Una nuova agenda per il giudice e il PNRR

april 2008

Tra gli strumenti che il PNRR reputa utili per migliorare la risposta giudiziaria c’è anche il calendario del processo.[1]

Nel processo civile il calendario del processo è peraltro già previsto dall’art. 81 bis delle disposizioni di attuazione: il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, fissa il calendario delle udienze successive, fino alla conclusione del processo. La norma è vigente dal 2009 (art. 52, legge n. 69/2009).

Nel 2016, a un questionario rivolto ai giudici iscritti alla mailing list “ANM”, su trenta che hanno risposto, solo due dichiaravano di calendarizzare la generalità delle cause. Non esistono (a quanto consta) studi sul livello di applicazione dell’art. 81 bis, ma tra avvocati e magistrati è diffusa l’opinione che reputa la norma quasi mai applicata.

È un peccato: se applicato su larga scala il calendario del processo avrebbe un impatto rilevante.

È lo strumento che consente di concentrare i processi (il giudice, definendo fin dalle prime battute della causa tutte le udienze successive può approssimare l’istruttoria alla decisione).

È la modalità di gestione dei ruoli che mostra più considerazione verso tutti gli attori del processo.[2] L’applicazione del calendario del processo soddisfa l’esigenza delle parti di avere “tempi certi”.

Calendarizzando le cause, a parità di tempo e risorse impiegate, il giudice riduce la durata media dei processi.[3] La riduzione del tempo medio dei processi si produce in modo “matematico” e consistente[4] (per un semplice esempio si veda http://www.progettothemis.it/Page.aspx?CAT=STANDARD&IdPage=bb71eef5-b0d8-4a74-b4c5-e48bcefdb6af)

Una conferma dei positivi effetti della calendarizzazione sulla durata dei processi è costituita dai programmi di gestione previsti dall’art. 37 del decreto legge n. 98/2011.

Con essi i dirigenti, sulla base dei prospetti statistici elaborati dal CSM (che individuano le pendenze per anno di iscrizione), indicano la quantità dei procedimenti ultratriennali (o ultrabiennali per le Corti d’appello) da definire nell’anno successivo.

I giudici, sulla base di queste indicazioni, individuano per ciascuna delle cause da definire nell’anno, gli adempimenti e le relative udienze, fino a quella di PC o discussione. Una prassi analoga, nel settore penale, è seguita per i processi a rischio di prescrizione: per evitare che si prolunghino oltre la data limite, si calendarizzano tutti i prevedibili adempimenti del processo, fino alla sua conclusione entro un tempo definito.

Con i programmi di gestione viene chiesto ai giudici di “mettere in ordine” le cause, programmando la decisione prioritaria dei processi più vecchi che, senza tale attività, resterebbero “indietro” rispetto ai più giovani. Non si chiede lor di aumentare il numero delle cause da decidere ma di gestirle in modo sequenziale: prima le più vecchie e poi le altre.

Attualmente la modalità più diffusa di gestione dei ruoli è “seriale”: i giudici non programmano fin dall’inizio tutta la causa, ma fissano un’udienza per volta. Così, quelle che richiedono un maggior numero di adempimenti e di udienze tendono fatalmente a posizionarsi in fondo alla fila, producendo nel tempo il cd. “arretrato patologico”. Con i programmi di gestione queste cause vengono individuate, “prelevate dal fondo della fila” e poste “in cima”.

Il metodo costituisce una forma di calendarizzazione una tantum, a “piccole dosi”, che funziona. I processi calendarizzati si definiscono più velocemente degli altri.

Se la calendarizzazione fosse attuata in modo sistematico, per la generalità dei processi, tutte le cause si svolgerebbero in sequenza, secondo l’ordine di iscrizione dei processi e quindi le più vecchie sarebbero sempre le prime ad essere decise.

Se il calendario del processo ha questi vantaggi, perché è una pratica così poco applicata dai giudici?

Va considerato che:

  • calendarizzare le cause è più impegnativo che non farlo. Il giudice deve individuare e annotare fin dal primo contatto con le parti il probabile numero di udienze necessarie per definire la causa. Ipotizzando una media di tre udienze per causa, un giudice con 500 fascicoli, che calendarizza sistematicamente, occupa 1500 udienze nella sua agenda; solo 500 il giudice che fissa un’udienza per volta, secondo la modalità seriale. Calendarizzare ha un costo non trascurabile, di impegno e di “congestione” del ruolo.
  • L’estinzione di un procedimento, per qualunque motivo, rende necessario “liberare” le udienze prenotate, per renderle disponibili ad altri adempimenti. Questa riprogrammazione non è richiesta al giudice “seriale”. Qualcosa di simile accade quando l’adempimento programmato per qualche motivo salta (il teste non viene; le parti chiedono un rinvio, ecc.): per il giudice “seriale”, che ha un’agenda “corta”, ciò non crea grossi problemi, ma per il giudice “sequenziale” c’è il rischio che salti tutto il calendario.
  • Tra i giudici è diffusa la convinzione che i tempi eccessivi delle cause dipendano essenzialmente dall’eccesso di domanda di giustizia e dalla scarsità di risorse piuttosto che dalle modalità di gestione dei propri ruoli. Si tratta di un assunto smentito da numerose ricerche scientifiche[5], che si comprende considerando che gli effetti della gestione sequenziale dei ruoli non sono affatto intuitivi. Infatti, la loro evidenza in ambito giudiziario è merito dello studio empirico di economisti e non di giuristi.

Questi fattori spiegano la ragione della forte resistenza dei giudici nell’applicare su larga scala il calendario del processo. [6]

Se a dodici anni dalla sua introduzione il calendario del processo è una pratica seguita solo marginalmente, non vi sono ragioni per pensare che nel processo penale l’introduzione dell’art. 1.11 della legge n. 134/2021, possa produrre, da sola, un significativo cambio di passo. È più probabile che si riproduca la situazione di sostanziale disapplicazione della norma, che oggi verifichiamo nel processo civile.

Ma la giustizia italiana può davvero permettersi ancora fallimenti di questa portata?

Gli obiettivi che lo Stato italiano si è dato con il PNRR richiedono uno sforzo inedito ai magistrati italiani (abbattimento del 90% delle pendenze ultratriennali in primo e secondo grado; abbattimento del 40% del disposition time, ecc.).

Per conseguirli l’aumento della quantità delle definizioni non è l’unica opzione in campo. La calendarizzazione dei processi, che consente la riduzione dei tempi medi delle cause senza necessità di aumentare la quantità delle definizioni, dovrebbe perciò essere una priorità.

Per gestire i ruoli i giudici si usano ancora agende di carta o fogli volanti. Poiché le difficoltà che il giudice incontra nel calendarizzare i processi sono in gran parte reali, fornire strumenti in grado di aiutarli nella programmazione dei ruoli dovrebbe costituire un imperativo. Quella attuale è una condizione di arretratezza imbarazzante se si considera che la tecnologia informatica consente di realizzare agende che oltre a tenere memoria degli eventi possono “suggerire” al giudice l’udienza migliore per ogni adempimento[7].

Quattro anni fa il Ministero della Giustizia ha rifiutato la donazione di un software  promosso dalla Fondazione G. Pera di Lucca e progettato in funzione della gestione sequenziale dei processi[8]. E’ stata una scelta difficile da comprendere se si considera che ad essa non è seguito uno sforzo progettuale in analoga direzione. Se fosse stata accolta la proposta di una seria sperimentazione del programma, ci troveremmo ora in una condizione migliore.

Anche le opportunità perse hanno un costo.

[1] A pag. 61  tra le modalità di attuazione degli interventi sul processo civile diretti tra l’altro ad estendere modelli già sperimentati con profitto e già valutati dalle agenzie internazionali di monitoraggio (per es., CEPEJ), si prevede “una più efficace gestione della fase istruttoria attraverso un più rispettoso utilizzo del calendario del processo”; a pag. 65, tra le modalità di attuazione degli interventi sul processo penale e con la finalità di garantire al dibattimento in primo grado una maggiore scorrevolezza, si prevedono, tra l’altro, “adempimenti concernenti la calendarizzazione delle udienze dedicate all’istruzione dibattimentale e alla discussione finale”. Questa previsione si è tradotta nell’art. 1, c. 11, lett. a, della L. 134/2021 (“prevedere che, quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, dopo la lettura dell’ordinanza con cui provvede all’ammissione delle prove il giudice comunichi alle parti il calendario delle udienze per l’istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione”).

[2] Luca Verzelloni (Dietro la cattedra del giudice, 2009) giustamente ricorda che “L’organizzazione delle tempistiche processuali lungi dal definire unicamente i tempi di vita e di lavoro di ogni giudice, ha un’incidenza diretta sulla rete di attori che a vario titolo partecipano ai procedimenti giudiziari”.

[3] Lo dimostrano studi ormai risalenti, (A. Ichino, D. Coviello e N. Persoco, Giudici in AffannoAnnuario di diritto comparato e studi legislative, 2012, id., Time Allocation and Task JugglingAmerican Economic Review, 2013; id., The Inefficiency of worker time useJournal of the European Economic Association, 2015).

[4]Oltre la metà della differenza tra i più veloci e i più lenti è spiegata dal grado con cui il giudice adempie l’obbligo di concentrare le udienze di un processo, trattando i casi assegnati il più possibile in sequenza, non in parallelo.” (A. Ichino, Consigli per Cartabia: un software per accelerare la giustizia civile, Il Foglio, 23 settembre 2021).

[5] Secondo Fabio Bartolomeo e Magda Bianco,  La performance del sistema giudiziario italiano,  Milano, 20 gennaio 2017,  “Approfondimenti di analisi mirati a comprendere le ragioni delle differenze di performance nelle diverse zone del paese, escludono una correlazione diretta con la disponibilità di risorse (che anzi, talvolta è inversa …) rivelando una maggiore incidenza delle capacità organizzative dei capi degli uffici”.

[6] Di queste diffuse preoccupazioni è espressione emblematica il comunicato di Magistratura Indipendente del 21 gennaio 2014 (“Il Gruppo di Magistratura Indipendente, ritiene  che la norma che impone al giudice di redigere, indiscriminatamente per tutti i processi civili, un calendario di tutte le udienze successive, con la specifica indicazione degli incombenti che verranno in ciascuna di esse espletati, è concretamente inattuabile … Rileva che l’obbligo di redigere il calendario del processo, previsto a pena di sanzioni disciplinari, non tiene in alcun conto i gravosi carichi di lavoro dei magistrati italiani, come tali incompatibili con una giustizia celere ed efficiente ed il cui peso ultimo ricade sempre e soltanto sui giudici italiani”).

[7] Sul rilievo strategico dell’agenda del giudice, v. L. Vezelloni, cit., “L’agenda è quello specifico affiliative object (oggetto affiliativo) (Suchman 2005) che definisce ed articola nel tempo l’attività degli attori che prendono parte direttamente o indirettamente ad ogni singolo procedimento: parti, avvocati, testimoni, consulenti, cancellieri ecc.99. Questa tecnologia si configura come un object-centered sociality (oggetto al centro della socialità) (Knorr-Cetina 1997), ovvero come una risorsa strategica, ed al tempo stesso contingente, (Suchman 2005: 381) per la definizione delle relazioni organizzative e professionali che contraddistinguono il funzionamento di una corte di giustizia”.

[8] Per maggiori informazioni sul programma A-Lex e il suo funzionamento, v. http://www.progettothemis.it/home.aspx

Dott. Maurizio Paganelli

Giudice del lavoro presso il Tribunale di Pesaro

In foto: Kazimir Malevich, Bureau and room, 1913, Stedelijk Museum, Amsterdam.