Nel presente scritto viene esaminato lo “status” di giudice onorario quale lavoratore subordinato, rispetto alla quale si incrociano e fanno da “battistrada” le due sentenze , quelle della Corte Costituzionale e quella della CGUE, “salutate” in particolare quella della CGUE, come rivoluzionarie.
La Corte Costituzionale: la sentenza n. 267 del 9 dicembre 2020.
Con detta pronuncia la Corte ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale dell’ art. 18, 1 ° comma, del d.l.n.67/97 nella parte in cui non prevede da parte del Ministero della Giustizia il rimborso delle spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle condizioni ed ipotesi stabilite dalla norma.
La vicenda: il TAR Lazio, con ordinanza del 29.10.19 ,sollevava la questione di costituzionalità in relazione ad un giudizio, promosso da un giudice di pace, il quale ,assolto con sentenza definitiva da un’imputazione di corruzione in atti giudiziari per fatti commessi nell’ esercizio delle sue funzioni, impugnava il rigetto della sua istanza di rimborso delle spese legali sostenute per effetto del procedimento penale , da parte del Ministero.
La Corte ravvisa la violazione dell’art.3 della Costituzione, in quanto prendendo le mosse dal ragionamento e dall’iter motivazionale della CGUE del luglio 2020 (sulla quale si tornerà in seguito ) afferma che “ la differente modalità di nomina, radicata nella previsione dell’ art. 106, secondo comma Cost., il carattere non esclusivo dell’ attività giurisdizionale svolta e il livello di complessità degli affari trattati rendono conto dell’ eterogeneità dello status del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica “ onoraria” del suo rapporto di servizio.
Questi tratti peculiari non incidono tuttavia sull’ identità funzionale dei singoli atti che il giudice di pace compie nell’ esercizio della funzione giurisdizionale, per quanto appunto rileva agli effetti del rimborso della norma censurata”.
Pertanto, ed in sintesi, il nucleo fondamentale della sentenza in commento risiede nel riconoscimento che “il beneficio del rimborso delle spese di patrocinio attiene non al rapporto di impiego, bensi al rapporto di servizio , trattandosi di un presidio della funzione , rispetto alla quale il profilo organico appare recessivo”.
Quello che appare importante, ad avviso di chi commenta, è la preoccupazione , più volte espressa e sottolineata dalla Consulta, che per il giudice di pace, al pari di quello togato, deve essere garantita “un’ attività serena ed imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità”, e questo “ attesa l’ identità della funzione del giudicare”.
-Indubbiamente, quale antecedente logico ed ineludibile rispetto a tale pronuncia si pone la sentenza della CGUE del 16 .7.20, C-658/18.
Infatti, come già detto la sentenza della Corte Costituzionale ne dà ampiamente atto a supporto del proprio iter motivazionale, con ciò rappresentando un esempio concreto di quel dialogo tra Corti nazionali e sovranazionali, spesso invocato ed oramai fondamentale.
La sentenza CGUE : rivoluzionaria, di portata storica?
Il fatto dal quale nasce. Si tratta della vicenda processuale promossa da un giudice di pace che, dopo aver trattato in un anno ( dal 1 luglio 2017 al 30 giugno 2018 ) 1800 procedimenti , con due udienze a settimana, richiedeva un decreto ingiuntivo per la condanna del Governo italiano alla somma pari alla retribuzione per il mese di ferie spettanti ad un magistrato ordinario, con la stessa anzianità di servizio.
Il pagamento veniva richiesto a titolo di risarcimento del danno subito per la violazione ,da parte dello Stato Italiano, della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, della direttiva 2003/88CE relativa ad alcuni aspetti sull’ organizzazione dell’ orario di lavoro, e per violazione dell’ art, 31 Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea .
Sicché il giudice di pace di Bologna adito operava il rinvio alla Corte di Giustizia .
La rilevanza incontestabile dalla sentenza della Corte è quella di aver affrontato per la prima volta, nella sede eurounitaria, l’analisi della figura del magistrato onorario italiano e del suo status.
Tale profilo è incontestabile, al di là dei suoi effettivi impatti e riscontri applicativi sul nostro ordinamento.
Tre sono i principali campi tematici della decisione.
1-la questione della ricevibilità del rinvio;
2-la valutazione della direttiva sull’orario di lavoro 2003/88;
3-l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18.3.1999.
Il primo profilo è di natura pregiudiziale, gli altri due attengono al merito.
Quindi, l’analisi seguirà queste “direttrici”, mediante l’inserzione di passi testuali della pronuncia in commento.
1-Ricevibilità e nozione di giurisdizione nazionale ai sensi dell’art. 267 TFUE.
La sentenza affronta innanzitutto tale questione e, quindi, così risponde –positivamente – alla possibilità per il giudice di pace italiano di operare il rinvio pregiudiziale, ossia se l’organismo di rinvio integri la nozione di giurisdizione.
L’analisi argomentativa della Corte si incentra sui requisiti che devono caratterizzare un organismo remittente: origine legale, indipendenza, carattere permanente , obbligatorietà della giurisdizione, svolgimento in contraddittorio dei procedimenti, applicazione di norme giuridiche.
La Corte dipana soprattutto i dubbi relativi al carattere dell’indipendenza, non presentando gli altri requisiti aspetti problematici.
L’affermazione importante del concetto di indipendenza rinviene dal riscontro che i giudici di pace sono nominati con decreto del Presidente dello Stato, attraverso un iter che coinvolge anche il CSM; hanno un mandato di quattro anni, rinnovabile; analogamente le ipotesi di revoca sono compiutamente disciplinate da disposizioni specifiche ; ed esercitano le loro funzioni in totale autonomia, fatte salve le previsioni disciplinari ovviamente.
La sentenza attesta la sua significatività in questo passaggio, per la riaffermazione, posta in evidenza dai suoi commentatori, della portata elastica e flessibile della nozione di giurisdizione.
- La definizione del Giudice di pace come lavoratore
I passaggi della Corte per la valutazione dell’inquadramento del giudice onorario come lavoratore si snodano nell’esame delle fonti di diritto comunitario su richiamate.
- La direttiva sulle ferie 2003/88 e prescrizioni minime per l’ organizzazione del lavoro e la sua applicabilità
“Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta debbano essere interpretati nel senso che un giudice di pace che svolge le sue funzioni in via principale e che percepisce indennità connesse alle prestazioni effettuate, nonché indennità per ogni mese di servizio effettivo, possa rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni.
Occorre in primo luogo stabilire se tale direttiva sia applicabile nel caso di specie.
A tale riguardo, occorre rammentare che l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2003/88 definisce il campo di applicazione della stessa attraverso un rinvio all’articolo 2 della direttiva 89/391.
Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 89/391, quest’ultima concerne «tutti i settori d’attività privati o pubblici».
Tuttavia, come emerge dall’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva, quest’ultima non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, segnatamente nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo.
A tale riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il criterio utilizzato all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 per escludere determinate attività dall’ambito di applicazione della medesima direttiva e, indirettamente, da quello della direttiva 2003/88 non si fonda sull’appartenenza dei lavoratori a uno dei settori del pubblico impiego previsti da tale disposizione, considerato nel suo insieme, ma esclusivamente sulla natura specifica di taluni compiti particolari svolti dai lavoratori dei settori presi in considerazione da tale disposizione, natura che giustifica una deroga alle norme in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a motivo della necessità assoluta di garantire un’efficace tutela della collettività (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 55).
Nel caso di specie, anche se l’attività giurisdizionale del giudice di pace non è espressamente menzionata tra gli esempi citati all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 89/391, essa fa parte del settore di attività pubblico. Essa rientra quindi, in linea di principio, nel campo di applicazione della direttiva 89/391 e della direttiva 2003/88”.
Il passaggio argomentativo successivo attiene all’ affermazione della portata autonoma della nozione di lavoratore nel diritto dell’Unione.
Con la premessa e la precisazione che comunque spetta al Giudice nazionale tale operazione di qualificazione, la sentenza focalizza degli aspetti innegabilmente importanti.
“Occorre quindi ricordare, da un lato, che deve essere qualificata come «lavoratore» ogni persona che svolga attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da poter essere definite puramente marginali e accessorie (sentenza del 26 marzo 2015, Fenoll, C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 27).
Dall’altro lato, secondo una giurisprudenza costante, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
Anzitutto, per quanto riguarda le prestazioni svolte dalla ricorrente nel procedimento principale in qualità di giudice di pace, dall’ordinanza di rinvio risulta che esse sono reali ed effettive e che, inoltre, essa le svolge in via principale. In particolare, per un certo periodo di tempo, nella fattispecie nel periodo tra il 1º luglio 2017 e il 30 giugno 2018, essa, da un lato, ha emesso 478 sentenze nonché 1 326 ordinanze in qualità di giudice penale e, dall’altro, ha tenuto due udienze alla settimana. Tali prestazioni non appaiono puramente marginali e accessorie”.
Molto si è commentato in merito a questa valenza c.d. autonoma della nozione di lavoratore nel diritto eurounitario: tuttavia la Corte di Giustizia in molteplici passaggi demanda ed investe delle responsabilità qualificatorie e di verifica nel concreto appunto il Giudice nazionale.
Nell’iter motivazionale della CGUE si innesta a questo punto anche la analisi e la definizione del concetto di retribuzione,di subordinazione, delle modalità di esercizio ed organizzazione delle prestazioni di un giudice di pace, onorario.
“Pertanto, la sola circostanza che le funzioni del giudice di pace siano qualificate come «onorarie» dalla normativa nazionale non significa che le prestazioni finanziarie percepite da un giudice di pace debbano essere considerate prive di carattere remunerativo.
Peraltro, anche se è certo che la retribuzione delle prestazioni svolte costituisce un elemento fondamentale del rapporto di lavoro, resta comunque il fatto che né il livello limitato di tale retribuzione né l’origine delle risorse per quest’ultima possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 30 marzo 2006, Mattern e Cikotic, C‑10/05, EU:C:2006:220, punto 22, nonché del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze, C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 27).
In tali circostanze, spetta al giudice nazionale, in sede di valutazione dei fatti, per la quale è il solo competente, verificare, in ultima analisi, se gli importi percepiti dalla ricorrente nel procedimento principale, nell’ambito della sua attività professionale di giudice di pace, presentino un carattere remunerativo idoneo a procurare a quest’ultima un beneficio materiale e garantiscano il suo sostentamento.
Infine, un rapporto di lavoro presuppone l’esistenza di un vincolo di subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro. L’esistenza di un siffatto vincolo dev’essere valutata caso per caso in considerazione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze che caratterizzano i rapporti tra le parti (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
È certamente insito nella funzione dei giudici il fatto che questi ultimi debbano essere tutelati dagli interventi o dalle pressioni esterne suscettibili di compromettere la loro indipendenza nell’esercizio delle loro attività giurisdizionali e della funzione giudicante.
Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 83 delle sue conclusioni, tale requisito non impedisce di qualificare i giudici di pace come «lavoratori».
A tale riguardo, dalla giurisprudenza risulta che la circostanza che i giudici siano soggetti a condizioni di servizio e possano essere considerati lavoratori non pregiudica minimamente il principio di indipendenza del potere giudiziario e la facoltà degli Stati membri di prevedere l’esistenza di uno statuto particolare che disciplini l’ordine della magistratura (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, O’Brien, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 47).
In tale contesto, sebbene la circostanza che, nel caso di specie, i giudici di pace siano sottoposti al potere disciplinare esercitato dal Consiglio superiore della magistratura (in prosieguo: il «CSM») non sia di per sé sufficiente a farli considerare vincolati ad un datore di lavoro in base ad un rapporto giuridico di subordinazione (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 1987, Commissione/Paesi Bassi, 235/85, EU:C:1987:161, punto 14), occorre tuttavia tener conto di tale circostanza nel contesto di tutti fatti del procedimento principale.
Si devono quindi prendere in considerazione le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace.
A tale riguardo, dall’ordinanza di rinvio risulta che, sebbene possano organizzare il loro lavoro in modo più flessibile rispetto a chi esercita altre professioni, i giudici di pace sono tenuti a rispettare tabelle che indicano la composizione del loro ufficio di appartenenza, le quali disciplinano nel dettaglio e in modo vincolante l’organizzazione del loro lavoro, compresi l’assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza.
Dalla decisione di rinvio risulta altresì che i giudici di pace sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del Capo dell’Ufficio. Tali giudici sono inoltre tenuti all’osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM.
Il giudice del rinvio aggiunge che detti giudici devono essere costantemente reperibili e sono soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati professionali.
In tali circostanze, risulta che i giudici di pace svolgono le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla loro indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima parte della seconda questione dichiarando che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell’ambito delle sue funzioni, effettua prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
Ancora una volta , allora , se è vero che l’accento della Corte è molto posto sulle modalità e sulle peculiarità della prestazione del g.o., come disciplinata dal nostro ordinamento, va sempre “avvertito” e sottolineato il compito del giudice del rinvio, che, ad esempio, in materia di accertamento della subordinazione non potrà prescindere dal supporto e dalla vastità di elaborazione della nostra giurisprudenza di legittimità.
-
Quindi, giudice di pace lavoratore a tempo determinato. L’ interpretazione dell’accordo quadro in materia.
“A tale riguardo, dalla formulazione di detta disposizione risulta che l’ambito di applicazione di quest’ultima è inteso in senso ampio, poiché ricomprende, in via generale, i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, la definizione della nozione di «lavoratori a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro e a prescindere dalla qualificazione del loro contratto in diritto interno (sentenza del 19 marzo 2020, Sánchez Ruiz e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 108).
Pertanto, l’accordo quadro si applica all’insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purché questi siano vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale, e fatta salva soltanto la discrezionalità conferita agli Stati membri dalla clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro per quanto attiene all’applicazione di quest’ultimo a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro nonché l’esclusione, conformemente al quarto comma del preambolo dell’accordo quadro, dei lavoratori interinali (sentenza del 19 marzo 2020, Sánchez Ruiz e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 109).
Sebbene, come risulta dal considerando 17 della direttiva 1999/70 e dalla clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, tale direttiva lasci agli Stati membri il compito di definire i termini «contratto di assunzione» o «rapporto di lavoro», impiegati in tale clausola, secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, ciò non toglie che il potere discrezionale conferito agli Stati membri per definire tali nozioni non sia illimitato. Infatti, siffatti termini possono essere definiti in conformità con il diritto e/o le prassi nazionali a condizione di rispettare l’effetto utile di tale direttiva e i principi generali del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, O’Brien, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 34).
In tale contesto, la mera circostanza che un’attività professionale, il cui esercizio procura un beneficio materiale, sia qualificata come «onoraria» in base al diritto nazionale è priva di rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’accordo quadro, pena il mettere seriamente in questione l’effetto utile della direttiva 1999/70 e quello dell’accordo quadro, nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C‑307/05, EU:C:2007:509, punto 29, e del 1º marzo 2012, O’Brien, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 36).
Come ricordato al punto 116 della presente sentenza, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro trovano applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro.
Ebbene, come emerge in particolare dai punti 95, 98 e 99 della presente sentenza, nonché dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, risulta che un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale effettua a tale titolo prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e che comportano, come corrispettivo, indennità per ciascuna”
Pertanto :” Ebbene, spetta al giudice del rinvio esaminare, in ultima analisi, in qual misura il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia sia, di per sé, sostanzialmente differente dal rapporto di lavoro esistente tra un datore di lavoro ed un lavoratore. La Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio taluni principi e criteri di cui quest’ultimo dovrà tener conto nell’ambito del suo esame (v., per analogia, sentenza del 1° marzo 2012, O’Brien, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 43)”.
Quindi la Corte così conclude in relazione a tale aspetto:
“Quanto alle modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace e, più in particolare, alla questione se tali giudici svolgano le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione, come risulta dai punti da 107 a 112 della presente sentenza, sebbene appaia che detti giudici svolgono le loro funzioni nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico, spetta al giudice del rinvio verificare tale aspetto.
Per quanto riguarda la questione se il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia abbia una durata determinata, dalla formulazione della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro risulta che un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato è caratterizzato dal fatto che il termine di detto contratto o di detto rapporto di lavoro «è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico» (ordinanza del 19 marzo 2019, CCOO, C‑293/18, non pubblicata, EU:C:2019:224, punto 31).
– Nel procedimento principale, dal fascicolo a disposizione della Corte risulta che il mandato dei giudici di pace è limitato a un periodo di quattro anni, rinnovabile.
– Risulta pertanto che, nel caso di specie, il rapporto che lega i giudici di pace al Ministero della Giustizia ha durata determinata.
– Alla luce di tutti questi elementi, occorre rispondere alla seconda parte della seconda questione dichiarando che la clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», contenuta in tale disposizione, può includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
Il passaggio conclusivo in tale operazione di ricostruzione dello status di lavoratore, la Corte lo compie valutando il principio di non discriminazione e la sua applicabilità nella fattispecie in esame.
“Secondo una giurisprudenza costante, al fine di valutare se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile nel senso dell’accordo quadro, occorre stabilire, in conformità alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest’ultimo, se, tenuto conto di un insieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che tali persone si trovino in una situazione comparabile (sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C‑677/16, EU:C:2018:393, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
A tale riguardo, se è dimostrato che, nell’ambito del loro impiego, i lavoratori a tempo determinato esercitavano le medesime mansioni dei lavoratori impiegati dallo stesso datore di lavoro a tempo indeterminato oppure occupavano il loro stesso posto, occorre, in linea di principio, considerare le situazioni di queste due categorie di lavoratori come comparabili (sentenza del 22 gennaio 2020, Baldonedo Martín, C‑177/18, EU:C:2020:26, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la ricorrente nel procedimento principale, in quanto giudice di pace, potrebbe essere considerata comparabile a un giudice togato (magistrato ordinario) che ha superato la terza valutazione di idoneità professionale e ha maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni, poiché essa ha svolto un’attività giurisdizionale equivalente a quella di un siffatto magistrato ordinario, con le medesime responsabilità sul piano amministrativo, disciplinare e fiscale, ed è stata continuativamente inserita nell’organico degli uffici presso i quali ha lavorato, percependo le prestazioni finanziarie di cui all’articolo 11 della legge n. 374/1991.
Più in particolare, dal fascicolo risulta che, al pari di un magistrato ordinario, il giudice di pace è, in primo luogo, un giudice che appartiene all’ordine giudiziario italiano e che esercita la giurisdizione in materia civile e penale, nonché una funzione conciliativa in materia civile. In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, della legge n. 374/1991, il giudice di pace è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari. In terzo luogo, il giudice di pace, al pari di un magistrato ordinario, è tenuto a rispettare tabelle indicanti la composizione dell’ufficio di appartenenza, le quali disciplinano dettagliatamente ed in modo vincolante l’organizzazione del suo lavoro, compresi l’assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza. In quarto luogo, sia il magistrato ordinario che il giudice di pace sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del Capo dell’Ufficio, nonché i provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM. In quinto luogo, il giudice di pace è tenuto, al pari di un magistrato ordinario, ad essere costantemente reperibile. In sesto luogo, in caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e d’ufficio, il giudice di pace è sottoposto, al pari di un magistrato ordinario, al potere disciplinare del CSM. In settimo luogo, il giudice di pace è sottoposto agli stessi rigorosi criteri applicabili per le valutazioni di professionalità del magistrato ordinario. In ottavo luogo, al giudice di pace vengono applicate le stesse norme in materia di responsabilità civile ed erariale previste dalla legge per il magistrato ordinario.
Tuttavia, per quanto riguarda le funzioni di giudice di pace, dagli elementi del fascicolo risulta che le controversie riservate alla magistratura onoraria, e in particolare ai giudici di pace, non hanno gli aspetti di complessità che caratterizzano le controversie devolute ai magistrati ordinari. I giudici di pace tratterebbero principalmente cause di minore importanza, mentre i magistrati ordinari che svolgono la loro attività in organi giurisdizionali di grado superiore tratterebbero cause di maggiore importanza e complessità. Inoltre, ai sensi dell’articolo 106, secondo comma, della Costituzione italiana, i giudici di pace possono svolgere soltanto le funzioni attribuite a giudici singoli e non possono quindi far parte di organi collegiali.
In tali circostanze, spetta al giudice del rinvio, che è il solo competente a valutare i fatti, determinare, in ultima analisi, se un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario che, nel corso del medesimo periodo, abbia superato la terza valutazione di idoneità professionale e maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C‑677/16, EU:C:2018:393, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
Ove sia accertato che un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale e i magistrati ordinari sono comparabili, si deve poi ancora verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi una differenza di trattamento come quella di cui trattasi nel procedimento principale.
Nel caso di specie, per giustificare la differenza di trattamento dedotta nel procedimento principale, il governo italiano sostiene che costituisca una ragione oggettiva l’esistenza di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell’accesso alla magistratura, che invece non vale per la nomina dei giudici di pace. Tale governo ritiene infatti che la competenza dei giudici di pace sia diversa da quella dei magistrati ordinari assunti mediante concorso. Contrariamente a questi ultimi, per quanto riguarda la particolare natura delle mansioni e le caratteristiche ad esse inerenti, ai giudici di pace verrebbero affidate controversie il cui livello di complessità ed il cui volume non corrispondono a quelli delle cause dei magistrati ordinari.
In tali circostanze, sebbene le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari non impongano necessariamente di privare i giudici di pace di ferie annuali retribuite corrispondenti a quelle previste per i magistrati ordinari, resta comunque il fatto che tali differenze e, segnatamente, la particolare importanza attribuita dall’ordinamento giuridico nazionale e, più specificamente, dall’articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l’assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell’assolvimento di tali mansioni. In ogni caso, spetta al giudice del rinvio valutare, a tal fine, gli elementi qualitativi e quantitativi disponibili riguardanti le funzioni svolte dai giudici di pace e dai magistrati professionali, i vincoli di orario e le sanzioni cui sono soggetti nonché, in generale, l’insieme delle circostanze e dei fatti pertinenti.
Fatte salve le verifiche che rientrano nella competenza esclusiva di tale giudice, emerge che gli obiettivi invocati dal governo italiano nel caso di specie, vale a dire rispecchiare le differenze nell’attività lavorativa tra i giudici di pace e i magistrati professionali, potrebbero essere idonei a rispondere ad una reale necessità e che le differenze di trattamento esistenti tra tali due categorie, anche in materia di ferie annuali retribuite, potrebbero essere considerate proporzionate agli obiettivi da esse perseguiti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza parte della seconda questione dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell’ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
In conclusione la sentenza della CGUE nell’ esame delle fonti scrutinate e nei richiami giurisprudenziali effettuati si pone certamente nel solco di un percorso comunitario oramai avviato e tracciato da tempo volto alla tutela della figura del lavoratore a termine, alla prevenzione di possibili abusi e distorsioni del principio della non discriminatorietà ( si pensi ad esempio a tutta la vicenda del contenzioso scolastico).
Così il richiamo al principio ampio della parità di trattamento, di cui all’ art.45 TFUE, assume certamente importanza.
Tuttavia, resterà ineludibile compito dei Giudici nazionali quello delle operazioni ermeneutiche di qualificazione, dell’analisi ordinamentale, e di verifica della sussistenza o meno di ragioni obiettive, onde calibrare gli importanti postulati eurounitari, dalla pur sempre valenza generale, al rapporto ed allo status del giudice onorario come configurato nel nostro ordinamento.
Dott.ssa Angela Arbore, Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale di Trani
Relazione al webinar “La riforma della Magistratura Onoraria” del 25 febbraio 2021, Scuola Superiore della Magistratura.
In foto: Villa di Castelpulci a Scandicci, sede della Scuola Superiore della Magistratura