La nuova formulazione dell’art. 96 c.p.c.
di Chiara Gagliano, Giudice civile e del lavoro presso il Tribunale di Termini Imerese
Il comma 21 della legge delega ha dettato alcuni principi che, attraverso una rimeditata e più puntuale applicazione degli strumenti sanzionatori a disposizione del giudice (in primis, nella definitiva liquidazione delle spese di lite, nell’applicazione delle diverse forme di condanna di cui all’art. 96 c.p.c.), ma anche nella stessa valutazione del comportamento processuale delle parti ai fini della decisione, hanno inteso rafforzare i principi di lealtà, trasparenza e collaborazione che devono improntare il giusto processo.
In tale prospettiva, si pone innanzitutto la nuova formulazione dell’art. 96 c.p.c.
Come noto, tale norma, al primo comma, prevede che, qualora la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida anche d’ufficio nella sentenza.
La disposizione, al secondo comma, stabilisce invece che qualora il giudice accerti l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata, condanni al risarcimento dei danni l’attore o il credito procedente che ha agito senza la normale prudenza.
In ogni caso, stabilisce il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, quale sanzione per il comportamento illegittimo e ristoro del danno complessivamente subito.
Alla disposizione in commento è stato aggiunto, inoltre, un quarto comma per dare attuazione al comma 21, lettera a), della legge delega: esso contiene la previsione che nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dal primo, secondo e terzo comma di tale disposizione, sia possibile comminare alla parte soccombente una sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000, da versarsi a favore della cassa delle ammende, a compensazione del danno arrecato all’Amministrazione della giustizia per l’inutile impiego di risorse speso nella gestione del processo.
Nel tentativo, dunque, di rendere effettivi i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi, la nuova formulazione dell’art. 96 statuisce che l’Amministrazione della giustizia debba essere riconosciuta come soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata della parte soccombente, la quale sarà soggetta a una sanzione, la cui misura minima e massima è fissata direttamente dalla legge, da versarsi in favore della cassa delle ammende.
Nulla cambia in ordine ai presupposti di cui alla richiamata norma, la quale – nel disciplinare come figura di danno extracontrattuale la responsabilità processuale aggravata per mala fede o colpa grave della parte soccombente in un giudizio di cognizione – non deroga al principio secondo il quale colui che intende ottenere il risarcimento dei danni deve dare la prova sia dell’an che del quantum, ed il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, qualora la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione del danno lamentato; detta condanna, infatti, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuno è tenuto, non può derivare solo dal fatto della prospettazione di tesi giuridiche non condivise dal giudice, occorrendo che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi.
A rafforzare ulteriormente gli effetti della norma in commento, il D.M. n. 147 del 13.08.2022, recante modifiche al D.M. n. 55 del 10.03.2014, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ha inoltre introdotto una specifica penalità sui compensi spettanti agli avvocati nell’ipotesi di lite temeraria, con cui si mira a colpire l’uso distorto dello strumento processuale, riducendo del 75% il compenso dovuto al procuratore, allorquando le cause siano introdotte con mala fede o colpa grave.
Nella stessa ottica, al fine di promuovere la leale collaborazione fra le parti e il giudice, è stata introdotta una modifica degli artt. 118 e 210 c.p.c., mediante l’inserimento della previsione di conseguenze processuali e di sanzioni pecuniarie nei casi nei quali una parte si rifiuti ingiustificatamente di eseguire un ordine di ispezione a persone o cose, comminato dal giudice nel corso dell’istruttoria ovvero nei casi di rifiuto o inadempimento non giustificati di consentire l’ordine di esibizione.
In particolare, in attuazione di quanto previsto dal comma 21, lettera b), il legislatore delegato ha introdotto, nelle suindicate disposizioni, la possibilità per il giudice di irrogare una sanzione pecuniaria di importo compreso tra € 500,00 ed € 3.000,00, da versarsi in favore della cassa delle ammende.
Inoltre, all’art. 210 c.p.c., è precisato che il giudice potrà desumere da tale inadempimento argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.
Il quinto comma, infine, analogamente all’ultimo comma dell’art. 118 c.p.c., prende in considerazione l’inadempimento del terzo, punendolo con una sanzione pecuniaria dimezzata (da € 200 a € 1.500,00).
La sanzione non è tuttavia automatica, consentendo sempre al giudice di valutare le ragioni dell’inadempimento ed, eventualmente, ritenerlo giustificato.
Infine, il principio di cui al comma 21, lettera c), è stato attuato prevedendo nell’art. 213 c.p.c. che, in caso di richiesta d’ufficio di informazioni alla pubblica amministrazione, questa sia tenuta a trasmetterle o a comunicare le ragioni del diniego entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento di richiesta del giudice.
Le novità in commento, pur mantenendo ciascuno una loro specificità, operano, all’interno delle singole innovazioni proposte, in forma congiunta, contribuendo nel loro insieme a perseguire il valore dell’effettività della tutela giurisdizionale, che rappresenta una sorta di unitaria “stella polare” di riferimento nel sistema della giustizia civile.
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In foto: Tribunale civile di Roma, fonte Tribunale Ordinario di Roma