L’art. 86 della Costituzione

Commento all’art. 86 della Costituzione

di Fiammetta Salmoni, Professore Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma

 

Art. 86 – Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato.

In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione.

 

Sommario: Il dibattito all’Assemblea costituente – 2. L’impedimento temporaneo: la supplenza in sede plena – 3. Limiti inferiori e limiti superiori dell’impedimento temporaneo – 4. L’impedimento permanente: la supplenza in sede vacante – 4.1. La durata dell’impedimento – 4.2. L’accertamento dell’impedimento – 4.3. La posizione giuridica del supplente e l’ampiezza dei suoi poteri – 5. Prorogatio o supplenza?

 

  1. Il dibattito all’Assemblea costituente

L’art. 86 Cost. fu elaborato, nella sua prima versione, dalla I Sezione della II Sottocommissione della Commissione per la Costituzione nel corso delle sedute del 19 e 20 dicembre 1946.

Inizialmente era stato suddiviso in due articoli, il 6 e il 7, e vi si prevedeva rispettivamente ed espressamente la differenza tra l’istituto della vacanza, in virtù del quale l’esercizio delle funzioni presidenziali sarebbe stato assunto dal Presidente del Parlamento in seduta comune (allora denominato Presidente dell’Assemblea nazionale), in caso impedimento permanente del Presidente a proseguire il proprio mandato e, quindi, in caso di morte o di dimissioni o di impossibilità fisica prolungata, e quello della delega, prevista in caso di impedimento temporaneo.

In particolare, la delega da parte del capo dello Stato dell’esercizio delle proprie funzioni al Presidente dell’Assemblea nazionale -in un primo momento- fu ritenuta più adeguata alla forma di governo parlamentare rispetto all’istituto della supplenza perché, nel complesso dell’organizzazione dei poteri dello Stato che si stava delineando, il Presidente era disegnato come un organo monocratico, individuale, con responsabilità proprie. La supplenza, invece, avrebbe introdotto nell’ordinamento costituzionale, a fianco della figura del Presidente in carica, quella del supplente, il che avrebbe potuto costituire fonte di attriti (E. Tosato, 19 dicembre 1946).

Così, mentre nel caso della delega il Presidente si sarebbe assunto la responsabilità di adottare un atto nel quale indicare esattamente quali poteri attribuire al delegato, fatta eccezione per il comando delle forze armate[1], lo scioglimento delle Camere[2], la concessione della grazia e la commutazione delle pene[3], la nomina e la revoca del Primo ministro e dei ministri[4], in sostanza tutti quei poteri in cui la sua funzione di garanzia risultava essere determinante e non poteva essere oggetto di delegazione[5], nel caso della supplenza quest’ultima avrebbe si sarebbe attivata ope constitutionis indipendentemente dalla volontà del titolare dell’ufficio presidenziale, giacché il supplente avrebbe derivato i propri poteri direttamente dalla Costituzione al verificarsi di un determinato evento, l’impedimento temporaneo, implicando la piena sostituzione del Presidente senza alcuna limitazione di attribuzioni[6].

La soluzione finale, come noto, privilegiò la supplenza, ancorando l’istituto al ricorrere di eventi oggettivi e non alla volontà soggettiva del titolare della carica e tuttavia non è implausibile ritenere che la delega avrebbe trovato una propria ragion d’essere laddove fosse stata prevista anche la fissazione di un termine alla temporaneità dell’impedimento (come proposto da Costantino Mortati che faceva riferimento ad un impedimento temporaneo non più lungo di quattro mesi), norma che, tuttavia, fu respinta dai Costituenti (19 dicembre 1946, I Sez., II Sottocommissione).

Ed è proprio la non approvazione della limitazione della durata dell’impedimento temporaneo che portò, nella stessa seduta, alla radicale modifica del testo dell’allora art. 7 e all’approvazione, in caso di impedimento temporaneo, dell’istituto della supplenza rigettato in prima battuta.

La stesura finale delle norme in commento ha visto l’accorpamento degli iniziali artt. 6 e 7 nell’attuale art. 86 Cost. e la sua definitiva formulazione che ha del tutto eliminato il termine supplenza dal suo testo, così come l’istituto della revoca, oltre tutto, con una logica più coerente, prevedendo per prima l’ipotesi di impedimento temporaneo ed in seconda battuta quella dell’impedimento permanente.

In entrambi i casi, il supplente è il presidente del Senato, che è la seconda carica della Repubblica.

Tale formulazione, tuttavia, ha lasciato aperti alcuni problemi tutt’oggi irrisolti tra cui, i più rilevanti sono quello della durata dell’impedimento temporaneo e, quindi, di quando e se quest’ultimo possa e/o debba trasformarsi in impedimento permanente, nonché quello relativo alla titolarità del potere di accertamento dell’impedimento ed alla procedura da applicare.

 

  1. L’impedimento temporaneo: la supplenza in sede plena

La supplenza in sede plena fa riferimento al primo comma dell’art. 86 Cost. ossia ai casi di impedimento temporaneo, quando il Presidente è regolarmente in carica (i.e., in sede plena), ma momentaneamente impossibilitato ad esercitare le proprie funzioni[7].

In questo caso, il presupposto della supplenza è l’impedimento temporaneo del capo dello Stato come potrebbe essere, ad esempio, una malattia che, ancorché breve (e quindi non qualificabile come impedimento permanente), gli impedisca di svolgere al meglio il proprio ruolo[8] oppure la sospensione cautelare dalla carica presidenziale disposta discrezionalmente dalla Corte costituzionale nel caso di una sua messa in stato d’accusa da parte dal Parlamento in seduta comune[9], ovvero in caso di viaggio all’estero.

Riguardo a quest’ultima fattispecie la prassi è stata altalenante fino a quando il Presidente Sandro Pertini ha deciso (con la discrezionalità che in caso di impedimento temporaneo la norma sembra lasciare al capo dello Stato), di ricorrere alla supplenza in tutti i casi di viaggi superiori alla settimana e da allora in poi questa è diventata la prassi. Il ricorso alla supplenza, in tale circostanza, viene effettuato con decreto del presidente della Repubblica, controfirmato dal presidente del Consiglio, indirizzato al presidente del Senato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Si tratta di una supplenza che dipende dalla volontà discrezionale del capo dello Stato e, in quest’unico caso, può essere anche meramente parziale in quanto il Presidente ben può attribuire (e, anzi, così vorrebbe la logica) al supplente tutte le proprie funzioni salvo quelle strettamente collegate al suo essere il rappresentante dell’unità nazionale (motivo per il quale egli effettua viaggi all’estero e intrattiene rapporti diplomatici)[10].

La decisione di ricorrere alla supplenza, in questa ipotesi specifica, è pertanto soggettiva anche considerando il fatto che il Presidente potrà avvalersi dell’evolversi delle tecnologie che ipoteticamente gli consentirebbero di esercitare integralmente le proprie funzioni in prima persona anche in caso di assenza prolungata per viaggio all’estero (attraverso collegamenti virtuali, riunioni formali in videoconferenza, ecc.)[11].

 

  1. Limiti inferiori e limiti superiori dell’impedimento temporaneo

Alla luce della genericità dell’articolo in commento, uno dei temi più discussi dalla dottrina è stato quello che fa riferimento alla possibilità o meno di trasformare l’impedimento temporaneo in impedimento permanente.

A tale scopo la dottrina ha elaborato i concetti di limite inferiore e limite superiore all’impedimento temporaneo[12].

Il limite inferiore si avrebbe quando l’impedimento temporaneo è talmente breve da non provocare alcun disguido nella corretta gestione delle funzioni presidenziali. Il limite superiore, invece, consisterebbe in un impedimento che oggettivamente riduce apprezzabilmente la capacità del presidente della Repubblica di esercitare le proprie funzioni e che, pertanto, fungerebbe da spartiacque per qualificare un impedimento come temporaneo o permanente.

 

  1. L’impedimento permanente: la supplenza in sede vacante

La supplenza in sede vacante, come sottintende la stessa locuzione, fa riferimento al secondo comma dell’art. 86 Cost. e cioè ai casi in cui il Presidente non è più fisicamente in carica (i.e., sede vacante), ossia ai casi ivi previsti di impedimento permanente, di morte o di dimissioni.

Nello specifico, come pacificamente ammesso in dottrina, mentre per il caso di morte e di dimissioni non si ravvisano particolari problemi interpretativi (in quanto in siffatte circostanze la permanenza dell’impedimento è in re ipsa)[13], nel caso di impedimento permanente tout court sussistono alcune incertezze legate alla genericità e lacunosità della norma in commento[14].

Va comunque sottolineato che, esattamente come nel caso dell’impedimento temporaneo, anche nel caso di impedimento permanente il supplente è il presidente del Senato, tuttavia in questa circostanza si pongono alcune questioni che riguardano sia il momentum del passaggio dell’impedimento da temporaneo a permanente, sia il problema dell’individuazione del soggetto al quale spetta l’accertamento della permanenza dell’impedimento, sia l’ampiezza dei poteri del supplente.

 

4.1. La durata dell’impedimento

Riguardo al primo problema, la dottrina dominante sostiene che la natura dell’impedimento attiene esclusivamente dalla durata del fatto impeditivo indipendentemente dalle sue motivazioni (maggiore o minore gravità del fatto impeditivo, ecc.)[15]. In caso di malattia, ad esempio, l’impedimento si può configurare come permanente quando la durata della stessa non sia scientificamente accertabile.

 

4.2. L’accertamento dell’impedimento

Riguardo alla questione di quale sia l’organo giuridicamente legittimato ad accertare la condizione permanente dell’impedimento presidenziale[16], va sottolineato che l’unico precedente nella storia della Repubblica è quello del Presidente Antonio Segni che, come noto, nell’agosto 1964 fu colpito da ictus nel corso di un colloquio con l’allora Presidente del consiglio Aldo Moro. In quel caso, l’impedimento fu accertato dal Consiglio dei ministri cui fece seguito un comunicato del Presidente del Consiglio nel quale veniva dichiarato l’impedimento temporaneo del capo dello Stato ex art. 86, comma 1, Cost.[17], con conseguente assunzione del ruolo di supplente dell’allora presidente del Senato Cesare Merzagora cui, dopo quattro mesi, seguirono le dimissioni di Segni e la trasformazione dell’impedimento da temporaneo in permanente[18].

Tuttavia, trattandosi di un unico precedente, non è possibile considerarlo come vincolante. Occorre pertanto procedere secondo logica e in armonia con il dettato costituzionale, con la conseguenza che la soluzione più plausibile sembra quella che attribuisce al presidente del Consiglio e al Governo l’accertamento dell’impedimento permanente del presidente della Repubblica. Questo perché, come giustamente osservato, in casi delicati come quello di cui si discute deve essere eliminata alla radice la possibilità che più organi decidenti allo stesso titolo possano entrare in contrasto tra di loro[19].

Ciononostante, sembra opportuno il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati da un evento di tale portata e quindi senz’altro del presidente del Senato, destinato ad assumere il ruolo di supplente e del presidente della Camera nella sua qualità di presidente del Parlamento in seduta comune, che dovrà procedere all’elezione del nuovo presidente della Repubblica[20].

 

4.3. La posizione giuridica del supplente e l’ampiezza dei suoi poteri

L’ultima questione attiene alla posizione giuridica del supplente e all’ampiezza dei suoi poteri.

Nel nostro ordinamento non è prevista la possibilità che il presidente del Senato rifiuti (laddove a ciò chiamato o dal presidente della Repubblica in caso di impedimento temporaneo ovvero dal Governo in caso di impedimento permanente), di assumere il ruolo di supplente.

Un eventuale rifiuto, pertanto, comporta la necessità di dimettersi dalla carica di presidente del Senato (ma non da senatore). Egli, insomma, è obbligato ad accettare in quanto la possibilità che assuma la supplenza della presidenza della Repubblica è nota sin dal principio e fa parte dei doveri del presidente del Senato ed il suo essere titolare di questa carica rappresenta il presupposto giuridico per l’assunzione della supplenza[21].

Per tutto il periodo in cui agisce in qualità di supplente del capo dello Stato il presidente del Senato è sospeso dal proprio ruolo con la conseguenza che cessa di effettuare i compiti che gli sono propri per svolgere esclusivamente quelli di presidente della Repubblica supplente. Ciononostante egli continua ad essere presidente del Senato (e senatore), cosicché non appena cessi la supplenza tornerà a svolgere pienamente le proprie attribuzioni (senza tuttavia diventare senatore a vita come avviene per gli ex presidenti della Repubblica).

Proprio per quanto sin qui esposto e per la natura temporanea del suo ruolo di Presidente-supplente, non è previsto l’obbligo di giuramento dinanzi al Parlamento in seduta comune[22].

Riguardo all’ampiezza dei suoi poteri, infine, è necessario sottolineare che la temporaneità della carica potrebbe far pensare che al supplente siano consentite soltanto le attività di ordinaria amministrazione, ma non quelle di rilevanza politica. Tale interpretazione, tuttavia, si scontra in primis con il dato testuale del 1 comma dell’art. 86 Cost. ai sensi del quale “le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato”, che non sembra porre limiti all’attività del Presidente-supplente[23].

In secundis, soccorrono in questo caso i lavori preparatori da cui emerge che i Costituenti, come accennato[24], eliminarono dal testo costituzionale i limiti inizialmente previsti (quando ancora si pensava alla delega e non alla supplenza), adottando l’attuale norma e consentendo al supplente di esercitare tutti i poteri presidenziali, inclusi quelli di maggior rilievo politico -come, ad esempio, la nomina del presidente del Consiglio o lo scioglimento delle Camere- in virtù del ruolo di garanzia politica che gli è proprio quando incarna il ruolo del supplito[25].

Né, d’altronde, sembra ammissibile una diversa interpretazione giacché non è pensabile che al verificarsi di un evento ipoteticamente fondamentale per la vita della Repubblica il supplente non possa agire nel pieno delle funzioni presidenziali paralizzando il regolare svolgimento delle attività istituzionali e costituzionali[26].

 

  1. Prorogatio o supplenza?

Vi è un ultimo argomento che ci sembra opportuno affrontare, che riguarda il caso in cui il settennato del Presidente in carica sia terminato ed il procedimento per l’elezione del nuovo Presidente si protragga oltre la scadenza naturale del suo predecessore.

Come noto, l’art. 85, comma 2, Cost. dispone che “se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione (del nuovo Presidente n.d.a.) ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica”. Si tratta dell’unica ipotesi di prorogatio dei poteri del capo dello Stato espressamente prevista dalla Costituzione, che si ha laddove le Camere siano sciolte e si renda necessario rimandare l’elezione presidenziale. Proprio per questo motivo, una parte della dottrina ritiene che la prorogatio dei poteri non sia estendibile analogicamente ad altre fattispecie[27].

Ciononostante, sembra più ragionevole sostenere che si abbia prorogatio dei poteri presidenziali anche nell’ipotesi in cui il procedimento per l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale si protragga oltre la scadenza del settennato[28]. In questo caso, infatti, il ricorso alla supplenza appare una forzatura in quanto la posizione del Presidente uscente non rientrerebbe né in quella dell’impedimento temporaneo, né di quello permanente, trattandosi di una situazione in tutto e per tutto assimilabile a quella prevista dal predetto art. 85 della Costituzione[29].

In altri termini, è la supplenza, anch’essa espressamente disciplinata dall’articolo in commento, che non può estendersi al di fuori dei puntuali confini entro i quali è stata prevista, mentre nel caso della prorogatio ci troviamo di fronte ad un istituto generale del nostro ordinamento che risponde all’esigenza di non creare interruzioni nel funzionamento degli organi costituzionali e rientra nel principio generale di continuità istituzionale[30].

Nel caso di specie, il Presidente uscente non è oggettivamente impedito ad esercitare le proprie funzioni, essendo semmai il Parlamento in seduta comune ad essere in difficoltà nell’adempiere al proprio compito istituzionale di eleggere il nuovo capo dello Stato nel più breve tempo possibile[31].

Resta comunque fermo che i poteri del Presidente prorogato dovrebbero limitarsi all’ordinaria amministrazione salvo per i casi di adempimenti improrogabili ai sensi della Costituzione.

 

Note

[1] Art. 13 della bozza di Costituzione.

[2] Art. 14 della bozza di Costituzione.

[3] Art. 16 della bozza di Costituzione.

[4] Art. 19 della bozza di Costituzione.

[5] Cfr., F. RESCIGNO, Art. 86, in A. Celotto, M. Olivetti, R. Bifulco (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. II, Torino, 2006, 3.

[6] Cfr., F. FurlAn, Articolo 86, in F. CLEMENTI, L. CUOCOLO, F. ROSA, G.E. VIGEVANI (a cura di), La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, vol. II, Bologna, 2021, 170.

[7] Cfr., F. RESCIGNO, Art. 86, cit., 4 ss.; G.U. RESCIGNO, Articolo 86, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione. Il presidente della Repubblica, Bologna-Roma, 1978, 84 e 115 ss.

[8] Cfr., F. FurlAn, Articolo 86, cit., 171, che afferma “l’impedimento temporaneo all’esercizio delle funzioni si configura in presenza di una situazione di inabilità fisica o psichica estranea alla volontà del titolare che diminuisca, per un periodo di tempo breve e in modo reversibile, la capacità lavorativa specifica del Capo dello Stato, inibendo l’ordinario espletamento del mandato: si pensi ad una malattia invalidante o ad un ricovero ospedaliero per sottoporsi ad intervento chirurgico in anestesia totale (altre ipotesi, come quella del sequestro, sembrano irrealistiche)”. Di recente, si è altresì fatto riferimento ai casi di contrazione di virus (quali il Sars-Covid-19) che, a causa della loro contagiosità, impediscono al presidente della Repubblica di incontrare fisicamente le altre personalità politiche per il regolare espletamento delle proprie funzioni. Sul punto, G. SANTINI, Funzionalità delle Istituzioni e impedimento dei titolari. Note sulla supplenza in tempo di epidemia, in biodiritto.org, 1 ss., che conclude per la possibilità di esercitare le proprie funzioni a distanza, salvo nei casi in cui è d’obbligo mantenere la riservatezza. Tuttavia, sembra ormai possibile ottemperare agevolmente anche a tale obbligo grazie all’evoluzione degli strumenti tecnologici.

[9] Si veda il combinato disposto dell’art. 12, comma 4, l. cost. 1° marzo 1953, n. 1 (recante Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale, come modificato dall’art. 3, l. cost., 16 gennaio 1989, n. 1) ai sensi del quale “quando sia deliberata la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale può disporne la sospensione dalla carica” e dell’art. 23, l. 5 gennaio 1962, n. 20 (recante Norme sui procedimenti e giudizi di accusa, modificato dall’14, l. 5 giugno 1989, n. 219), ai sensi del quale la Corte può, anche d’ufficio, adottare e/o revocare i provvedimenti cautelari e coercitivi, personali o reali, che ritiene opportuni. In questo caso, pertanto, l’impedimento si configura come temporaneo in virtù del principio garantista che informa tutta la nostra Carta costituzionale, perché ben potrebbe essere che il Presidente venga assolto dalla Corte in composizione allargata e quindi riassuma regolarmente le proprie funzioni. Altro discorso è laddove il Presidente sia giudicato colpevole di alto tradimento o attentato alla Costituzione (ex art. 15, l. cost. n. 1/1953) nel qual caso la Corte dovrà disporre la destituzione del capo dello Stato (sanzione costituzionale) con la contestuale immediata vacanza della carica.

[10] Cfr., F. RESCIGNO, Art. 86, cit., 6; G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 112; G. D’ORAZIO, Sulla supplenza presidenziale per viaggi all’estero, in Rassegna parlamentare, 1969, 395 ss. Contraria a questa tesi è la dottrina più risalente tra cui, ex multis, L. ELIA, La continuità nel funzionamento degli organi costituzionali, Milano, 1958, 118 ss.; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, 534; G. GUARINO, Viaggio all’estero e supplenza del Presidente della Repubblica, in Studi per Crosa, 1960, II, 1033 ss.; A. BOZZI, Sulla supplenza del Presidente della Repubblica, in Rass. parl., 1959, in part. 28 ss.

[11] Cfr., G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 114; A.M. DE CESARIS BALDASSARRE, La supplenza del Presidente della Repubblica, Camerino, 1990, 77; L. PALADIN, Presidente della Repubblica, in Enc. dir., Milano, 1986, 188, per il quale “il postulato dell’indivisibilità delle funzioni presidenziali non corrisponde neppure al testo dell’art. 86 comma 1, letteralmente riferibile a tutte le cause precludenti l’esercizio dei compiti in questione, senza distinzione fra quelli che li coinvolgono per intero e quelle che incidano solo su alcuni poteri del capo dello Stato”.

[12] Cfr., G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 87 ss.

[13] Il caso di decesso del presidente della Repubblica è, per ovvie ragioni, il meno controverso in dottrina. In questo caso, infatti, l’unico adempimento necessario è la dichiarazione ufficiale di morte spettante al Governo. Per quanto riguarda le dimissioni, trattandosi di un atto personalissimo del capo dello Stato, non necessitano di controfirma ministeriale. Inoltre, una volta presentate, non sembra essere ammessa la possibilità di ritirarle anche perché non sono soggette ad accettazione da parte di alcun altro organo costituzionale. Nella storia repubblicana i Presidenti dimessisi sono stati Giovanni Gronchi, Antonio Segni (su cui torneremo a brevissimo), Giovanni Leone, Sandro Pertini, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, mai controfirmate, ma sempre pubblicate in Gazzetta Ufficiale.

[14] Tra i casi di impedimento permanente possono rientrare anche la decadenza, la perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili e/o politici.

[15] Cfr. L. PALADIN, Presidente della Repubblica, cit., 188, che sottolinea impedimento temporaneo e impedimento permanente si differenziano in termini quantitativi.

[16] Ovviamente si può anche avere il caso in cui sia lo stesso presidente della Repubblica a dichiarare l’impedimento permanente.

[17] Cfr. G.U., 10 agosto 1964, n. 195, parte I, contenente il Comunicato emanato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri dal titolo Esercizio temporaneo delle funzioni di capo dello Stato da parte del presidente del Senato, recante il seguente testo “Il Presidente del Consiglio dei Ministri, avuta comunicazione dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica -il quale aveva contemporaneamente informato il Presidente del Senato e il Presidente della Camera- del bollettino medico redatto dai professori Challiol, Fontana e Giunchi in data 10 agosto 1964, ha convocato il Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei Ministri, udita la relazione del Presidente del Consiglio, ha dato atto che, nelle presenti circostanze, il Presidente della Repubblica si trova nella impossibilità di adempiere le sue funzioni. Il Presidente del Senato, avutane comunicazione, ha convocato il Presidente della Camera ed il Presidente del Consiglio dei Ministri per le opportune valutazioni. Essi hanno concordemente ritenuto che sussistono le condizioni previste dall’art. 86, primo comma, della Costituzione. In conseguenza, il Presidente del Senato assume temporaneamente da oggi l’esercizio delle funzioni di Capo dello Stato”.

[18] Giustamente F. RESCIGNO, Art. 86, cit., 7, rileva come “il successivo intervento delle dimissioni «aggirò» il problema dell’accertamento dell’impedimento permanente senza però risolverlo effettivamente”. Da ultimo, ricostruisce questa vicenda A. PERTICI, Presidenti della Repubblica. Da De Nicola al secondo mandato di Mattarella, Bologna, 2022, 82-83.

[19] Cfr., G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 94.

[20] Così anche F. RESCIGNO, Art. 86, cit., 10. L’opinione secondo la quale spetterebbe al Parlamento la potestà di accertamento non è percorribile nonostante la sua maggiore aderenza alla nostra forma di governo, in quanto “per il numero dei componenti e la sua divisione in Camere non è adatto a compiere questo accertamento con rapidità e decisione come si esige”. Così, G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 94, che, tuttavia, riconosce giustamente al Parlamento la possibilità di controllare l’accertamento dichiarato dal Governo, dinanzi ad esso sempre politicamente responsabile. Sul punto, si veda anche L. PALADIN, Presidente della Repubblica, cit., 192.

[21] Tanto che in dottrina si è affermata la possibilità che il medesimo presidente del Senato possa supplire presidenti della Repubblica diversi. Così, G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 120.

[22] Così, ex plurimis, C. CARBONE, La supplenza della Presidenza della Repubblica, Milano, 1963, 57; L. ELIA, La continuità, cit., 104; F. RESCIGNO, Art. 86, cit.,11; G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 120. Contra, A.A. ROMANO, Supplenza (diritto costituzionale), in Noviss. dig. it., vol. XVIII, Torino, 1971, 962.

[23] Cfr. L. PALADIN, Presidente, cit., 195 ss., che rileva come la dottrina si sia divisa in tre correnti di pensiero. La prima, secondo la quale al supplente spetti solo l’adozione degli atti non dilazionabili; la seconda

[24] Supra, par. 1.

[25] In termini M. LUCIANI, Intervento al Forum a cura di F. LANCHESTER, La coda del Capo. Presidente della Repubblica e questioni di fine mandato, in Nomos. Le attualità nel diritto, 2021, 54, che afferma “la supplenza è un istituto giuridico dai contorni sufficientemente precisi e stando alle caratteristiche dell’istituto l’imputazione dell’atto di scioglimento al supplente non farebbe venir meno l’imputazione all’organo «capo dello Stato», che nel periodo della supplenza c’è comunque, ancorché di tale organo sia titolare il Presidente del Senato”, per cui “quel che può fare il titolare può fare il supplente e che quel che non può fare il primo non può fare il secondo”. Contra, M.C. GRISOLIA, Intervento al Forum La coda del Capo, cit., 39, che tuttavia ammette eccezioni in caso di atti improrogabili; nonché G. AZZARITI, Intervento al Forum La coda del Capo, cit., 13, che con riferimento ai soli casi di scioglimento delle Camere durante il semestre bianco afferma che l’ipotesi “di uno scioglimento effettuato dal Presidente del Senato in supplenza del Capo dello Stato (…) appare priva di fondamento. Il supplente non può esercitare poteri superiori rispetto al supplito; pertanto, ciò che è impedito dalla costituzione al Presidente non può essere ammesso per il suo sostituto, anche ove fosse una supplenza dovuta a dimissioni”.

[26] Cfr., G.U. RESCIGNO, Articolo 86, cit., 127, che opportunamente sottolinea come sarà la stessa ratio dell’istituto a guidare il supplente limitando in via convenzionale i suoi poteri, sebbene ad avviso dell’illustre Autore siano tendenzialmente interdetti al supplente “tutti quegli atti che comportano valutazione di merito e che non sono richiesti dall’urgenza delle cose” (ivi, 129).

[27] Cfr., C. MORTATI, Istituzioni, cit., 538.

[28] Secondo F.S. MARINI, Quirinale, costituzionalista Marini: “Senza maggioranza ‘prorogatio’ Mattarella o Casellati in supplenza”, sul sito adnkronos.com, 11 gennaio 2022, nell’ipotesi in cui non si raggiunga la maggioranza per consentire la successione del Presidente in scadenza, cioè entro la fine del settennato del Presidente in carica, “la Costituzione è interpretabile in due direzioni: sia nel senso che il Capo dello Stato può restare in prorogatio, sia nel senso che la continuità venga assicurata attraverso la «supplenza» della presidente del Senato (…). La Costituzione prevede, infatti, che in tutti i casi nei quali il Presidente della Repubblica non possa adempiere alle sue funzioni, queste ultime sono esercitate dal Presidente del Senato, e la scadenza del mandato potrebbe farsi rientrare in quest’eventualità”. Riguardo a chi sarebbe il soggetto cui spetterebbe di decidere tra le due possibilità, prorogatio o supplenza, secondo questa interpretazione “verosimilmente sarà il presidente della Repubblica in scadenza ad interpretare la Costituzione ed a decidere, anche coinvolgendo il presidente del Senato”. Richiama le due possibilità anche R. BORRELLO, Intervento al Forum La coda del Capo, cit., 24.

[29] Cfr., L. PALADIN, Presidente, cit., 187.

[30] Cfr., Corte cost. sent. 13 gennaio 2004, n. 13, cons. dir. 4.

[31] In termini, A. BOZZI, Sulla supplenza del Presidente della Repubblica, cit., 51; G. BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, 1965, 183; L. PALADIN, Presidente, cit., 187; G. LUCATELLO, Come evitare la vacatio della Presidenza della Repubblica in caso di mancata elezione prescadenza, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, 1975, 375; C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1982, 696; nonché, più di recente, A. GIGLIOTTI, Elezione al Quirinale del Presidente del Consiglio in carica. Quanti problemi!, in lacostituzione.info, 22 gennaio 2022; M. TAMBORRINI, Il Presidente della Repubblica: elezione, funzioni e responsabilità, in diritto.it, 2017; G. SCACCIA, Intervento al Forum La coda del Capo, cit., 80.

 

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Fiammetta Salmoni è laureata alla Sapienza con lode. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi su temi di grande attualità in prestigiose Riviste scientifiche italiane e internazionali. In particolare si è occupata di: rapporti tra tecnica, diritto e politica, principio di legalità, populismo e principio di rappresentanza, Presidente della Repubblica, Stato sociale, diritti sociali e relativa tutela sia nell’ordinamento eurounitario, sia in quello interno, teoria dei controlimiti, debito pubblico, MES, Unione bancaria europea, Recovery Fund e rapporti tra NATO e Difesa comune europea. Da alcuni anni si dedica attivamente allo studio dei temi economico-giuridici relativi al rapporto tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento sovranazionale. Dopo aver svolto attività accademica e di ricerca in varie sedi, inclusa la Spagna, la Francia e il Brasile, per un lungo periodo è stata titolare della cattedra di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università del Molise ed ora è Professore ordinario della stessa materia presso l’Università degli studi di Roma Guglielmo Marconi. Tra le sue pubblicazioni più significative si segnalano le seguenti monografie: Le norme tecniche; Stabilità finanziaria, Unione bancaria europea; Costituzione e Recovery Fund, condizionalità e debito pubblico. La grande illusione e, da ultimo, il volume su Guerra o pace. Stati Uniti, Cina e l’Europa che non c’è.