
Una (ultima?) occasione per infuturare il Paese.
Il saggio offre un primo esame di alcuni dei principali impatti che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è destinato ad avere sul sistema imprenditoriale. In particolare viene sottolineato il ruolo che i professionisti sono chiamati a svolgere per una sua efficace attuazione, sin dalla fase iniziale per assicurare che i progetti prefigurati nel Piano siano instradati su binari adeguatamente solidi sul piano legale e amministrativo. Il Piano rappresenta una straordinaria e imperdibile occasione per accompagnare le imprese in quei processi di innovazione tecnologica, che costituiscono un driver fondamentale di evoluzione verso la sostenibilità. In questa prospettiva le realtà imprenditoriali dovranno orientarsi verso un utilizzo più ampio e consapevole degli strumenti di intelligenza artificiale, definendo al contempo le policies necessarie per governarle adeguatamente.
1. L’intervenuta approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sul quale si è espressa positivamente da ultimo la Commissione europea, pone immediatamente a operatori e tecnici il problema della messa a terra delle sue previsioni, portandole dall’empireo dei grandi obiettivi enunciati alle strade più sassose della operatività concreta dell’operatività delle imprese e delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di tradurre dalle parole ai fatti le finalità di un piano la cui corretta esecuzione sarà decisiva. Un piano che certamente gode del volano di una formidabile dote di risorse frutto della solidarietà europea, e di una visione finalmente di ampio respiro che richiama lo spirito di Ventotene. Ma anche un piano che si sarebbe dovuto realizzare comunque per il futuro del nostro Paese, a partire dalle sue premesse, quelle riforme abilitanti che lo stesso piano riconosce come precondizioni per il suo successo.
Del resto, è sufficiente leggere il cahier de doléances contenuto nelle prime pagine del Piano per avere piena consapevolezza del carattere decisivo dell’opzione che si presenta dinnanzi all’Italia: assecondare un futuro di sviluppo nel cambiamento o rimanere avvinghiata ad una realtà sempre più anacronistica, avviluppata nella sclerosi di assetti ed interessi corporativi che a quella evoluzione hanno sinora tarpato le ali.
E proprio quelle pagine indicano chiaramente che siamo di fronte a un’opportunità straordinaria, ma al contempo a una last call, un’ultima chiamata che dev’essere presa al volo per innescare un indifferibile processo trasformativo. Questa consapevolezza è necessaria per creare attorno al processo riformatore un forte commitment nella società, che costituisce una precondizione per poter superare vischiosità e idola fori radicati: il pensiero va alla pubblica amministrazione, alla giustizia, ma anche, per alcuni versi, al sistema bancario. In assenza di una diffusa condivisione civile e morale della necessità di una soluzione di continuità rispetto al passato non sarà possibile realizzare il cambio di paradigma che il piano presuppone.
2. A questo riguardo, fondamentale è il ruolo che sono chiamati a svolgere. Un contributo essenziale sia in chiave proattiva, nella fase iniziale, affinché i progetti siano instradati su binari adeguatamente solidi sul piano legale e amministrativo; sia, nella fase esecutiva, per monitorarne – come raccomanda l’Europa – gli sviluppi milestone by milestone; sia, infine, per verificarne l’impatto concreto all’esito della loro realizzazione, un profilo, quest’ultimo, di accountability di cui è sottolineata la rilevanza nella parte finale del Piano Nazionale.
Si tratta di superare l’idea semplificatoria (e semplicistica) del liberi tutti, che è tanto seduttiva quanto perniciosa: lo è sul fronte delle aperture post lockdown, se non adeguatamente verificate nei presupposti e governate nella loro attuazione, e lo sarà per quanto attiene all’utilizzo di questi fondi che non possono essere ripartiti dall’alto a pioggia, né attinti a valle in termini non adeguatamente strutturati. Un ruolo decisivo nella costruzione di binari, per riprendere la metafora ferroviaria, la cui solidità valga non solo a prevenire deragliamenti, ma anche a far correre più rapidamente i progetti; e ciò grazie anche a una loro standardizzazione che, una volta individuati strumenti efficaci e condivisi con le autorità interne ed europee, da un lato, e Cassa Depositi e Prestiti, le banche d’affari e gli investitori privati, dall’altro, permetta di semplificare e velocizzare la irradiazione delle finalità del piano nel tessuto imprenditoriale.
In questo quadro si rivela fondamentale anche un’apertura internazionale – e, più in generale, una visione comparatistica – che consenta di fare tesoro delle esperienze e degli strumenti sperimentati altrove.
In questa direzione esemplare è l’elaborazione, a cui ha concorso chi scrive queste righe, di una variante delle contingent shares americane, evoluta facendo tesoro delle proposte del Notariato milanese sulle azioni autoestinguibili (e del Notariato fiorentino sulle azioni a tempo). Un connubio virtuoso che è stato presentato al MEF con la denominazione contingent shares for survival capital (l’acronimo è CS4SC): in via di estrema semplificazione, una fattispecie speculare alle obbligazioni convertibili in azioni che, proprio in quanto azioni convertibili in obbligazioni, consentirebbero un immediato rafforzamento patrimoniale delle imprese, ma dovrebbero al contempo superare possibili obiezioni rispetto ai – perduranti, seppur (opportunamente) allentati – limiti agli aiuti di Stato.
E questo è solo uno degli esempi sul quale “si parrà la nobilitade” e la capacità di innovare dei giuristi nella elaborazione di quegli strumenti di capitale e quasi capitale che andranno sviluppati, anche lì con il contributo delle controparti nazionali designate e dei partner esecutivi, nel quadro del programma Invest EU – altro prezioso frutto dell’eccellente lavoro del Commissario Gentiloni e del suo team – approvato a marzo 2021 e che istituisce una garanzia dell’UE che sarà in grado di mobilitare fino a quattrocento miliardi di euro di investimenti pubblici e privati in tutta l’Unione per i prossimi sette anni, dal 2021 al 2027.
Ancora, in relazione alle previsioni di EU Next Generation (Regolamento UE 2021/241) e al PNRR andranno messe a terra nuove forme investimento nelle PPP (Public Private Partnerships), immaginando strumenti di co-investimento o di investimento garantito da parte di fondi chiusi, magari in tandem con i fondi di Cassa Depositi e Prestiti. Sono in corso di autorizzazione alcune Sicaf che aspirano a divenire un interessante esempio di contributo privato al piano pubblico e un partner privilegiato in queste PPP finanziarie.
3. In questo scenario rimane fondamentale, da un lato, l’attrattività rispetto a investitori (o co-investitori) stranieri, che dovranno partecipare ai nuovi progetti che innerveranno il panorama interno; e, dall’altro, la propensione all’internazionalizzazione e alla innovazione tecnologica delle imprese italiane.
Sotto il primo versante cruciale è l’avvio di una riforma della giustizia civile, in termini di maggior efficienza, rapidità e prevedibilità: obiettivi che impongono la dotazione di risorse più ingenti, ma anche una maggiore specializzazione (di cui il tribunale delle imprese può essere un punto di riferimento in positivo ma anche in negativo, per i troppi casi di sotto organico). E parimenti fondamentale è lo sviluppo del ricorso agli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, che il PNRR indica come prima dorsale della riforma della giustizia (a sua volta posta in cima a tutte le riforme, insieme a quella della PA, come riforme abilitanti e dunque pre-condizioni per la concreta operatività del Piano).
Se questa evoluzione richiede un intervento dall’alto che superi finalmente ostacoli burocratici e corporativi, non va sottovalutato l’aiuto che sin d’ora i professionisti possono dare nell’accompagnare le imprese in quei processi di innovazione tecnologica che il Piano considera come un driver fondamentale di evoluzione verso la sostenibilità, sottolineando il nesso che collega transizione ecologica e digitalizzazione. In questa direzione il mondo delle professioni potrà guidare le imprese verso un utilizzo più ampio e consapevole degli strumenti di intelligenza artificiale, definendo al contempo le policies per governarlo adeguatamente: come indica, primo in Europa, il Codice di corporate governance olandese e come impongono oggi le regole in tema di protezione di dati personali e, in un futuro ormai prossimo, la proposta di regolamento europeo sull’intelligenza artificiale che la Commissione ha presentato a fine aprile.
La trasformazione digitale è una delle aree di intervento individuate all’art. 3 del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, insieme alla transizione verde e alla crescita intelligente e sostenibile, che comprenda coesione economica, occupazione, produttività, competitività, ricerca, sviluppo e innovazione, e un mercato interno ben funzionante con PMI forti. Nel Piano, come già nei documenti europei, da un lato, si sottolinea il collegamento tra transizione ecologica e digitalizzazione: non la scelta del Ministro della transizione ecologica è felicemente caduta su uno dei massimi esperti di reti neurali e intelligenza artificiale; dall’altro, si constata ancora un inadeguato sfruttamento, ad oggi, delle opportunità legate alla trasformazione digitale, proprio da parte di quelle PMI che costituiscono il tessuto portante del nostro paese. Una più compiuta internalizzazione di strumenti innovativi nel funzionamento delle imprese è del resto considerata una precondizione essenziale per un’adeguata realizzazione del Programma Next Generation EU, che comprende tra le sue sei missioni proprio la digitalizzazione e l’innovazione, insieme a competitività, rivoluzione verde e transizione ecologica; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.
Tra le sei missioni indicate nel PNRR, la digitalizzazione e l’innovazione costituiscono mezzo fondamentale per il raggiungimento anche degli altri obiettivi identificati (competitività, rivoluzione verde e transizione ecologica; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute). L’integrazione di strumenti tecnologici nel tessuto organizzativo e produttivo delle imprese è difatti utile a ridurre la forbice concorrenziale tra grandi imprese digitali e le PMI, con benefici in termini di competitività delle stesse imprese; è inoltre funzionale a un più efficace perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale, di più efficienti attività di ricerca e sviluppo, ma anche alla tutela di diritti fondamentali, quali il diritto alla salute (esplicitamente menzionato dal Piano) e il diritto a non essere discriminati (implicitamente richiamato dallo stesso in relazione al tema dell’inclusione sociale).
Il forte rilievo assegnato alla trasformazione digitale e all’innovazione dal Recovery Plan e dal PNRR sul piano nazionale riflette l’importanza della tecnologia rispetto alla promozione di più ampi obiettivi di Corporate Social Responsibility e di Environmental Social Governance (ESG), di recente presi in considerazione sul piano del diritto societario a livello nazionale e più di recente a livello europeo.
Sul primo fronte, il nuovo codice di Corporate Governance ha ampliato lo scopo sociale, con il riferimento al successo sostenibile, quale obiettivo posto a guida dell’operato dell’organo amministrativo e concretizzato nel piano industriale sulla scorta della considerazione degli interessi degli altri stakeholders rilevanti per la società.
A livello europeo, vanno ricordati il Working Staff Document della Commissione europea su Corporate Social Responsibility, Responsible Business Conduct, and Business and Human Rights del 2019 e le due risoluzioni emanate dal Parlamento europeo tra dicembre scorso e marzo: una prima in materia di sustainable corporate governance e una seconda in tema di corporate due diligence e corporate accountability. Su quest’ultimo versante è stata proposta una bozza di direttiva che ha come precipuo fine quello di far assurgere a una dimensione di hard law, quelle che sono rimaste fino ad ora, anche e soprattutto sul piano europeo, mere dichiarazioni di principio contenute in fonti di soft law. La bozza di direttiva suggerisce l’adozione di un approccio al rischio sociale, ambientale e di good governance da parte delle imprese europee, concretizzantesi nella puntuale mappatura dei rischi di impatto negativo sui diritti umani, sull’ambiente e sulla good governance in generale, e nella definizione di politiche specifiche da definirsi nel dialogo con gli stakeholders.
4. Com’è evidente, l’intervento legislativo europeo viene ad incidere sui doveri degli amministratori, quale canale prescelto per una più efficace adozione di modelli di governance e dunque anche di business sostenibile. E particolarmente interessante si rivela una lettura di queste proposte alla luce degli obiettivi programmatici e delle misure economiche adottate con il dispositivo e il piano per la ripresa e la resilienza.
La centralità qui accordata alla innovazione tecnologica costituisce preziosa indicazione per una prima interpretazione di nozioni giuridiche che rimangono ancora pericolosamente nell’alveo della vaghezza. È il caso del riferimento alla good governance su cui si incentra l’intera bozza di direttiva UE in materia di corporate accountability. Da questa prospettiva sistematica, sembra potersi ricavare come lo sfruttamento da parte delle imprese di strumenti tecnologici e dell’innovazione digitale vengano a delinearsi quale tassello costitutivo di quel buon governo d’impresa a cui il Recovery Fund e il PNRR destinano gran parte delle risorse economiche.
Questa prospettiva induce tuttavia ad una considerazione ulteriore: se il buon governo a cui fa riferimento la bozza di direttiva in materia di corporate accountability non sembra poter prescindere da un’adeguata assimilazione da parte delle imprese delle opportunità offerte dalla tecnologia, doveroso appare l’esame del piano conseguente, relativo al buon governo della tecnologia integrata negli assetti imprenditoriali e societari. La prospettiva offerta dal dispositivo e dal piano per la ripresa e la resilienza è quella della promozione della trasformazione digitale quale mezzo di ampliamento dell’operato sociale d’impresa e dunque di minimizzazione del raggio della c.d. responsabilità sociale d’impresa: in uno scenario nel quale la tecnologia utilizzata come strumento di governo societario viene a costituire essa stessa un rischio d’impresa rilevante proprio rispetto a quei fattori di tutela di diritti umani e dell’ambiente, cui fa riferimento la bozza di direttiva in materia di corporate due diligence e a cui guardano le iniziative europee in materia di finanza sostenibile.
Di qui la necessità della predisposizione di un apparato organizzativo posto a gestione della tecnologia utilizzata in ambito societario idoneo a minimizzare i rischi connessi all’impiego di strumenti digitali per lo più automatizzati, secondo un paradigma di gestione dei dati e delle infrastrutture processanti legittimo e orientato al pubblico interesse. Dalla tecnologia come strumento di governo d’impresa responsabile e sostenibile si passa dunque alla problematica limitrofa della tecnologia come oggetto di governo responsabile e sostenibile.
È quest’ultimo il terreno di quella che è stata recentemente denominata come Corporate Digital Responsibility, da intendersi quale sottocategoria della Corporate Social Responsibility relativa al design e all’utilizzo della tecnologia societaria, considerata nei suoi possibili impatti sociali e ambientali.
Più precisamente, la Corporate Digital Responsibility comprende “un insieme di pratiche e comportamenti che aiutano un’organizzazione a usare i dati e la tecnologia in un modo che sia socialmente, economicamente, tecnologicamente e ambientalmente responsabile”. È quanto espresso nel documento posto alla base di una iniziativa promossa nel 2018 dal Ministero della Giustizia tedesco e ripresa nel luglio 2020 da France Stratégie, un’istituzione autonoma presso il gabinetto del Primo Ministro francese. Entrambe le iniziative hanno il precipuo fine di promuovere uno sviluppo responsabile del processo di trasformazione digitale riguardante le imprese, procedendo a una mappatura dei nuovi obblighi e delle aree di responsabilità d’impresa derivanti dai processi di digitalizzazione, nonché di individuare le imprese adempienti.
5. C’è un termine straordinario che sintetizza con insuperabile efficacia brachilogica gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: lo utilizza, per la prima ed unica volta nella storia della letteratura italiana, Dante nel XVII canto del Paradiso, all’interno del discorso con il quale Cacciaguida preannuncia l’esilio da Firenze. Il termine è infuturarsi.
Il Piano mira a garantire il futuro del nostro Paese e, al contempo, a proiettarlo in una dimensione di evoluzione tecnologica che gli permetta di affrontarlo con strumenti adeguati: appunto, a infuturarlo in una logica di sostenibilità ecologica ed etica.
Non mancheranno ostacoli interni e qualche nube corrusca all’esterno. Il pensiero corre innanzi tutto al ruolo dei costituzionalisti tedeschi: il Bundesverfassunggericht ha fortunatamente rigettato la sospensiva di attacco al Regolamento EU Next Generation, ma occorre essere vigili, dopo le sentenze Weiss e Banking Union, specie se la sentenza dovesse intervenire dopo la fine del cancellierato Merkel e a Berlino dovessero prevalere i falchi.
Ma non è il momento di pensare ai falchi. La sfida che abbiamo di fronte va affrontata con l’ottimismo della volontà, nella consapevolezza che abbiamo una straordinaria occasione per tagliare la testa della Medusa, prevenendo lo sguardo pietrificante degli interessi lobbistici delle varie categorie, che ha sinora tarpato le ali al cambiamento. Come Perseo, si dovrà guardare la Gorgone non direttamente negli occhi, nella tradizionale logica nostrana paralizzata dalle possibili immediate ricadute elettorali delle decisioni assunte, ma attraverso lo specchio europeo e con la rapidità e i calzari di Perseo. Una leggerezza pensosa e verticale, per dirla con Italo Calvino, che aiuti a superare l’inerzia e l’opacità di un esistente insostenibile: un compito impegnativo, ma ineludibile, per un governo nato con obiettivi di salvezza nazionale e forte di uno dei più ampi sostegni parlamentari della storia repubblicana e dell’autorevolezza incomparabile di cui gode su scala planetaria il suo presidente.
E se ricordiamo che dal sangue della Medusa è nato Pegaso, possiamo conservare la speranza che la nostra Europa, e l’Italia al suo centro, potrà riprendere a volare: sulle spalle, non più del toro, ma di quel magnifico cavallo alato.
Prof. Niccolò Abriani
Ordinario di Diritto commerciale nell’Università di Firenze e docente del PhD dell’Università LUISS di Roma
In foto: Maurits Cornelis Escher, Hand with reflecting sphere, gennaio 1935.