
Commento all’art.103, ultimo comma, della Costituzione
di Maurizio Block, procuratore generale militare presso la Corte di cassazione
Art. 103, comma 3 – I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.
Abstract: Il commento, partendo dal dibattito in sede di Assemblea costituente circa il mantenimento dei Tribunali militari in tempo di pace, evidenzia che la scelta finale ha limitato le competenze della giurisdizione militare ai soli reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze armate. Si sofferma quindi sulla nozione di reato militare nel codice penale militare di pace, sottolineando che la Costituzione ne rinvia la definizione alla legge ordinaria; ritiene necessario per qualificare un fatto quale reato militare, che, oltre al criterio formale della sua previsione in una legge penale militare, sia dato rilievo all’interesse protetto che deve essere strettamente militare. Quanto al limite soggettivo, lo scritto sottolinea che il concetto di appartenente alle Forze Armate comporta l’attualità della prestazione del servizio militare e si sofferma sulle varie situazioni giuridiche assimilabili. Richiama l’attenzione sulla maggiore ampiezza soggettiva dei destinatari della legge penale militare rispetto a quella dei sottoposti alla giurisdizione militare. Esamina l’applicabilità del codice penale militare di guerra e le criticità connesse.
Parole chiave: tribunali militari, reato militare, appartenente alle Forze armate, codice penale militare di pace, codice penale militare di guerra.
Sommario: 1. Il problema del mantenimento dei Tribunali militari in tempo di pace – 2. Il limite oggettivo alla giurisdizione militare: il reato militare – 3. Limite soggettivo alla giurisdizione militare: gli appartenenti alle Forze Armate – 4. Codice penale militare di guerra.
1.Il problema del mantenimento dei Tribunali militari in tempo di pace
1.1 La sopravvivenza dei Tribunali militari nel nuovo assetto costituzionale fu largamente dibattuta in sede costituente. Sul campo si fronteggiarono due opposte tesi: da un lato chi, nell’ottica dell’unità della giurisdizione, propendeva per l’abolizione della giustizia militare come delle giurisdizioni speciali (Calamandrei), dall’altro chi, invece, ne sosteneva il mantenimento nella massima espansione (Mortati). Entrambe le tesi si fondavano su argomentazioni degne di rilievo: la prima, sulla considerazione che la funzione giurisdizionale è unitaria e non può frammentarsi in base alla materia o ai destinatari, la seconda, invece, sulla rilevanza della specifica conoscenza del settore da parte del giudice e della inopportunità di concentrazione di potere in un’unica giurisdizione. Nel mezzo, un ventaglio di tesi intermedie, tra cui in particolare quella sostenuta da Giovanni Leone che prevedeva l’abolizione di tutte le giurisdizioni speciali, escluse solo quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, sia perché avevano adempiuto con professionalità il loro compito, sia per le perplessità che destava la sottoposizione dell’attività istituzionale della Pubblica amministrazione alla giurisdizione ordinaria. I Tribunali militari, in tale ottica, scontavano invece l’effetto negativo di colpe storiche del recente passato in cui le garanzie difensive e l’indipendenza avevano ceduto il passo a processi sommari, privi di garanzie e spesso piegati agli interessi del potere politico. Le tesi citate, nel dibattito, si indebolirono l’un l’altra e ne prevalse una intermedia, sostenuta da Gennaro Patricolo, il quale, pur auspicando in futuro l’affermazione dell’unicità della giurisdizione, propose di fare salve tutte le giurisdizioni speciali già esistenti. Si addivenne perciò alla conclusione del mantenimento dei tribunali militari in tempo di pace con giurisdizione, però, limitata e ristretta ai soli reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze armate e si previde che nel nuovo assetto costituzionale i giudici speciali – e quindi i Tribunali militari – godessero di garanzie di indipendenza e autonomia, analoghe a quelle dei giudici ordinari.
In effetti, la giurisdizione militare, all’atto di entrata in vigore della Costituzione, era ancora regolata dall’ordinamento giudiziario militare emanato con regio decreto 9 settembre 1941 n. 1022, che, tra l’altro, attribuiva la presidenza e la prevalenza nella composizione dei collegi giudicanti ad ufficiali delle Forze armate e rendeva anche ictu oculi visibile la dipendenza della giurisdizione militare dall’autorità militare, dall’allocazione dei tribunali militari nelle sedi di grandi unità militari. L’indipendenza della giurisdizione militare veniva stabilita, come per le altre magistrature speciali, dall’art. 108 Cost., secondo cui: “La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia.” Inoltre, la VI disposizione transitoria della Costituzione stabiliva che: “Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari”.
1.2 Tali norme rimasero, tuttavia, inattuate per la giustizia militare per circa trentacinque anni durante i quali quest’ultima continuò a mantenere il carattere di giurisdizione domestica o dei capi: tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati militari venivano adottati, infatti, dal Ministro della Difesa su parere del Procuratore generale militare presso il Tribunale supremo; erano previsti solo due gradi di giurisdizione e non il ricorso per Cassazione contro le sentenze emesse; sopravviveva un’anomala dipendenza del giudice istruttore dal procuratore militare della Repubblica. Tale stato di latente e perdurante incostituzionalità perdurò, per inerzia del legislatore e silenzio colpevole degli apici della giurisdizione militare, fino al 1981, allorché fu approvata la legge 7 maggio 1981 n.180, ora trasfusa quasi interamente nel Codice dell’ordinamento militare (D.lgs. n. 266/2010), che parificò lo stato giuridico dei magistrati militari a quelli ordinari, attribuendo loro le stesse garanzie di autonomia e indipendenza, garantì la presidenza tecnica e la prevalenza nei collegi giudicanti a magistrati (militari) togati; previde il doppio grado di merito con l’istituzione di una Corte militare e la ricorribilità delle sentenze in Cassazione; istituì, inoltre, presso quest’ultima l’Ufficio del procuratore generale militare, competente a esercitare la funzione nomofilattica per i reati militari, delineando un sistema per cui la giurisdizione militare e quella ordinaria confluivano al vertice nella Corte di cassazione, simbolo a a tutt’oggi dell’unità delle due giurisdizioni. A corroborare tale principio contribuì l’istituzione, con legge n. 561/1988, del Consiglio della magistratura militare, organo di autogoverno della giurisdizione militare, presieduto dal presidente della Corte di cassazione. Tale sistema, da taluni criticato per una supposta eterodipendenza della magistratura militare da quella ordinaria – ravvisabile nella mancata previsione in sede di legittimità di una sezione specializzata e nella presidenza dell’organo di autogoverno attribuita ad un magistrato ordinario – ha tuttavia avuto il pregio di attribuire alla giustizia militare i caratteri di una giurisdizione libera ed indipendente, in linea con le garanzie riconosciute ai giudici ordinari e di consentire una costante osmosi tra le due magistrature. Il Consiglio della magistratura è composto oltre che dal presidente, dal vicepresidente, laico, nominato in concerto dai presidenti di Camera e Senato, dal procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, componente di diritto e da due magistrati militari, eletti dal ruolo dei magistrati militari.
1.3 Può quindi oggi dirsi che la magistratura militare, dopo un lungo ed irto percorso, abbia raggiunto l’indipendenza e l’autonomia di una libera giurisdizione ed abbia perso i caratteri che l’avevano in precedenza contraddistinta quale giustizia dei capi. Si è trattato di un’evoluzione correlata allo sviluppo della nostra società democratica e dei valori costituzionali che ne sono alla base e che ha mutato la natura e la sostanza dei tribunali militari, intesi prima come corti marziali, il cui compito era quello di mantenere unite le truppe dinanzi al nemico, facendo divenire gli stessi strumenti giudiziari in linea con i principi della Costituzione e di tutela della collettività militare.
L’andamento di tale complesso percorso, che si è sviluppato di pari passo al rafforzamento dei principi democratici della nazione, ha comportato una tendenziale ordinarizzazione di tale speciale giurisdizione, a cui sono state riconosciute, in tempo di pace, garanzie procedurali ed ordinamentali molto simili – a volte le stesse- rispetto alla giurisdizione ordinaria e ciò ha implicato, come conseguenza, la percezione di un affievolimento del carattere di specialità, ragione della sua stessa esistenza. L’ingresso delle donne nella magistratura militare ha completato l’opera di sostanziale similitudine tra le due magistrature militari, ordinaria e militare, ulteriormente rimarcata dall’attuale sistema di reclutamento dei magistrati militari, nel quadro di un concorso di secondo grado riservato ai magistrati ordinari e, solo in subordine, devoluto ai laureati in legge. L’accennato processo di graduale assimilazione tra le due giurisdizioni ha sollevato la problematica circa l’opportunità del mantenimento in vita attualmente di una giurisdizione militare separata da quella ordinaria. Nel ribadire che la specialità della materia trattata, che inevitabilmente implica una vicinanza alla compagine militare, non è da ritenersi più un vulnus per l’indipendenza ed autonomia della giurisdizione militare grazie alle piene garanzie apprestate dal legislatore, si ritiene che il motivo della specialità – e quindi del mantenimento dei tribunali militari – deve ancora oggi rinvenirsi sia nella competenza specifica che consente al giudice militare di valutare con maggiore conoscenza del mondo militare e, quindi, competenza i casi giudiziari militari, sia nel pervenire a soluzioni in tempi rapidi in linea con le esigenze delle Forze armate e con i principi del giusto processo. In definitiva, la specifica competenza professionale e la celerità dei giudizi costituiscono oggi la ragione per affermare la necessità di mantenimento di tale speciale giudice. D’altronde, la Corte costituzionale, con recente sentenza (n. 215/2017), nel respingere la questione di legittimità costituzionale proposta sull’art. 226 c.p.m.p. (ingiuria militare), ha riconosciuto la persistente attualità dei principi posti a base della legge penale militare, che risponde anche “all’obiettivo di tutelare il rapporto di disciplina inteso come insieme di regole di comportamento, la cui osservanza è strumentale alla coesione delle Forze armate e, dunque, ad esigenze di funzionalità delle stesse”.
Va inoltre ricordato che sarebbe illegittima la soppressione dei Tribunali militari senza una revisione costituzionale dell’art. 103 ultimo comma Cost., non essendo possibile, nella vigenza di tale articolo, trasformarli in sezioni specializzate della magistratura ordinaria, né tanto meno la soppressione solo del ruolo della magistratura militare e l’attribuzione delle competenze ai magistrati ordinari, dovendo una giurisdizione speciale avere un ruolo di giudici speciali e non ordinari. Come sottolineato da parte della dottrina, la pluralità delle giurisdizioni speciali ancora esistenti nell’ordinamento (tra le quali rientrano anche quelle assoggettate a revisione ai sensi della VI disposizione transitoria) e l’indeterminatezza dei loro connotati creano perplessità in ordine alla configurazione della nozione di giudice speciale, di talché si è suggerito di pervenire alla soluzione secondo cui “giudice speciale è il giudice che non fa parte della magistratura ordinaria” e che “per distinguere la magistratura ordinaria da quelle speciali, si ricorre al criterio “legale”: ordinari sono i giudici regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario (r.d. n. 12 del 1941), speciali tutti gli altri”[1]. Da ciò ne consegue che i giudici speciali non devono far parte, a differenza dei giudici ordinari specializzati, della magistratura ordinaria, perché sarebbe proprio tale appartenenza ad impedire la configurazione della giurisdizione in parola come speciale. Gli stessi magistrati ordinari transitati nella magistratura militare a seguito di concorso per titoli, transitano dal ruolo della magistratura ordinaria a quello della magistratura militare conservando la facoltà di transitare nuovamente nel ruolo ordinario ai sensi dell’art. 211 dell’ordinamento giudiziario. Perciò deve escludersi de iure condito la possibilità che magistrati ordinari, secondo l’attuale assetto costituzionale, possano esercitare funzioni nella giurisdizione militare senza transitare nel ruolo speciale dei magistrati militari.
- Il limite oggettivo alla giurisdizione militare: il reato militare
2.1 L’art. 103 Cost. stabilisce che i tribunali militari in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari. La definizione di reato miliare non è prevista dalla norma costituzionale, ma demandata alla legge ordinaria. L’art. 37 c.p.m.p. detta un criterio estremamente formale, secondo cui la mera collocazione di una fattispecie penale nel codice penale militare di pace o di guerra o in un’altra legge qualificata militare è condizione necessaria e sufficiente per qualificare la fattispecie quale reato militare. Vale la pena ricordare che l’art. 263 c.p.m.p. – la cui portata è stata limitata dalle sentenze Corte costituzionale nn. 78/1989 e 429/1992 – stabilisce che “Appartiene ai tribunali militari la cognizione dei reati militari commessi dalle persone alle quali è applicabile la legge penale militare”. Seguendo tale impostazione, l’art. 264 c.p.m.p. contemplava la categoria dei reati “militarizzati” indicandoli in reati comuni che, essendo sostanzialmente lesivi di interessi militari, erano configurabili come reati militari soggetti alla giurisdizione penale militare. L’assetto normativo delineato, originariamente previsto dal codice penale militare del 1941, consentiva di pervenire ad una tendenziale completezza, sia pur nell’ottica di una giurisdizione speciale e, quindi, limitata, delle competenze dei tribunali militari, nell’ambito delle quali finivano con il rientrare gran parte degli illeciti commessi nel contesto militare[2]. Il delineato equilibrio venne meno per effetto della modifica apportata, sotto la spinta di un evento di cronaca di rilievo (caso Renzi – Aristarco), dalla legge 23 marzo 1956, n. 167, che modificò le ipotesi di connessione tra reati di competenza del giudice ordinario e militare ed abrogò l’art. 264 c.p.m.p. e quindi i reati “militarizzati”. Conseguentemente, una volta aboliti questi ultimi, ne è derivato un sistema – a tutt’oggi vigente – per cui il reato militare è ravvisabile solo nelle poche figure criminose previste dal codice penale militare o da leggi militari speciali, le quali sono insufficienti a dare completezza e razionalità alla giurisdizione, che viene perciò definita randomica o a macchia di leopardo, proprio per sottolineare che il reato militare si configura oggi in modo del tutto casuale, non rapportandosi alla vasta gamma di attività criminose verificabili in ambito militare le quali, configurandosi quali reati comuni, restano attratte alla giurisdizione del giudice ordinario. L’attuale configurazione del reato militare è perciò formale e sganciata da qualsiasi riferimento sostanziale: è stata, al riguardo, sostenuta l’assoluta libertà del legislatore nel qualificare un reato come militare, non esistendo una costituzionalizzazione dei caratteri del reato militare[3], con la conseguenza che l’interprete, per definirne la natura, non può che arrestarsi dinanzi al dato dell’inclusione della figura criminosa nel codice penale militare essendogli inibita qualsiasi valutazione di natura sostanziale[4]. Al riguardo, si sottolinea che il discrimine tra la giurisdizione ordinaria e militare si fonda proprio sul concetto di reato militare per cui esigenze di certezza, attinenti proprio a possibili conflitti di giurisdizione, impongono di fare ricorso a criteri oggettivi escludendo qualsiasi possibilità di dubbio interpretativo in un campo così delicato.
- Diviene, quindi, un problema di tecnica legislativa, a cui è estraneo l’interprete, la configurazione di un fatto quale reato militare[5]. Tuttavia, anche nell’ottica di una riforma del codice penale militare di pace tesa a conferire organicità e razionalità alla materia mediante una riconfigurazione del concetto di reato militare, ritengo che, pur dovendosi conservare il criterio della integralità consistente nell’inclusione di tutte le fattispecie criminose nel codice penale militare, proprio per regolare con certezza i confini tra le due giurisdizioni, il legislatore non possa esimersi, nella determinazione delle fattispecie qualificabili quale reato militare, dal considerare l’interesse protetto che non può essere che militare stricto sensu.
Tale valutazione è di facile risoluzione nel caso di reati esclusivamente militari, il cui bene giuridico tutelato fa capo solo all’Amministrazione militare, mentre è più problematico in presenza di reati plurioffensivi che ledono, oltre che l’interesse giuridico militare, altre oggettività.In tali ultimi casi, si è sostenuto[6], ai fini della qualificazione di un fatto quale reato militare, che l’interesse militare apprezzabile potrebbe derivare anche da comportamenti in contrasto con il bene costituzionale della difesa della Patria (art. 52 Cost.) o che si pongano in contrasto con principi democratici delle Forze Armate o che comportino lesione di diritti o interessi legittimi all’interno delle stesse[7]. Tenuto conto di ciò, ritengo che, affinché il concetto di reato militare risponda anche ad un criterio sostanziale, sia necessario che l’interesse da tutelare dalla norma incriminatrice, anche se non prevalentemente militare, sia funzionale a garantire la coesione delle Forze Armate e il regolare andamento del consorzio militare, come da recenti indicazioni della Corte costituzionale (sentenza cit. n. 215/2017). A rafforzare tale tesi soccorre la considerazione che sono già previsti dal codice penale militare reati (plurioffensivi) contro la persona (artt.186, 189, 195,196, 222, 223, 224,226, 227 cpmp ed altri) nei quali la tutela di beni giuridici del soggetto passivo militare si affianca alla tutela di interessi militari quale il rapporto gerarchico, l’ordinata e regolare convivenza all’interno delle caserme, il mantenimento delle condizioni atte a garantire l’efficienza delle Forze Armate.In tale ottica, non dovrà escludersi in futuro, nel quadro di una riforma tesa alla razionalizzazione del reato militare, che la tutela di interessi militari, come sopra individuati, condizioni essenziali per il funzionamento delle Forze armate, possa costituire parte rilevante della plurioffensività, in concorso con la tutela di beni soggettivi del militare e legittimare, quindi, la configurazione della fattispecie criminosa come reato militare e non comune.
2.3 Sotto altro aspetto va ricordato che la Corte di cassazione (Cass, Sez. Unite, 14aprile 2017, n. 18621), partendo dalla premessa secondo cui la Corte costituzionale in alcune occasioni ha rimarcato la rilevanza del principio dell’unità della giurisdizione rispetto alla quale la giurisdizione militare si porrebbe in termini di eccezione, ha sottolineato il carattere restrittivo di quest’ultima, affermando che “la giurisdizione normalmente da adire è quella dei giudici ordinari anche nella materia militare” per cui il giudice ordinario sarebbe competente per tutti i reati diversamente dalla giurisdizione militare che sarebbe solo occasionale ed eventuale, come si desume dall’inciso “soltanto” contenuto nell’art. 103, u.c., Cost. In realtà si osserva che la giurisdizione per i reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze Armate appartiene geneticamente ed ontologicamente ai Tribunali militari anche se per talune sopravvenute circostanze può mutare a favore del giudice ordinario, come avviene per i casi connessione tra reati comuni e militari (art. 13 c.p.m.p.) se il reato comune connesso sia più grave di quello militare e nei casi di reato militare commesso dal minorenne. Trattasi, tuttavia, di eccezioni che non inficiano l’impianto costituzionale della giurisdizione dei tribunali militari come regola per i reati militari: ogni diversa interpretazione renderebbe vano il disposto della previsione dei Tribunali militari, introducendo una giurisdizione eventuale, priva dei caratteri di certezza e di inderogabilità e con riflessi negativi anche sul principio costituzionale del giudice naturale.
3. Limite soggettivo alla giurisdizione militare: gli appartenenti alle Forze Armate 3.1 L’art 103 u.c. Cost., stabilendo che i Tribunali militari in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze Armate, pone anche un limite soggettivo alla giurisdizione militare.
Tale requisito deve intendersi in senso restrittivo in quanto l’appartenenza deve ritenersi effettiva e, cioè, consistente nella concreta prestazione del servizio alle armi o in situazioni equiparabili, che, comunque, comportano il reale inserimento del soggetto nel contesto militare.
Coloro che prestano servizio nell’Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza sono soggetti alla legge penale militare.
La Polizia di Stato è stata smilitarizzata con legge 1 aprile 1981, n.121 e gli Agenti di custodia trasformati in Polizia penitenziaria con legge 15 dicembre 1990, n. 395.
Entrambi i Corpi, sottoposti alla giurisdizione militare fino alla data di entrata in vigore delle leggi che ne sancirono la smilitarizzazione, sono ora sottoposti al codice penale comune ed alla giurisdizione ordinaria.
La tendenza dei decenni scorsi alla smilitarizzazione delle Forze di polizia ha subito un’eccezione con la riforma del Corpo forestale che, con decreto legislativo 19 agosto 2016 n. 177, è stato assorbito, in prevalenza, nell’Arma dei Carabinieri. Gli appartenenti hanno perso in tal modo lo status civile ed acquisito quello militare, con tutte le conseguenze, tra cui, non ultima, la sottoposizione alla legge penale militare ed alla giurisdizione militare. La questione è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, che con sentenza n. 170/2019, decidendo su talune questioni di costituzionalità, ha escluso vizi di illegittimità nell’assorbimento del Corpo forestale nell’Arma dei carabinieri.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, adita dai ricorrenti, esprimeva un diverso avviso ipotizzando la violazione dell’art. 11 della Convenzione europea che tutela il diritto di libera riunione e associazione: il mutamento di status giuridico da civile in militare, infatti, implicherebbe una limitazione dei diritti di associazione e di sciopero che, allo stato, non sono nel nostro Paese riconosciuti ai militari – o quanto meno non in forma piena – secondo il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (codice dell’ordinamento militare) e la legge 11 luglio 1978, n. 382 (norme di principio sulla disciplina militare) che stabiliscono che le Forze armate, inclusi i carabinieri, non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale e aderire ad altre associazioni sindacali.
La Corte sovranazionale ha invitato il governo italiano ad “offrire una soluzione conciliativa” in mancanza della quale sarebbe stato tenuto a “rispondere a una serie di quesiti riguardanti proprio il diritto di sciopero e libera associazione. In particolare, dovrà chiarire perché l’agente della Forestale trasformato in un carabiniere si può associare in un solo sindacato, che non ha il potere di sedersi al tavolo della contrattazione economica. Un sindacato ‘minore’ rispetto a quello di cui faceva parte quando non era ancora un carabiniere”.
La questione di notevole rilevanza, tuttavia, trovava solo una parziale soluzione e si risolveva con la decisione della Corte di “cancellare il ricorso dal ruolo” (un sostanziale non luogo a procedere), in accoglimento della proposta unilaterale presentata dal governo italiano di accordare ai quattro ricorrenti un risarcimento di mille euro. Conseguentemente, resta aperto il problema relativo alla legittimità, secondo la giurisprudenza comunitaria, del mutamento di status da civile in militare per effetto dell’ius superveniens nazionale. Di fatto, la decisione interlocutoria della Corte Edu costituisce un monito, in caso di future eventuali militarizzazioni di corpi civili, dovendo per tale ipotesi tenersi conto della perdita di taluni diritti garantiti dalla Carta costituzionale europea. Al riguardo, trattandosi di diritti disponibili, potrebbe prevedersi il consenso esplicito del soggetto alla parziale rinuncia o all’esercizio del diritto stesso secondo differenti modalità.
3.2 De iure condito non sussiste piena coincidenza, da un lato, tra soggetti cui si applica la legge penale militare e, dall’altro, soggetti sottoposti alla giurisdizione militare, nel senso che l’ambito soggettivo della legge penale militare è più ampio di quello relativo alla giurisdizione militare.
Si applica il codice penale militare, infatti, anche a coloro che non sono appartenenti alle Forze armate, quali i militari in congedo illimitato, in congedo assoluto, gli assimilati ai militari, gli iscritti ai corpi civili militarmente ordinati e ogni altra persona estranea alle Forze armate (art. 1 c.p.m.p.). L’ufficiale che si trova nella posizione giuridica di ausiliaria è a tutti gli effetti un ufficiale non in congedo illimitato e, pertanto, nei suoi confronti trova applicazione l’art. 7 stesso codice che elenca tassativamente i reati per i quali gli si applica la legge penale militare (Cassazione, sez 6, 17 dicembre 1997, conf. S.U. 7.3.53, Ranalli, in Giust. Pen. 1953, II, 1064). L’art. 16 c.p.m.p. prevede l’applicazione della legge penale militare anche al “militare di fatto”, colui cioè che abbia commesso un reato militare antecedentemente a che venisse dichiarata la nullità dell’atto di arruolamento o che di fatto presti servizio alle armi.
La legge penale militare si applica altresì all’estraneo alle Forze armate (art. 14 c.p.m.p.) in talune ipotesi specifiche previste dalle norme del codice penale militare (artt. 140, 166 c.p.m.p.) ed in quelle di concorso in un reato militare con un militare. In tal caso, il civile ed il militare sono sottoposti rispettivamente alla giurisdizione ordinaria o militare, tranne che il militare abbia commesso anche un reato comune connesso più grave di quello militare: ipotesi in cui la competenza appartiene al giudice ordinario con conseguente celebrazione di un simultaneus processus. Per converso, la celebrazione di un doppio processo, militare e ordinario, in caso di concorso tra civile e militare nella commissione di un reato militare, comporta l’inconveniente di una duplicazione di indagini ed assunzione di prove nonché un possibile conflitto di giudicati.
3.3 L’art. 5 c.p.m.p. stabilisce l’applicabilità della legge penale militare e la sottoposizione alla giurisdizione militare anche per gli ufficiali collocati in aspettativa o sospesi dal servizio, i sottufficiali collocati in aspettativa, i militari in stato di assenza arbitraria dal servizio, ai sensi dell’art 3 c.p.m.p.
Si rileva che andrebbe parificata la posizione del sottufficiale a quella dell’ufficiale quanto all’applicazione della legge penale militare anche nel periodo di sospensione dal servizio (discrasia causata dal fatto che, in precedenza, non era prevista la sospensione dal servizio per i sottufficiali). La Suprema Corte ha, infatti, escluso per un sottufficiale, in stato di sospensione dal servizio, imputato di disobbedienza (art. 173 c.p.m.p.), la sottoposizione alla legge penale militare assolvendolo dal reato militare contestato (Cassazione 51398/16), mentre nell’analoga situazione l’ufficiale avrebbe risposto del reato in questione.
Le restanti categorie di cui all’art. 5, nn. 4), 5), 6), pur essendo assoggettabili alla legge penale militare, non sono sottoposte alla giurisdizione militare non rivestendo la qualità di militari in servizio attivo ai sensi dell’art. 3. Si aggiunge che, in base a tale articolo, l’assenza del militare in servizio alle armi per qualsiasi titolo non esclude l’applicazione della legge penale militare.
L’art. 238 c.p.m.p. stabilisce, infine, una sorta di ultrattività della legge penale militare, disponendo l’applicazione di norme del codice penale militare di pace (capi terzo, quarto e sesto del titolo terzo del libro secondo) qualora vengano commessi, a causa del servizio prestato, dal militare in congedo entro due anni dal giorno in cui è cessato dal servizio. La norma, analoga a quella prevista dall’art 360 c.p. per il pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio o esercente un servizio di pubblica necessità, nella parte in cui prevede detto limite temporale appare irragionevole e “del tutto arbitrario”[8], tanto più che la corrispondente figura di cui all’art. 360 c.p. lega l’applicabilità della disciplina penale solo al nesso eziologico con l’ufficio o il servizio esercitato. Pertanto, in prospettiva, se ne auspica l’eliminazione.
- Codice penale militare di guerra
L’art.103, u.c., Cost. stabilisce che i Tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge.
Il codice penale militare di guerra, approvato con r.d. 20 febbraio 1941 n. 303, non ha subito, nel corso degli anni, che pochissime modifiche sicché ad oggi si presenta come un corpo di norme obsolete, spesso non in linea con i principi costituzionali e nell’insieme non rispondente alle esigenze della Difesa. La stessa dicotomia codice penale militare di guerra/codice penale militare di pace è assai poco rispondente all’evoluzione dei tempi, non tenendo conto del considerevole peso che, nel corso dei decenni, hanno assunto le operazioni internazionali di pace all’estero che impegnano a tutt’oggi prevalentemente le nostre Forze Armate in molte parti del globo. E’ stata più volte segnalata l’esigenza di introdurre un codice delle missioni internazionali che disciplini l’agere licere delle nostre truppe all’estero quale strumento adatto ad una concezione delle Forze armate più moderna, aderente ai tempi ed ai compiti alle stesse demandati. Tuttavia, ad oggi non risultano iniziative legislative pendenti mentre il difetto di una normativa che regolamenti i comportamenti dal punto di vista penale costituisce un grave vulnus per chi opera in teatri militari all’estero.
4.2 Il codice penale militare di guerra non prevede le stesse restrizioni soggettive ed oggettive del codice di pace in quanto la legge penale militare di guerra si applica a militari e civili che sono anche sottoposti alla giurisdizione militare in tempo di guerra.
L’art. 9 del codice penale militare di guerra, come sostituito dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6, prevede un’ipotesi di applicazione del c.p.m.g. in tempo di pace stabilendo che, sino all’entrata in vigore di una nuova legge organica sulla materia penale militare, in caso di corpi di spedizione all’estero per operazioni armate anche in tempo di pace, si applica la legge penale militare di guerra definendone i limiti temporali. Con successiva legge n. 14 del 21 luglio 2016, all’art. 19 è stato stabilito che: “1. Al personale che partecipa alle missioni internazionali, nonché al personale inviato in supporto alle medesime missioni si applica il codice penale militare di pace”. Al riguardo è sorto il dubbio interpretativo se tale ultima disposizione valga anche per le operazioni militari “armate”, per le quali, ai sensi dell’art.9 c.p.m.p., dovrebbe applicarsi la legge penale militare di guerra o se il citato disposto di cui all’art. 19, che esclude l’applicazione del codice penale militare di guerra, riguardi solo le missioni di pace non armate. In presenza di discordanti orientamenti appare opportuno un intervento normativo, che oltre a chiarire la portata delle norme citate, ridisegni una nuova disciplina per le operazioni armate e non armate all’estero.
Quanto al concetto di reato militare in tempo di guerra, l’art. 47 prevede che, nei casi non previsti dal codice di guerra, si applicano le disposizioni del codice penale militare di pace con aumento di pena nonché le norme previste dal codice penale comune per talune categorie di reati comuni che vengono perciò militarizzati qualora commessi “con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o in luogo militare”: si realizza in tal modo una sorta di complementarietà del codice penale di guerra rispetto agli altri due codici.
Note
[1] (V.Onida, 2003)
[2] Tale articolo comportava “un’assoluta discrezionalità del legislatore in ordine sia alla definizione della nozione di reato militare, sia di conseguenza, all’individuazione dei limiti della giurisdizione militare.” (D. Brunelli, G. Mazzi, 2007).
[3] (P. Stellacci, 1991).
[4] (R. Venditti, 1993).
[5] (S. Malizia, 1971).
[6] (Del Re, 1982).
[7] (G. Rosin, 1983).
[8] (D. Brunelli, G. Mazzi, 2007).
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Maurizio BLOCK è un magistrato militare, attualmente procuratore generale militare presso la Corte di cassazione. Laureatosi nel 1980 presso l’Università degli Studi di Napoli, ha svolto servizio nella Guardia di Finanza ed è quindi risultato vincitore del concorso in magistratura militare, nel 1982. Ha svolto fino al 1996 funzioni di giudice e quindi di procuratore militare capo presso il Tribunale militare di Padova fino all’aprile 2005, quando veniva destinato quale esperto nazionale nella missione “EUJUST LEX- Integrated Rule of Law Mission for Iraq” a Bruxelles. Rientrato in ruolo, era eletto al Consiglio della Magistratura militare dal 2009 al 2013. Nel 2016 veniva nominato presidente della Corte militare di appello e quindi nel dicembre 2017 procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, carica che attualmente riveste al vertice della magistratura militare. E’ componente di diritto dell’organo di autogoverno della magistratura militare. E’ direttore del periodico “La Rassegna della Giustizia militare” e presidente del Gruppo italiano della Société De Droit Militaire et De Droit De La Guerre. E’ presidente di sezione alla CTR Lazio. Numerose sono state le sue audizioni in sede parlamentare, i suoi interventi in convegni e seminari giuridici su temi di competenza e le pubblicazioni su riviste giuridiche. E’ anche autore di pubblicazioni e articoli nel settore penalistico militare.



