di svolgere un ruolo “paternalistico” di assistenza alla parte non difesa da un avvocato[37], ruolo che finirebbe con il comprometterne la stessa necessaria equidistanza dalle parti in causa[38].
Come è stato evidenziato da lungo tempo nella giurisprudenza costituzionale, tuttavia, sebbene all’affermazione categorica del diritto inviolabile di difesa, anche per la portata generale dell’art. 24 Cost., non si accompagni, nel testo costituzionale, l’indicazione, dotata di pari forza cogente, del o dei modi di esercizio di quel medesimo diritto ed è quindi consentito al legislatore, valutando la diversa struttura dei procedimenti, i diritti e gli interessi in gioco, le peculiari finalità dei vari stati e gradi della procedura, dettare specifiche modalità per l’esercizio del diritto di difesa, ciò deve avvenire “alla tassativa condizione, però, che esso venga, nelle differenti situazioni processuali, effettivamente garantito a tutti su un piano di uguaglianza”[39].
Questa problematica viene in rilievo soprattutto nei procedimenti speciali e sommari, nei quali il profilo problematico di compatibilità con l’assetto costituzionale non si correla (solo) alla circostanza che il contraddittorio può assumere forme attenuate o diverse da quelle proprie del giudizio ordinario di cognizione, dovendo piuttosto valutarsi se effettivamente poteri, facoltà e oneri delle parti si pongano, anche rispetto alla previsione della difesa tecnica come dovere o mera facoltà, su un piede di simmetrica parità[40], che consenta di pervenire ad un outcome equality, ossia ad un’eguaglianza nei punti di arrivo[41]. Peculiari criticità presenta, ad esempio, tra gli altri, il procedimento per convalida di licenza e sfratto nel quale, nella prima fase sommaria, solo l’intimante ha il dovere di munirsi di un difensore e non anche l’intimato (che può anche comparire personalmente), sebbene proprio dalle difese di quest’ultimo dipendano le “sorti” del procedimento.
3.1. Il diritto ad impugnare
Il diritto a proporre impugnazione costituisce anch’esso una componente essenziale del diritto di difesa sancito dall’art. 24, secondo comma, Cost.: tale diritto, invero, sarebbe gravemente compromesso se la parte dovesse subire tutte le decisioni giudiziarie[42].
Appare peraltro problematica la considerazione del diritto di accesso al giudice quale diritto della parte ad impugnare una pronuncia sfavorevole[43].
La complessità della questione deriva dalla circostanza che nel nostro ordinamento l’appello non è costituzionalizzato, mentre è assicurata dall’art. 111, settimo comma, Cost. la garanzia del ricorso c.d. straordinario per cassazione per violazione di legge[44] per tutte le sentenze, queste ultime peraltro latamente intese, sin da una remota pronuncia delle Sezioni Unite, secondo un’accezione sostanziale,[45].
Ciò ha finito con il determinare, a Costituzione invariata, stante l’impossibilità di introdurre efficaci filtri all’accesso al giudizio di legittimità sul modello di altri ordinamenti, un grave encombrèment della Corte di cassazione che ha indotto, inevitabilmente, la stessa ad assumere indirizzi interpretativi talvolta eccessivamente rigorosi nell’individuare le conseguenze delle violazioni delle regole processuali.
Più restrittiva potrebbe in efffetti apparire la concezione del diritto al giudice da parte delle Corti sovranazionali – concezione che viene in rilievo, come noto, nel nostro sistema costituzionale interno, pur con differenti modalità, mediante l’art. 117, primo comma, Cost. – ove si consideri che le stesse hanno ripetutamente escluso che tanto gli artt. 6 e 13 CEDU[46], quanto l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), riconoscano il diritto ad impugnare. In buona sostanza, potrebbe ritenersi che, di conseguenza, ai fini del rispetto del diritto al giudice, sarebbe indifferente, ove pure un mezzo di gravame venga riconosciuto dal diritto nazionale, come lo stesso sia in concreto disciplinato o comunque inteso in giurisprudenza.
In realtà, soprattutto la consolidata elaborazione della Corte europea dei diritti dell’uomo si muove in una prospettiva differente per la quale, sebbene l’art. 6 della Convenzione non imponga agli Stati contraenti la previsione di mezzi di gravame come l’appello o il ricorso per cassazione, tuttavia, se gli stessi sono in concreto contemplati, nei relativi processi devono essere rispettate le garanzie dell’equo processo sancite dal predetto art. 6[47], in particolare nella misura in cui tale disposizione assicura alle parti in causa un effettivo diritto di accesso ai tribunali per le decisioni relative ai loro diritti e obblighi civili[48].
Nel consueto approccio pratico che ne connota l’attività, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto che le modalità secondo le quali l’articolo 6, § primo, si applica alle Corti d’appello o alla Corte di cassazione dipende dalle particolarità dei procedimenti in questione, sia per il ruolo che tali strumenti di gravame rivestono nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno di riferimento. In particolare, le funzioni demandate a una Corte Suprema possono giustificare che le condizioni di ammissibilità del ricorso per cassazione siano più rigorose rispetto a quelle stabilite per l’appello[49].
Allo stesso tempo, la giurisprudenza europea ha posto particolarmente attenzione, nelle proprie valutazioni, in primo luogo, alla prevedibilità delle modalità di impugnazione ad opera delle parti.
In sostanza, la Corte di Strasburgo ritiene che, di norma, un orientamento giurisprudenziale consolidato e la sua applicazione coerente soddisfino il criterio della prevedibilità di una restrizione all’accesso al tribunale superiore, rectius di una norma processuale che regola le modalità di esercizio del diritto di impugnare[50]. La prevedibilità di una regola processuale non ne comporta, tuttavia, di per sé, una compatibilità della stessa con le garanzie espresse dall’art. 6 CEDU: in particolare, tale compatibilità non può essere affermata nell’ipotesi in cui l’interpretazione della regola ridondi in un eccessivo formalismo idoneo a pregiudicare la garanzia del diritto di accesso a un tribunale “concreto ed effettivo” derivante dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Il formalismo eccessivo si realizza a fronte di un’interpretazione particolarmente rigorosa di una norma processuale, che finisce con il precludere l’esame nel merito dell’azione e costituisce un elemento di natura tale da violare il diritto a una tutela effettiva da parte degli organi giurisdizionali[51].
Proprio in applicazione di tali canoni, la Corte di Strasburgo, nella recente pronuncia Succi c. Italia[52], nella quale era chiamata a valutare la legittimità della prassi giurisprudenziale, mutuata dal disposto dell’art. 366 c.p.c., dell’autosufficienza del ricorso per cassazione[53], ha ritenuto integrata una violazione dell’art. 6 CEDU almeno per quello, tra i procedimenti riuniti pendenti dinanzi a sé, che era stato dichiarato inammissibile per effetto di un’interpretazione della S.C. espressione di eccessivo formalismo.
In particolare, la Corte europea, pur ritenendo legittimo lo scopo perseguito dal principio di autosufficienza del ricorso, in quanto volto a semplificare l’attività della Corte di Cassazione, ha osservato che, sebbene il carico di lavoro rischi di porre difficoltà all’ordinario funzionamento della stessa nel trattamento dei ricorsi, resta fermo che le limitazioni all’accesso alle Corti Supreme[54] non possono essere applicate, mediante un’interpretazione eccessivamente formalistica, al punto da violare il diritto di accesso al giudice nella sua stessa sostanza[55]. La condanna dell’Italia è dipesa dalla costatazione, da parte del giudice europeo, di una tendenza della Corte di cassazione, almeno sino ad un certo momento, a concentrarsi su aspetti formali non funzionali al pur legittimo scopo perseguito, in particolare per quanto riguarda l’obbligo di trascrizione integrale dei documenti nei motivi di ricorso, neppure coerente con l’esigenza di prevedibilità del requisito formale imposto dall’art. 366 c.p.c.
- Il diritto di azione e difesa in giudizio dei non abbienti nel sistema del patrocinio a spese dello Stato
L’esigenza di assicurare la gratuità dell’accesso alla giustizia per i non abbienti – che ha origini antiche ed è stata declinata nei secoli in modi differenti[56] – si correla alla necessaria uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge[57].
L’art. 24, comma terzo, Cost. sancisce che «sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione».
Questa norma va intesa in connessione sia con il primo ed il secondo comma dello stesso articolo, che assicurano a «tutti» la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, e di difendersi e farsi difendere in qualsiasi stato e grado del procedimento, sia con l’art. 3, che individua come compito fondamentale della Repubblica quello di far sì che l’uguaglianza e la libertà dei cittadini non siano meramente formali, ma reali, che non siano cioè pre-giudicate da ostacoli di ordine economico e sociale[58].
La correlazione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato al diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. è stata ampiamente sottolineata dalla Corte Costituzionale[59], la quale ha affermato che tale disposizione collega la garanzia della difesa in giudizio allo stato di non abbienza del soggetto, senza alcuna specificazione, ovvero a prescindere dal carattere incolpevole o colpevole della stessa, poiché costituisce un valore costituzionale fondamentale garantire comunque al soggetto non abbiente la tutela dei suoi diritti, i.e. anche se lo stato di “povertà” sia conseguenza del suo pregresso atteggiamento di volontario rifiuto del lavoro[60].
In concreto, attualmente nel nostro sistema il diritto dei non abbienti a una tutela giurisdizionale effettiva delle proprie posizioni giuridiche soggettive è assicurato dal d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115[61], attraverso la tecnica della anticipazione e della prenotazione a debito di una parte delle spese di lite da parte dello Stato, che si fa direttamente carico, inoltre, dei compensi dovuti al difensore e ad eventuali ausiliari tecnici della parte ammessa al beneficio.
Mediante la generalizzazione del patrocinio a spese dello Stato è stato quindi definitivamente superato il sistema del gratuito patrocinio contemplato dal r.d. n. 3282 del 1923, ritenuto dalla dottrina più autorevole in contrasto con i richiamati principi costituzionali, nella misura in cui demandava la difesa in giudizio dei “poveri” all’ufficio onorifico e gratuito della classe forense, secondo una concezione liberale della giustizia[62], che aveva peraltro finito con il determinare significative diseguaglianze sul piano sostanziale[63].
Con l’emanazione della Costituzione repubblicana erano in effetti mutati gli stessi referenti ideologici del gratuito patrocinio, nel passaggio da un sistema culturale nel quale la prestazione dell’avvocato, pur obbligatoria, era liberamente concessa per motivi umanitari verso categorie bisognose, ad un altro nel quale lo stesso rientra nell’adempimento dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. [64].
Peraltro, le stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto che il diritto al patrocinio a spese dello Stato è un diritto soggettivo avente fondamento costituzionale[65].
Nel processo civile l’istanza di ammissione al beneficio deve essere presentata al Consiglio dell’ordine degli avvocati che, ai sensi dell’art. 126 del d.P.R. n. 115 del 2002, deve valutare, per un verso, se ricorrono le condizioni di reddito previste dall’art. 76 dello stesso decreto in capo al richiedente e, per un altro, se le pretese che l’interessato intende far valere non appaiono manifestamente infondate[66].
Quest’ultima valutazione ha carattere astratto ed è meramente delibatoria della non manifesta infondatezza della domanda sulla scorta della sola prospettazione effettuatane, inaudita altera parte, dall’interessato, in coerenza con il disposto dell’art. 24 Cost.[67], postulando una sommaria delibazione da compiersi allo stato degli atti, per un apprezzamento che può condurre solo al riconoscimento di elementi negativi che rendano evidente prima facie l’inaccoglibilità nel merito della domanda[68].
Anche in alcune recenti pronunce la Corte costituzionale ha sottolineato la stretta correlazione tra il diritto al patrocinio a spese dello Stato e il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale.
Così la recentissima sentenza n. 10 del 2022, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, T.U. spese di giustizia – nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché del successivo art. 83, comma 2, del medesimo testo unico sulle spese di giustizia, nella parte in cui non prevede che, in tali ipotesi, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia – ha sottolineato che nessun vincolo di bilancio può venire in rilievo quando una determinata scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una condizione di non abbienza «l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale»[69]. In quest’ultima ipotesi vengono in rilievo il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo di cui ai primi due commi dell’art. 24 Cost.: è quindi «naturalmente ridotto» il margine di discrezionalità del legislatore – pur, di per sé, particolarmente ampio nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021) – poiché si tratta comunque «di spese costituzionalmente necessarie», anch’esse inerenti, in senso lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)».
Note bibliografiche
[1] G. CHIOVENDA, L’azione nel sistema di tutela dei diritti, Bologna 1903.
[2] A. PANZAROLA, Alla ricerca dei substantialia processus, in Riv. dir. proc., 2015, 679 ss.
[3] Corte Cost. n. 114 del 2018.
[4] Corte Cost. n. 18 del 1982.
[5] Sul tema v., tra gli altri, di recente, I. PAGNI, Effettività della tutela giurisdizionale, in Enc. dir., Annali, X, 2017, 355 ss., la quale evidenzia che l’effettività della tutela implica che il processo garantisca la soddisfazione dell’interesse sostanziale senza limiti o esclusioni che non siano imposti dal prevalere di valori ritenuti superiori dall’ordinamento, o da una condizione di impossibilità materiale e presuppone, tanto la rapidità della risposta giudiziale, in un bilanciamento tra necessità di limitare l’accesso alla giustizia e aspirazione del singolo ad una tutela il più possibile incondizionata, quanto il riconoscimento del rimedio più adeguato al contenuto della situazione sostanziale.
[6] Cfr., ex multis, Corte Cost. n. 406 del 1993; n. 154 del 1992.
[7] Sull’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti ex art. 24 Cost., tra le tante, Corte Cost. n. 182 del 2014, n. 119 del 2013, n. 281 del 2010 e n. 77 del 2007. Nel senso che, sebbene nella conformazione degli istituti processuali il legislatore ordinario goda di un’ampia discrezionalità, nell’esercizio della stessa è necessario che venga rispettato il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che costituisce connotato rilevante di ogni modello processuale v., tra le altre, Corte Cost. n. 225 del 2018; n. 304 del 2011.
[8] Sent. n. 406 del 1993.
[9] Sent. n. 98 del 2014. Nel medesimo solco interpretativo della giurisprudenza costituzionale si pongono poi, sullo stesso tema della legittimità delle forme di giurisdizione cosiddetta condizionata, le Corti sovranazionali europee. Così, come ha più volte affermato la Corte di giustizia, spetta agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi, compresi quelli per risarcimento danni, alla sola condizione che tali modalità non violino i principi di equivalenza ed effettività, e cioè, rispettivamente, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno, né rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (tra le tante, Corte di giustizia 26 novembre 2015, C-166/14, Med Eval, § 37; 12 marzo 2015, Vigilo Ltd, C-538/13, § 39; 6 ottobre 2015, Orizzonte Salute, C-61/14, § 46). Analogamente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito che «il “diritto a un tribunale”, di cui il diritto all’accesso […] costituisce un aspetto, non è assoluto, potendo essere condizionato a limiti implicitamente ammessi. Tuttavia, tali limiti non debbono restringere il diritto all’accesso ad un tribunale spettante all’individuo in maniera tale, o a tal punto, che il diritto risulti compromesso nella sua stessa sostanza. Inoltre, limiti siffatti sarebbero da considerarsi in violazione dell’articolo 6 § 1 a meno che non perseguano uno scopo legittimo e che esista un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito» (Corte europea dei diritti dell’uomo 4 febbraio 2014, Staibano e altri contro Italia, § 27; 24 settembre 2013, Pennino c. Italia, § 73; Papon c. Francia, 25 luglio 2002, § 90; 14 dicembre 1999, Khalfaoui c. Francia, §§ 35-36).
[10] V., per tutti, N. PICARDI, La vocazione del nostro tempo per la giurisdizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 41 ss.
[11] Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 21 febbraio 1975, Golder c. Royaume Uni.
[12] Cfr., tra le molte, Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, Sentenza 29 novembre 2016, Parrocchia Greco-Cattolica Lupeni e altri c. Romania; Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 febbraio 2014, Staibano e altri contro Italia, § 27.
[13] CGCE, Grande Sezione, sentenze l 13 marzo 2007, C-432/05, Unibet c. Justitiekanslern; 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, § 39; 19 giugno 2003, causa C-467/01, Eribrand, § 61. Sul tema cfr., tra i molti, P. BIAVATI, Diritto comunitario e diritto processuale civile italiano fra attrazione, autonomia e resistenze, in Dir. Un. Eu., 2000, n. 4, 717; G. CAFAGGI, Tutela amministrativa, tutela giudiziaria e principio di effettività, in Effettività delle tutele e diritto europeo. Un percorso di ricerca per e con la formazione giudiziaria, a cura di P. IAMICELI, Trento 2020, 51 ss.; D. IMBRUGLIA, Effettività della tutela e ruolo del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, n. 3, 961.
[14] Corte europea dei diritti dell’uomo, 31 marzo 2020, Dos Santos Calado ed altri c. Portogallo, § 117, la quale sottolinea che in sostanza se il diritto di proporre un ricorso in sede giurisdizionale è legittimamente subordinato a determinati presupposti dalla legge, i tribunali sono tenuti, nell’applicare le regole processuali, ad evitare tanto un eccessivo formalismo che comporterebbe una violazione del diritto ad un giusto processo, quanto un’eccessiva flessibilità che finirebbe con l’eliminare le regole processuali stabilite dalle leggi. Vi è che, pertanto, Il diritto di accesso al giudice è violato nella sua essenza ove tale disciplina processuale non è più funzionale ad assicurare la certezza del diritto ed una buona amministrazione della giustizia e costituisce, invece, una sorta di barriera che impedisce al ricorrente di ottenere una decisione sul merito del proprio diritto da parte dell’autorità giudiziaria competente (tra le altre, Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 luglio 2006, Efstathiou e altri c. Grecia, § 24).
[15] Corte europea dei diritti dell’uomo, 18 aprile 2002, Ouzounis c. Grecia, in Dalloz, 2002, 2572, con osservazione di
FRICERO.
[16] SATTA, Il mistero del processo, …
[17] V., soprattutto, sent. n. 77 del 2007.
[18] N. TROCKER, Processo e Costituzione nell’opera di Mauro Cappelletti civilprocessualista, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 425 ss.
[19] Su questa base si fonda la distinzione tra provvedimenti cautelari di carattere anticipatorio e provvedimenti cautelari di carattere conservativo, individuata nella modifica, in un caso, di una situazione in modo da assicurare il beneficiario contro i pericoli di intempestività della tutela ordinaria e, nell’altro, nella conservazione di uno stato di fatto sino alla decisione di merito (P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova 1936, 25).
[20] Cfr., di recente, con ampi riferimenti, S. RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, Torino 2015, spec. 35 ss.
[21] Corte Cost. n. 236 del 2010, n. 403 del 2007; n. 165 del 2000, n. 437 e n. 318 del 1995, e ord. n. 225 del 2017.
[22] Corte Cost. n. 253 del 1994. Nel senso che la tutela cautelare è uno strumento fondamentale, inerente a qualsiasi sistema processuale, anche indipendentemente da un’espressa previsione normativa v. Corte Cost. n. 403 del 2007, cit.
[23] Nella fattispecie concreta venivano in rilievo proprio i diritti dei lavoratori del settore pubblico assoggettati all’epoca alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in un processo che non prevedeva ancora una tutela cautelare diversa dalla sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato.
[24] Sent. n. 190 del 1985. In arg. A. PANZAROLA – R. GIORDANO, Provvedimenti di urgenza, Bologna 2015, spec. 75 ss.
[25] In effetti, come autorevolmente osservato, non avrebbe senso ammettere l’azionabilità di un diritto in sede cognitoria, per poi negarne l’attuazione esecutiva, dopo che il suo accertamento si sia tradotto o sia stato incorporato in un titolo esecutivo (L. P. COMOGLIO, Principi costituzionali e processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 1994, 450).
[26] Corte Cost. n. 128 del 2021 e n. 419 del 1995. Già la Relazione al Re del Ministro di Grazia e Giustizia sul codice di procedura civile del 1940, n. 31, poneva in evidenza che “la forza della legge, e con essa l’autorità dello Stato, è in giuoco nel processo esecutivo altrettanto e più che nel processo di cognizione”. In dottrina v., tra gli altri, F. CARPI, Riflessioni sui rapporti fra l’art. 111 della Costituzione e il processo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, n. 2, 381; L. P. COMOGLIO, Principi costituzionali e processo di esecuzione, cit., 450; G. TARZIA, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, n. 2, 329.
[27] Cfr., ex ceteris, Corte Cost. n. 128 del 2021, n. 198 del 2010, n. 335 del 2004, n. 522 del 2002, n. 331 del 2001, n. 321 del 1998; v. anche Corte Cost. n. 194 del 1992, con riferimento agli oneri imposti rispetto all’esecuzione degli obblighi di fare, e n. 329 del 1992 circa l’illegittimità della necessità di autorizzazione per l’azione esecutiva su beni degli Stati esteri non attinenti all’esercizio delle funzioni iure imperii. Nell’analoga direzione di ritenere che anche il diritto alla tutela esecutiva rientra nell’ambito di applicazione del diritto di accesso al giudice garantito dall’art. 6, § primo, CEDU, si pone, inoltre, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la quale – specie con riferimento a procedure esecutive di rilascio, non di rado aventi come convenuto lo Stato italiano, delle quali i ricorrenti lamentavano l’irragionevole durata– ha più volte affermato, utilizzando lo stesso canone di implicazione fatto proprio nel celebre caso Golder, che il predetto diritto sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico di uno Stato contraente consentisse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse ineseguita in danno di una parte. Come sottolinea F. CARPI, Riflessioni sui rapporti fra l’art. 111 della Costituzione e il processo esecutivo, cit., 386, nella giurisprudenza costituzionale “entra prepotentemente la garanzia di effettività della tutela esecutiva, implicita nell’art. 24 Cost.”. Corte europea dei diritti dell’uomo, 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia, § 40, la quale ha compiuto un passo in avanti rispetto alla precedente giurisprudenza la quale tendeva a considerare le problematiche afferenti l’azionabilità di un titolo esecutivo solo sotto il profilo dell’eccessiva durata del processo. Per le implicazioni di questo passaggio v. G. TARZIA, Vers un concept européen du droit de l’exécution, in Revue hellénique de droit international, 2001, 497 ss.; N. FRICERO, La libre exécution des jugements dans l’espace judiciaire européen: un principe émergent?, in Justice et droits fondamentaux, Etudes offertes à J. NORMAND, Paris, Litèc, 2003, 177 ss.
[28] Corte Cost. n. 225 del 2018.
[29] Sent. n. …. del 2022.
[30] Sent. n. 186 del 2013.
[31] Corte Cost. sent. n. 128 del 2021, in Rass. esec. forz., 2021, n. 3, con note di BIFULCO – GENTILE, Sospensione delle espropriazioni immobiliari e abitazione principale del debitore e di SOLDI, Incostituzionalità dell’art. 54-ter: la sentenza della Corte costituzionale 23 giugno 2021, n. 128 e in Giustiziacivile.com, con nota di PARISI, Espropriazioni sulla “prima casa” e illegittimità costituzionale della (seconda) proroga della sospensione da covid-19. Sulla disposizione che era stata censurata in tale giudizio cfr., per tutti, SASSANI – CAPPONI – PANZAROLA – FARINA, Sulla sospensione delle espropriazioni immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, in www.judicium.it; di contro nella sent. n. 213 del 2021 la Corte ha ritenuto legittima la proroga, sino alla data del 31 dicembre 2021, della sospensione dell’esecuzione di alcuni provvedimenti di rilascio, in quanto, con l’attenuarsi delle esigenze sanitarie, il legislatore ha progressivamente ridotto, in un bilanciamento ritenuto per questo adeguato, la portata della misura.
[32] Il generale ambito di applicabilità della disposizione fu evidenziato anche nella discussione nell’ambito dell’Assemblea Costituente (seduta del 15 aprile 1947) dall’onorevole Tupini, Presidente della I sottocommissione, il quale rilevò che «tenuto conto degli abusi, delle incertezze e delle deficienze che hanno vulnerato nel passato l’istituto della difesa, specie per quanto attiene alla sua esclusione dai vari stati e gradi del processo giurisdizionale» era necessario «con una norma chiara, assoluta, garantirne la presenza e l’esperimento attivo in tutti gli stati del giudizio e davanti a qualunque magistratura». Alla stregua di quanto da tempo evidenziato nella giurisprudenza della Corte, il testo complessivo dell’art. 24 Cost., nella successione dei vari commi, induce a ritenere che finalità essenziale delle norme in esame è quella di garantire a tutti la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni (sent. n. 125 del 1979).
[33] Nel senso che la tutela del diritto di difesa, quale diritto di partecipare personalmente o a mezzo del difensore alla formazione del convincimento del giudice, non può sicuramente subire limitazione, quando sia preordinato alla tutela della libertà personale, v. già sent. n. 74 del 1973. La Corte ha inoltre precisato che speculare alla inviolabilità del diritto di difesa, è la irrinunciabilità di esso, quali che ne siano le concrete modalità di esercizio: il diritto di difesa, infatti, nel processo penale, è preordinato a tutelare beni e valori fondamentali dell’uomo, dei quali in quel procedimento si discute e decide, nonché a maggiormente garantire, anche nell’interesse dell’imputato, l’osservanza di principi dell’ordinamento costituzionale, che attengono specificamente alla disciplina del processo penale medesimo (sent. n. 125 del 1979). In arg., in dottrina, tra gli altri, L. P. COMOGLIO, Il secondo comma dell’art. 24: il diritto di difesa nel processo civile, in Commentario della Costituzione a cura di Branca, Rapporti civili, Artt. 24-26, Bologna 1981, 54.
[34] E’ stato ripetutamente affermato il principio secondo cui, sebbene l’assistenza del difensore costituisca il normale presidio per la tutela del diritto di difesa, tuttavia la relativa disciplina non deve essere necessariamente uniforme in ogni tipo di procedimento ed in ogni fase processuale, dovendo tener conto delle speciali caratteristiche e delle modalità di attuazione di ogni singolo atto, in modo da assicurarne la finalità sostanziale (ex multis, sent. n. 157 del 2014; n. 190 del 1970; n. 108 del 1963).
[35] Cfr., tra le altre, sent. n. 189 del 2000, n. 160 del 1995, n. 351 del 1989; n. 125 del 1979; ord. n. 1 del 2001.
[36] T. CARNACINI, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, Milano 1966, 707 ss.
[37] Sulla “pericolosità” del quale si sofferma G. TARZIA, Poteri delle parti e poteri del giudice, in Problemi del processo civile di cognizione, Padova 1989, 312-313.
[38] C. PUNZI, Note sul ministero del difensore nel processo civile, cit., 1 ss.
[39] Sent. n. 125 del 1979.
[40] Cfr. V. COLESANTI, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv. dir. proc., 1975, 581 ss.
[41] L. P. COMOGLIO, Tutela differenziata e pari effettività nella giustizia civile, in Riv. dir. proc., 2008, 1508 ss., spec. 1511.
[42] Così, incisivamente, F. CIPRlANI, Diritti fondamentali dell’Unione Europea e diritto d’impugnare, in Il processo civile nello Stato democratico, Napoli 2006, 209 ss.
[43] Ciò soprattutto in una fase della legislazione processuale nella quale, come è stato efficacemente sottolineato, il legislatore ha deciso di ridurre la durata patologica dei giudizi civili incidendo, piuttosto che sul giudizio di primo grado come avvenuto nelle precedenti riforme, su quelli di impugnazione (R. TISCINI, Ricorso straordinario in cassazione, evoluzioni giurisprudenziali, certezze e incertezze, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, n. 2, 847).
[44] Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, infatti, quello in forza del quale in tema di impugnazioni, il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto quando essi siano definitivi e abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. In arg., per tutti, R. TISCINI, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino 2005, passim e, più di recente, ID., Ricorso straordinario in cassazione, evoluzioni giurisprudenziali, certezze e incertezze, icit., 847 ss.
[45] Cass., sez. un., 30 luglio 1953, n. 2953, in Giur. it., 1954, I, 1, 453, con nota di Azzolina; in Foro it., 1953, I, 1248; in Giur. compl. Cass. civ., 1953, VI bim., 205, con note di Bianchi d’Espinosa e Mongiardo.
[46] La Corte europea dei diritti dell’uomo, sin dalla pronuncia del 17 gennaio 1970, Delcourt c. Belgique, § 25, ha precisato che la garanzia del diritto di accesso al giudice non si spinge al punto d arendere obbligatoria per gli Stati contraenti la previsione dell’appello, neppure in materia penale, né il diritto delle parti a ricorrere per cassazione. Sulle ragioni storiche di tale esclusione v. F. CIPRIANI, Diritti fondamentali dell’Unione Europea e diritto d’impugnare, cit., 209 ss.
[47] Tale precisazione è stata operata dalla Corte europea sin dal leading-case Delcourt c. Belgique.
[48] Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia; Corte europea dei diritti dell’uomo Levages Prestations Services c. Francia, 23 ottobre 1996, § 44; Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, 19 dicembre 1997, § 37.
[49] Zubac, cit., § 82; Levages Prestations Services, cit., § 45, Brualla Gómez de la Torre, cit., § 37, Kozlica c. Croazia, 2 novembre 2006; Shamoyan c. Armenia, 7 luglio 2015, § 29,)
[50] V., ad esempio, Levages Prestations Services, cit., § 42, Brualla Gómez de la Torre, cit., § 32; Lanschützer GmbH, cit., § 34.
[51] Zubac, cit., § 82; Běleš e altri c. Repubblica ceca, §§ 50-51 e 69; Walchli c. Francia, 26 luglio 2007, § 29.
[52] Corte europea dei diritti dell’uomo, Succio c. Italia, spec. §§ 71 ss., sulla quale v. B. CAPPONI, Il formalismo in Cassazione, in Giustizia insieme, 31 ottobre 2021 e G. RAIMONDI, Corte di Strasburgo e formalismo in cassazione, ivi, 8 novembre 2021.
[53] Conclusioni coerenti con l’impostazione di B. SASSANI, La deriva della Cassazione e il silenzio dei chierici, in www.judicium.it, spec. § 5, il quale, in relazione al principio di autosufficienza del ricorso, evidenzia, con l’usuale acume: «Che si tratti di principio è articolo di fede perché nessuno sa indicare da dove si ricavi, ma tant’è. La ragionevole istanza che il ricorrente metta il collegio in grado di verificare senza complesse ricerche la fondatezza delle proprie affermazioni si è trasformata in un “catenaccio” che getta nel panico i ricorrenti che si chiedono non solo “cosa” debbano inserire nell’atto, ma anche “come”, per tema di sentirsi dichiarare una inammissibilità da insufficienza dei dati. Sul punto la Corte dice cose varie e fluttuanti, con buona pace della ragionevole conoscibilità delle regole del gioco».
[54] Invece ammesse se di carattere generale, come in altri ordinamenti, nell’ipotesi di meccanismi di filtro, come potrebbe essere nel nostro sistema quello previsto dall’art. 360-bis c.p.c. per l’accesso al giudizio di legittimità (cfr., diffusamente, R. TISCINI, Il filtro in cassazione nella giurisprudenza della Corte, in Riv. dir. proc., 2019, n. 4-5, 1028).
[55] Per alcune recenti suggestioni su questa problematica cfr. A. PANZAROLA, La versione utilitaristica del processo civile e le ragioni del garantismo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, n. 1, 97.
[56] In arg., per un excursus, A. RAVIZZA, Patrocinio gratuito, in Dig. It., Vol. XVIII, P. I, 1906-1910, spec. 175-183 e, più di recente, N. CIPRIANI, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro it., 1994, V, 84 ss.
[57] Eguaglianza formale che si ridurrebbe infatti a “vana proclamazione se non fosse data a ognuno, al povero come al ricco, la possibilità di far valere in giudizio il proprio diritto, se un sistema di gratuito patrocinio non fosse predisposto dall’ordinamento giuridico a favore del povero per superare la disuguaglianza nella quale egli verrebbe a trovarsi di fronte al ricco a cagione delle molte spese che sono necessarie per agire in giudizio” (A. VALENTINI, Patrocinio gratuito, in Nuovo Dig. It., XVII, Torino 1939, 522 ss.; in termini analoghi, tra gli altri, P. BRANDI, Gratuito patrocinio, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 732).
[58] Così, tra gli altri, V. ANDRIOLI, La tutela giurisdizionale de diritti nella Costituzione della Repubblica italiana, in Nuovo dir. comm., 1954, 314; M. CAPPELLETTI, La giustizia dei poveri, in Foro it., 1968, V, 114 ss., nell’ambito di una serrata critica al sistema del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, all’epoca vigente; V. DENTI, Patrocinio dei non abbienti e accesso alla giustizia: problemi e prospettive di riforma, in Foro it., 1980, V, 126 ss. Si veda inoltre C. MORTATI, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti omissivi del legislatore, in Foro it., 1970, V, 153 ss., spec. 176-177, che aveva individuato tra gli esempi più evidenti di legislazione ormai inadeguata a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione proprio quella in materia di gratuito patrocinio versata nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282. Per una differente prospettiva, volta ad evidenziare la coerenza del sistema liberale del gratuito patrocinio, almeno nella materia civile, stante peraltro la possibilità nella stessa di utilizzare in alternativa, per le controversie fondate, il meccanismo della distrazione delle spese processuali ex art. 93 c.p.c. v. le riflessioni di N. CIPRIANI, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, cit., 84 ss.
[59] In arg., tra gli altri, M. CANONICO, Diritto alla difesa e tutela dei non abbienti: dal gratuito patrocinio all’assistenza in giudizio a spese dello Stato, in Dir. fam. pers., 1994, 1406 ss.
[60] Corte Cost. 17 marzo 1992, n. 144.
[61] In arg. A. MARTONE, La nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei giudizi civili, in Rass. forense, 2002, n. 3, 535 ss. In realtà la possibilità per i non abbienti di accedere al patrocinio a spese dello Stato in tutti i tipi di processo era stata offerta, nel nostro ordinamento, già dalla legge 29 marzo 2001, n. 134, che nel modificare la legge n. 217 del 1990, ne aveva esteso la portata, mediante gli artt. da 15-bis a 15-noniesdecies al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili ed amministrativi (cfr. R. PEPE, Il patrocinio a spese dello Stato, Padova 2017, 149).
[62] Per questa concezione v. soprattutto C. MORTARA, Del patrocinio gratuito, in Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, IV, Milano 1923, 100 ss., con riguardo al patrocinio gratuito onorifico ed obbligatorio contemplato dalla legge 6 dicembre 1865, n. 2626, cd. legge Cortese (in seguito modificata dalla legge 19 luglio 1880, n. 5336), sul modello della legge francese 22 gennaio 1851 (cfr. R. PEPE, Il patrocinio a spese dello Stato, cit., 25). Nel senso dell’opportunità di conservare, invece, il sistema di alcuni Stati pre-unitari che avevano provveduto con l’istituto dell’Ufficio degli avvocati e dei procuratori dei poveri (sul quale v., diffusamente, E. CALDARA – C. CAVAGNARI, Avvocatura dei poveri, in Dig. It., Torino, 1893-1899, IV, 2, 715), nel quale lo Stato assumeva direttamente l’incarico di rappresentare e di difendere i diritti degli indigenti nei giudizi civili e penali, v. L. MATTIROLO, Il gratuito patrocinio dei poveri, in Trattato di diritto giudiziario civile italiano, I, Torino 1892, spec. 576 ss.
[63] Cfr. M. CAPPELLETTI, La giustizia dei poveri, cit., 114 ss., con riguardo, soprattutto, alla previsione della gratuità dell’incarico di difensore dei soggetti non abbienti, incarico da intendersi quale onorifico ed in concreto “remunerativo” per il legale solo nell’ipotesi di vittoria in giudizio, che comportava che, salve rare eccezioni, al patrocinio di tali soggetti fossero disponibili per lo più avvocati con limitata esperienza. Come noto, la questione fu sottoposta all’attenzione della Corte Costituzionale che, con la sentenza 16 dicembre 1964, n. 114, Pres. Ambrosini, Est. Chiarelli, dichiarò la stessa non fondata in relazione all’art. 24, comma 3, Cost., evidenziando, tuttavia, che le norme sul gratuito patrocinio pur essendo insufficienti o scarsamente efficienti rispetto allo scopo voluto dalla Costituzione, non per questo potevano essere considerate illegittime con il risultato di privare i non abbienti anche dell’attuale forma di assistenza.
[64] F. MANNA, Osservazioni sulla legge di istituzione del patrocinio dello Stato per i non abbienti, in Iustitia, 1990, n. 3, 308.
[65] Cass. civ., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315.
[66] Diversamente, in materia penale l’accesso e la revoca al sistema del patrocinio, prima gratuito ed attualmente a spese dello Stato, dipendono esclusivamente dalla sussistenza dei requisiti reddituali, senza necessità di alcuna indagine circa la “meritevolezza” della stessa (v., tra i molti, P. BRANDI, Gratuito patrocinio, cit., 737, il quale giustifica tale differenziazione per l’esigenza di rispetto della “sacertà del diritto di difesa”).
[67] G. COLLA, Il patrocinio dei non abbienti innanzi al giudice civile secondo la nuova legge, in Doc. Giust., 1990, n. 7-8, 65.
[68] Cfr. A. GIUSTI, Il patrocinio a spese dello Stato nella nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati, in Giur. it., 1989, IV, 391 ss.
[69] V. anche sent. n. 157 del 2021.
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Rosaria Giordano, nata a Salerno nel 1981, è Magistrato ordinario, attualmente assistente di studio presso la Corte Costituzionale del Giudice Giovanni Amoroso.
Entrata in magistratura nel 2007, ha svolto funzioni di giudice civile nel Tribunale di Latina e, in seguito, dal 2015 al 2019, di Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario del Ruolo della Corte di cassazione.
Dottore di ricerca in tutela giurisdizionale dei diritti, è Autore di numerose pubblicazioni, anche monografiche, soprattutto nella materia del diritto processuale civile.
E’ inoltre componente del Comitato di direzione della Rivista Giustiziacivile.com e della Rivista di diritto sportivo, nonché delle redazioni delle Riviste Judicium, Rassegna dell’esecuzione forzata e Diritto fallimentare e delle società commerciali.
Fabrizio Di Marzio, laureato con lode in giurisprudenza presso l’Università di Bologna nel 1989, è stato magistrato ordinario dal 1996 al 2019. Ha svolto funzioni di giudice civile presso i tribunali di Crotone (fino al 2004) e di Roma (fino al 2011). Dal 2000 è stato relatore nei corsi di formazione e aggiornamento organizzati dal comitato scientifico del CSM. Negli anni 2007-2010 è stato componente del comitato scientifico del CSM, di cui ha coordinato il settore civile nell’anno 2010. Nel 2011 è risultato vincitore del primo concorso per Consigliere della Corte di Cassazione riservato ai magistrati che hanno superato la seconda o la terza valutazione di professionalità, ai sensi dell’art. 12, co. 14, d.lgs. n. 160/2006. A partire da quell’anno ha svolto funzioni di consigliere di cassazione, prima nella II sezione penale, poi nella III sezione civile. Dal 2013 al 2016 è stato componente della struttura didattica della SSM presso la Corte di cassazione per il settore civile. Nel 2016 è stato collocato fuori dal ruolo organico per assumere le funzioni di membro della Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, su designazione del primo presidente della Corte di Cassazione. A partire dal 2000, ha prestato attività di insegnamento di materie privatistiche in varie università. È stato componente di comitati tecnici e gruppi di lavoro presso la Presidenza del consiglio dei ministri e presso il Ministero dello sviluppo economico in tema di legislazione commerciale. È stato componente del comitato scientifico della Fondazione italiana del Notariato. Nel 2013 ha conseguito le abilitazioni alle funzioni di professore di prima fascia in diritto privato e in diritto commerciale; nel 2019 ha partecipato e ha vinto il concorso per un posto di professore di prima fascia in diritto privato bandito dall’università di Chieti-Pescara. Attualmente è professore ordinario di diritto privato presso l’Università di Chieti-Pescara. Avvocato cassazionista, è capo dell’“Area giuridico-anziendale” di Coldiretti.
Ricopre i seguenti incarichi di carattere scientifico. È componente del comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura. È componente del comitato scientifico dell’Enciclopedia del diritto. È parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Dal 2019 è direttore della rivista Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente. Dal 2016 è codirettore della rivista Diritto Agroalimentare. Dal 2014 è codirettore delle riviste Giustizia civile e GiustiziaCivile.com. Dirige il Codice civile (5a ed.), il Codice di Procedura Civile (5a ed.), il Codice della crisi d’impresa, il Codice della responsabilità civile, il Codice della famiglia, appartenenti alla collana “I Codici Commentati Giuffrè“. È direttore del volume “Crisi d’impresa”, dell’Enciclpedia del diritto (in corso di realizzazione); è direttore della Collana Pratica professionale, Crisi d’impresa (in corso di realizzazione). È curatore di diverse opere collettanee. È autore di contributi monografici (Giudici divoratori di doni, Milano, 2021; La ricerca del diritto, Roma-Bari 2021; Obbligazione, insolvenza, impresa, Milano, 2019, La politica e il contratto, Roma, 2018, Fallimento, storia di un’idea, Milano, 2018, La riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2017, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011; Contratto illecito e disciplina del mercato, Napoli, 2011; Abuso nella concessione del credito, Napoli, 2004) altri volumi (La nullità del contratto, Padova, 1999 e 2008; I contratti d’impresa. Profili generali, Torino, 2008) nonché di oltre duecento scritti minori: articoli su rivista, voci di enciclopedia e contributi in volumi collettanei in materia di teoria generale, diritto contrattuale, diritto commerciale e fallimentare. È autore di un Codice della crisi d’impresa, 3a ed., Milano, 2017.