Audizione del presidente Parodi al Senato

Audizione del presidente Parodi in commissione Affari costituzionali al Senato, 20 febbraio 2025

Relazione

Certamente io ringrazio la Commissione per questa opportunità, a nome mio personalmente e ovviamente di tutta la giunta dell’Anm.
È un momento molto importante per noi quello di poter manifestare direttamente le nostre opinioni ma vorrei partire con la citazione di un poeta che mi è molto caro, Eugenio Montale. Oggi vorrei soprattutto vorrei dirvi – anche – “ciò che non siamo e ciò non vogliamo”.

Ovviamente vi esporrò anche le ragioni a fondamento della positive ma tengo a iniziare esponendo quello che è il nostro movimento di pensiero. La ragione per la quale siamo qui non è evidentemente quella di opporci alla riforma o di voler in qualche modo difendere una situazione di privilegio, o interessi corporativi o comunque, l’interesse dei magistrati.

Noi siamo qui per difendere alcuni dei principi dell’attuale Costituzione in tema di giustizia. Sappiamo che questo meccanismo di modifica è assolutamente previsto dalla Costituzione, ma ci sono alcuni principi che rappresentano l’essenza dei nostri magistrati che noi ci teniamo a difendere, ma non tanto come magistrati, perché questo è il punto che vorrei che fosse qualificante del mio intervento, del mio pensiero, ma come cittadini.

Un amico avvocato che è venuto a parlarmi qualche giorno fa, mi ha parlato di quelle che sono le molte ragioni che il Sì ha dalla sua parte e una di queste era “provate a mettervi nei panni delle persone che sono indagate e che vedono il problema dall’altra parte della barricata”.

Questa è esattamente la prospettiva che io voglio affrontare, che la Giunta vuole affrontare. Noi siamo qui soltanto perché riteniamo che la prospettazione attuale- pur considerando i difetti che certamente si sono manifestati – sia quella che può fornire le maggiori garanzie ai cittadini. Soprattutto, chiarire che il punto su una nostra idea -autorevolmente, nei giorni scorsi, sostenuta da un autorevole rappresentante del Parlamento.  che questa riforma non può incidere sui tempi e sull’efficienza della giustizia. Questo non lo diciamo noi, lo ha detto un autorevolissimo rappresentante della maggioranza parlamentare: noi, pertanto, confidiamo che abbia detto qualcosa di cui è convinto e che sicuramente è qualificante dell’intero provvedimento.

Noi pensiamo che la riforma potrà migliorare tempi e efficienza, che è poi quello che i cittadini in realtà vorrebbero. Noi vogliamo invece un prodotto giustizia finale in cui tutti i cittadini possano riconoscerci.

I punti da trattare sono evidentemente quattro, quelli che per noi sono più importanti.
Il primo punto che vorrei affrontare riguarda l’Alta Corte di Giustizia: si tratta di un organo di valutazione sulle responsabilità disciplinari totalmente svincolato dal Csm.

La prima osservazione che noi facciamo è che si tratta di una scelta che desta quantomeno qualche stupore, perché tutti gli organismi di valutazione in sede disciplinare – penso agli ordini professionali, penso alla Banca d’Italia, la Consob, tutti quelli che ci vengono in mente-  sono in realtà fortemente integrati con il momento gestionale organizzativo dell’ente, nell’ambito del quale le responsabilità disciplinari vengono valutate. Ci pare francamente difficile che ci possa essere una scissione tra quella che è la valutazione dell’attività fisiologica di un ente, di un organo, e quello che è il momento disciplinare quindi patologico dello stesso.  Come si fa a valutare fin in fondo il momento patologico se non si conosce nel dettaglio quotidianamente quella che è la fisiologia del sistema e del funzionamento?

Vado ad un esempio molto concreto. Io penso non tanto alle possibilità che magistrati possano rispondere di illeciti penale o meglio delle conseguenze in sede disciplinare di fatti di per sé penalmente rilevanti – evidentemente il discorso lì paradossalmente è più semplice – ma la maggior parte delle responsabilità disciplinari, quelle che più ci interessano e che soprattutto interessano moltissimi giovani colleghi che stanno maturando un’esperienza importante, riguardano degli aspetti strettamente correlati all’attività. Pensiamo ai ritardi nei depositi, ai ritardi nelle scarcerazioni, penso all’utilizzo per cui tutti i giovani (ma non solo) ormai sono coinvolti con l’uso dei social. Queste possono essere delle situazioni in cui davvero svincolare la valutazione disciplinare, quella che è la costante attenzione sulla vita e sull’organizzazione della magistratura messo insieme, può evidentemente essere un qualcosa di non ottimale sul piano dell’efficienza.

Ciò non accade in nessun contesto, per quanto a nostra conoscenza.  Non ci intessa neppure di capire per quali ragione le altre magistrature (amministrativa e contabile) non sono coinvolte in questo progetto.  A noi interessa che chi potrà valutare sul punto di vista disciplinare la condotta dei colleghi, sia pienamente calato in questa realtà, fortemente calato, perché solamente in questo modo ci potrebbe essere una valutazione equa, fondata su una conoscenza concreto dell’attività dei colleghi.

Noi non vogliamo una giurisdizione domestica, non vogliamo arrivare al principio francese tout comprendre c’est tout pardonner, ma per comprendre è fondamentale conoscere la “vita” del magistrato; solo in questo modo si può capire con certezza quando vi è stata una manifestazione patologica nella condotta esaminata.

L’ultima considerazione sul punto evidentemente riguarda il fatto che il nuovo sistema prevede una valutazione in sede di appello sempre della medesima corte. Non voglio neanche fare un problema di autoreferenzialità, non mi permetterei di dire questo, ma mi permetto di rilevare come in questo modo l’alta corte verrebbe completamente svincolata dalle indicazioni della Corte di cassazione che invece è la massima garanzia per tutti i cittadini, anche in una prospettiva di lettura ai sensi dell’art. 111 Cost.  Queste sono le ragioni per cui l’Alta corte è qualcosa che non ci convince.

Vengo al secondo punto che è quello più problematico anche per noi, quello del sorteggio: sappiamo che c’è una parte dei magistrati che vedono invece con favore l’istituto del sorteggio.  Nondimeno, anche su questo aspetto – e con ancora maggiore forza – dobbiamo rilevare che non ci è venuto in mente un altro “momento” aggregativo sociale in cui si priva la pluralità dei soggetti interessati dalla possibilità di individuare i loro rappresentanti.

Non mi viene in mente nessun’altra ipotesi, quindi devo pensare che questo sia avvenuto – ma è stato detto chiaramente – per contrastare il potere (e uso un termine non casuale) delle “correnti”.

Le correnti in realtà sono dei gruppi associativi, delle unioni di magistrati che hanno una medesima sintonia, un medesimo modo di approcciarsi all’attività professionale ma che non sono dei gruppi di potere. L’idea della riforma- pare di capire – è quella di togliere questo potere ai gruppi associativi attraverso il sorteggio.

Vi è un enorme rischio in questo senso. La ragione per la quale in tutti i contesti associativi i soggetti interessati votano e scelgono è dato dall’elemento della rappresentatività: voi siete il massimo esempio di rappresentatività perché rappresentate non solo voi stessi ma tutti i cittadini che vi hanno eletti.

Ecco, la stessa cosa può accadere in magistratura. Se vogliamo un consiglio superiore della magistratura in grado di farsi interpretare in maniera corretta delle esigenze della giustizia, delle esigenze della funzionalità del sistema giudiziario, ci vogliono dei magistrati che siano portatori di una rappresentatività che va dal di là di quella che può essere da un singolo scelto dal caso. Con il sorteggio può essere eletto un magistrato bravissimo, il migliore giurista possibile, ma che potrebbe essere del tutto svincolato dai rapporti con i colleghi, e che per tale ragione potrebbe non rendersi conto adeguatamente di quelle che possono essere le esigenze da affrontare.

Io mi domando: perché andare incontro a questa perdita di rappresentatività? Io credo che sarebbe meglio intervenire, come è stato già fatto e ancora meglio si può fare, su quelli che sono i criteri di nomina dei dirigenti degli uffici, ossia procedere con interventi mirati a garantire la nomina dei soggetti più adatti a ricoprire incarico dirigenziali o semidirigenziali, senza per questo sacrificare l’elevato coefficiente di rappresentatività che una elezione può garantire.

Il tema più delicato è quello della separazione delle carriere; tema evidentemente per molti aspetti coincidente con la precisione di due Csm è correlato. Possiamo dire che il doppio Csm e l’evidente conseguenza della separazione.  SI tratta del punto che ci interessa maggiormente, perché se è vero che un magistrato che può essere sottoposto a un procedimento disciplinare in cui non ha piena fiducia è un magistrato potenzialmente intimidito, che analogamente più “debole” è un magistrato che percepisca a perdita della rappresentatività concreta dei rappresentanti togati nei Csm, è chiaro che il tema della separazione è quello che riguarda invece l’essenza della funzione. Qui siamo nel cuore del problema, del quale già all’inizio ho accennato.

Io come cittadino mi sento oggi maggiormente garantito, come potenziale indagato (lo sono anche stato molti anni fa) sapendo che il pubblico ministero è un organo che si fa carico di un’indagine a 360 gradi sulla mia attività, sulle condotte che mi vengono contestate: questo è il punto.

Provate a pensare a quello che è l’attuale sistema penale previsto dalla riforma Cartabia, dove il pubblico ministero per primo è chiamato a valutare se gli elementi consentono una ragionevole previsione di condanna. Bene, nel momento in cui questo principio è stato formalizzato, introdotto nel sistema penale, noi chiediamo al pubblico ministero di assumere un ruolo diverso. Io non voglio neanche pensare ai discorsi di critica all’articolo 111 sul giusto processo, che è una norma sacra per tutti, alla necessità che il giudice che debba essere terzo rispetto alla parti: questo non è in discussione.

Le nostre ragioni riguardano il ruolo del pubblico ministero che è un soggetto, quando inizia le indagini, libero di decidere a 360 gradi in base alla sua coscienza e alla sua professionalità.

Questo è il punto, il pubblico ministero deve essere doverosamente libero ma senza pregiudizi. L’avvocato, che è una parte fondamentale del sistema giudiziario – se sarà inserita la sua figura in Costituzione, io sarò il primo ad allegrarmene – evidentemente ha dei doveri nei comporti del proprio assistito. Non ha l’obbligo di depositare prove contrarie al proprio assistito, se lo fa viene meno al suo ruolo. Il pubblico ministero ha invece, in ogni fase del procedimento, dei doveri nei comporti della legge e della propria coscienza. Questo è il punto fondamentale.

Io vorrei che tutto questo non venisse assolutamente meno e penso soprattutto ai giovani che potrebbero crescere in futuro con una mentalità per forza di cose diversa e ai cittadini, che conseguentemente si verrebbero a trovare in un sistema differente.

Sempre l’amico avvocato già evocato all’inizio del suo intervento ha descritto icasticamente la scena di un cittadino che entra in un’aula e vede il giudice e poi le due parti, già divise e separate nei propri rispettivi ruoli. Se siamo arrivati in un’aula di giustizia è così, ma non dimentichiamo che prima di arrivare in un’aula il pubblico ministero vaglia e chiede l’archiviazione per migliaia di procedimenti e lo fa nella sua pienezza di funzione giurisdizionale, perché questo è un dato che giova all’efficienza del sistema.

Perché vogliamo in qualche modo rinunciare a questo? Io lo so che nella riforma attuale non è previsto l’assoggettamento del pm all’esecutivo e che non è neppure prevista una differente applicazione degli attuali principi processuali che impongono al pm di cercare prove a favore anche dell’indagato. Sappiamo che questo non è espressamente previsto, ma tutto questo può essere indicativo di un mutamento genetico della funzione del pubblico ministero e quindi in qualche modo indirettamente anche del giudice che evidentemente lavora su quello che il pubblico ministero porterà alla sua attenzione.

Ci tengo, infine, a ricordare che la separazione in chiave di ostacolo a impedire i passaggi di funzione non assume un significato statisticamente rilevante. Anche oggi i passaggi di funzione avvengono fondamentalmente per i giovani colleghi che dopo il primo incarico cercano di tornare, di avvicinarsi alle loro sedi. In altri casi sono del tutto eccezionali.

Ultimo punto, e spero di non aver sforato di troppo: i due Csm.

Dal punto di vista logico è chiaro che se c’è una separazione questo sembrerebbe la soluzione migliore, ma vedete, siamo di nuovo a un problema di efficienza. Io vi domando, ha un senso che il Csm si occupi di questioni delicatissime che in qualche modo incidono sulla funzionalità globale del sistema giustizia da un punto di vista parcellizzato, solo da un’unica prospettiva?

Non è forse meglio che invece il Csm abbia sottomano, possa giudicare, valutare, confrontarsi, decidere e collaborare con il Governo e col Parlamento soltanto a fronte di una visione completa, globale dei problemi della giustizia? Perché dobbiamo avere questi timori dei condizionamenti sulle nomine? Ma se addirittura stiamo parlando di come sia importante che il sistema giustizia punti alla sempre maggiore efficienza, allora vediamo che questa efficienza non può derivare da una visione in qualche modo differenziata dei problemi, perché i problemi sono uno solo, il funzionamento dell’efficienza della giustizia, questo è il punto.

E solo una magistratura fortemente ed efficacemente rappresentata, in grado di interagire in maniera concreta ed efficace con le problematiche che si presentano, secondo me può dare questo contributo di giustizia.

Guardate, voglio finire con quella che potrebbe sembrarvi una provocazione, ma credetemi non lo è, non è del mio stile, non lo è mai stato.

Io credo che in definitiva il sistema attuale, sicuramente ha presentato delle criticità dei problemi a livello di scelte dei dirigenti, a livello di comportamenti dei singoli: ma nessuno di noi pensa di volersi nascondere dietro questi problemi, lo sappiamo perfettamente. Aiutateci a superare questi problemi all’interno di quello che è l’attuale schema. Se io un giorno gioco male a tennis, non devo buttare via la racchetta, devo giocare meglio, ma se butto via la racchetta evidentemente non potrò mai giocare a tennis come io spero di farlo.

Aiutateci a usare la racchetta che abbiamo, che è stata scritta trent’anni fa e che è una racchetta straordinaria, ancora oggi. Lo, e concludo, perché credo che anche ai politici, che come noi, come tutti sono cittadini, un pubblico ministero che funzioni in maniera equa, in maniera assolutamente equilibrata, che abbia una visione delle cose senza pregiudizi (qualche volta potrebbe non essere avvenuto: facciamo in modo che non accada più) sia l’interesse di tutti, anche del politico come cittadino. E questa è la mia speranza: non penso di avervi convinto, ma di aprire una prospettiva di rivalutazione di questi temi nell’interesse di tutti, non dei magistrati, dei cittadini.

Risposte alle domande

In relazione al tema dell’impatto della riforma sul problema in generale dell’efficienza della giustizia, non ho riferito un’opinione mia personale, ma un’opinione espressa al Parlamento dall’onorevole Bongiorno, che in Parlamento ha precisato che questa riforma non inciderà sui tempi e sull’efficienza della giustizia.

Anm condivide questa idea, ma non è un pensiero che noi abbiamo espresso, lo dice il senatore Bongiorno che mi pare persona di eccezionale competenza e assolutamente seria. Se lo dice lei, noi non abbiamo motivo di dubitarne. La riforma non prevede una revisione delle forze in campo, di un dato normativo di applicare in concreto: è una riforma puramente legata alle etichette, agli schemi esterni, ma che non incide in nessun modo sulla esecuzione della funzione giurisdizionale, in nessun modo, ma sui ruoli e sul significato delle varie parti.

Passando a un altro tema, certamente ci sono paesi dove un sistema di separazione viene applicato e non sta a me giudicare, ma vi dico subito il motivo, l’efficienza di questa scelta. Io penso alla realtà italiana, che è quella di cui dobbiamo occuparci, che è una realtà straordinariamente complessa, straordinariamente ricca di sfaccettature, dove anche le implicazioni direttamente e indirettamente politiche che queste scelte possono avere, possono avere una grande ricaduta su quello che poi è l’esercizio in concreto della giurisdizione.  Perché negare la forte, storica “specificità” del sistema sociale, politico e giuridico italiano? La storia parla per noi. Ascoltiamola.

Io dico solo: siamo in Italia, non siamo certamente in un paese digiuno di quella che è la normazione primaria e secondaria, e allora credo che affrontare il problema legato alla nostra realtà sia molto importante.

Il tema – certamente anche quello toccato sul sorteggio, sulle ragioni del sorteggio – l’ho affrontato già anche prima. Io non vedo, noi non vediamo, francamente, proprio facendo un confronto con quelli che sono le situazioni del tutto sovrapponibili di altri settori, né nel sorteggio né nel disciplinare, una ragione specifica per differenziare il ruolo della magistratura.  In quale altro contesto ciò accade? Quali soggetti sono privati della possibilità di contribuire a eleggere, almeno in parte, i propri rappresentanti?

Sul tema, devo ribadire che il timore dell’assoggettamento è, credetemi, la principale preoccupazione della magistratura associata. Tutto è importante, sia ben chiaro, tutto è importante per noi, ma questo rappresenta il pericolo maggiore.

L’abbiamo detto e lo ripetiamo, anche se questa previsione non è stata precisata nel testo della riforma. E questo perché lo dico? Perché già tra le trame dell’attuale riforma, in questa prospettiva, ci sono degli elementi che possono, in qualche modo indebolire il ruolo della magistratura. E se questo ruolo viene compresso, limitato, condizionato, il prezzo lo pagano i cittadini, non i magistrati.

A me non piace la dietrologia: osservo i fatti, le norme, guardo la loro applicazione.

Un magistrato caratterizzato da una minore fiducia in quello che è il sistema disciplinare è un magistrato anche, evidentemente molto più debole, condizionabile e così più disposto a evitare scelte ottimali in una prospettiva di giustizia a favore di altre, meno “pericolose” per la sua carriera. Questo è il punto. Noi dobbiamo pensare non al pm o al giudice assolutamente coraggioso che comunque va avanti in ogni modo. Dobbiamo pensare che noi siamo cittadini magistrati che lavoriamo seriamente ma che dobbiamo anche sempre avere, molte di noi hanno la preoccupazione, evidentemente, di non sentirsi in qualche modo accusati ingiustamente e quindi di modificare quelle che sono le scelte che invece in piena coscienza possiamo e dobbiamo fare nostre.

E la stessa cosa accade, evidentemente, nel momento in cui sappiamo di non poter in qualche modo farci rappresentare da persone che sono, ripeto, magari non più adeguate, più brave di quelle che vengono sorteggiate, ma che non sono rappresentative di quelli che sono gli effettivi problemi della giustizia che noi giorno per giorno viviamo, che stiamo metabolizzando e a cui cerchiamo di dare quotidianamente una risposta.

Il tema più delicato, non mi nascondo dietro un paravento, non l’ho mai fatto in 35 anni di carriera, riguarda le molte obiezioni di segno diverso ma che vanno, mi pare, al cuore del problema dicendo che nessuna norma è stata modificata per cui quello che oggi fa il pubblico ministero dovrebbe essere diverso.

Prima di tutto un pubblico ministero che in qualche misura appartiene a un ordine differente – e che quindi viene progressivamente a sentirsi separato dal giudice – è un pubblico ministero che corre certamente il rischio di andare incontro all’ottica efficientista. C’è stato un periodo neppure troppo lontane nel quale si giudicava la qualità del pubblico ministero dal numero dei rinvii a giudizio firmati: si tratta di una logica non condivisibile, nella quale le richieste di archiviazione venivano viste quasi con sospetto.

Non vorremmo si arrivasse a questo, questo è uno dei nostri timori: ve lo dico subito, non sarà un qualcosa che si verificherà domani ma potrebbe essere un processo irreversibile che potrà verificarsi già alla base di quelle che sono le attuali indicazioni.

Oggi il pubblico ministero deve essere coinvolto in un discorso di efficienza globale di sistema, dove davvero l’efficienza non può essere misurata in termini di numeri di condanne o di rinvii a giudizio. Quando sento parlare di processi vinti o persi e i difensori e gli avvocati fanno bene a parlare in questi termini, ma per me è un processo vinto o perso – pensa a una affermazione che è priva di significato.

Io ritengo che un processo sia un processo positivo quando il pm è riuscito a ottenere un risultato in termini di corretta applicazione di norme in base a un quadro storico correttamente ricostruito, in termini di equità.

La cultura della giurisdizione non significa soltanto conoscere le norme processuali, applicarle correttamente e trarre le conseguenze anche quando si valuta la responsabilità. La cultura della giurisdizione è fatta dal punto di vista del pubblico ministero – nella ricerca della verità. In molti casi sento dire che la verità è “solo” la conseguenza di sentenza definitiva di condanna o di assoluzione.

Non è così, questo è il discorso giuridico che io condivido pienamente, il fondamento del nostro sistema, ma se una persona viene uccisa, in casa, magari non c’è un colpevole, ma sicuramente c’è un responsabile.

Nessuna presunzione di innocenza può consentire di ritenere che una persona sia stata uccisa nella sua casa. Allora io vorrei un pubblico ministero e un giudice che sappiano muoversi nella ricerca del responsabile, che sappiano escludere le persone sospettate e che non meritano di essere processate e che cerchino il responsabile.  Crediamo che questo possa e debba essere il frutto del mantenimento di una cultura della giurisdizione. Giurisdizione vuol dire cercare la verità attraverso le regole condivise e comuni di tutti. Questo è il vero punto.

Vorrei concludere con un esempio che secondo me vale più di mille parole.

Molti anni fa, un processo banalissimo, per rapina – nulla di ciò che finisce sui giornali – a un certo punto, durante il dibattimento, dopo che come pubblico ministero avevo esercitato l’azione penale, mi accorgo di documento, un tabulato – un elemento a favore dell’imputato certamente a favore dell’imputato in quel caso – che non era stato depositato al giudice, che era sfuggito a tutti, difesa compresa. Ovviamente, lo produco al collegio. Alla fine del processo, l’avvocato mi viene a ringraziare. “Ah, dottore, com’è stato bravo”.

Non mi è piaciuto per niente quel complimento. Io non sono stato bravo. Ho fatto il mio dovere. Come un avvocato farebbe il suo dovere non depositando un documento contro il suo assistito: io sono lieto che il sistema funziona in questi termini.

L’avvocato deve difendere a tutti i costi il suo assistito. Se io non avessi prodotto quel documento, non sarei stato bravo, avrei violando le norme più sacre della giurisdizione. Questo è il punto.

Mi spiace che qualche volta si pensi che il pubblico ministero faccia di tutto per incastrare le persone. Noi sbagliamo. Io ho sbagliato e quasi tutti sbagliano, ma questa è una cosa ben diversa dal pensare che io debba cercare in ogni momento di verificare la sostanza di responsabilità anche al di fuori di quelli che sono i principi giurisdizionali nei quali crediamo.

E se a un certo punto siamo convinti che una persona sia responsabile, ma non abbiamo le prove noi dobbiamo chiedere l’archiviazione. Poi le persone offese si lamenteranno, ma noi abbiamo dei doveri anche verso di loro, un dovere di onestà. Ecco, questo è il pubblico ministero e il giudice che giudica di quello che io gli manderò sul tavolo nel quale io credo.

Non verrà meno già domani, questo pubblico ministero, lo sappiamo benissimo: ma  mi domando, fra qualche anno, quale sarà la situazione? Nel futuro– e potrebbe essere tardi – potremmo accorgerci che rinunciare a una p.m. destinato alla ricerca della verità e non di un solo di un colpevole potrà essere in prezzo eccezionalmente alto per i cittadini.

Ringrazio dell’attenzione non ho potuto darvi il risposte compiute a tutti perché non avevo il tempo per farlo, ma credetemi avrei tanto voluto farlo con più calma.

Grazie presidente.