L’art. 79 della Costituzione

Commento all’art. 79 della Costituzione. Amnistia e crisi del sistema giudiziario: ci si è dimenticati che si deve anche dimenticare. Amare considerazioni

di Renato Giuseppe Bricchetti, Presidente titolare della I sezione penale della Corte di Cassazione 

 

Art. 79 – L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.

La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione.

In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge.

 

Abstract: Il sistema giudiziario penale è dissestato. L’arretrato occupa inesorabilmente le stanze di molte corti e tribunali. Durata dei processi e lenta agonia sono espressioni che hanno assunto lo stesso significato. Ma è in arrivo un’importante riforma del processo che senza attenuare le garanzie propone, con obiettivo la crescita del rendimento, soluzioni suggestive. L’Autore dubita che una riforma che guarda al futuro possa realizzare i propri obiettivi senza che prima si intervenga sui danni irreversibili creati dal passato. Il sistema ha bisogno che si agisca sul passato e solo un’amnistia, come accadde all’inizio degli anni 90 con l’introduzione del codice di procedura penale, può aiutare. Questi i presupposti sulla base dei quali lo scritto affronta i problemi che scaturiscono dall’attuale formulazione dell’art. 79 della Costituzione, auspicando che l’amnistia possa rinascere e confrontandola con prescrizione del reato e improseguibilità dell’azione penale,  introdotta dalla legge n. 134 del 2021.    

Parole chiave: sistema giudiziario penale; amnistia; indulto; procedura penale.

Sommario: 1. Alle origini dell’art. 79 della Costituzione; 2. L’amnistia, la prescrizione del reato, l’improcedibilità dell’azione penale; 3. La modifica dell’art. 79 della Costituzione; 4. Ancora su amnistia, prescrizione del reato, improcedibilità dell’azione penale; 5. Che fare?

 

  1. Alle origini dell’art. 79 della Costituzione

L’art. 79 della Costituzione, dedicato all’amnistia e all’indulto, è stato per anni oggetto di importanti studi sul versante costituzionale, penale e processuale, come lo sono stati i provvedimenti di clemenza che in esso trovavano fondamento.

L’avvento, alla fine dell’ottobre del 1989, del vigente codice di procedura penale ha rappresentato l’ultima occasione di confronto con un’amnistia[1] mirata nella specie a decongestionare gli uffici giudiziari [l’ultimo indulto è stato, invece, concesso alla fine di luglio del 2006[2], causa la gravissima situazione di sovraffollamento dei penitenziari].

Da più di trent’anni, dunque, l’amnistia, cioè la dimenticanza (άμνηστία, l’alfa privativa precede μιμνήσκω, ricordare) è stata dimenticata; ci si è dimenticati che si può (in certe situazioni si deve) dimenticare.

Un’eclissi quantitativa – si è giustamente osservato[3] – che non ha precedenti nella storia d’Italia, monarchica e repubblicana.

Ventisette amnistie si sono succedute dal dopoguerra, l’ultima – come si è detto – nel 1990.

Si è convissuto a lungo – a scadenze periodiche – con le amnistie; e in quelle epoche non si parlava o si parlava meno della prescrizione estintiva del reato, altro modo che lo Stato ha per dimenticare.

Poi tutto è cambiato; di amnistie non se ne sono viste più: nemmeno Papa Giovanni Paolo II ci è riuscito quando, il 24 giugno 2000, chiese un gesto di clemenza per il Giubileo nelle carceri.

 

  1. L’amnistia, la prescrizione del reato, l’improcedibilità dell’azione penale

2.1. In quegli anni l’amnistia veniva decretata dal Presidente della Repubblica con cadenze costanti e piuttosto ravvicinate[4]; forse troppo, come si è osservato indicando tra le cause della riforma del 1992, della quale tra breve si dirà, proprio il ricorso eccessivamente frequente (e a tratti disinvolto) ai provvedimenti di amnistia e di indulto, entrati così a far parte ciclicamente delle cronache parlamentari italiane.[5]

L’amnistia estingueva i reati meno gravi con il risultato, tra l’altro, di liberare gli uffici giudiziari dalla gran parte degli arretrati. Si era soliti dire, in modo certamente approssimativo ma comunque efficace, che l’amnistia, causa di estinzione del reato, serviva a svuotare gli armadi dei magistrati dai processi per reati di non particolare gravità (mentre l’indulto, causa di estinzione della pena, mirava a ridurre il sovraffollamento delle carceri).

2.2. La prescrizione, anch’essa causa di estinzione del reato, fondata però sul tempo che lentamente consuma reato e processo, ha svolto una funzione analoga negli anni successivi, quando l’amnistia è di fatto scomparsa[6].

Qui si impongono alcune considerazioni sulla prescrizione che mi limiterò a schematizzare per non dilatare questa parentesi:

  1. a) I reati che si prescrivono non sono quelli che attraggono il circuito mediatico: quelli non si prescrivono mai. Per fare qualche esempio, tenuto conto del tetto massimo per i fatti interruttivi e dei 3 anni di sospensione introdotti dalla riforma Orlando, la corruzione si prescrive – senza calcolare l’incidenza di eventuale recidiva aggravata o reiterata – in 18 anni; l’associazione mafiosa da 40 anni e 6 mesi a 68 anni; l’omicidio stradale da 20 anni e 8 mesi a 33 anni; le violenze sessuali non aggravate in 28 anni; il riciclaggio non aggravato in 18 anni; l’omicidio volontario non aggravato in 33 anni; la bancarotta fraudolenta non aggravata in 15 anni e sei mesi; i furti in abitazione e gli scippi aggravati, nonché i furti pluriaggravati si prescrivono in 15 anni e 6 mesi; le rapine e le estorsioni da 15 anni e 6 mesi a 28 anni, e l’elenco potrebbe continuare;
  2. b) I reati che si prescrivono sono quelli dei quali la pubblica opinione di regola non si occupa; dei quali a nessuno interessa, se non a chi li subisce, a chi li commette nel caso venga individuato, e a chi conosce il sistema per averlo a lungo vissuto dall’interno e sa che i grandi e veri numeri della giustizia sono costituiti da reati quali truffe, minacce, violenze, falsi nelle loro molteplici declinazioni, ecc.).

2.3. Da ultimo, con la legge 27 settembre 2021, n. 134, è arrivata la cd. prescrizione processuale, sempre scandita dal tempo, causa di improcedibilità (meglio, improseguibilità) dell’azione penale: il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado (art. 161-bis, comma 1, c.p.p.), soppiantato, nel giudizio di impugnazione (art. 344-bis c.p.p.) dalla improseguibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello e di quello di cassazione entro i termini previsti.

Ma torniamo all’amnistia.

 

  1. La modifica dell’art. 79 della Costituzione

3.1. A far dimenticare l’amnistia e ad imporre la ricerca di surrogati per ovviare all’incapacità del sistema giudiziario di far fronte al numero eccessivo ed ingestibile di notizie di reato, quindi di indagini preliminari e di procedimenti, è stata la legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1 che ha modificato l’art. 79 Cost., in particolare stabilendo, nel primo comma, che l’amnistia è concessa con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, nella votazione finale ed in ogni suo articolo (la regola vale anche per l’indulto): vette dolomitiche come si è detto con apprezzabile ironia[7].

La legge ha, dunque, preso il posto del decreto delegato del Presidente della Repubblica; una legge ordinaria, ma deliberata a maggioranza qualificata.

La maggioranza parlamentare non basta più per varare leggi di clemenza. Serve il voto delle minoranze; in sostanza, l’esigenza di garantire le minoranze ha di fatto cancellato l’amnistia. E questo è un tema che divide in tempi di giustizialismo, di populismo giudiziario, di scarsa conoscenza teorica e pratica del sistema giudiziario penale.

Una legge che pretende una maggioranza superiore a quella richiesta per modificare la Costituzione attraverso leggi di revisione o altre leggi costituzionali. Quorum che ha annullato nei fatti e nella riflessione politica gli strumenti di clemenza e la cultura di riferimento.

In quegli anni amnistia era termine impronunciabile per il giustizialismo; si confidava nel codice di procedura penale da poco entrato in vigore, negli istituti che avrebbero dovuto garantire efficienza, assicurare deflazione, primo fra tutti il patteggiamento, seguito a ruota dal giudizio abbreviato.

Istituti miseramente falliti, che non hanno raggiunto gli obiettivi sperati[8].

3.2 Tornando alla modifica dell’art. 79 della Costituzione, oggi le apparenti virtù democratiche di quella scelta normativa vanno a braccetto con la litigiosità e le sterili polemiche in Parlamento, con il giustizialismo che ritiene che tutto sia risolvibile con la formula magica della certezza della pena, con il populismo che augura a chi è accusato di un reato di marcire in galera e che auspica la certezza della pena o che le chiavi del carcere siano buttate via.

Quante frasi di questo genere sentiamo ogni giorno: contengono quasi sempre un’alta percentuale di falsità.

La certezza della pena: si sente spesso dire che in Italia manca la certezza della pena (sottinteso: guai, pertanto, agli atti di clemenza).

Forse non si hanno le idee molto chiare di cosa significhi certezza della pena, del valore costituzionale e di massima garanzia formale di questa espressione che affonda le proprie radici nel principio di legalità del reato e delle pene.

Oggi, invece, usa questa espressione chi vuole che la pena per chi ha commesso un reato sia rigorosa e sia tutta espiata in carcere. Che è, poi, anche colui che intende l’atto di clemenza come un modo di favorire chi ha commesso un reato.

Forse l’unica frase fatta, tra quelle che circolano, che contiene più verità che menzogna è il processo è già una pena.

Mi riferisco all’esperienza dell’ingiustizia legale, in cui il senso dell’ingiustizia subita cancella il sentimento della giustizia, vissuta, da chi la subisce, nel dubbio tra rassegnazione e indignazione.

La storia insegna che i diritti nascono dall’esperienza tragica dell’ingiustizia. Ex facto oritur ius. Ma non si possono pretendere così elevati sentimenti da chi l’ingiustizia subisce.  Intanto c’è il tormento.

Tutti abbiamo conosciuto persone morte di processo; morte prima che il processo finisse. Morire di processo significa spesso morire stritolati dall’infamia. Infamia che non fa avere la forza di spiegare ai propri cari cosa sta succedendo. Non so se quelle persone fossero colpevoli o innocenti. Non lo saprò mai. Ma forse non lo avrei saputo neppure se fossero sopravvissute al processo. È difficile conoscere la verità; è intrisa di opinabilità. Per non dimenticarlo si potrebbero tenere in tasca le due paginette, fronte-retro, che contengono la condanna di Galileo GALILEI: 22 giugno 1616. Lui che teneva come vera la falsa dottrina. I suoi giudici che bollavano come proposizione assurda e falsa che la Terra non sia centro del mondo e imobile. GALILEI che per aver creduto dottrina falsa si porta a casa il carcere formale ad arbitrio dei suoi inquisitori.

 

  1. Ancora su amnistia, prescrizione del reato, improcedibilità dell’azione penale

4.1. Amnistia, prescrizione del reato, improseguibilità dell’azione penale hanno elementi, almeno in apparenza, comuni.

Nei tre casi, ad es., per il reato non si procede più, a meno che l’imputato non chieda di proseguire.

Per amnistia e prescrizione, però, il reato è estinto; per l’improseguibilità dell’azione penale, invece, continua ad esistere.

Capisco che qualcuno possa pensare trattarsi di tecnicismi giuridici, per intenditori, e forse neppure sbaglierebbe.

Alcune voci si sono espresse nel senso che l’improseguibilità dell’azione penale sarebbe paragonabile ad un’amnistia generalizzata, riguardante in altre parole tutti i reati con la sola esclusione di quelli puniti con l’ergastolo (come previsto dal comma 9 del nuovo art. 344-bis c.p.p.).

Affermazione suggestiva ma nulla di più, dato che l’improseguibilità dell’azione penale non opera per il passato.

Il meccanismo è diverso: si applica solo per i reati commessi dal 1° gennaio 2020 (art. 2, comma 2, della citata legge n. 134 del 2021).

L’amnistia, invece, guarda al passato e non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge (art. 79, terzo comma, Cost.).

Ma ora abbiamo a che fare con l’improseguibilità che – come si è detto – guarda al futuro.

4.2. Il sistema giudiziario ha tuttavia, più di tutto, bisogno che si agisca sul passato.

Solo risolvendo i problemi pendenti accumulatisi nel passato potranno funzionare a pieno regime le riforme pensate per rendere efficiente il sistema del futuro, sulle quali stanno lavorando gruppi di tecnici istituiti dalla Ministra della giustizia.

Perché il passato, in molte realtà giudiziarie del Paese, ha generato arretrati ormai irriducibili che incombono, come macigni, sulle sorti del sistema penale.

Comincio a temere che non tutti sappiano o ricordino che alcune Corti d’appello del nostro Paese hanno pendenze (arretrati) di più di 50.000 processi.

Non servono menti matematiche per capire il problema. In una Corte d’appello 10 giudici, ben guidati e capaci di organizzare il proprio lavoro, possono definire (purché sia chiaro che si tratta, comunque, di un carico di lavoro inesigibile) 2.000 processi all’anno. Dunque, con 50 giudici si possono definire 10.000 processi e ciò significa che se una Corte di 50 giudici ha 50.000 pendenze non potrà mai definirle. Dovrebbe avere 50 giudici in più da dedicare solo all’arretrato e servirebbero 5 anni. Ma dove si trovano 50 giudici se per fare un concorso e preparare 300 giudici servono circa 3 anni e se, ormai, molti magistrati se ne vanno (tante sono le ragioni) prima di raggiungere il limite ultimo dei settanta anni?

E in Italia due importanti Corti hanno queste pendenze e molte altre, di più limitate dimensioni, hanno problemi della stessa natura.

Per le Corti in difficoltà sistemica deve adottarsi comunque un piano strategico straordinario di uscita dal tunnel con protagonisti, risorse e cronoprogrammi adeguati.

Non si intende – sia chiaro – né sarebbe corretto legare la necessità di riscoprire l’amnistia come istituto di portata generale alle sorti di poche Corti non virtuose, non ben gestite e non controllate per decenni. La necessità è oggettiva: serve per creare le condizioni perché la riforma in itinere raggiunga i risultati sperati.

4.3. Con amnistia e prescrizione la regola di garanzia prevista dall’art. 129, comma 2, c.p.p. («Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta») è operativa.

E con l’improseguibilità dell’azione penale? Sembrerebbe di no, mancandone ogni traccia nell’art. 344-bis c.p.p.

Non credo che basti, per sentirsi con la coscienza a posto, prevedere che l’imputato possa rinunciare alla improcedibilità, possa chiedere di procedere solo per arrivare, magari, a consolidare la sentenza di proscioglimento di cui lo ha gratificato il giudice del merito.

Si è detto sopra che l’improseguibilità dell’azione penale, a differenza dell’amnistia e della prescrizione, non estingue il reato. Il reato continua ad esistere.

Differenza curiosa se si pensa che si tratta pur sempre di cause sopravvenute di non punibilità di un reato per il quale fino a un minuto prima si procedeva; di fatti, con effetti di diritto sostanziale e processuale, estintivi dell’azione penale e determinanti decadenza della potestà punitiva.

Troppe ombre si agitano intorno al nuovo istituto dell’improseguibilità dell’azione penale: il rapporto con l’innocenza, il rapporto con l’inammissibilità dell’impugnazione ecc.

Non è questa la sede per ragionare di questi temi ma ritengo vi siano molte ragioni che, alla ricerca dell’equilibrio fra garantismo e efficienza, impongono di affermare che il comma 2 dell’art. 129 c.p.p. deve essere applicato e che l’esame della ammissibilità del ricorso è pregiudiziale all’applicazione del nuovo istituto e della sua disciplina (proroghe dei termini, rinuncia dell’imputato, ecc.).

È, invece, giunto il momento di ricordare ancora che il sistema giudiziario penale, a poco tempo ormai dal varo dei decreti legislativi di attuazione della legge n. 134, è inquinato, in alcune realtà, da arretrati tali da rendere la situazione irrimediabile con interventi ordinari ed ingestibile.

Così restando le cose, la Riforma Cartabia, una riforma di sistema che ha in sé molte importanti novità, farà fatica a produrre quello che l’Europa chiede: efficienza, effettività e competitività, più concretamente riduzione dei tempi, eliminazione degli arretrati, qualità delle decisioni.

Stiamo rivivendo la situazione del 1989, del passaggio dal codice 1930 al nuovo: una riforma di sistema che fu saggiamente fatta coincidere con la concessione di un’amnistia.

 

  1. Che fare?

Resuscitare l’amnistia come strumento di politica giudiziaria sembra impresa impossibile. È impossibile pensare di sensibilizzare le minoranze. E in tempi così stretti è impossibile anche pensare di poter tornare alla democratica maggioranza parlamentare, purché capace di esprimere un indirizzo politico in materia di giustizia penale.

Servirebbe una legge costituzionale di modifica dell’art. 79 della Costituzione. Servirebbe il coraggio di considerarla come strumento di una politica del diritto in materia penale.

Diverse voci si sono espresse in questi termini.

Un gesto democratico di clemenza dimostrerebbe che lo Stato sa ancora dimenticare e servirebbe a stanare i processi dagli armadi in cui giacciono, intoccati, da anni. Ora sarebbe giunto il momento.

Come venne fatto per decongestionare gli uffici giudiziari dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, è fondamentale, ragionevole e giustificato legare a questa importante revisione del codice medesimo un provvedimento di clemenza, fermo restando, naturalmente, il diritto dell’imputato, che intenda proseguire il giudizio per provare la propria innocenza, di rinunciarvi.

 

Note 

[1] Il d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 aveva concesso amnistia con efficacia per una ampia serie di reati, elencati negli artt. 1 e 2, accostata ad una altrettanto corposa lista di esclusioni oggettive (art. 3), commessi fino a tutto il giorno 24 ottobre 1989, data di entrata in vigore del codice di procedura penale.

[2] La legge 31 luglio 2006, n. 241 ha concesso indulto in misura non superiore a tre anni per i reati, salve le specifiche esclusioni oggettive, commessi fino a tutto il 2 maggio 2006.

[3] A. PUGIOTTO, Amnistia e indulto: le buone ragioni di una recente proposta di legge di revisione costituzionale, in www.questionegiustizia.it 22 giugno 2020. Il riferimento è alla proposta di legge costituzionale n. 2456, Magi e altri, presentata alla Camera dei Deputati, contenente Modifiche agli articoli 72 e 79 della Costituzione, in materia di concessione di amnistia e indulto.

[4] A partire dagli anni ’50 e fino all’ultimo sopra citato del 1990, si sono susseguiti i decreti del Presidente Repubblica 19 dicembre 1953, n. 922; 11 luglio 1959, n. 460; 24 gennaio 1963, n. 5; 4 giugno 1966, n. 332; 25 ottobre 1968, n. 1084; 22 maggio 1970, n. 283; 22 dicembre 1973, n. 834; 4 agosto 1978, n. 413, 18 dicembre 1981, n. 744; 9 agosto 1982, n. 525 (solo per i reati tributari); 22 febbraio 1983, n. 43; 16 dicembre 1986, n. 865.

[5] T. GIUPPONI, La clemenza collettiva come strumento di politica criminale: per una riforma dell’art. 79 Cost., in www.forumcostituzionale.it, intervento per il Seminario, Costituzione e clemenza collettiva. Per un rinnovato statuto dei provvedimenti di amnistia e indulto, Roma, 12 gennaio 2018.

[6]  Mi permetto rinviare sul tema a R. BRICCHETTI, Poche parole, ma schiette sul falso mito della prescrizione “ammazza processo” (e altro ancora), in www.discrimen.it 17 febbraio 2020.

[7] A. PUGIOTTO, cit.

[8] Su questi temi v. R. BRICCHETTI, La riforma della giustizia penale. Tempo di primi bilanci, in wwwilpenalista.it, 18 febbraio 2019.

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Renato Giuseppe Bricchetti è Presidente titolare della I sezione penale della Corte di cassazione, componente delle sezioni unite penali e e presidente della Commissione ministeriale di riforma dei reati fallimentari. In precedenza, Presidente vicario della Corte d’appello di Milano e Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia.

 

In foto: Joan Miró, L’oro dell’azzurro (1967; Barcellona, Fundació Joan Miró).