Non chiamatela riforma Falcone

FOTO REPERTORIO - I magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1990 a Palermo (PALERMO - 1990-09-08, Fucarini / Giacominofoto) - @Fotogramma Fucarini / Giacominofoto

Il magistrato ucciso dalla mafia non voleva la separazione delle carriere. Le testimonianze di Grasso, Spataro e Padovani

Non è una teoria nuova. Ma nelle ultime settimane ha ripreso forza, in parallelo con l’iter parlamentare del disegno di legge costituzionale per la separazione delle carriere. E così si è tornati ad attribuire a Giovanni Falcone una posizione in favore delle carriere separate che il magistrato non ebbe, come testimonia chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui. Una forzatura spesso evocata da governo e maggioranza per difendere il merito del provvedimento. Una forzatura ripresa anche da alcuni quotidiani che hanno ribattezzato la riforma stessa “riforma Falcone”.

Prima di ripercorrere le testimonianze raccolte, ricordiamo le parole del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia: “La riforma non è di Giovanni Falcone, per un fatto evidente. Lui è venuto a mancare nel ‘92, la riforma matura in tutt’altro contesto. Credo non sia giusto e non sia di buon gusto tirare in campo il nome di Giovanni Falcone”. Insomma prima di tutto è il metodo che è sbagliato, sottolinea Santalucia. Ma anche il merito. Vediamo perché.

La testimonianza di Pietro Grasso

PALERMO – 21ESIMO ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI CAPACI IN CUI PERSE LA VITA IL GIUDICE FALCONE. nella foto il presidente del Senato Pietro Grasso (PALERMO – 2013-05-23, PRINCIPATO / LO BIANCO) – Agenzia Fotogramma

Pietro Grasso, che del magistrato assassinato a Capaci è stato amico, oltre che collega, ripercorre gli anni in cui “con l’avvento del nuovo codice, Falcone voleva porre sul tappeto la trasformazione del pubblico ministero da organo di smistamento e filtro tra la polizia giudiziaria e il giudice istruttore alle nuove funzioni di iniziativa, direzione ed impulso dell’attività di indagine e di valutazione degli elementi di prova, che poi sarebbero stati acquisiti nel dibattimento nel pieno rispetto del contraddittorio”. Quindi, come ricorda l’ex procuratore antimafia, Falcone “parlava di specificità delle funzioni, di alta professionalità da garantire e conseguentemente della differenziazione delle carriere, senza affrontare il problema dell’assetto istituzionale del pm, che riteneva non ancora giunto a maturazione politica”.
Non solo. Grasso rievoca una frase ascoltata in numerose occasioni dal magistrato ucciso dalla mafia e riportata anche in alcuni interventi pubblicati dopo la sua morte: “l’essenza della questione è dare slancio e incisività all’azione penale del pm, garantendo, però, l’indipendenza e l’autonomia di tale organo”. Quindi per Falcone il problema “che possiamo condividere anche oggi, era l’aggiornamento professionale del pm, soprattutto nella valutazione della prova che doveva reggere all’esame della difesa e del giudice. Aggiungeva che il potere-dovere del pm di incidere gravemente nella vita e nella libertà dei cittadini doveva essere costituzionalmente interpretato in funzione della grande probabilità di successo delle sue tesi accusatorie”.

Resta poi la questione di metodo. Grasso lo spiega con parole molto chiare: “al di là di qualsiasi riesumata dichiarazione di Falcone, che andrebbe contestualizzata al momento storico in cui è stata resa, cioè circa 35 anni fa, e che come è stato funestamente stigmatizzato non è stata mai smentita (come avrebbe potuto?), se si vuole attuare una riforma, che appare più che altro una vittoria simbolica in spregio alla magistratura, non lo si faccia nascondendosi dietro la faccia di Falcone (che non può esprimere la sua opinione nel contesto attuale) né battezzandola col suo nome perché la sua memoria non lo merita”.

 

Spataro: frasi Falcone estrapolate da contesto più ampio

Milano, Il convegno di Libertà e Giustizia in occasione dei ventennale della sua nascita a Palazzo Reale. Nella foto: Armando Spataro (Milano – 2024-03-12, Alessandro Bremec / ipa-agency.net)

A smontare la tesi che Falcone fosse pro separazione, Armando Spataro, ex procuratore simbolo della lotta al terrorismo ha dedicato diverse pagine del libro “Loro dicono, noi diciamo” edito da Laterza e scritto insieme a Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante. Spataro sottolinea che i sostenitori di questa tesi citano in particolare un intervento del 1989: “si tratta di un’interpretazione errata di frasi estrapolate da un testo ben più ampio, Falcone non stava prendendo posizione ma aveva voluto porre sul tappeto il funzionamento della giustizia nell’assetto che il nuovo codice di procedura penale aveva riservato al pm.”
Si legge ancora nel libro: “Falcone credeva solo che con l’avvento del nuovo codice di procedura penale e l’abolizione della figura del giudice istruttore, vi fosse un accentuato bisogno di un sapere specialistico e che le conoscenze necessarie a un pm per svolgere efficacemente il suo lavoro non coincidessero con quelle del giudice”. Si deve aggiungere, osserva ancora l’autore, che “in innumerevoli occasioni, peraltro, Falcone aveva spiegato di non condividere la necessità di separare le carriere giudicanti e requirenti all’interno della magistratura”. Oltre tutti questi ragionamenti c’è un esempio pratico, sottolineato da Spataro nelle pagine del libro: “la più sicura conferma della sua contrarietà alla separazione delle carriere la diede Falcone stesso, chiedendo e ottenendo più volte di passare dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa”.

Padovani: “per Falcone passaggio funzioni era elemento crescita”

Marcelle Padovani alla serata di presentazione del Nuovo Espresso, rivista del Gruppo editoriale GEDI (Roma – 2019-02-21, Gloria Imbrogno / ipa-agency.net)

Argomentazione, quest’ultima che riprende anche Marcelle Padovani, giornalista e scrittrice, autrice insieme a Falcone del libro “Cose di Cosa nostra”. “Per Giovanni, il passaggio di funzioni poteva essere un elemento di crescita, non riteneva necessaria una demarcazione così profonda da portare alla separazione delle carriere e soprattutto non ha mai fatto alcuna battaglia su questo”.

I tempi del ddl costituzionale

Il disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere per i magistrati tra requirente e giudicante, lo sdoppiamento del Csm e l’introduzione di un’Alta Corte disciplinare è stato presentato l’estate scorsa dal governo e approda da questo mese in aula alla Camera per il primo dei 4 passaggi parlamentari richiesti. Se in seconda lettura il provvedimento non otterrà la maggioranza qualificata dei due terzi, potrà essere sottoposto a referendum.