L’insegnamento del “Piccolo Giudice” per non diventare giudici piccoli

Rosario Livatino veniva assassinato il 21 settembre 1990. Trent’anni dopo, il 9 maggio 2021, il magistrato veniva beatificato.

La Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione nazionale magistrati affidava alla XV Commissione , quella che si occupava “della educazione alla e della diffusione della legalità”, l’organizzazione dell’evento celebrativo della beatificazione di Rosario Livatino.

In nome del beato era imporante, nel preparare l’evento, dare anche un forte segno di unità associativa. Formavamo pertanto una squadra di nove persone, provenienti da tutte le aree culturali del Comitato Direttivo Centrale dell’ A.N.M.  Oltre a Raffaella Marzocca e Luca Poniz, leali compagni di viaggio nella XV commissione, il gruppo era composto dai brillanti Rocco Maruotti e Ilaria Perinu, l’amico caro Tony Nicastro, la spumeggiante Chiara Gagliano e le “intelligenti ribelli” Alessandra Tasciotti e Ida Moretti.

Sentivamo la responsabilità e il confronto in alcuni momenti era anche acceso, ma il beato  certamente ci sorreggeva lungo tutta la preparazione. Per chi dubitasse di questa affermazione, segnalo solo che il titolo dell’evento, “Beati i giusti”, veniva detto di getto da Luca Poniz colui che, fino a quel momento, era apparso il meno interessato agli aspetti religiosi della commemorazione.

L’evento, nelle nostre intenzioni, doveva essere un racconto evocativo di immagini ed emozioni. Le testimonianze dovevano susseguirsi cucite tra loro da un filo narrativo asciutto e sobrio. Parole che non solo si dovevano ascoltare ma anche vedere e sentire.

E venne il giorno: il 18 giugno 2021, nella sontuosa Aula Magna della Suprema Corte di Cassazione, davanti alle alte cariche dello Stato, trasmesso in streaming per tutti i colleghi appariva sullo schermo il logo dell’evento disegnato per l’occasione. Si cominciava.

Gli onori di casa li facevano  il Primo presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio; il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Giovanni Salvi; e il Presidente dell’A.N.M., Giuseppe Santalucia.

Dopo il saluto alle autorità presenti, tutti e tre esaltavano la figura di Rosario Livatino, la cui condotta doveva costituire oggi  un esempio per tutti i magistrati.

Sulla stessa linea l’intervento della Ministra dott.ssa Cartabia la quale, dopo avere evidenziato come oggi preoccupi la scarsa fiducia della società, e soprattutto dei giovani, nella Magistratura, ha espresso un forte richiamo al recupero dei valori etici perduti. In particolare: disciplna e onore.

Il primo video proiettato era d’impatto: ripercorreva il giorno del brutale assassinio di Rosario Livatino e la sua preoccupazione di quel periodo. Si vedeva anche un breve filmato in cui il giovane magistrato sorrideva con gli amici.

Incaricata a descrivere il clima di quegli anni, una commossa Chiara Gagliano, magistrata siciliana, narrava la terribile vicenda di suo padre, funzionario dello Stato che, proprio nel 1990,  non si era piegato alle minacce della mafia, né si era fatto attrarre dalle sue lusinghe. Comunque traumatizzato, poco tempo dopo, si ritirava dal lavoro.

Il secondo video tratteggiava la figura dell’uomo Livatino atraverso le testimonianze degli amici di sempre e dei colleghi Luigi D’Angelo, Totò Cardinale, e Luisa Turco.

Subito dopo le immagini dei templi di Agrigento, con cui si chiudeva la proiezione, si avvicendavano quattro testimoni d’eccezione, che avevano il compito di tratteggiare la figura di Livatino come  magistrato .

Giuseppe Meliadò, attuale Presidente della Corte d’Appello di Roma, che conobbe Rosario Livatino quando arrivò in prima nomina come Pretore di Ravanusa e ne apprezzò le qualità umane e il desisderio di porre fine alla piaga dell’abusivismo edilizio.

Antonio Tricoli, oggi Presidente del Tribunale di Sciacca, all’epoca nel collegio del Tribunale di Agrigento  col beato, che ha mostrato l’ultimo provvedimento redatto da Rosario Livatino, ne ha raccontato la genesi, e interpretato la grafia.

Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica di Avellino, profondo studioso della figura di Livatino, che iniziò ad occuparsi di lui come redattore de “La Magistratura” e ne ha svelato l’unicum: non ha fatto il giudice, è stato un giudice.

Ottavio Sferlazza, già Procuratore della Repubblica di Palmi, il magistrato che per primo sollevò il lenzuolo che copriva il corpo del collega assassinato e che interrogò Pietro Nava, il supertestimone.

Il terzo video conteneva una sintesi della cerimonia di beatificazione e introduceva l’intervento del postulatore della causa di beatificazione: don Giuseppe Livatino.

Quest’ultimo si  soffermava sui presupposti della beatifcazione e, in particolare sulla capacità del magistrato di operare un cambiamento positivo nell’animo dei suoi assassini allora  e in quello della stessa comunità canicattinese oggi. Infatti, i suoi concittadini, fomentati dalle cosche locali, si erano inizialmente convinti che la procedura di beatificazione del “giudice ragazzino” avrebbe impedito quella di un altro canicattinese, il frate degli ultimi, il venerabile Gioacchino La Lomia.

Con le parole del postulatore don Giuseppe Livatino terminava la parte dedicata al ricordo di Rosario Livatino: uomo, magistrato e beato.

Idealmente iniziava una seconda parte in cui si intendeva riflettere sul  significato di essere magistrati oggi.

L’affresco della figura del magistrato oggi, in particolare in Sicilia, era affidato ai sostituti procuratori della Repubblica, Tony Nicastro e Alessandra Tasciotti.

Il primo, che in Sicilia c’è nato, ha evidenziato la difficoltà ma al contempo l’irrinunciabile esigenza, di restare terzi  e imparziali laddove ti conosono tutti, traendo forza dalla toga che si indossa e dall’amore per la propria terra e per la giustizia.

La seconda, giovane collega proveniente da Latina, che aveva “istintivamente”scelto la Sicilia come primo incarico, ha raccontato la forte esigenza di giustizia che ha rinvenuto tra le persone e la propria preoccupazione di poter rispondere adeguatamente a questa richiesta di giustizia.

Ad aiutare i presenti a riflettere sulla giustizia, sul diritto e sulla coscienza del magistrato attuale  ci ha infine pensato il filosofo Vito Mancuso.

Partendo dalla riflessione  che non è solo la magistratura ad aver toccato uno dei punti più bassi della sua storia, ma c’è un degrado più generale della società, lo studioso si è soffermato sulla figura di Livatino e sulla sua grandezza spirituale.

Dopo aver rilevato la bellezza del termine “aggiustare” che, a suo dire, evoca l’azione di riportare le cose alla loro “giustizia”, si è soffermato sul vero miracolo della natura umana, perfettamente interpretato da Rosario Livatino: la capacità dell’uomo, di per sé stesso un “legno storto” di kantiana memoria, utile solo per il camino, di rendere diritte le ingiustizie del mondo.

Uno dei momenti più emozionanti dell’evento è stato senz’altro il video in cui, tutti i magistrati italiani, attraverso le proprie Giunte esecutive distrettuali leggevano il bellissimo discorso sull’indipendenza del giudice, dentro e fuori il Tribunale,  che Livatino tenne nel 1984 a Canicattì.

Si giungeva così ai saluti finali che, per tutti, facevano Margherita Cassano, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione e Salvatore Casciaro , segretario dell’ANM.

La prima esaltava la luce e i colori di Rosario Livatino; il secondo si proeittava nel futuro e nelle grandi sfide che la magistratura associata doveva affrontare.

L’evento è stato visto da oltre 1500 persone.

Dott. Giacomo Ebner

Giudice del Tribunale di Roma