Commento all’art. 45 della Costituzione
di Massimo Palazzo, già presidente della Fondazione italiana del notariato e professore presso l’Università degli studi di Siena
Art. 45 – La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato.
Abstract: Il contributo propone, anche attraverso l’analisi dei lavori dell’Assemblea costituente, un tentativo di comprensione delle radici culturali dell’itinerario di pensiero che portò all’approvazione dell’art. 45 Cost. Si evidenziano in particolare i collegamenti con altre disposizioni costituzionali, allo scopo di fare emergere come l’articolo in esame si collochi in un coerente disegno organico di carattere pluralistico -che intende bandire ogni astrattezza e tutelare ogni cittadino nella sua concreta esistenza quotidiana- nel quale le norme di cui al Titolo III della Costituzione recano obbiettivi di lungo respiro che si pongono quali orizzonti finalistici dell’attività legislativa.
Sommario: 1 – L’impresa cooperativa e l’impresa artigiana nella Costituzione; 2 – Cooperazione e artigianato nei lavori in Assemblea Costituente; 3 – Le origini del fenomeno cooperativo in Europa; 4 – Il ruolo dell’art. 45 Cost. nella ricostruzione dei connotati essenziali del fenomeno cooperativo; 5 – La distinzione tra impresa artigiana e cooperativa; 6 – Un disegno promozionale: cooperazione, artigianato e la “società prefigurata in Costituzione”.
1. L’impresa cooperativa e l’impresa artigiana nella Costituzione.
L’art. 45 delinea lo “statuto costituzionale” di due forme particolari di impresa: quella cooperativa (primo comma) e quella artigiana (secondo comma).
Queste disposizioni completano il quadro della disciplina costituzionale dell’attività economica, le cui linee portanti sono tracciate dalle altre disposizioni del Titolo III (Rapporti economici, artt. 35-47) della Parte I della Costituzione, in particolare dagli artt. 41, 42, e 43, insieme all’art. 47, dove vengono in rilevo, promiscuamente, l’impresa bancaria, la piccola impresa agricola (coltivatori diretti) e la grande impresa azionaria.
La disciplina costituzionale della cooperazione e dell’artigianato conferma alcune linee di tendenza della Costituzione economica italiana, ed in particolare, alcuni ricorrenti modelli di regolazione giuridica dei rapporti economici1. Primo fra tutti la precisazione della funzione ricognitiva, e non fondativa, della norma costituzionale, che appunto “riconosce” la cooperazione come spontanea organizzazione sociale ed economica, lungi dal costituirla o dal rinviarne la costituzione alla legge.
La nostra Costituzione, come è stato notato, è espressione di un tempo giuridico post-moderno anche sotto il profilo della dialettica tra due nozioni, ben presenti nel testo del 1948, quella di ‘Repubblica’ e quella di ‘Stato’ che non sono e non vogliono essere dei sinonimi2. Stato è l’apparato di poteri necessario a una democrazia parlamentare per svolgere la sua funzione disciplinatrice, per reprimere le illiceità e garantire una effettiva tutela della libertà del cittadino. Repubblica è una realtà socio/giuridica più ampia e complessa, il popolo italiano, chiamato ad essere fabbro della sua storia, artefice di storia. Giuridicamente la Repubblica italiana si presenta quale realtà squisitamente pluri-ordinamentale.
Il compito che la Costituzione, solo in apparenza più limitato, attribuisce alla Repubblica, è quello di garantire l’autentica essenza della cooperazione, e di promuoverne la diffusione, segno di un favor evidente che le disposizioni del titolo III riservano anche ad altri fenomeni, come la proprietà privata popolare della casa di abitazione, il risparmio popolare, la proprietà diretta coltivatrice (art. 47 Cost.), la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese (art. 46 Cost.), la promozione di forme di sfruttamento del suolo economicamente più razionali e socialmente più eque (art. 44 Cost.), una diffusione più ampia possibile della proprietà privata (art. 42 Cost.), in chiave di redistribuzione della ricchezza e del perseguimento di un disegno di maggiore omogeneità sociale funzionale ad attenuare i crinali di divisione e a moderare i fattori di conflitto tra le parti sociali.
Il tutto nel quadro di un’opzione generale di approccio ai temi economici segnata dalla scelta effettuata fin dal primo articolo della Costituzione nel senso della primazia del principio lavorista. Una vera e propria scelta costitutiva, una decisione fondamentale circa un certo ordine costituzionale che rispecchia un sistema valoriale. Il favor verso la cooperazione e l’artigianato come momento, dunque, del più generale favor costituzionale verso la persona ed il lavoro, “in tutte le sue forme ed applicazioni”, come indicano gli artt. 1 (L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro) e 4 Cost. (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società), e come è confermato dalla lettura degli artt. 35 e seguenti della Costituzione.
Un secondo profilo di continuità tra la specifica disciplina costituzionale della cooperazione e dell’artigianato e le altre norme della vigente Costituzione economica consiste nell’atteggiamento di self restraint del costituente che, nel disciplinare il fenomeno cooperativo e l’impresa artigiana, così come per altri fenomeni originati nel contesto socio economico, rifugge da pretese definitorie definitive, ed accoglie piuttosto categorie e riferimenti particolarmente ampi, idonei ad accompagnare nel tempo la naturale inevitabile evoluzione dei rapporti sociali ed economici, del tutto coerentemente, peraltro, rispetto alla prima caratteristica segnalata, e cioè quella inerente la funzione di riconoscimento, e non di fondazione, che le norme costituzionali dispiegano relativamente a fatti originati autonomamente nel contesto sociale ed economico.
La cooperazione e l’artigianato non sono definiti o ipostatizzati in categorie formali ed astratte al fine di non ingessare la realtà socio-economica con formule rigide, anche se la Costituzione non rinuncia a sancire due irrinunciabili elementi costitutivi della cooperazione: il carattere di mutualità e l’assenza di fini speculativi.
Rispetto ai fatti originati nel contesto economico produttivo, dunque, la Costituzione si muove per lo più in un’ottica di prudente rispetto delle dinamiche autonome dell’economia e della società, riservando alle norme costituzionali una funzione di garanzia e protezione, che comporta nel complesso un grado di integrazione pubblicistica relativamente basso, intendendo con questa espressione riferirsi alla posizione del punto di equilibrio tra esigenze di intervento pubblico ed esigenze di rispetto dell’autonomia privata delle forze economiche e sociali che ogni Costituzione economica è chiamata ad effettuare, a fronte della gamma di opzioni astrattamente possibili che vanno da un minimo di sostanziale indifferenza statuale per i rapporti economici ad un massimo di piena statalizzazione dei fattori produttivi.
A conferma del carattere pluralistico della Costituzione3, dunque, la previsione costituzionale non si esaurisce nella fondamentale dicotomia impresa privata – impresa pubblica, ma coglie in modo differenziato la molteplicità di tipi di attività produttive e di modelli organizzativi delle stesse, propria dei Paesi a capitalismo avanzato.
2. Cooperazione e artigianato nei lavori in Assemblea Costituente.
Come è noto, nella seconda metà dell’anno 1946 una Commissione di 75 persone fu investita, all’interno dell’Assemblea Costituente, del compito della redazione di un progetto.
All’interno della Commissione la Prima sottocommissione (composta di diciotto membri) fu chiamata a misurarsi sul nodo più difficile da sciogliere quello del titolo I (Rapporti civili) della Parte Prima “diritti e doveri dei cittadini”. La formulazione dell’attuale articolo 45 fu invece oggetto dei lavori della Terza sottocommissione sui rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini e che vedeva tra i suoi membri, oltre agli altri, personaggi che è opportuno ricordare come Amintore Fanfani, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Caronia, Maria Federici, Angelina Merlin, Teresa Noce, Michele Giua, Antonio Pesenti ed Emilio Canevari del Partito Socialista Lavoratori Italiani. Quest’ultimo fu l’estensore di una relazione introduttiva tutta dedicata alla cooperazione4. Comunisti e socialisti, cattolici e liberali si impegnarono a leggere nelle trame della società italiana, mettendo da parte le valenze ideologiche e separatrici e cercando terreni di convergenza5.
I principi contenuti in questa disposizione costituzionale non sono comuni nel panorama comparatistico. Cenni al fenomeno cooperativo compaiono in poche altre costituzioni europee (ad esempio quella portoghese), ma in linea di massima una tale valorizzazione della cooperazione e dell’artigianato a livello costituzionale è fenomeno raro.
Quali sono le ragioni per le quali la Costituzione italiana del 1948, a differenza di molte altre coeve e successive, riconosce un tale valore ai fenomeni economico-sociali della cooperazione e dell’artigianato?
L’anomalia suscita ulteriori interrogativi se si considera che i principi che saranno incorporati nel futuro art. 45 della Costituzione sono stati pressoché unanimemente condivisi e pacificamente accolti, senza divenire bersaglio di quelle aspre critiche o di quelle divisive lacerazioni che hanno contrassegnato la discussione e l’approvazione di altri principi in materia di «costituzione economica»6 o, per meglio dire, di «rapporti economici».
Il fatto è tanto più degno di nota se si tiene a mente che all’epoca, in Assemblea costituente, le maggiori contrapposizioni fra le forze politiche si appuntavano proprio sul modello economico da perseguire: con i partiti di area socialista e comunista inclini a forme di economia pianificata o comunque strettamente regolata dalla mano pubblica e i liberali e altre forze conservatrici fiduciose nelle logiche del mercato e della sua «mano invisibile», per richiamare una famosa espressione di Adam Smith7.
L’unica vera discussione che in sede di Sottocommissione riguardò il tema della cooperazione si incentrava in realtà su nozioni che sarebbero poi state oggetto specifico di altri articoli della Costituzione, il 41 e il 42. La cooperazione venne così introdotta in quel contesto anche per circoscrivere e precisare le concezioni di proprietà e di iniziativa economica, in maniera che si tenesse conto di tutti gli orientamenti presenti in Assemblea, da quello estremo liberale, che concepiva solo la proprietà privata, a quello socialista-comunista che avrebbe voluto si imponesse un modello di proprietà esclusivamente statale.
Nella seduta del 26 ottobre 1946 viene approvato il testo degli articoli emerso dai lavori della terza Sottocommissione.
L’art. 9 al suo primo comma prevedeva: Diritto di proprietà. I beni economici possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva […]. L’art. 11, dal canto suo, affermava: Impresa. Le imprese economiche possono essere private, cooperativistiche, collettive […]. L’impresa cooperativa deve rispondere alla funzione della mutualità ed è sottoposta alla vigilanza stabilita per legge. Lo Stato ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei. Seguiva l’art. 15 secondo cui: [l]o Stato stimola, coordina e controlla il risparmio. L’esercizio del credito è parimenti sottoposto al controllo dello Stato al fine di disciplinarne la distribuzione con criteri funzionali e territoriali.
Questi articoli costituiscono il primissimo abbozzo di quelli che, opportunamente rielaborati, diventeranno poi parte integrante del Titolo III.
Un elemento interessante da notare in questi passaggi è che la nozione di cooperazione, in questa fase transitoria, è stata incaricata anche del compito di mediare tra le diverse posizioni politiche che rischiavano di non ottenere il consenso sul testo definitivo.
Nei vari dibattiti che si sono susseguiti nei mesi autunnali del 1946, l’aggettivo “cooperativo” venne aggiunto sia alla qualifica dei beni economici sia a quella delle imprese. I costituenti, così, sono stati in grado di ammorbidire le loro posizioni e avvicinare dei poli che avrebbero potuto non incontrarsi mai per il fiero contrasto rappresentato dalla diversità delle varie visioni del mondo politico, economico e sociale. L’attributo, poi, scomparve dalla versione intermedia del Progetto di Costituzione.
In effetti, tra il novembre e il dicembre 1946, gli articoli elaborati dalla terza Sottocommissione vennero passati al vaglio del Comitato di coordinamento tra la prima e la terza Sottocommissione e al Comitato di redazione della cui attività resta nulla o poca traccia.
Dall’art. 11 della proposta della Terza sottocommissione verrà scorporato e rielaborato il terzo comma (che, a partire dalla Relazione iniziale di Canevari aveva solcato le diverse discussioni ed era approdato quasi indenne al Comitato di redazione) e, nella formulazione del Progetto di costituzione – che sarà presentato alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947 – la cooperazione assumerà rilievo autonomo, sarà separata dagli articoli sulla proprietà e sull’iniziativa economica e darà vita a una nuova previsione (l’art. 42, il futuro art. 45) con questo testo: La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione; ne favorisce l’incremento e la sottopone alla vigilanza, stabilita con legge, per assicurarne i caratteri e le finalità.
In Assemblea plenaria, il 5 marzo 1947, Umberto Tupini, nel ripercorrere la strada effettuata a partire dal luglio 1946, ribadì due aspetti molto significativi a conferma di due aspetti non marginali: la capacità dei costituenti di raggiungere un equilibrio che tenesse conto dei diversi punti di vista e l’art. 45 sulla cooperazione come punto di confluenza di una serie di vicende storiche che vengono riconosciute come positive e valorizzate. Il resto del percorso in Assemblea costituente dell’articolo, per il fatto che tutti concordavano sulla sua opportunità, non trovò altri grossi ostacoli, salvo i necessari ritocchi formali che lo portarono ad assumere la veste con cui oggi lo conosciamo e con cui fu approvato il 14 maggio del 1947.
Al contrario della cooperazione, il tema dell’artigianato, già oggetto di una consistente produzione legislativa in epoca pre-repubblicana, non fu oggetto di particolare dibattito in Assemblea Costituente.
Il secondo comma dell’art. 45 Cost., dedicato appunto alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato, è assente nella versione originaria dell’art. 42 approdato in Assemblea. La disposizione fu infatti introdotta su proposta di Gortani, Franceschini, Di Fausto e Andreotti, come comma aggiuntivo dell’art. 43 del progetto (attuale art. 46 dedicato alla collaborazione dei lavoratori nella gestione delle aziende), il cui esame si svolse nella fase finale della seduta del 14 maggio 1947, riscuotendo l’approvazione unanime di tutti i gruppi parlamentari.
Quale speciale forza culturale esprimeva dunque il futuro art. 45 Cost. da riuscire a far convergere il consenso di partiti politici altrimenti divisi sui temi della proprietà, dell’impresa e dell’economia?
Come sopra accennato, la Costituzione italiana del 1948 rappresenta l’espressione storica della cultura di un popolo. La Costituzione nasce dall’esperienza di una comunità di popolo e dall’interno della sua vita prendono forma i suoi principi. In questa prospettiva, giova ripercorrere la genesi storica della disposizione costituzionale dedicata alla cooperazione e all’artigianato, non per sterile gusto archeologico ma per comprendere quali siano state le origini e l’evoluzione del pensiero giuridico su questi temi/problemi ed infine anche nutrire la memoria, perché quella forza generativa e unificatrice espressa dall’art. 45 non si affievolisca nel corso del tempo, ma anzi sia fonte di sviluppo di sempre nuove capacità creative.
Il pieno significato dell’art. 45 della Costituzione – da leggersi anche in relazione all’art. 47 dedicato alla valorizzazione del risparmio – affonda le sue radici nel contesto della turbolenza politica, economica e sociale della seconda metà dell’Ottocento, segnato da profonde trasformazioni sociali, innescate dalla seconda rivoluzione industriale, con la nascita di nuovi soggetti quali i partiti politici di massa e i sindacati per dar voce alle esigenze dei lavoratori.
3. Le origini del fenomeno cooperativo in Europa.
Le prime società cooperative furono costituite in Europa intorno alla metà dell’Ottocento. La rivoluzione industriale, mutando le tecniche di produzione, provocò la concentrazione dell’attività economica nelle fabbriche e lo spostamento di grandi masse di popolazione dalle zone rurali a quelle urbane, determinando profondi squilibri sociali, che indussero le classi subalterne a cercare forme di organizzazione che le difendessero dalla oppressione delle regole economiche del capitalismo.
In Italia la nascita delle prime cooperative venne favorita dal riconoscimento della libertà di associazione concessa dallo Statuto albertino, dall’impegno sociale dei cattolici e dei socialisti.
Tuttavia, occorre attendere il codice di commercio del 1882 per veder fissate nell’ordinamento italiano le prime norme in tema di società cooperative, ignorate invece dal codice di commercio del 1865, probabilmente a causa del fatto che era modellato sul codice francese del 1807. Un testo cioè risalente ad un’epoca in cui il fenomeno era ancor lungi dal ricevere riconoscimenti legislativi, e per giunta in una nazione in cui lo stesso movimento cooperativo, anche successivamente, rifiuterà una legislazione speciale8.
Il codice di commercio del 1882 dedicò alle cooperative dieci articoli (219-228) e sette articoli alle “associazioni di mutua assicurazione” (239-245), fissando alcune regole sulla struttura e comprendendole, in sostanza, nell’ambito della disciplina delle società commerciali, quale semplice variante della società anonima.
Successivamente la legislazione italiana si è andata attuando e ampliando con una serie di leggi speciali, ma fu il codice del 1942 (artt. 2511-2545) ad effettuare un’enunciazione teorica della figura ed a porre l’elemento distintivo dagli altri tipi di società nello scopo mutualistico dell’impresa sottostante, lasciando in vita la legislazione speciale che andava sempre più arricchendosi. Nel codice del 1942 la cooperativa diventa quindi un nuovo tipo sociale e non più una sottospecie delle società commerciali. Inoltre, pur conservando il carattere della variabilità del capitale sociale, essa viene qualificata anche sul piano funzionale.
4. Il ruolo dell’art. 45 Cost. nella ricostruzione dei connotati essenziali del fenomeno cooperativo.
Con l’entrata in vigore della Costituzione, dopo appena cinque anni dalla approvazione del codice civile, la legislazione italiana in materia di società cooperative subisce una svolta importante. L’elemento determinante è dato dall’espresso riconoscimento della “funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. Il fenomeno trova cioè, dopo la parentesi del fascismo, una collocazione privilegiata tra le possibili forme di iniziativa economica e per i valori di socialità e di democrazia che esso esprime. La disposizione costituzionale manifesta quindi un mutamento di atteggiamento della Repubblica, rispetto a quello dello Stato liberale, verso la cooperazione.
Di questo clima nuovo è immediata espressione il d.lgs. C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, noto come “legge Basevi”, che è permeato dei principi introdotti dall’art. 45 Cost., pur non potendosi considerare, a stretto rigore, una legge attuativa della Costituzione, in quanto a questa anteriore sia pure di pochi giorni. Con alcune modifiche introdotte nel 1949, 1950, 1951 e poi con la l. 17 febbraio 1971 n. 127, con la l. 31 gennaio 1992, n. 59 e infine con la l. 3 aprile 2001, n. 142 è stato riordinato il sistema dei controlli e della vigilanza, nuove norme sul numero minimo ed i requisiti dei soci, agevolazioni tributarie e facilitazioni per la raccolta del capitale di rischio.
Nell’individuazione dei connotati essenziali della società cooperativa assume oggi notevole rilievo il disposto dell’art. 45 Cost., secondo il quale funzione sociale, mutualità ed assenza di speculazione privata rappresentano i tratti caratterizzanti la cooperazione. La funzione sociale, in particolare, rappresenta il fulcro della definizione costituzionale del fenomeno cooperativo ed assume un rilevo causale nel contratto di cooperativa, esigendo che la funzione di tale contratto si rivolga nella direzione di un interesse socialmente utile e quindi meritevole di tutela9.
Recentemente con la riforma organica delle società di capitali e delle cooperative (D. lgs. 6 /2003), si è lasciata sostanzialmente inalterata la complessa disciplina prevista dalla legislazione speciale, incidendo, al contrario sul testo del codice civile. In particolare: 1) Si è introdotta la distinzione tra società cooperative a mutualità prevalente e altre cooperative, ignota al codice del 1942; 2) Si è data la scelta tra modello legale della società per azioni e quello della società a responsabilità limitata; 3) Sono state ampliate le forme di finanziamento cui possono fare ricorso le cooperative con l’introduzione della figura del socio finanziatore e altri sottoscrittori di titoli di debito.
5. La distinzione tra impresa artigiana e cooperativa.
I criteri di classificazione adottati dalla Costituzione non coincidono, ovviamente, con quelli, ad esempio, del codice civile, perché diversa è la logica sottostante. Nella prospettiva della Costituzione la distinzione tra tipi di imprese e modelli organizzativi non risponde, come si accennava nel par. 1 del presente contributo, ad esigenze descrittive, ma si fonda sul loro rapporto con gli interessi generali della collettività, sulla loro maggiore o minore attenzione a soddisfare quegli interessi. E proprio su questo piano si può cogliere il significato della considerazione in una stessa norma della cooperazione e dell’artigianato.
Certamente si tratta di due fenomeni assolutamente eterogenei. La cooperazione esprime una forma di organizzazione di impresa suscettibile di utilizzazione per qualsiasi specie di attività economica. L’artigianato consiste in un tipo di impresa privata contraddistinta da connotati specifici, sia sul piano dell’attività sia su quello dell’organizzazione. Conseguentemente, anche la valenza che la Costituzione attribuisce all’una ed all’altro è diversa. Ben più incisiva quella della cooperazione, alla quale si riconosce una funzione sociale, cui sono finalizzati protezione e controlli. Per l’artigianato si prevede soltanto, genericamente, l’intervento del legislatore per la sua tutela ed il suo sviluppo.
Tra il primo e il secondo comma dell’art. 45 vi è, comunque, un duplice comune denominatore. La tutela delle posizioni economicamente deboli e la protezione e incentivazione dei fattori di articolazione e diffusione del potere economico, del controllo della ricchezza, nel quadro degli obbiettivi posti dagli artt. 1, 2, 3 e 4 della stessa Costituzione.
La cooperazione, che nel disegno costituzionale si colloca quale terzo genere tra impresa privata ed impresa pubblica, fuoriesce dal modo di produzione e gestione capitalistico, ponendo al centro della dinamica la persona del socio cooperatore e concretizzando una vera e propria forma di socializzazione che traduce, sul terreno economico, i principi di uguaglianza e democrazia che sono alla base del nostro impianto costituzionale.
L’artigianato resta nell’area dell’impresa privata, ma quale impresa privata minore che, in quanto elemento di diversificazione delle strutture economiche, costituisce strumento se non di trasformazione di esse (come la cooperazione), quanto meno di equilibrio, limitando le spinte centralizzatrici della grande impresa privata. Anche qui al centro della dinamica del fenomeno economico troviamo l’elemento personale, in quanto l’impresa artigiana si fonda sul diretto contributo lavorativo dei soggetti che ne sono titolari in qualità di artigiani (o quanto meno, sulla prevalenza di tale contributo lavorativo diretto in rapporto a quello derivante dall’impiego eventuali lavoratori dipendenti).
6. Un disegno promozionale: cooperazione, artigianato e la “società prefigurata in Costituzione”.
Con riferimento al movimento cooperativo e all’artigianato, la Costituzione del 1948 propone un disegno rispettoso delle dinamiche autonome del fenomeno, ed improntato ad un approccio di garanzia e protezione, accompagnato da un intento promozionale espressamente dichiarato, le cui ragioni meritano qualche ulteriore riflessione. Come si è evidenziato, le norme di cui al titolo III della Costituzione recano spesso obiettivi di lungo respiro che si pongono quali orizzonti finalistici dell’attività del legislatore. Se, dunque, nella Costituzione economica prevale un disegno garantistico – piuttosto che un modello di maggiore integrazione pubblicistica – ritenuto più coerente con le premesse di libertà cui anche il sistema economico, oltre a quello politico, deve informarsi, è comunque proprio sul terreno della stesura delle coordinate costituzionali dei rapporti economici che il Costituente non rinunzia a delineare quella “società prefigurata in Costituzione” che Alberto Predieri indicava come progetto cui avrebbero dovuto tendere tutti, pubblici poteri e privati cittadini 10. In questo quadro, la valorizzazione della cooperazione e dell’artigianato occupa un posto di rilievo ed appare un tratto saliente di quella società prefigurata che la Costituzione non impone certo – altrimenti avrebbe finito per svuotare le premesse liberali sopra accennate che innervano il testo costituzionale – ma certamente auspica.
1V. in tal senso G. COLAVITTI, L’impresa cooperativa tra valori e “disvalori” costituzionali, in Amministrazione in cammino, 18 maggio 2011, consultabile on line sul sito amministrazione in cammino.luiss.it
2Per gli opportuni chiarimenti sul tempo pos-moderno in relazione agli sviluppi costituzionali si rinvia a P. GROSSI, Costituzionalismi tra ‘moderno’ e pos-moderno’. Tre lezioni suor-orsoliane, Napoli, 2019, passim, con la nitida conclusione (p. 84) : “La vecchia immagine dello Stato unico produttore di diritto, monopolizzatore della giuridicità, è incapace di restituire l’odierno (e obbiettivamente complesso) paesaggio giuridico di un tempo pos-moderno.
3 P. GROSSI, La Costituzione italiana quale espressione di un tempo giuridico pos-moderno, in ID., L’invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017, 39 ss.; A. NIGRO, Art. 45, in Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1981, 1 ss.
4 In questa relazione si faceva espressamente menzione del fatto che «[l]a cooperazione, con le sue organizzazioni basate sui principi della mutualità e ispirate ad alte finalità di libertà umana, costituisce un efficace mezzo di difesa dei produttori e dei consumatori dalla speculazione privata, e di elevazione morale e materiale delle classi lavoratrici». Nelle parole dell’esponente socialista venivano riassunte le motivazioni ideali che avevano spinto anche i cattolici ad operare a favore dei più deboli con un modello innovativo che né lo stato liberale né il capitale avevano previsto. Canevari continuava affermando che la cooperazione, insieme ad altri numerosi ambiti, doveva essere considerata dallo Stato e dagli enti pubblici anche «nel credito e nell’assicurazione: come mezzo atto a risuscitare, attorno alle Banche popolari, alle Casse rurali e alle Mutue assicuratrici la fiducia e l’attaccamento dei piccoli risparmiatori, degli artigiani, degli operai, perché siano assistite e sorrette le iniziative dei ceti medi e le attività cooperative, particolarmente nella loro azione di interesse locale». Sui lavori preparatori relativi all’articolo in commento in assemblea costituente v. F. LOTITO, D. NARDELLA, Art. 45, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, Milano, 2006, 914 ss. Per la ricostruzione dei lavori dell’Assemblea Costituente si può oggi consultare il sito www. nascitaCostituzione.it, a cura di F. Calzaretti.
5 P. GROSSI, La legalità costituzionale nella storia della legalità moderna e posmoderna, in Lo Stato costituzionale. La dimensione nazionale e la prospettiva internazionale. Scritti in onore di Enzo Cheli, Bologna, 2010, 45, qualifica la Costituzione un autentico “atto di ragione”, intendendo sottolineare la prevalenza di un atteggiamento autenticamente cognitivo, al di sopra di contrapposizioni ideologiche e di umori incontrollati. A conferma di questo atteggiamento giova ricordare che nella relazione su L’impresa economica nella rilevanza costituzionale, Antonio Pesenti, giurista specializzato in economia appartenente al PCI e docente di Scienza delle finanze e Diritto finanziario e in seguito di Economia politica, scriveva: “È interesse nazionale tutelare oltre che la proprietà e l’impresa di Stato o nazionalizzata, l’impresa e la proprietà Cooperativa, e l’impresa e la proprietà privata, in special modo quella di media e piccola dimensione. L’impresa cooperativa rappresenta un tentativo sociale di difesa dei lavoratori che uno Stato democratico non può trascurare e deve anzi proteggere. Un riconoscimento della funzione sociale di questa forma di proprietà e d’impresa posto nella Carta costituzionale dovrebbe essere alla base di una legislazione particolare, a favore delle cooperative. Infine, non è male che nella Carta costituzionale sia riaffermata l’utilità sociale dell’impresa artigiana e media e ne sia assicurata la protezione da parte dello Stato”.
6 Esprime riserve sull’uso di questa espressione, che sembra alludere a una separabilità dei principi costituzionali in materia economica rispetto al testo complessivo della Costituzione, che invece deve essere unitariamente considerato e interpretato, M. LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubbliche, V, Torino 1990. Per una diffusa e penetrante trattazione sui rapporti tra l’economia e il diritto, si veda anche S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2004, 3 ss. .
7 A. SMITH, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Milano, 1977, 444.
8A. BASSI, Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici, in Il codice civile, Commentario Schlesinger, Milano, 1988, 7.
9Per tutti v. G. TATARANO, L’impresa cooperativa, in Tr. Cicu-Messineo, Milano, 2002, 37 ss. A questo contributo si rinvia anche per un’analisi delle diverse ricostruzioni interpretative della “funzione sociale”.
10 La “società prefigurata” è una felice immagine costruita sull’interpretazione sistematica degli artt. 2 e 3 della Costituzione da A. PREDIERI, Pianificazione e costituzione, Milano, 1963, comprensibile soprattutto nella relazione di alterità rispetto all’immagine della “società rifiutata”; la società che la Costituzione rifiuta è quella basata sulla logica dell’esclusione, dell’“amico-nemico”, propria dei totalitarismi, dove l’identità dello Stato-comunità è costrutità sull’identificazione di uno o più “nemici” (si v. anche il più recente saggio di A. PREDIERI, Karl Schmitt, un nazista senza coraggio, Scandicci, 1999).
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Massimo Palazzo, notaio dal 1994, è stato presidente della Fondazione italiana del notariato dal 2013 al 2019, ed è professore a contratto di diritto e legislazione notarile presso il dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi di Siena. Membro del comitato scientifico del Trattato di diritto civile del CNN; direttore di area della rivista Giustiziacivile.com e condirettore della collana I nuovi orizzonti del diritto delle relazioni familiari e delle persone; curatore di varie opere collettanee. Ha pubblicato alcuni contributi monografici e numerosi saggi di diritto civile e commerciale.