L’art. 117, commi 2 e 3

Commento all’art. 117, comma 2, lett. e) – armonizzazione dei bilanci pubblici e perequazione delle risorse finanziarie, e comma 3 – coordinamento della finanza pubblica) 

di Elena Tomassini, magistrato, vice procuratore generale a Roma

 

Articolo 117 Cost.  – La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

 

Abstract: L’art. 117 della Costituzione ha subito numerose modifiche a causa della necessità di dare avvio alla previsione costituzionale delle autonomie territoriali, processo continuato per. La riforma del titolo V della Costituzione, tuttavia, all’inizio del millennio, non ha risolto le problematiche dovute, essenzialmente, all’assenza della mediazione politica e ad una legislazione statale di principio non perspicua. Ne è derivato un anomalo ricorso alla Corte costituzionale per dirimere i molteplici aspetti di contrasto tra lo Stato e le Regioni. Le materie trattate sono di particolare delicatezza, rivestendo aspetti centrali per una vera autonomia dei territori e per la tutela della loro diversità, pur nell’unità della Repubblica che è stata ribadita dai padri costituenti. Al contempo, è necessario preservare l’armonico procedere della legislazione tributaria e contabile statale e regionale per garantire il rispetto degli obblighi internazionali, tra cui acquistano particolare rilevanza quelli dell’Italia con l’Unione Europea. Al fine di conciliare tali inderogabili esigenze, la Costituzione ha riservato non solo al legislatore statale il compito di coordinamento della finanza pubblica, imponendogli un onere di vigilanza sul complesso delle disposizioni legislative, ma anche alla Corte dei conti, magistratura terza ed imparziale, il compito di garantire, attraverso il sindacato diffuso delle norme extra vagantes, la difesa di tale aspetto.

Sommario

  1. La potestà legislativa statale e regionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in generale.
  2. La legislazione esclusiva statale: caratteri e ragioni dell’attrazione delle materie del comma 2 dell’art. 117 della Costituzione. Le interferenze con altri articoli costituzionali.
  3. Il sistema tributario e contabile.
  4. L’armonizzazione contabile.
  5. La giurisprudenza costituzionale nella materia dell’armonizzazione contabile. Il ruolo delle norme interposte di cui al d. lgs. n. 118 del 2011 e s.m.i.
  6. Il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La competenza concorrente dello Stato e delle Regioni e il ruolo delle norme di principio. La garanzia statale del coordinamento della finanza pubblica e i relativi oneri. Il ruolo della Corte dei conti.

 

  1. La potestà legislativa statale e regionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in generale[1].

La riforma del titolo V della Costituzione, attuata com’è noto, tramite tre leggi costituzionali (22 novembre 1999, n. 1, 31 gennaio 2001, n. 2, e 18 ottobre 2001, n. 3), ha modificato il precedente assetto prevalentemente centralistico, con l’eccezione rilevante delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, tra cui la Sicilia e la Valle d’Aosta già istituite prima della Costituzione. Quest’ultima, pertanto, all’art. 5, accanto al fondamentale principio dell’unità della Repubblica, ha previsto il riconoscimento e la promozione delle autonomie e del decentramento dell’organizzazione statale e, prima ancora, della loro legislazione[2]; il disegno costituzionale è stato però realizzato assai lentamente, sia con l’attuazione parziale ed incompleta delle Regioni a statuto speciale, attraverso una legislazione delegata inidonea a dare avvio alla loro integrale applicazione, sia soprattutto per le regioni a statuto ordinario. Queste ultime, dopo una prima legge che subordinava l’autonomia legislativa regionale alle “leggi cornice” statali[3], hanno trovato attuazione effettiva soltanto con la legge 16 maggio 1970 n. 281  e con le leggi di emanazione degli statuti delle regioni ordinarie, nonché con la legge 22 luglio 1975, n. 281, che ha trasferito alcune le funzioni dallo Stato alle regioni; infine, soltanto con il decreto legislativo 24 luglio 1977 n. 616, è stato disposto un ampliamento della potestà legislativa regionale ripartendo, inoltre, le funzioni degli enti territoriali minori, in attuazione dell’art. 118 della Costituzione. Il lungo cammino verso l’implementazione delle autonomie regionali ha trovato ulteriori e fondamentali pietre miliari nella legge n. 142 del 1990 e nelle leggi cd. “Bassanini” 15 marzo 1997 n. 59 e 15 maggio 1997, n. 127, seguite dal d. lgs. 31 marzo 1998 n. 112, con cui sono state conferite effettive funzioni alle Regioni, Province e Comuni. La dottrina[4]  non ha mancato di sottolineare la forzatura della legislazione ordinaria, mancando un’organica modifica costituzionale che invece è intervenuta alcuni anni dopo, all’inizio del nuovo millennio[5].

Per quanto più interessa a livello della ripartizione delle competenze legislative statali e regionali, la legge costituzionale di maggior rilievo è la 18 ottobre 2001, n. 3, che, ribaltando la precedente formulazione, attribuisce formalmente alle Regioni una potestà legislativa ben più ampia, e tendenzialmente – al di fuori delle materie di competenza esclusiva statale – pervasiva, come dimostra la competenza residuale di cui all’ultimo comma.

La riforma, tuttavia, avrebbe dovuto interessare immediatamente anche articoli contigui, e principalmente l’art. 119 Cost., in tema di autonomia finanziaria, attuata per tale aspetto soltanto con la legge di delega n. 42 del 2009, seguita dal decreto legislativo n. 118 del 2011 e successive modifiche. Come osservato da attenta dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale[6], un’autonomia legislativa, anche ampia, non raggiunge gli obiettivi in assenza della necessaria autonomia finanziaria e di un’effettiva rappresentanza regionale in Parlamento, con conseguente modifica del bicameralismo parlamentare.

In tale contesto, di difficile interpretazione delle norme e di assenza di un quadro organico di riforma dei rapporti tra Stato e autonomie, la giurisprudenza costituzionale, come si vedrà più avanti, ha acquisito una funzione fondamentale anche se non esente da critiche.

Controverso e oggetto di una legislazione a tratti contraddittoria è, anche, il sistema di finanziamento delle Regioni, in particolare di quelle a statuto ordinario, previsto quale precetto dall’art. 119 Cost., che è stato pure riformato, attesa la limitazione alla potestà tributaria propria delle regioni della legge 16 maggio 1970 n. 281. Tale limitazione ha riguardato non soltanto la determinazione delle quote dei tributi il cui gettito è attribuito alla Regione, ma anche la fonte di tale limitazione, definita da legge statale. Senza addentrarci a fondo nella problematica, oggetto dell’analisi dell’art. 119 Cost., basta in questa sede rilevare l’interconnessione di tale norma costituzionale con i campi del coordinamento della finanza pubblica,  riservato alla potestà legislativa concorrente statale e regionale, del sistema tributario e contabile e dell’ armonizzazione  dei bilanci pubblici, attribuiti invece alla competenza esclusiva statale.

Trasversale è poi il nodo della perequazione tra territori e dei relativi fondi, oggetto di numerosi interventi della Consulta, a seguito di continue “incursioni” del legislatore statale in materia attraverso l’imposizione di vincoli di destinazione, in violazione del quinto comma dell’art. 119.

La dottrina non ha mancato di rilevare i problemi determinati dal nuovo riparto, derivante, soprattutto, dalla contiguità delle norme attribuite alla competenza statale e quelle riservate alla competenza regionale[7].

Per le regioni a statuto speciale, opera l’art. 10 della legge n. 3 del 2001, che dispone l’applicazione della disciplina più favorevole nel caso di discrasia tra disciplina costituzionale e statutaria[8].

Oltre al riparto delle competenze, la legislazione statale e regionale deve rispettare una serie di vincoli: quelli discendenti dalle norme costituzionali e quelli derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea e dall’ordinamento internazionale. Tali limiti sono stati introdotti, con particolare riguardo a quelli unionali e internazionali, dalla riforma del titolo V della Costituzione tanto da fungere da ponte tra l’ordinamento interno e quello comunitario. Al riguardo, l’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 131, ha appunto stabilito che i vincoli alla potestà legislativa statale e regionale sono quelli derivanti dalle “norme di diritto  internazionale generalmente riconosciute, di cui all’articolo 10 della Costituzione”, da  accordi  di  reciproca  limitazione  della  sovranità,  di   cui all’articolo 11 della Costituzione,  dall’ordinamento  comunitario  e dai trattati internazionali.

La subordinazione della legislazione interna a quella unionale, il potere di disapplicazione e l’obbligo del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 TFUE riposano infatti sulla disciplina dell’art. 117 della Costituzione  (oltre che sugli artt. 10 e  11) che, quindi, salvi i cd. “controlimiti” azionati nell’interpretazione della legge qualora vengano lesi, dalle fonti comunitarie, i diritti fondamentali della Costituzione, costituisce il parametro di legittimità delle leggi interne davanti alla Consulta[9].

Sul riparto di competenze nelle materie in esame (armonizzazione contabile, coordinamento della finanza pubblica, sistema tributario e contabile), è intervenuta, poi, la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio all’art. 81 Cost., modificando anche, tra gli altri, l’art. 117. In particolare, tale principio è definito come equilibrio delle entrate e delle spese; è altresì limitato il ricorso all’indebitamento soltanto all’ipotesi di fasi avverse del ciclo macroeconomico o a circostanze eccezionali, da approvarsi con maggioranza assoluta delle Camere. L’introduzione a livello costituzionale del principio generale del divieto dell’indebitamento ha comportato anche una maggiore sorveglianza e coordinamento statale sui bilanci degli enti territoriali e regionali; pertanto, l’articolo 3 ha modificato i commi 2 e 3 dell’articolo 117 della Costituzione, recanti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni, al fine di riservare la materia della “armonizzazione dei bilanci pubblici”, in precedenza oggetto di legislazione concorrente, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, alla quale, innovando rispetto alla legislazione vigente, viene riservata anche la materia della “stabilizzazione del ciclo economico”. Non si tratta di una modifica formale, ma di una importante innovazione che avrà, negli anni successivi, evidenti riflessi nei rapporti tra Stato e Regioni e anche nei giudizi di legittimità costituzionale della normativa regionale, sia a seguito di ricorso diretto alla Corte da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sia da parte della Corte dei conti in sede di parifica del rendiconto delle Regioni e delle Province autonome in sede di sindacato diffuso. Infine, tale modifica ha attribuito allo Stato non soltanto specifici poteri in termini di coordinamento della finanza pubblica allargata, ma, secondo la dottrina e la giurisprudenza costituzionale, gli ha imposto anche la relativa vigilanza.

Sotto altro profilo, la riforma del titolo V e soprattutto la legge costituzionale del 2012 hanno posto in rilievo la sussistenza di vincoli esterni alle politiche finanziarie pubbliche dello Stato e degli enti territoriali, a seguito della cessione di sovranità effettuata con l’adesione all’Unione europea e ai Trattati in materia. In particolare, l’equilibrio dei bilanci va rapportato non soltanto ai parametri interni ma va inteso come obiettivo di medio termine, quale valore del saldo strutturale individuato sulla base dei criteri stabiliti dall’ordinamento dell’Unione europea[10]. Per l’Italia l’obiettivo di medio termine, fissato dal Programma di stabilità e riportato nella raccomandazione del Consiglio del 10 luglio 2012 – adottata in esito all’esame del medesimo Programma e del Programma nazionale di riforma – è un bilancio in pareggio in termini strutturali, ossia corretto per tenere conto degli effetti del ciclo economico e al netto delle misure una tantum, entro il 2013. 

Il “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria” (il cd. Fiscal Compact) ha poi ristretto il suddetto valore minimo per i Paesi più indebitati allo 0,5 per cento del PIL, prevedendo che la regola del pareggio o dell’avanzo del bilancio in esso contenuta si consideri rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all’obiettivo a medio termine specifico per Paese come stabilito dal Patto di stabilità rivisto, con un deficit che non ecceda tuttavia lo 0,5% del PIL. Sicchè, in materia di limiti alla legislazione statale e regionale ai sensi dell’art. 117 Cost. occorre tener presente anche quelli introdotti dall’adesione a tali fonti, che assurgono a norme di riferimento per stabilire la compatibilità delle leggi e degli atti aventi forza di legge con la Carta fondamentale[11].

Com’è noto, la recente pandemia ha spinto l’Unione alla sospensione di tali parametri,  attesi gli effetti dirompenti da un lato sulle entrate degli stati membri e dall’altro sulla spesa. In particolare, per l’Italia è stata registrata una riduzione del rientro dal deficit, con un passaggio repentino dall’avanzo al disavanzo primario, a seguito della contrazione delle entrate, principalmente tributarie, e dell’implementazione delle spese[12].

2. La legislazione esclusiva statale: caratteri e ragioni dell’attrazione delle materie del comma 2 dell’art. 117 della Costituzione. Le interferenze e le sovrapposizioni con altri articoli costituzionali.

Alla  luce delle riforme, è evidente che il disegno della legge costituzionale n. 3 del 2001 e delle altre leggi, sopra citate, nella medesima direzione, viene ridimensionato, quantomeno con riguardo alla finanza pubblica. La riforma, per questo precipuo aspetto, operata dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 segue infatti la gravissima crisi economica che ha colpito l’Italia, e non solo, a seguito di quella statunitense dei mutui subprime del 2008 e che ha portato anche al cambiamento del Governo alla fine del 2011. A tale stregua, come è poi avvenuto per l’emergenza pandemica, è stata constatata una tendenza all’accentramento nei periodi di crisi, sia di carattere economico che sanitario, come osservato da attenta dottrina, nonché dalla Corte costituzionale, che ha giustificato il “discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica”[13].

D’altra parte, conservare la competenza concorrente in materia di armonizzazione dei pubblici bilanci avrebbe perpetuato la  “babele” di linguaggi e l’impossibilità di ricostruzione in chiave unitaria del panorama economico finanziario al fine della verifica interna e europea del rispetto dei parametri in materia di rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, o, almeno, una maggiore difficoltà ricostruttiva.

Come acuta dottrina sottolinea[14], la materia – recte disciplina – dell’armonizzazione contabile ha assunto, sia nell’ottica del legislatore che nella giurisprudenza costituzionale, profili “spiccatamente trasversali, consentendo al legislatore statale di penetrare nei più disparati ambiti di astratta spettanza regionale”; come, pure, il coordinamento della finanza pubblica, non è suscettibile di identificazione ontologica in sé e per sé, ma assume consistenza a seguito degli atti di concreto esercizio del parametro competenziale da parte del legislatore[15].

Ad ogni modo, è vero che la materia dell’armonizzazione contabile viene “promossa di grado”, assurgendo a competenza esclusiva statale, mentre in precedenza spettava alla legislazione concorrente, con il coordinamento della finanza pubblica[16], ma è anche vero che le Regioni e gli altri enti territoriali sono tenuti al rispetto dei vincoli europei e a quelli interni di cui agli artt. 81, e 97 Cost., rivolti in generale alle pubbliche amministrazioni alla cui appartenenza di tali enti non è lecito dubitare, ancorché  l’art. 117 sia inserito in un diverso titolo della Costituzione. Come si vedrà infra, la Corte costituzionale ha sottolineato la connessione, definita ancillare, dell’armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali con i principi di coordinamento della finanza pubblica, anche a seguito della promulgazione, coeva, della legge rinforzata 24 dicembre 2012, n. 243, in attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi del nuovo sesto comma dell’articolo 81 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che appunto rinviava a tale fonte normativa, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con la legge costituzionale. In altre parole, secondo la citata dottrina [17], la diversificazione delle competenze tra le materie del coordinamento della finanza pubblica e l’armonizzazione contabile, dopo il passaggio di quest’ultima alla potestà legislativa esclusiva statale, impone la ricerca di una definizione separata delle due materie; anche se si pone egualmente in luce che la riforma dell’art. 81 Cost., e in particolare i nuovi commi secondo e quarto sul divieto di indebitamento e la sostenibilità del debito complessivo delle pubbliche amministrazioni ha avuto un influsso assai pervasivo anche sull’interpretazione del concetto di armonizzazione contabile. È stato, quindi, evidenziato che, anche e soprattutto per l’interpretazione data alla latitudine delle rispettive competenze statali e regionali dalla Consulta, la prima ha assunto un ruolo di supremazia, anche per “l’inesorabilità” dell’applicazione del canone di sussidiarietà nel caso di inerzia regionale a favore dello Stato, sia per il rispetto del patto di stabilità interno che per quello dei parametri stabiliti dall’Unione europea[18].

Come già esposto, la riforma del Titolo V della Costituzione ha attratto la “materia” o “disciplina” dell’armonizzazione dei bilanci pubblici nella competenza esclusiva statale. Il passaggio di competenze appariva necessario sia per la necessità di limitare la spesa degli enti territoriali, sia per il rispetto del patto di stabilità interno e dei vincoli internazionali in materia di indebitamento.

Nello stesso tempo, appariva consono allineare la competenza statale sull’armonizzazione dei bilanci a quella, già stabilita, sul sistema tributario e contabile. Non da ultima, la materia della perequazione si imponeva come necessario contraltare alla spinta verso l’autonomia fiscale dei territori, per evidenti esigenze di coesione.

  1. Il sistema tributario e contabile.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è chiaro che, come stato di recente sottolineato dalla dottrina[19], la finanza pubblica trae le sue risorse dal prelievo coattivo sulle ricchezze private; è dunque necessaria la tutela della sana gestione finanziaria delle entrate e delle spese per garantire l’utilizzo democratico delle risorse, la loro rappresentazione certa e veritiera e il loro fine ultimo, il benessere dei cittadini. In questo contesto, era necessario istituire un circuito legislativo tra la materia tributaria, quella contabile e l’attrazione alla competenza statale anche della disciplina dell’armonizzazione dei pubblici bilanci, al fine di una rappresentazione con parametri univoci da parte di tutti gli enti pubblici. A tale riguardo è altresì importante segnalare che altra materia riservata alla potestà legislativa statale è quella del “coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale” dalla legge n. 3 del 2001[20]. E’, infatti, intuitivo che soltanto tale coordinamento tra le varie reti informative regionali e locali, pur legittime[21], fermo rimanendo l’obbligo delle regioni e delle autonomie territoriali della trasmissione di dati statistici, informativi, e risultanze di controlli interni di gestione, stabiliti con legge statale, ad organi dell’amministrazione centrale e alla Corte dei conti, può garantire la raccolta, l’analisi e il coordinamento dei dati, che costituiscono la base per qualsiasi controllo.

In ultima analisi, il sistema tributario e contabile, l’armonizzazione contabile, il coordinamento statistico e informatico dei dati delle pubbliche amministrazioni – da un lato – e il coordinamento della finanza pubblica e il sistema tributario e contabile  dall’altro, sia pure devoluti a potestà competenziali diverse, concorrono a costituire un quadro nel quale le autonomie devono risultare garantite, pur nell’unitarietà complessiva del disegno economico-finanziario che ne costituisce l’obbligatorio sfondo. Portata dirimente, al fine di realizzare, sul piano apparentemente solo finanziario, ma in realtà di traduzione delle risorse nel benessere dei territori, è la perequazione territoriale prevista dai commi terzo e quinto dell’art. 119 Cost., che fa da contraltare alla spinta verso l’autosufficienza fiscale dei territori al fine di evitare differenze macroscopiche tra loro.

Peraltro, la contiguità delle materie e la circostanza che costituiscano aspetti trasversali tra di loro e rispetto ad altre (basti pensare alle problematiche sui disavanzi sanitari regionali e il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.) ha fatto sì che il legislatore abbia sostanzialmente rimesso all’interpretazione costituzionale il riparto delle competenze, con una tendenza che, secondo parte della dottrina, si è sempre più sbilanciata a favore dello Stato e a detrimento della legislazione regionale, quantomeno per quelle a statuto ordinario[22].

Dopo il “passaggio di grado” dell’armonizzazione contabile alla competenza esclusiva statale ci si è anche interrogati con il rapporto di questa materia con il “coordinamento della finanza pubblica” e con le competenze esclusive statali.

Le problematiche appaiono ancora più stringenti in presenza di ulteriori profili di commistione, quali quelli della riserva di legge statale in materia di  sistema tributario e contabile e della devoluzione alla legislazione concorrente del coordinamento finanziario e tributario.

Tali materie risultano parzialmente sovrapponibili a quelle dell’art. 119, c. VI, della Costituzione. In proposito, la Consulta ha più volte affermato che il divieto di indebitamento per spese correnti (la cd. “regola aurea” o “golden rule” trova il suo baluardo non soltanto nell’art. 119, ma anche nell’art. 117, in materia di coordinamento della finanza pubblica e 117, c. 2, lett. i), con riguardo all’ordinamento civile[23].

Pertanto, in presenza di difficoltà interpretative particolari e derivanti da una tecnica legislativa non perspicua, riflesso dell’acceso dibattito politico istituzionale sull’autonomia regionale, è il Giudice delle leggi a chiarire e a dipanare le perplessità  al fine di dirimere le interferenze tra le materie; e ciò proprio a seguito dei numerosissimi giudizi di legittimità costituzionale di leggi statali e regionali, per violazione del riparto competenziale di cui all’art. 117 Cost. in materia di sistema tributario e di armonizzazione contabile.

In ordine al riparto competenziale in materia di sistema tributario, la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. non implica che le regioni non possano statuire in materia. Sul punto, la Corte costituzionale ha più volte sottolineato come non esorbiti dalla sua competenza la regione (a statuto ordinario o speciale) che stabilisca che esenzioni e riduzioni  per la tassa sui rifiuti (TARI), ai sensi dell’art. 1, c. 660, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, riduzioni della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) o del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP), possono essere adottate anche successivamente all’approvazione del bilancio di previsione  [per l’esercizio 2020][24]. Trattasi di giurisprudenza consolidata, che ha però precisato che la riserva “è soddisfatta purché la legge stabilisca gli elementi fondamentali dell’imposizione, anche se demanda a fonti secondarie o al potere dell’amministrazione la specificazione e l’integrazione di tale disciplina”. In tale contesto, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la disciplina regionale che demandava il quantum dei tributi a determinazioni successive della legge regionale.

La potestà legislativa statale in materia di sistema tributario, è stato osservato, riguarda, appunto, i tributi erariali, e non può estendersi a quelli derivati[25]. Tuttavia, la difficoltà ermeneutica del riparto delle competenze discende dalla circostanza che non esiste una nozione “ontologica” di tributo statale, ma tale qualifica discende dalla fonte istitutiva. Quindi, sono tributi statali quelli istituiti con legge dello Stato. Il problema è sorto con riguardo ai tributi propri derivati, il cui gettito è, totalmente o parzialmente, devoluto agli enti territoriali (come le addizionali all’IRPEF o all’IRAP).

Ancora una volta, è stata la Corte costituzionale a farsi carico di stabilire i confini della potestà legislativa, con una giurisprudenza orientata a riconoscere la potestà esclusiva statale anche sui tributi derivati, mentre la potestà legislativa concorrente regionale è stata limitata alla possibilità di riconoscere esenzioni o agevolazioni (purché limitate al territorio regionale), alla manovra sulle aliquote (perimetrate, in alto e in basso, dalla legge statale), senza potersi estendere oltre[26].

L’analisi, dunque, del titolo competenziale in parola impone il collegamento con l’art. 119 della Costituzione, da un lato, nonché con la potestà legislativa concorrente regionale in materia di “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” dall’altro. Infatti, il citato art. 119, secondo comma, Cost., stabilisce la possibilità di una fiscalità autonoma per gli enti territoriali “in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. La delega costituzionale in materia del federalismo fiscale, com’è noto, è stato oggetto di attuazione con la legge 5 maggio 2009, n. 42, relativa alle Regioni a statuto ordinario e, in particolari ambiti, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano. Tale legge ha stabilito in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, disciplinando l’istituzione e il funzionamento del Fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché le risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali; in tal modo è stato perseguito lo sviluppo delle regioni meno avanzate del Paese per superare il divario economico e sociale sempre più evidente nonostante il tempo trascorso dall’unificazione italiana. La legge delega è stata successivamente modificata, in particolare per quanto concerne le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, con il d. l. 6 dicembre 2011, n. 201 recante “disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”. Per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, il legislatore delegato deve rifarsi agli articoli 15 sui principi che informano l’istituzione delle Città metropolitane, 22 sulla “perequazione infrastrutturale”, e 27 sul coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

Per quanto qui interessa, la legge delega stabilisce principi e criteri direttivi per l’attuazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, cercando di orientare la spesa verso l’efficienza e il collegamento con i fabbisogni della popolazione locale e, nel contempo, prevedendo autonome fonti di finanziamento regionali tramite la possibilità di istituzione di tributi propri da parte delle regioni e degli enti locali, nonché la possibilità di variazione delle aliquote e di stabilire esenzioni.

I principi e i criteri direttivi di cui all’art. 76 Cost. sono  il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nella attività di contrasto all’evasione e elusione fiscale; la compatibilità con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita europeo; l’individuazione dei principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici; il rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche che comporta la non alterazione del criterio della progressività; l’esclusione di ogni doppia imposizione, fatte salve le addizionali previste dalla legge statale e regionale; la tendenziale correlazione tra il prelievo fiscale e il beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio volto a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa e il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nell’attività di lotta all’evasione e all’elusione fiscale; l’introduzione di premi ai comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibrio di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione – e sanzioni per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica; la previsione di un’adeguata flessibilità fiscale; la riduzione dell’imposizione fiscale dello Stato in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di Regioni ed enti locali, calcolata ad aliquota standard; la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzione; la garanzia della determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo; la garanzia di nessun aumento della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria.

Tale fase, che sembrava assai promettente sul fronte di una reale autonomia fiscale regionale, in attuazione dell’art. 119 Cost., è stata però seguita da un periodo di interventi legislativi episodici e privi di una strategia complessiva, portando, come è stato definito dalla dottrina, al “sostanziale fallimento” del federalismo fiscale introdotto con la riforma costituzionale del 2001[27].

In particolare, la crisi economica, cui si è cercato di porre rimedio con una serie di interventi legislativi di urgenza (primo fra tutti il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e anche cd. decreto “salva Italia” n. 201 del 6 dicembre 2011) ha condotto, invece, ad uno sviluppo in chiave “centripeta” delle entrate comunali  e degli altri tributi territoriali; soprattutto sul fronte della tassazione immobiliare, è stata iniziata e proseguita una graduale erosione dell’autonomia comunale mediante la riserva di parte del gettito all’erario statale, rendendolo sempre più incerto e senza compensare la riduzione delle entrate, così determinata, mediante trasferimenti compensativi iniziando dall’imposta comunale più remunerativa, l’imposta municipale propria o IMU[28].

Il sistema tributario – come detto retro – costituisce il cardine delle entrate  del bilancio statale e regionale, nonché degli enti locali.

Su quest’ultimo versante, è evidente che la compartecipazione al gettito statale e la possibilità di manovra sulle aliquote dei tributi statali costituiscono ampliamenti delle entrate. Così come eventuali esenzioni dalle imposte il cui gettito è riservato, totalmente o parzialmente, alle autonomie, riduce le entrate di queste, oltre ad altri effetti collaterali. Esemplare è l’esenzione dall’ IMU sulla prima casa adibita ad abitazione principale, come evidenziato dalla Corte costituzionale anche di recente  che, oltre a rappresentare un vulnus in termini di entrate nei bilanci degli enti locali, sgancia la rappresentanza politica di un territorio dalla tassazione dei soggetti residenti e votanti, con ciò violando il principio no taxation without representation.[29]

 

Anche sul fronte dei fondi perequativi, di cui all’art. 119, terzo comma, Cost., la legislazione statale in materia ha spesso introdotto dei vincoli di destinazione per le regioni, in tal modo incorrendo nelle censure della Corte costituzionale, che più volte e anche assai di recente ha dichiarato l’incostituzionalità di tali previsioni[30].

Di carattere diverso dai fondi perequativi sono poi i provvedimenti assunti dallo Stato per fronteggiare la pandemia da Covid-19. Al riguardo con l’art. 106 del d.l. n. 34/2020 (c.d. rilancio) è stato stanziato, nello stato di previsione del Ministero dell’Interno, il cd. “fondone”. Il fondo ha concorso ad assicurare la copertura delle possibili perdite di entrate locali dovute all’emergenza, con una dotazione iniziale in favore dei Comuni di 3 mld, successivamente integrata di ulteriori 1,22 mld per l’anno 2020, e per l’anno 2021, incrementata di altri 1,35 mld (art. 1, co. 822, della l. n. 178/2020)[31].

Un’analisi degli interventi legislativi statali in materia di perequazione mostra però numerosi effetti distorsivi, generati dal meccanismo di calcolo della capacità fiscale che, a sua volta, costituisce un criterio per il riparto perequativo delle risorse.

4 .L’armonizzazione contabile.

Come si è accennato retro, l’armonizzazione contabile era un passaggio necessario per consentire la confrontabilità e l’omogeneità dei dati di tutte le pubbliche amministrazioni, cui indubbiamente appartengono le Regioni. A seguito della menzionata delega legislativa di cui alla legge n. 42 del 2009, è stato emanato il  decreto legislativo n. 118 del 2011 con cui è stato, quindi, ridefinito l’ordinamento contabile degli enti territoriali e dei loro enti e organismi strumentali, al fine di realizzare una omogeneità effettiva dei bilanci e dei rendiconti ed estendere la contabilità patrimoniale a tutti gli enti, migliorando in tal modo la complessiva qualità dei conti pubblici e concorrendo positivamente al percorso di risanamento della finanza territoriale. Dopo una fase di sperimentazione, la nuova contabilità è stata applicata agli enti territoriali a decorrere dal 2015, venendo poi estesa a tutte le autonomie speciali nel corso del 2016. Il decreto delegato ha tenuto, inoltre, conto della Direttiva 2011/85/UE dell’8 novembre 2011.  La fonte sovranazionale ha specificamente fissato regole minime comuni per rendere i bilanci degli stati membri più trasparenti, confrontabili e il più possibile completi e veritieri, nonché con un medesimo orizzonte temporale pluriennale – almeno triennale – di programmazione. In particolare, la Direttiva ha conformato la legislazione nazionale sottolineando la necessità di adottare requisiti uniformi nella redazione dei quadri di bilancio degli stati membri; l’obbligo di registrazione delle operazioni contabili; l’istituzione di un adeguato controllo interno; l’istituzione di un’adeguata informativa finanziaria e di audit; l’affidabilità dei dati e l’applicabilità delle regole a tutto il sottosettore delle amministrazioni pubbliche, al fine della disponibilità e comparabilità dei dati per il Sistema Europeo dei Conti (SEC). È stato anche ribadita la fondamentale importanza delle regole e specifiche sui quadri di bilancio nel contesto del quadro rafforzato dell’Unione per la sorveglianza dei bilanci. In ordine ai bilanci degli enti territoriali o sottosettori, il punto 24 della direttiva ha sottolineato il ruolo degli Stati membri che hanno adottato il decentramento in materia di bilancio, con la devoluzione dei relativi poteri ad “amministrazioni subnazionali”, con conseguente obbligo di garantire il rispetto dei principi previsti, anche con adeguate conseguenze.

Il decreto legislativo n. 118, anche alla luce degli obblighi sovranazionali, ha dunque riformato in maniera organica la contabilità degli enti territoriali, diretta a garantire la qualità e l’efficacia del monitoraggio e del consolidamento dei conti pubblici ed a superare la sostanziale incapacità dell’allora vigente sistema contabile di dare rappresentazione ai reali fatti economici. La riforma stabilisce, dunque, per regioni ed enti locali, l’adozione di regole contabili uniformi, di un comune piano dei conti integrato e di comuni schemi di bilancio, l’adozione di un bilancio consolidato con le aziende, società o altri organismi controllati, la definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili, nonché l’affiancamento, a fini conoscitivi, di un sistema di contabilità economico-patrimoniale al sistema di contabilità finanziaria.

Tra le principali innovazioni introdotte dal decreto legislativo ne vanno richiamate alcune in particolare, quali l’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato per consentire il consolidamento e il monitoraggio in fase di previsione, gestione e rendicontazione. Il piano dei conti è funzionale all’introduzione di un sistema “duale di contabilizzazione” che consente agli enti territoriali e ai loro enti strumentali che adottano un regime di contabilità finanziaria autorizzatoria, di rilevare, a fini conoscitivi, contestualmente, le voci di entrata e le voci di spesa, anche in termini di contabilità economico patrimoniale. Ciò per una migliore raccordabilità con le regole contabili adottate in ambito europeo ai fini della procedura sui disavanzi eccessivi che si fondano sul sistema di contabilità economica; l’adozione di schemi comuni di bilancio articolati sul lato della spesa in missioni e programmi e macroaggregati coerenti con la classificazione economica e funzionale (individuata dagli appositi regolamenti comunitari sulla materia, in simmetria con quanto già avviene per il bilancio dello Stato;  la definizione di un sistema di indicatori di risultato associati ai programmi di bilancio, costruiti secondo comuni metodologie, da definirsi sulla base dei risultati della sperimentazione; l’introduzione di regole per gli enti strumentali degli enti locali in contabilità civilistica, che consiste nella predisposizione di un budget economico e nell’obbligo di riclassificare i propri incassi e pagamenti in missioni e programmi al fine di consentire l’elaborazione del conto consolidato di cassa delle amministrazioni locali.

La complessità, anche tecnica, dell’implementazione del nuovo sistema, ha reso opportuni alcuni interventi per accompagnare l’armonizzazione: a tal fine sono stati previsti nel decreto legislativo 118/2011 in questione (allegati da 4/1 a 4/4) i “principi contabili applicati”, veri e propri manuali operativi a disposizione degli enti, corredati da numerosi esempi pratici, riguardanti la programmazione, la contabilità finanziaria, la contabilità economico patrimoniale e il bilancio consolidato[32].

Per quanto qui interessa in questa sede, il decreto delegato ed i principi in esso declinati hanno assunto particolare rilevanza nella giurisprudenza costituzionale, in quanto hanno assunto la funzione di “norme interposte” ai fini del giudizio del rispetto dei parametri costituzionali di cui all’art. 117 Cost., su cui si tornerà infra.

5 .La giurisprudenza costituzionale nella materia dell’armonizzazione contabile. Il ruolo delle norme interposte di cui al d. lgs. n. 118 del 2011 e s.m.i.

Dopo la riforma del titolo V della Costituzione e la diversa allocazione dell’armonizzazione contabile nel riparto delle competenze, la giurisprudenza costituzionale ha continuato ad interpretare la materia secondo un criterio teleologico. Ma, per valutare se una legge regionale abbia violato i limiti competenziali di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., la Corte ha spesso utilizzato le norme di legge ordinaria e, in particolare, le disposizioni del decreto legislativo n. 118 del 2011.

Quella delle norme “interposte” è una tecnica interpretativa che la dottrina costituzionalista conosce da tempo, soprattutto di fronte a quelle “materie” che tali non sono, configurandosi, piuttosto, come “funzioni”[33]; per cui, in assenza di un perimetro sfuggente, la giurisprudenza costituzionale ha elaborato nuovi strumenti ermeneutici soprattutto di carattere teleologico, con la conseguenza di restringere l’ambito competenziale regionale.

In tale direzione, operano le norme interposte, definite, secondo la dottrina e la giurisprudenza costituzionale, quali sono definite come di rango subordinato alla Costituzione, cui devono conformarsi, ma sovraordinato rispetto alle leggi ordinarie[34].

La Corte ha elaborato, così, il concetto di “punto di equilibrio” tra gli interessi statali e quelli regionali, a sfavore degli enti territoriali. Ne è conseguito, anche nella disciplina della potestà esclusiva statale, quello che è stato definito un “intarsio” di competenze[35], che ha finito peraltro di stemperare le differenze fra potestà legislativa statale e regionale. In particolare, nella gerarchia delle fonti, tali norme interposte hanno “rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria”[36].

Anche l’interpretazione della Consulta del titolo competenziale dell’armonizzazione contabile adotta, come accennato, un criterio teleologico. L’armonizzazione, quindi, è definita in virtù del fine di realizzare l’omogeneità dei sistemi contabili, per rendere i bilanci delle amministrazioni aggregabili e confrontabili, in modo da soddisfare le esigenze informative connesse a vari obiettivi, quali la programmazione economico-finanziaria.

La giurisprudenza costituzionale ha più volte ricordato che il principio di armonizzazione dei bilanci pubblici è senz’altro spettanza esclusiva della potestà legislativa statale, e che tale interpretazione (teleologica) discende dal complesso di norme che lo regolano e dall’intreccio con altre norme costituzionali: l’art. 5 sull’unità economica della Repubblica; il coordinamento della finanza pubblica; l’osservanza degli obblighi economici e finanziari  derivanti dall’adesione ai Trattati europei. A tale riguardo la Corte ha più volte ricordato la legge n. 196 del 2009,  che, all’art. 1, c. 2, stabilisce che le amministrazioni pubbliche «concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione europea e ne condividono le conseguenti responsabilità»; con precisazione che il «concorso al perseguimento di tali obiettivi si realizza secondo i principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci e del coordinamento della finanza pubblica»[37].

Dal complesso delle pronunce suddette emergono importanti principi atti a delimitare il perimetro dell’armonizzazione, con conseguente illegittimità delle leggi regionali che vengano a modificare i principi da essa stabiliti.

Al riguardo, oltre al decreto legislativo di attuazione dell’armonizzazione contabile, in molte decisioni sono i principi della legge rinforzata n. 243 del 2012 a rappresentare il parametro per valutare la violazione o meno del riparto competenziale regionale, ovvero di altri principi costituzionali (art. 81, art. 119)[38].

In realtà, a ben guardare, le norme di legge ordinaria richiamate (d. lgs. n. 118, legge n. 243 del 2012) e considerate come “interposte” sono in realtà “norme di principio” esplicative dei principi costituzionali degli artt. 81, 119 e 117. Tale aspetto è evidente nella giurisprudenza costituzionale.

Tra le numerose decisioni in materia, possono essere citate quelle sulla tempistica della redazione dei documenti contabili delle regioni e degli enti locali, perché “La scansione temporale degli adempimenti del ciclo di bilancio, dettati dalla normativa statale, è infatti funzionale a realizzare la unitaria rappresentazione dei dati della contabilità nazionale, imponendosi anche alle Regioni a statuto speciale, in quanto parti della “finanza pubblica allargata”[39]. In proposito, la Corte  osserva anche che il rendiconto rappresenta un momento essenziale del ciclo di bilancio. Da un lato, responsabilizza gli amministratori “per l’impiego di risorse finanziarie pubbliche nel rispetto dei canoni di legalità, efficienza, efficacia ed economicità della gestione amministrativa”; sotto altro aspetto, costituisce lo “strumento di verifica della regolarità dei conti e della correttezza delle spese effettuate dalle pubbliche amministrazioni, ai fini della chiusura del ciclo di bilancio attraverso il confronto con i dati previsionali”. La Consulta richiama le pronunce della Corte dei conti in sede di parifica dei conti regionali, sull’importanza del rendiconto e del rispetto del termine per la presentazione dello stesso, rappresentando “un momento essenziale del processo di pianificazione e di controllo sul quale si articola l’intera gestione dell’ente, in grado di contenere informazioni comparative e di misurare i valori della previsione definitiva confrontandoli con quelli risultanti dalla concreta realizzazione dei programmi e degli indirizzi politici, vale a dire dei risultati, valutandone gli eventuali spostamenti e analizzandone le ragioni» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione 10 ottobre 2018, n. 367/2018/PRSE; in termini adesivi, ex plurimis, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, deliberazione 4 dicembre 2019, n. 57/2019/PRSE)” [40].

Per la Corte, “il rendiconto assume, nell’ambito dell’armonizzazione della finanza pubblica, rilievo analogo a quello del bilancio di previsione, operando sinergicamente con esso, nella comune funzione di complessiva legittimazione dell’operato dell’amministrazione nell’ambito del ciclo di bilancio, e nel costituire la base per la costruzione dei dati nazionali utili alla programmazione finanziaria dello Stato, alla verifica dell’osservanza degli impegni assunti a livello nazionale ed europeo, alla determinazione delle conseguenti manovre di bilancio. Basti, del resto, rilevare che l’art. 172 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) prevede l’allegazione del rendiconto al successivo bilancio di previsione, posto che la veridicità e attendibilità di quanto rappresentato in tale bilancio potrebbero essere negativamente incise dall’assenza ovvero dalla mancata approvazione del rendiconto. Da qui l’esigenza ineludibile, ai fini dell’attuazione del principio dettato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che sia lo Stato a determinare una data unica e comune anche per l’approvazione del rendiconto da parte delle amministrazioni pubbliche, e che solo lo Stato possa, quindi, disporre un differimento dei termini previsti in via ordinaria per l’approvazione dei documenti di bilancio, ivi compreso il rendiconto, a ragione di sopraggiunte rilevanti esigenze”.

In altre occasioni, il principio del rispetto dei principi di armonizzazione contabile si pone come strumentale al rispetto del principio della copertura di bilancio di cui all’art. 81 Cost.[41] In queste decisioni la Corte affronta il complesso profilo dell’interpretazione del d. lgs. n. 118 del 2011, esso stesso individuato da un lato come norma “interposta” del giudizio di legittimità costituzionale di una legge regionale e, dall’altro, come legge sottoposta a scrutinio costituzionale con riguardo al parametro dell’art. 81, terzo comma, Cost. La Corte conclude nel senso che la disciplina ordinaria dell’armonizzazione contabile è soggetta a interpretazione restrittiva ogniqualvolta una diversa ermeneutica ponga in pericolo i principi generali sull’equilibrio di bilancio regionale, rivelando manovre occulte per ampliare la spesa degli enti territoriali..

Dalle numerose decisioni costituzionali volte a dirimere il riparto di competenze statali e regionali si evince che alcuni complessi normativi non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono,[42] e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali. In questa area dai confini di controversa identificazione alla è rimessa la valutazione della legge regionale impugnata che, in un ambito finanziario astrattamente riferibile a più interessi costituzionali protetti, trova la sua ragione nella disciplina di specifiche prerogative dell’ente territoriale e nella “omogeneizzazione” di dette prerogative attraverso modalità di “espressione contabile” le quali devono essere compatibili con le regole indefettibili poste a tutela della finanza pubblica, in attuazione di una pluralità di precetti costituzionali [43].

Tale interpretazione si applica in pieno alla “materia” dell’armonizzazione dei bilanci pubblici. A ben vedere non tanto la materia in sé dell’armonizzazione ma la legislazione attuativa e segnatamente il d. lgs. n. 118 del 2011 ha comportato “un’espansione della stessa armonizzazione ad ambiti di regolazione che si pongono nell’alveo di altri titoli di competenza, nominati ed innominati. In sostanza, la stretta compenetrazione degli ambiti materiali ha reso inseparabili alcuni profili di regolazione”. In tale direzione, “l’armonizzazione si colloca contemporaneamente in posizione autonoma e strumentale rispetto al coordinamento della finanza pubblica: infatti, la finanza pubblica non può essere coordinata se i bilanci delle amministrazioni non hanno la stessa struttura e se il percorso di programmazione e previsione non è temporalmente armonizzato con quello dello Stato (peraltro di mutevole configurazione a causa della cronologia degli adempimenti imposti in sede europea). Analogamente, per quel che riguarda la tutela degli equilibri finanziari, il divieto di utilizzare fondi vincolati prima del loro accertamento risponde alla finalità di evitare che ciò crei pregiudizio alla finanza pubblica individuale ed allargata” [44].

Dunque, alla luce della citata giurisprudenza costituzionale, acquistano rilievo, quali norme interposte, quelle di attuazione della disciplina dell’armonizzazione, più che la materia in sé, che, di volta in volta, qualora il parametro costituzionale invocato comprenda comunque l’art. 117, comma 2, lett. e), permette alle censure statali sull’esorbitanza regionale di superare, quantomeno, il vaglio di ammissibilità, atteso “Il nesso di interdipendenza che lega l’armonizzazione alle altre materie, e la conseguente profonda e reciproca compenetrazione, hanno comportato che proprio in sede di legislazione attuativa si sia verificata un’espansione della stessa armonizzazione ad ambiti di regolazione che si pongono nell’alveo di altri titoli di competenza, nominati ed innominati. In sostanza, la stretta compenetrazione degli ambiti materiali ha reso inseparabili alcuni profili di regolazione. Così, a titolo esemplificativo, si può affermare che l’armonizzazione si colloca contemporaneamente in posizione autonoma e strumentale rispetto al coordinamento della finanza pubblica: infatti, la finanza pubblica non può essere coordinata se i bilanci delle amministrazioni non hanno la stessa struttura e se il percorso di programmazione e previsione non è temporalmente armonizzato con quello dello Stato (peraltro di mutevole configurazione a causa della cronologia degli adempimenti imposti in sede europea). Analogamente, per quel che riguarda la tutela degli equilibri finanziari, il divieto di utilizzare fondi vincolati prima del loro accertamento risponde alla finalità di evitare che ciò crei pregiudizio alla finanza pubblica individuale ed allargata” [45].

Tuttavia, la Corte non manca di considerare che la rappresentazione del bilancio costituisce espressione tipica dell’autonomia regionale, in quanto espone ai cittadini il risultato dell’amministrazione finanziaria in termini di congruenza tra quanto programmato e quanto realizzato; in altre parole, l’applicazione delle regole contabili fa parte della libertà delle autonomie e ciò è consentito, purché tenga conto dei limiti esterni costituiti dal rispetto delle regole di cui al d. lgs. n. 118 del 2011. Il decreto delegato, dunque, costituisce il parametro interposto della compatibilità con la Costituzione delle disposizioni regionali di volta in volta impugnate, ma gli articoli di riferimento nella Carta fondamentale possono riguardare, come la Consulta più volta ha chiarito, non soltanto o non affatto la violazione del riparto delle competenze legislative ma anche altri parametri (artt. 81, 119, 117 sotto altri profili, 5, 32, per citare i più frequenti).

Il giudizio che la Consulta è chiamato a dare diventa particolarmente tecnico, dovendo applicare le norme di armonizzazione contabile testé citate e altresì gli allegati al d. lgs. n. 118 del 2011 che costituiscono la cartina di tornasole per evidenziare l’allargamento della competenza regionale oltre i suoi ambiti e, anche,  le violazioni dell’art. 81 in tutte le sue accezioni e l’art. 119, principalmente il divieto di indebitamento per spese correnti e l’elusione dei principi generali sul disavanzo di amministrazione. In tale contesto, per la Corte, la violazione dei principi contabili applicati di cui al d. lgs. n. 118, come la tardiva approvazione del rendiconto e del disavanzo, con conseguente necessità  di recupero del disavanzo non ripianato, nonché dell’ulteriore disavanzo emerso per l’intero importo nell’esercizio in corso di gestione[46].

Attenta dottrina ha così osservato che “Il parametro dell’armonizzazione dei bilanci, per effetto delle strette interrelazioni tra i principi costituzionali, è servente al coordinamento della finanza pubblica, dal momento che la “sincronia” delle procedure di bilancio è collegata alla programmazione finanziaria statale e alla redazione della manovra di stabilità, operazioni che presuppongono da parte dello Stato la previa conoscenza di tutti i fattori che incidono sugli equilibri complessivi e sul rispetto dei vincoli nazionali ed europei. Il ciclo di bilancio ha assunto, quindi, un’importanza cruciale, tanto che la stessa Consulta e giunta ad affermare che esso assume rilievo come bene pubblico, ovvero come insieme di documenti capaci di informare con correttezza e trasparenza il cittadino sulle obbiettive possibilità di realizzazione dei programmi e sull’effettivo mantenimento degli impegni elettorali, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività”[47].

La giurisprudenza costituzionale svolge il giudizio sulla spettanza del titolo competenziale  allo Stato o alle Regioni utilizzando, dunque, il parametro di dette norme. In particolare, giudicando sulla legittimità costituzionale di alcune leggi regionali, ha statuito che l’art. 20 del decreto legislativo in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici “è specificamente funzionale, coerentemente con la rubrica della stessa (Trasparenza dei conti sanitari e finalizzazione delle risorse al finanziamento dei singoli servizi sanitari regionali), a evitare opacità contabili e indebite distrazioni dei fondi destinati alla garanzia dei LEA, ovvero proprio quei fenomeni che hanno concorso al determinarsi delle gravissime situazioni prima descritte”[48]. Aderendo alla giurisprudenza costituzionale consolidata, le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno sottolineato il carattere di «parametro interposto di costituzionalità» del citato art. 20, – con riferimento alla competenza statale esclusiva sull’armonizzazione dei bilanci pubblici – diretto a garantire sia la «trasparenza sulle quantità e modalità di impiego di risorse destinate ai LEA», sia la loro erogazione nel tempo, «assicurando il necessario delicato bilanciamento tra tutela della salute (art. 32 Cost.) ed equilibrio finanziario (art. 81 e 119 Cost.)».

La Corte accoglie in pieno il ragionamento dei giudici contabili, sottolineando che “il citato art. 20 «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni» (sentenza n. 197 del 2019), con «l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi» (sentenza n. 132 del 2021)”. Per concludere, dunque, che [49]“la disposizione censurata correla quindi a una entrata certamente sanitaria (il Fondo sanitario) una spesa invece estranea a questo ambito, alterando così la struttura del perimetro sanitario prescritto dall’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, la cui finalità di armonizzazione contabile risulta chiaramente elusa. È pertanto violata la competenza legislativa esclusiva statale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.”.

Più di recente, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge regionale che individuava la copertura di un debito fuori bilancio nell’esercizio successivo rispetto a quello di competenza, in violazione del principio contabile di annualità del bilancio, espresso dall’art. 73, comma terzo, del d. lgs. n. 118 del 2011, per il quale deve invece trovare copertura nel bilancio di previsione nel quale la spesa è introdotta[50].

  1. Il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La competenza concorrente dello Stato e delle Regioni e il ruolo delle norme di principio. Il ruolo dello Stato di garanzia del coordinamento della finanza pubblica e i relativi oneri. Il ruolo della Corte dei conti.

Nonostante la riforma del titolo V della Costituzione e l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, lo Stato non ha proceduto ad una “riconsiderazione della propria legislazione di principio nelle materie di competenza concorrente”[51]. Ne è conseguito un quadro nel quale la Corte costituzionale, ancora una volta, ha rappresentato l’ago della bilancia non soltanto nel riparto competenziale ma anche nell’individuazione delle norme di principio atte a delimitare le materie della competenza concorrente. Le fonti di tali principi sono ormai da tempo da riconoscersi non soltanto nelle leggi, ma nella decretazione di urgenza e, anche, di carattere secondario come i regolamenti[52]. Altre problematiche sono sorte sulla possibilità dello Stato di introdurre norme suppletive o di dettaglio in materie di legislazione concorrente, ma la Corte non ha rilevato una violazione delle competenze, alla luce della lettura coordinata dell’art. 117, terzo comma, e dell’art. 118, primo comma, Cost., in materia di sussidiarietà e di adeguatezza delle funzioni amministrative[53], posta la necessità di assicurare l’esercizio di tali funzioni. La competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica deve poi tener conto della disciplina dell’art. 119, secondo comma, come riformato, il quale delinea due direttrici di manovra tributaria per le regioni: la possibilità di istituire tributi propri e quella di partecipare al gettito dei tributi nazionali, relativamente alla quota collegata al loro territorio.

La legge in materia di coordinamento della finanza pubblica è la già citata n. 42 del 2009, con cui lo Stato ha ribadito i principi della materia. Fino all’entrata in vigore della legge, la Corte costituzionale ha adottato una giurisprudenza oscillante, o salvando le norme statali già vigenti in materia di coordinamento della finanza pubblica e di potere impositivo, oppure, viceversa, riconoscendo la compatibilità con l’art. 117, c. 3, Cost. delle norme regionali istitutive di tributi propri giudicando non irragionevole la loro abolizione[54].

Per quanto riguarda, invece, le norme in materia di contenimento della spesa pubblica, la giurisprudenza è stata più lineare, stabilendo che la legislazione statale non può spingersi fino a dettare norme specifiche relative a singole voci di bilancio, a pena di ledere l’autonomia delle regioni e degli enti locali. Pertanto, la legislazione statale può stabilire obiettivi generali di contenimento complessivo della spesa corrente, lasciando però alle singole autonomie le modalità di conseguimento di tale obiettivo[55]. La dottrina ha segnalato un graduale allontanamento della giurisprudenza costituzionale da tali principi, con l’affermazione della compatibilità del riparto di competenze di leggi assai puntuali in materia di spesa (soprattutto in materia di organizzazione di enti e organismi delle autonomie e di spesa per il personale). Tuttavia, in questa fase successiva al 2006, la Corte si è premurata di sottolineare la necessaria temporaneità delle misure restrittive.

In base a tale “statuto” dei requisiti delle norme statali di coordinamento della finanza pubblica[56], la Corte ha dunque delimitato il perimetro di attività della legislazione statale e la compatibilità delle numerose norme emanate nel tempo  con l’autonomia delle Regioni stabilita dalla Costituzione.

In una fase successiva, tuttavia, la ripartizione suddetta ha scontato la necessità di rispetto dei parametri di stabilità europei e quella, non meno importante, di fronteggiare la crisi economica globale verificatasi a partire dal 2008 e dalla quale, in realtà, il nostro Paese non si è mai realmente ripresa, scontando una bassa crescita economica. In tale contesto, la giurisprudenza costituzionale si è gradualmente allontanata dal precedente “statuto” riconoscendo, di volta in volta, la natura di principi di coordinamento della finanza pubblica a svariate leggi statali, soprattutto in materia di contenimento della spesa delle  pubbliche amministrazioni. Al riguardo, le sentenze hanno sottolineato il dovere di rispetto di tali principi da parte delle regioni, sia a statuto ordinario che a statuto speciale, e hanno adottato un criterio ermeneutico nel quale la legge statale deve indicare il “limite minimo e complessivo” di riduzione della spesa da parte delle regioni e degli altri organismi, ferma rimanendo la potestà delle autonomie di stabilire le riduzioni nel dettaglio. L’interprete, dunque, per stabilire la conformità all’art. 117, comma terzo, della Costituzione, delle norme impugnate, deve verificare caso per caso quanto spazio di manovra, nell’ambito dei citati principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, rimanga all’autonomia regionale. La Corte esclude una definizione univoca della nozione di finanza pubblica, che “deve tener conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia”; ne consegue che anche norme puntuali e di dettaglio possono esprimere i principi di coordinamento della finanza pubblica [57].

Tali approdi rendono, tuttavia, alquanto sfuggenti le coordinate applicate dal Giudice delle leggi, dovendosi, di volta in volta, stabilire se le fonti impugnate da un lato costituiscano principi di coordinamento della finanza pubblica e, dall’altro, se non si spingano a dettare disposizioni lesive dell’autonomia legislativa concorrente delle regioni.

L’unico punto sicuro è quello dell’insufficienza o irrilevanza dell’”autoqualificazione” del legislatore statale delle norme da esso emanate come di principio.

L’evoluzione giurisprudenziale ampliativa del concetto di norma di principio del coordinamento della finanza pubblica è andata di pari passo con le misure adottate a livello centrale per la riduzione della spesa e per il riallineamento dei conti pubblici, messi a dura prova per il mancato aumento del denominatore prodotto interno lordo, con conseguente necessità di ridurre, almeno, il numeratore deficit[58].

Fondamentale sono, per l’equilibrio dei conti pubblici, la spesa per il personale e il rispetto dei principi statali in materia di stabilizzazione. In questo senso consolidata è la giurisprudenza costituzionale che ha giudicato illegittime per la violazione, tra gli altri, del parametro del coordinamento della finanza pubblica delle leggi regionali che hanno derogato a tali principi. La spesa per il personale costituisce, nell’ambito dell’obiettivo dell’equilibrio del bilancio che tutte le pubbliche amministrazioni devono perseguire, una voce strategica della spesa corrente che non è espressione di dettaglio ma costituisce un aggregato fondamentale per il rispetto del patto di stabilità interno. La giurisprudenza è stata costante fino ai nostri giorni. Da ultimo, è stata ritenuta la violazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica da parte di una legge regionale che introduceva principi derogatori in materia di stabilizzazione del personale sanitario, più favorevoli, ancora, rispetto alle ampie misure derogatorie stabilite dalla legislazione post pandemia (art. 1, comma 268, lettera b, della legge n. 234 del 2021, e successive modifiche introdotte  dall’ 4, comma 9-quinquiesdecies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14), considerata norma interposta rispetto all’art. 117, comma terzo, Cost. [59].

In questo contesto, a fronte di numerosi ricorsi in via principale avverso la disposizione della legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 796, lett. b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di accesso al fondo transitorio per il ripiano degli elevati disavanzi interessanti alcune regioni, è stato più volte affermato che la necessità di riduzione del disavanzo attraverso un apposito piano di rientro, nonché le misure correlate (innalzamento delle aliquote delle addizionali IRPEF e IRAP al massimo) non ledono l’autonomia regionale perché “espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria”[60].

In particolare, come è stato rilevato dalla dottrina[61], è stata la materia della legislazione sui piani di rientro dal deficit sanitario che ha scontato l’”allargamento” della giurisprudenza costituzionale sull’interpretazione delle norme quali principi di coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica è  stabilito dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», secondo cui sono vincolanti, per le regioni che li abbiano sottoscritti, i piani di rientro e i programmi operativi che – ai sensi del citato art. 2, commi 88 e 88-bis – ne costituiscono attuazione e aggiornamento [62].

In tale contesto, infatti, da un lato la Corte ha fatto leva sul carattere consensuale degli accordi sui piani di rientro e, dall’altro, sui diritti incomprimibili collegati al funzionamento del sistema sanitario medesimo. Ne consegue che i principi di coordinamento investono aspetti di dettaglio, come, per esempio, l’uniformità dei ticket sanitari per prestazioni relative ai livelli essenziali di assistenza o LEA[63].

Parte della dottrina ha invece sottolineato il recupero delle autonomie regionali a partire dalla seconda fase dello scorso decennio, da parte della giurisprudenza costituzionale che, chiamata a giudicare del rispetto del principio di coordinamento della finanza pubblica da parte delle leggi regionali di volta in volta impugnate, avrebbe richiesto un maggior rispetto dell’indipendenza regionale; il canone del coordinamento assumerebbe, quindi, carattere meramente sussidiario rispetto all’inerzia delle Regioni nell’individuazione dei previsti tagli di spesa[64]. In questo contesto, la riduzione della spesa non deve essere effettuata mediante “tagli lineari” ma in modo da preservare i diritti fondamentali della persona e i livelli essenziali delle prestazioni[65].

Tale interpretazione si è protratta fino ai nostri giorni, con la declaratoria di illegittimità costituzionale di disposizioni regionali non rispettose dei suddetti principi stabiliti con legge statale e recepiti dall’accordo Stato-Regioni; da ultimo, è stato sottolineato che “la disciplina dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria è riconducibile a un duplice ambito di potestà legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 278 del 2014). In particolare, costituisce un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quanto stabilito dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, per cui sono vincolanti, per la regione che li abbia sottoscritti, i piani di rientro e i programmi operativi che – ai sensi dei commi 88 e 88-bis del medesimo art. 2 – ne costituiscono attuazione e aggiornamento; la regione è quindi obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena realizzazione dei piani di rientro (sentenze n. 14 del 2017, n. 266 del 2016 e n. 278 del 2014)”[66].

Ancora, è stata censurata, per violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica (tra cui rientra anche la vincolatività, per le regioni, dei piani di rientro dal deficit sanitario), la normativa regionale che stabiliva rimborsi ai pazienti che accedevano a cure fuori regione, non rientranti nei livelli essenziali di assistenza; la Corte ha specificato che tali costi non potevano essere fatti rientrare nei capitoli di spesa sanitaria, non inerendo ai LEA, in quanto, in una regione sottoposta a piano di rientro dal deficit, avrebbe potuto comprimere il diritto all’accesso delle prestazioni essenziali; viceversa, dalla motivazione si evince la possibilità di far rientrare tali spese nell’ambito dei servizi sociali[67]. La vincolatività dei piani è da considerarsi espressione del principio fondamentale relativo al contenimento della spesa pubblica sanitaria, direttamente correlato al principio di coordinamento della finanza pubblica[68].

Le norme di legge ordinaria di volta in volta richiamate fungono da norme interposte rispetto al parametro costituzionale di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. in quanto, a loro volta, espressione dei principi costituzionali in esso declinati con la funzione, essenzialmente, di costituire norme di principio del coordinamento della finanza pubblica.

Attenta dottrina ha evidenziato che la materia competenziale del coordinamento della finanza pubblica (recte, i principi fondamentali declinati anche nella normativa ordinaria interposta), oltre a costituire un limite per la legislazione concorrente regionale, rappresenta una funzione di vigilanza da parte dello Stato che, se omessa, può comportare negative conseguenze sul rispetto degli equilibri di bilancio degli enti e di quello complessivo[69]. La dottrina ha evidenziato che, a partire dal 2016, con la sentenza n. 107, la Corte costituzionale ha cominciato a porre l’accento sul “rovescio della medaglia” connesso al coordinamento della finanza pubblica; la funzione impone allo Stato di vigilare con continuità ed imparzialità sulla legislazione regionale al fine di eliminare dall’ordinamento, tramite il ricorso diretto alla Consulta, le disposizioni normative idonee a porre in pericolo tale coordinamento e i principi fondamentali che esso esprime[70].

Come evidenziato dalla citata decisione, tale onere implica, dunque, che i ricorsi in via diretta debbano interessare tutte le disposizioni violative di tale principio, senza trascurarne alcuna. Sotto un secondo profilo, l’esercizio della potestà di coordinamento impone l’imparzialità nell’impugnazione di tutte le disposizioni regionali ritenute illegittime secondo un principio che a volte è stato trascurato, come spesso sottolineato dalle difese regionali.

Il riconoscimento di un onere di vigilanza dello Stato da parte del Giudice delle leggi potrebbe rafforzare la responsabilità per omissione anche al cospetto degli Organi comunitari nel caso di mancato raggiungimento dei parametri europei di rispetto del deficit.

Tuttavia, il ricorso in via principale, attesa,  anche, la ristretta tempistica cui è sottoposto,  non rappresenta l’unico rimedio a disposizione dello Stato-ordinamento per reagire alla violazione dei principi costituzionali. Nel caso di mancata impugnazione della legge regionale sospettata di conflitto con il parametro di cui all’art. 117, comma terzo, Cost., l’onere di vigilanza si sposta sulla Corte dei conti, in sede di sindacato diffuso delle leggi rilevanti ai fini dello scrutinio a cui è preposta[71].

La Corte dei conti, infatti, per vocazione costituzionale, è il giudice del bilancio pubblico e è chiamata alla verifica, proprio al fine del coordinamento della finanza pubblica, il rispetto degli equilibri di bilancio dei Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, nonché sugli enti del Servizio sanitario nazionale, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. In particolare, con riferimento alle Regioni, l’art. 1, comma quinto,  del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 231, stabilisce che il giudizio di parifica regionale della Corte dei conti è finalizzato a “rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”.

Nel delineato contesto va anche richiamato l’art. 17, comma 31, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, che ha previsto l’intervento della  Sezione delle autonomie della Corte, tra le altre, nei casi riconosciuti dal Presidente della Corte dei conti di eccezionale rilevanza al fine del coordinamento della finanza pubblica, al fine di conformazione di tutte le Sezioni regionali di Controllo della Corte ai principi da esse affermati in quanto di particolare complessità e di rilevanza generale, per garantire coerenza al le funzioni che spettano alla Corte in materia di coordinamento della finanza pubblica.  sindacato, tra gli altri, sulla parifica del rendiconto regionale[72].

Più volte e anche di recente la Corte costituzionale si è soffermata su tali compiti, sottolineando il ruolo del giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato, affidato alla Corte dei conti e disciplinato dagli articoli da 39 a 41 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), nelle forme della giurisdizione contenziosa, quindi, in particolare, nella «previa trattazione in udienza pubblica, con la partecipazione del procuratore generale, in contraddittorio dei rappresentanti dell’Amministrazione», con la funzione “ di controllo e garanzia della conformità alla legge di bilancio dei risultati di amministrazione (in termini di entrate e di spese), funzione che era già da intendersi preliminare, ma anche separata e distinta, rispetto all’approvazione con legge del rendiconto governativo, riservata al Parlamento, nell’esercizio del suo autonomo potere di controllo e indirizzo politico”[73].

 

Note

[1] Sull’inquadramento generale degli enti territoriali nella Costituzione del 1948 e nelle modifiche successive A. Vignudelli, Diritto costituzionale, V ed., Giappichelli, Torino, 2010, 994 e seguenti. Sul dibattito in Assemblea costituente sulla natura e sulle funzioni delle regioni e sul modello prescelto, cfr. F. Bassanini. F. Pinto, Regione, Organizzazione e funzioni, in Enc. Giur. Treccani, Roma 1991, che analizza la scelta tra il sistema “binario” , poi adottato, e quello di autogoverno di origine anglosassone, proposto da Giannini e Olivetti.

[2] Vignudelli, op. cit., 996, sottolinea che il verbo “riconosce” va inteso non nel senso di sottolineare la preesistenza degli enti territoriali ma di “ammettere” la loro esistenza quali enti autonomi nell’ambito di uno stato sovrano.

[3] Legge 10 febbraio 1963, n. 62.

[4] Vignudelli, op. cit., 999.

[5] Peraltro, altra dottrina (R. Bifulco, A. Celotto, a cura di, Le materie dell’art. 117 nella giurisprudenza costituzionale dopo il 2001, Analisi sistematica della giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze tra Stato e Regioni 2001-2014, Editoriale scientifica, Napoli 2015, XIII), evidenzia che la riforma è stata attuata senza una “reale strategia istituzionale” e che l’incompletezza della revisione costituzionale è dimostrata da un aumento esponenziale del contenzioso tra Stato e Regioni sia in sede di conflitto di attribuzione, sia nell’ambito del ricorso diretto alla Corte costituzionale avverso leggi regionali e statali. La conseguenza è stata un crescente ruolo di supplenza istituzionale della Consulta, che ha assunto un ruolo centrale di “ago della bilancia” del riparto delle competenze. Si veda, anche, M. Scognamiglio, Gli equilibri del bilancio statale e regionale, tra obiettivi eterodeterminati e coordinamento della finanza territoriale: una rilettura dei principi costituzionali per una ricostruzione della natura del giudizio di parificazione sul rendiconto regionale, in Rivista della Corte dei conti, fasc. 4/2021, che ripercorre in chiave storico-ricostruttiva e tecnica i passaggi seguiti dalla legislazione e dalla giurisprudenza costituzionale.

[6] R. Bifulco, A. Celotto, op. cit.; Corte Cost., sentenze  n. 97 del 2013 e n. 241 del 2012, che riprende la n. 138 del 1999.

[7][7] Bifulco, Celotto, op. cit., XXII, che evidenziano materie collegate in entrambi gli elenchi, quale l’istruzione, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali e la loro valorizzazione, la legislazione elettorale, la moneta e tutela del risparmio e le casse di risparmio e le aziende di credito, oltre a materie definite “anodine” quali i lavori pubblici, ascritti alla competenza statale o regionale a seconda dell’oggetto cui afferiscono.

[8] Sul punto, diffusamente, Bifulco-Celotto, op. cit., che esaminano anche gli interventi della Corte costituzionale in materia; per P. Giangaspero, in La transitorietà infinita: l’applicazione della clausola di maggior favore a quasi vent’anni dalla sua entrata in vigore, in Le regioni, 2019, tuttavia, tale adeguamento degli statuti delle regioni a statuto speciale non è avvenuto, trasformando la disciplina da transitoria a definitiva, anche per una certa ritrosia delle autonomie nei confronti della stessa clausola, che di rado è stata evocata a sostegno di ricorsi alla Corte costituzionale. L’Autore analizza anche la giurisprudenza costituzionale sul punto, allo stato dell’arte all’epoca di redazione dello scritto.

[9] Alla supremazia delle fonti comunitarie rispetto a quelle interne e all’obbligo del giudice di disapplicare la legge nazionale nel caso di contrasto con i principi comunitari si riallaccia la problematica del giudicato amministrativo e contabile in contrasto con tali norme. Come è noto, la Corte Suprema di cassazione ha sollevato questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea proprio con riguardo ai limiti del giudizio di cassazione nei riguardi delle sentenze emesse dai giudici speciali, che, ai sensi dell’art. 111, u. comma, Cost., può riguardare i soli limiti della giurisdizione. Con le ordinanze del 13 giugno 2006 nn. 13659 e 13660 e con le sentenze a Sez. Unite del 20 dicembre 2008, n. 30254, n. 2242 del 6 febbraio 2015 ed infine con la sentenza a Sez. Unite n. 31226 del 29 dicembre 2017, la Cassazione ha avviato un processo interpretativo c.d. “dinamico o evolutivo” del concetto di giurisdizione e, ammettendo il sindacato della Corte di Cassazione anche per gli ”errores in procedendo e in iudicando” relativi al contrasto di giudicato con pronunce di Corti sovranazionali, Con ordinanza n. 19598 del 18 settembre 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno riproposto :il concetto «dinamico» del sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni dei giudici speciali, respinto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6 del 2016, facendo leva sul concetto di diniego di giustizia. La Corte di Giustizia UE ha però disatteso la questione con la sentenza Grande Sezione, 21 dicembre 2021 – causa C-497/20, Randstad Italia, con la quale ha, in estrema sintesi, risposto ai quesiti del giudice italiano escludendo un contrasto con il diritto europeo del sistema interno relativo ai limiti dell’impugnabilità per cassazione delle decisioni dei giudici speciali.

[10] Sui rapporti tra riforma del titolo V della Costituzione e, in particolare, dell’art. 117, G. Amoroso, La doppia pregiudizialità — costituzionale ed europea — nel quadro della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, in Il Foro italiano, V, 2020, 270.

[11] Su cui, ampiamente, G. Rivosecchi, Decisioni di bilancio e politiche pubbliche fra Unione europea, Stato e autonomie territoriali, in Diritto pubblico, Il Mulino,  Fascicolo 2, maggio-agosto 2018, 385; M. Scognamiglio, op. cit., 12.

[12] Corte dei conti. Sezioni riunite in sede di controllo, Relazioni sul rendiconto generale dello Stato 2020 e 2021, in www.corteconti.it.

[13] R. Bifulco, A. Celotto, op. cit., XXXIV che richiamano la sentenza C. Cost. n. 23 del 13 febbraio 2014; G. Rivosecchi, in Decisioni di bilancio, cit. nota che l’Italia è stata colta impreparata dalla crisi economica del 2009 a seguito della crescita del debito pubblico con conseguenziale aumento del differenziale rispetto ai tassi di interesse tedeschi, rendendo così difficile, stante l’ancora insufficiente livello di integrazione, apprestare efficaci strumenti di “reazione” comuni volti a favorire il rilancio dell’economia. Tutto ciò, contrariamente alle precedenti crisi economiche, ha prodotto un notevole accentramento nelle decisioni finanziarie e fiscali, a detrimento delle autonomie territoriali.

[14] G. Rivosecchi, Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in R. Bifulco-A. Celotto, op. cit. 376.

[15] L.S. Rossi, Regole dell’Unione Europea ed eccezioni nazionali: la “questione identitaria”, in Giornata di studio presso la Corte costituzionale su Identità nazionale degli Stati membri, primato del diritto dell’Unione Europea, Stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali, Roma, 5 settembre 2022, che analizza il rapporto tra TFUE  e Costituzioni nazionali, diritti fondamentali e possibilità di deroghe in melius, prima e dopo il Trattato di Lisbona.

[16] In endiadi, secondo S. Bartole, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni anche alla luce della legge costituzionale n. 1 del 2012, Atti del Seminario di studio Il sindacato di costituzionalità sulle competenze legislative dello Stato e delle Regioni. La lezione dell’esperienza, Roma, Palazzo della Consulta, 15 maggio 2015. L’Autore richiama, in chiave critica, la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2014, sottolineando che il vincolo dell’equilibrio di bilancio introdotto dalla legge n. 1 del 2012 anche nei confronti degli enti territoriali, se letto in coordinamento con il nuovo art. 119 Cost., dovrebbe condurre ad un’interpretazione meno restrittiva della riforma.

[17]  Bartole, op. cit., 7.

[18] Sulla giurisprudenza costituzionale fino al 2015 si veda l’intervento di apertura del Presidente della Consulta di allora, A. Criscuolo, il quale evidenzia il ruolo di supremazia statale nell’interpretazione del Giudice delle leggi e l’elaborazione della distinzione, utile a distinguere il riparto, tra “norme di principio” e “norme di dettaglio”, in Atti del Seminario di studio Il sindacato di costituzionalità sulle competenze legislative dello Stato e delle Regioni, in www.cortecostituzionale.it/convegniSeminari.do. L’Autore, analizzando il disegno di legge costituzionale di modifica della riforma del titolo V, auspica un intervento di semplificazione del legislatore.

[19] G. Rivosecchi, La Corte dei conti tra controllo sulla finanza pubblica e giurisdizione per responsabilità  erariale, oggi, Editoriale, in Rivista della Corte dei conti, n. 1/23.

[20]Su cui M. Giachetti Fantini, Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, in R. Bifulco-A Celotto, op. cit., 213.

[21] Corte costituzionale, sentenza n. 17 del 2004.

[22] G. Rivosecchi, Armonizzazione, in Bifulco-Celotto, op. cit., 379, e giurisprudenza costituzionale richiamata. Da ultimo, Corte cost., 20 aprile 2023, n. 76, in materia di “extra budget sanitario” e stabilizzazione del personale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione siciliana per violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica. La recentissima sentenza ha valorizzato la norma interposta, su cui si tornerà infra, di cui all’art. lettera b) del comma 268 dell’art. 1 della legge n. 234 del 2021, volta al contenimento della spesa pubblica per il personale dei ruoli sanitari e sociosanitari entro limiti ragionevoli, da ricondurre ai principi fondamentali della materia «coordinamento della finanza pubblica», vincolanti anche per le autonomie speciali.

[23]  Sentenza n. 188 del 2014, punto 3 del Considerato in diritto.

[24] C. Cost., sentenza 23 luglio 2021, n. 167, punto 5.3.3. Considerato in diritto; sentenza 28 dicembre 2001, n. 435 e giurisprudenza richiamata.

[25] S. Eusepi, Sistema tributario e contabile dello Stato, in Bifulco-Celotto, op. cit., 69.

[26] S. Eusepi, op. cit., 71, con copiosa giurisprudenza richiamata; G. Rivosecchi, Commento all’art. 119 Cost., in questa Rivista.

[27] Su cui M. Bergo, L’autonomia di entrata dei comuni e gli strumenti perequativi: un dramma in tre atti, in Rivista della Corte dei conti, fasc. 1/2023, 6 e seguenti. L’Autrice analizza in materia critica il versante delle entrate e, in particolare, il “nodo” dei fondi perequativi, destinati a compensare le diverse risorse territoriali in un’ottica di coesione; L. Antonini, Un “requiem” per il federalismo fiscale, in www.federalismi.it, 10 agosto 2016, per il quale la crisi economica è stata fronteggiata mediante tagli lineari a scapito degli enti territoriali e non su tutti gli enti pubblici facenti parte del bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni, con una “profonda e ingiustificata alterazione dei principi fondamentali che da sempre ed ovunque riguardano l’autonomia fiscale degli enti territoriali”, con ciò determinando “un quadro di finanza locale insostenibile, fonte di inaudite complicazioni e di gravissime alterazioni dei presupposti che permettono l’ordinato sviluppo del sistema fiscale e delle stesse autonomie locali”.

[28] Un’analisi approfondita sulle varie imposte è condotta da M. Bergo, op. cit., che cita: l’IMU, con le relative esenzioni parziali o totali (tra cui i cd. “beni-merce” di cui all’art. 2 co. 1 e 2 lett. a) del decreto-legge 31.8.2013 n. 102, conv. dalla legge 28.10.2013 n. 124, a determinate condizioni) nonché l’attrazione al bilancio dello Stato di una quota del gettito dell’IMU per i fabbricati industriali e del 22,43% dell’IMU per  alimentare il fondo di solidarietà comunale. Ne è conseguito un quadro ulteriormente sbilanciato definito dall’Autrice “trasferimento negativo”.

[29] Corte costituzionale, sentenza n. 209 del 2022, su cui sia consentito rinviare al commento di E. Tomassini, La Corte costituzionale fa chiarezza sui presupposti di fruizione dell’Imu sull’abitazione principale per il nucleo familiare, in Rivista della Corte dei conti, fasc. 5/2022, 201.

[30] Da ultimo, Corte cost., sentenza 14 aprile 2023, n. 71, per la quale  deve ritenersi che “nell’unico fondo perequativo relativo ai comuni e storicamente esistente ai sensi dell’art. 119, terzo comma, Cost., non possano innestarsi componenti perequative riconducibili al quinto comma della medesima disposizione, che devono, invece, trovare distinta, apposita e trasparente collocazione in altri fondi a ciò dedicati, con tutte le conseguenti implicazioni, anche in termini di rispetto, quando necessario, degli ambiti di competenza regionali” (punto 16 Considerato in diritto).

[31] Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, Deliberazione 11/2022, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, Comuni, Province e Città metropolitane, esercizi 2019-2021, 50; M. Bergo, op. cit., 11.

[32] L’entrata in vigore della riforma è stata stabilita al 1° gennaio 2015, dopo una fase di sperimentazione biennale, per cui a partire da tale data, le amministrazioni pubbliche territoriali e i loro enti strumentali in contabilità finanziaria sono stati tenuti a conformare la propria gestione alle nuove regole e principi contabili. E’ poi seguito il decreto legislativo n. 126 del 2014, che ha anche novellato, sul punto, il d. lgs. n. 267 del 2000 in materia di enti locali. Per gli enti del servizio sanitario nazionale, invece, la relativa disciplina contabile armonizzata dettata dal Titolo II  ha trovato applicazione a decorrere dall’anno 2012. Tenuto conto della complessità del percorso di introduzione a regime del nuovo sistema contabile e dei relativi nuovi schemi di bilancio, la Corte dei conti, con propria delibera a N. 4 /SEZAUT/2015/INPR del 17 febbraio 2015  , ha emanato le linee di indirizzo per la formazione dei bilanci  da parte degli territoriali, in cui si analizzano i principali istituti introdotti dalla riforma contabile con riguardo all’attuazione degli stessi nei bilanci 2016-2018.Le nuove regole contabili si riflettono anche sulla legislazione di finanza pubblica, e vengono conseguentemente considerate nell’ambito dei chiarimenti e nelle indicazioni rilasciate dalla Ragioneria generale dello Stato sulle leggi di bilancio  annuali.

[33] Bifulco-Celotto, op. cit. XXIII.

[34] Corte cost., sentenze n. 348 del 2007, punto 4.5 del Considerato in diritto, per il quale la “La struttura della norma costituzionale [art. 117], …si presenta simile a quella di altre norme costituzionali, che sviluppano la loro concreta operatività solo se poste in stretto collegamento con altre norme, di rango sub-costituzionale, destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere. Le norme necessarie a tale scopo sono di rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria”. Anche sentenze n. 101 del 1989, n. 85 del 1990, n. 4 del 2000, n. 533 del 2002, n. 108 del 2005, n. 12 del 2006, n. 269 del 2007.

[35] Bifulco – Celotto, op. cit., XXV.

[36] Sentenza n. 348 del 2007.

[37] Sentenza n. 80 del 2017, punto 3.4 del Considerato in diritto.

[38] Su cui Bartole, op. cit., 5, con ampi richiami di giurisprudenza. Secondo l’Autore alla legge regionale, così ragionando, non dovrebbero residuare ampi spazi di movimento, attesi i vincoli stabiliti dalla normativa interposta ai fini del giudizio sul riparto di cui all’art. 117 da un lato e i parametri di cui agli artt. 81 e 119 dall’altro.

[39] Corte cost., sentenze 80 del 2017, 184 del 2016,78 e  250 del 2020, punto 3.3.1 del Considerato in diritto, richiamate, da ultimo, dalla n. 167 del 2021.

[40] V. nota precedente.

[41] Sentenza n. 6 del 2017, punto 4.1 del Considerato in diritto: “La norma sul disavanzo tecnico deve essere pertanto interpretata in modo costituzionalmente orientato, dal momento che «per i principi contabili vale la regola dell’interpretazione conforme a Costituzione, secondo la quale, in presenza di ambiguità o anfibologie del relativo contenuto, occorre dar loro il significato compatibile con i parametri costituzionali» (sentenza n. 279 del 2016). Ove fosse possibile solo l’ipotesi ermeneutica estensiva della regola adottata dalla Regione autonoma Sardegna, ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale dello stesso principio contabile, dal momento che, così interpretato, esso diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento – in contrasto con l’art. 81 Cost. – della spesa di enti già gravati dal ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi (in tal senso, sentenza n. 279 del 2016). In quanto eccezione al principio generale dell’equilibrio del bilancio, la disciplina del disavanzo tecnico è comunque di stretta interpretazione e deve essere circoscritta alla sola irripetibile ipotesi normativa del riaccertamento straordinario dei residui nell’ambito della prima applicazione del principio della competenza finanziaria potenziata, in ragione delle particolari contingenze che hanno caratterizzato la situazione di alcuni enti territoriali”.

[42] Sentenza n. 303 del 2003.

[43] Sentenza n. 184 del 2016.

[44] Sentenza n. 184 del 2016, punto 2.1 del Considerato in diritto.

[45] Sentenza n. 184 del 2016.

[46]  Sentenza n. 268 del 2022, che evidenzia la violazione della legge regionale di approvazione del rendiconto con l’art. 117 comma secondo, lett. e), in relazione ai parametri interposti di cui ai principi contabili applicati contenuti nei paragrafi 9.2.26 e 9.2.28 dell’Allegato 4/2 al d.lgs. n. 118 del 2011

[47] P. Santoro, Dall’ausiliarietà all’autonomia del giudizio di parifica. Luci e ombre della sentenza costituzionale n. 184/2022 sul conflitto di attribuzione, in Rivista della Corte dei conti, fasc. 4/2022, 51.

[48] Sentenza n. 233 del 2022, sull’art. 6 della legge della Regione siciliana 17/03/2016 n. 3, sollevata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale in speciale composizione, in sede di ricorso del rappresentante della Procura generale presso la sezione di appello della regione siciliana della Corte dei conti, avverso la decisione di parifica del rendiconto regionale. Il giudice a quo, aderendo alla tesi della Procura, ha sospettato di illegittimità costituzionale l’inserimento nel perimetro sanitario di una spesa ritenuta ad esso estranea, poiché relativa all’ammortamento di un mutuo contratto con lo Stato. Nei precedenti citati nella decisione, la natura di norme interposte al parametro costituzionali dell’art. 81, terzo comma, Cost. in materia di copertura è stata riconosciuta nell’art. 53, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 118 del 2011 che prescrive, per la validità di una partita attiva di bilancio, la sussistenza di un titolo giuridico appropriato e di una stima credibile. Peraltro, la medesima decisione ha sottolineato la natura precettiva dell’art. 81Cost., indipendentemente dall’interposizione di altre norme.

[49] Punto 9.4. del Considerato in diritto.

[50] Sentenza n. 51 del 2023, punto 4 del Considerato in diritto.

[51] Bifulco-Celotto, op. cit., XXV.

[52] Bifulco-Celotto, op. cit., XXVI.

[53] Corte cost., sentenza n. 303 del 2003, cit., punto 16 del Considerato in diritto.

[54] Per un’ampia ricognizione delle varie fasi della giurisprudenza costituzionale fino al 2014 Rivosecchi, Armonizzazione, in Bifulco-Celotto, op. cit. 380, con richiami. L’Autore analizza il riparto della potestà tributaria, le sentenze concernenti la legislazione statale in materia di spesa degli enti autonomi e quelle che hanno affrontato le problematiche relative alle varie versioni del patto di stabilità interno. L’analisi puntuale di tutte le sentenze dal 2005 al 2015 si trova in Corte costituzionale, Servizio studi, a cura di I. Rivera, Il coordinamento della finanza pubblica nei giudizi in via principale, in www.cortecostituzionale.it, e in M. Pieroni, La finanza pubblica nella giurisprudenza costituzionale (aggiornamento), ibidem.

[55] Rivosecchi, op. cit., 382, e giurisprudenza richiamata.

[56] La definizione è di Rivosecchi, op. cit.

[57] Sentenze n. 139 del 2012, punto 6 e seguenti del Considerato in diritto e le sentenze in essa richiamate, in particolare la n. 182 del 2011; sentenza n. 23 del 2014, e giurisprudenza richiamata (sentenze n. 16/2010, 237/2009, 403/2007; 417/2005; 52/2020) esaminate da I. Rivera (a cura di), op. cit.

[58]Sentenza n. 69 del 2011.  Ampia giurisprudenza successiva citata da I. Rivera, op. cit.

[59] Sentenza n. 76 del 2023, punto 7.3. del Considerato in diritto.

[60] Sentenze n.123/2001 e n. 187/2012.

[61] Rivosecchi, op. cit., 391.

[62] In particolare, sentenze n. 266 del 2016 e n. 278 del 2014.

[63] Sentenze n. 187 del 2012; n.163/2011; n.85/2014.

[64] F. Gallo, Il diritto del bilancio nel pensiero di Aldo Carosi, in Rivista della Corte dei conti, fasc. 4/2022, 3. L’Autore sottolinea l’interpretazione finalistica, per obiettivi, del concetto di coordinamento della finanza pubblica, secondo la quale “gli artt. 117, terzo comma e 81, sesto comma, Cost., imporrebbero impongono allo Stato “l’onere di giustificare in modo convincente l’esercizio del potere di coordinamento in ragione del perseguimento di chiari obiettivi di politica della spesa”, con un conseguente maggiore spazio per le autonomie territoriali.

[65] Sentenza n. 65 del 2016, nella quale, peraltro, la Consulta ha respinto il ricorso regionale, perché la legge statale di coordinamento della finanza pubblica prescriveva non tagli lineari ma una riduzione di spesa complessiva, all’interno della quale le autonomie territoriali avrebbero potuto scegliere l’eliminazione o la riduzione di aspetti non produttivi. La decisione ha inoltre sottolineato che, in assenza di intesa con la Regione, la legislazione statale può adottare “idonei criteri sostitutivi” (punto 5.1 Considerato in diritto).

[66] Decisione n. 20 del 2023.

[67] Sentenza n. 36 del 2021, punto 5.3 considerato in diritto e, anche, n. 130 del 2020, punto 3.3. considerato in diritto.

[68] Sentenza n. 130 del 2020.

[69] C. Buzzacchi, Il “custode della finanza pubblica allargata” e gli oneri della potestà di coordinamento, in www.forumcostituzionale.it.

[70] Per un’analisi tra il principio competenziale in parola e quello di copertura di cui all’art. 81 Cost., anche con riferimento al conto economico consolidato del Sistema europeo dei conti o SEC, nonché con l’art. 97, primo comma, Cost. Scognamiglio, op. cit., 15.

[71] Sulla giurisprudenza costituzionale sul ruolo della Corte dei conti e, in particolare, in sede di parifica del rendiconto dello Stato e regionale, si rinvia a Scognamiglio, op. cit., 17, con analisi della fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2014; F.S. Marini, La Corte dei conti nella recente giurisprudenza costituzionale, in Rivista della Corte dei conti, 2021, 6, 18. Per A. Buscema, Indipendenza dei giudici nazionali e in particolare del magistrato contabile, in Giornata di studio presso la Corte costituzionale su Identità nazionale degli Stati membri, primato del diritto dell’Unione Europea, Stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali, Roma, 5 settembre 2022, Il controllo di legittimità-regolarità sui bilanci degli enti locali “si colloca nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica, in riferimento agli articoli 97, primo comma, 81, 117 e 119 della Costituzione, che la Corte dei conti contribuisce ad assicurare, quale organo terzo ed imparziale di garanzia dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive, in quanto al servizio dello Stato–ordinamento”.

[72] Per una ricostruzione esaustiva Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, n. 5/SSRRCO/QMIG/22, in www.corteconti.it

[73] Sentenza n. 184 del 2022, resa in sede di conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e la Corte dei conti e giurisprudenza in essa richiamata; sentenze 21 giugno 2016, n. 184; 14 febbraio 2019, n. 18; 5 marzo 2018, n. 49; 7 dicembre 2021, n. 235; 23 luglio 2015, n. 181 20 dicembre 2017, n. 274; 10 aprile 2020, n. 62, 16 dicembre 2016, n. 275 28 marzo 2012, n. 70; in chiave critica sulla sentenza n. 184/2022, P. Santoro, op. cit., 47, per il quale “La vera anomalia innescata dalla pronuncia in commento, tuttavia, sta nel fatto che le due attività, di controllo in forma giurisdizionale e di approvazione legislativa del rendiconto, possano svolgersi su binari paralleli e in tempi diversificati e non armonizzati, che innescano inevitabili misure conformative.

 

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Elena Tomassini, nata a Roma nel 1967, magistrato ordinario dal 1991 al 2002 con funzioni sia civili che penali, requirenti e giudicanti, è magistrato contabile dal 2002 a seguito di concorso per titoli ed esami ed attualmente svolge le funzioni di vice procuratore generale a Roma, dove si occupa, tra l’altro, anche dell’attività internazionale. Si è occupata sia di giurisdizione (in primo grado e in appello) che di controllo sulla gestione e sugli enti. Magistrato formatore, docente presso la Scuola di alta formazione della Corte dei conti; docente dal 2000 presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Teramo, è autrice di numerosi contributi in commentari e riviste giuridiche, ed è coordinatrice del settore giurisdizione della Rivista della Corte dei conti, nonché di attività convegnistica su svariate materie.

Ha svolto attività di Presidente di collegi arbitrali ed è stata nominata dal Ministro degli esteri e delle cooperazione internazionale, su indicazione del Presidente della Corte dei conti, Presidente del Comitato di monitoraggio sul Commissariato generale di sezione per la partecipazione italiana a Expo 2025 Osaka-Kansai.