L’art. 48 della Costituzione

Commento all’art. 48 della Costituzione

di Massimo Rubechi, Professore associato di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

 

Art. 48 – «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.

Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge».

 

Sommario: – 1. La natura giuridica del diritto di voto. – 2. Il diritto di voto in Assemblea costituente. – 3. La delimitazione del corpo elettorale. – 4. Le garanzie e le caratteristiche del voto. – 5. Sistemi elettorali e circuiti rappresentativi.

 

  1. La natura giuridica del diritto di voto

La dottrina si è interrogata sulla natura giuridica del voto sin dalla nascita dello Stato moderno.

Inizialmente, fu considerato come un diritto proprio di ogni individuo, a prescindere dalla sua appartenenza ad uno Stato, ponendo in capo a quest’ultimo il dovere di garantirlo. Nel contesto delle forme di stato liberali – a partire dalle elaborazioni di Locke – la titolarità del diritto di voto venne, tuttavia, riconosciuta solo ai soggetti considerati «capaci» di gestire la cosa pubblica. Il suffragio era di conseguenza limitato a coloro che fossero in possesso di un determinato censo o posizione sociale ovvero di requisiti fondati sulla proprietà o sulla partecipazione. Questo corpo elettorale ristretto venne a corrispondere, nelle ricostruzioni continentali – da Sieyés a Carré de Malberg – con la nazione, concepita come un soggetto separato sia dal popolo sia dallo Stato[1].

In tempi successivi, si svilupparono le dottrine di matrice tedesca che tendevano a considerare il voto come una funzione, da svolgersi in nome e per conto dello Stato (Laband). Queste interpretazioni ribaltavano, dunque, il punto di vista rispetto alle teorie precedenti, non prendendo più le mosse dall’individuo. Il voto fu concepito come una funzione necessaria e vitale per il rinnovo degli organi dello Stato, il che giustificò restrizioni dell’elettorato che isolassero i soggetti considerati capaci e degni di svolgere tale funzione elettiva.

Con l’evoluzione delle esperienze statuali verso quella che comunemente viene definita la forma liberaldemocratica o democratico-pluralista, si ebbe l’affermazione del suffragio universale. Ed è in quel contesto che ambedue le visioni appena illustrate mostrarono la loro parzialità e insufficienza nel cogliere l’essenza del fenomeno elettivo. Esse vennero dunque affiancate da elaborazioni che tentarono di coniugare la natura di diritto e di funzione del voto, sviluppate in particolare da Jellinek e, per quanto riguarda la dottrina italiana, nelle opere di Rossi e Santi Romano.

Al giorno d’oggi, la necessità di trovare un punto di equilibrio nella natura duale del voto emerge con ancora maggiore nitidezza, poiché esso si può configurare come un diritto di libertà avente natura funzionale, la cui declinazione ambivalente si può apprezzare mettendo in connessione una sovranità che appartiene al popolo con l’esercizio della stessa nelle forme delineate dalla Costituzione, tra cui la principale è senza dubbio il momento del rinnovo delle assemblee parlamentari per il tramite del voto. In altre parole, la natura del diritto di voto si può cogliere al meglio solo se si colloca il momento elettivo nel contesto del circuito democratico disegnato dall’ordinamento costituzionale [2], ove appare chiaro che si tratta di un diritto che appartiene al singolo, ma anche, al contempo, di una funzione che il corpo elettorale svolge rispetto al rinnovo degli organi.

Il diritto di voto e di elettorato attivo, oggi, è ricompreso nel novero dei diritti fondamentali sia a livello interno sia nello spazio giuridico europeo[3], ove l’elettività degli organi rappresentativi viene considerata un principio supremo degli ordinamenti democratici[4].

 

  1. Il diritto di voto in Assemblea costituente

Il dibattito sull’articolo del Progetto preliminare di Costituzione dedicato al diritto di voto[5] non fu particolarmente intenso, poiché il contenuto del testo – su cui si rinvia ai prossimi paragrafi – ricalcava sostanzialmente i principi già riconosciuti e applicati dai soggetti istituzionali che avevano dato vita all’ordinamento repubblicano[6]. L’affermazione della sovranità popolare e dunque del suffragio universale e diretto erano infatti già considerati pacificamente accettati.

Per cui ci si limita in questa sede a riportare i profili maggiormente dibattuti[7], che riguardarono l’età per l’attribuzione dell’elettorato attivo e il tema dell’obbligatorietà del voto. Sotto il primo versante, i costituenti si mostrarono in larga parte favorevoli alla costituzionalizzazione del requisito dei ventuno anni – v. Bozzi, Tosato, Lusso e Terracini – mentre decisamente contrari risultarono gli esponenti comunisti, i quali auspicavano si potesse ridurre a diciotto. La soluzione di compromesso fu raggiunta con il riferimento generico della «maggiore età» avanzata dal repubblicano Perassi, con cui si rinviava alla legge ordinaria per la sua determinazione.

Più aspro fu invece il dibattito sul tema dell’obbligatorietà del voto, poiché coinvolse impostazioni ideali ma anche ragioni tattiche che sorreggevano le posizioni dei partiti rispetto alla diversa presunzione di mobilitazione dei rispettivi elettorati. Democrazia cristiana, liberali e monarchici erano, infatti, favorevoli all’introduzione del voto obbligatorio, mentre soprattutto comunisti, repubblicani e socialisti erano contrari, in ragione della maggiore o minore enfasi sulla natura di diritto o di funzione della votazione, ma anche in seguito a considerazioni di convenienza elettorale[8]. La soluzione fu trovata in un compromesso, piuttosto ambiguo, costituito dal riferimento al voto come «dovere civico», il cui contenuto prescrittivo avrebbe dovuto essere determinato dalla legislazione di rango primario.

 

  1. La delimitazione del corpo elettorale

Le forme di stato liberali sono state caratterizzate da un progressivo allargamento del corpo elettorale, sino a giungere a ricomprendere la totalità dei cittadini maggiorenni, di entrambi i sessi. Proprio la generalizzazione del diritto di voto ha costituito una delle rotture principali che ha segnato il passaggio da questo modello alla forma di stato liberaldemocratica o democratico-pluralista, nel cui contesto ci troviamo ancor oggi.

La Costituzione stabilisce che debbano essere considerati elettori tutti i cittadini italiani in possesso della maggiore età (art. 48, comma primo). Nel nostro ordinamento, l’atto formale che individua il corpo elettorale è l’iscrizione nelle liste elettorali dei cittadini italiani, che avviene d’ufficio al compimento del diciottesimo anno[9] (artt. 4 e 8 del d.P.R. n. 223 del 1967).

L’articolo 48 individua in un successivo momento, al comma quarto, le cause che determinano l’esclusione dal corpo elettorale, vale a dire per incapacità civile, condanna penale con sentenza irrevocabile e indegnità morale. Queste fattispecie non determinano un obbligo effettivo a carico del legislatore e debbono essere interpretate in maniera restrittiva poiché si configurano come possibili limitazioni di una libertà fondamentale. Il corpo elettorale si caratterizza, quindi, come un «corpo selezionato», che astrattamente potrebbe non coincidere con la totalità dei cittadini maggiorenni. Gli interventi attuativi hanno, tuttavia, attenuato la portata pratica di questa considerazione poiché le tre fattispecie sono state interpretate in maniera nel tempo sempre meno estensiva.

Il limite della incapacità civile risulta oggi addirittura privo di attuazione legislativa in seguito alla riammissione degli interdetti e degli inabilitati per infermità mentale alla fine degli anni Settanta.

Anche per quanto riguarda la fattispecie della condanna penale definitiva, le cause originarie contenute nel d.P.R. n. 223 del 1967 sono state nel tempo attenuate e circostanziate e oggi viene prevista solo come pena accessoria e non in conseguenza di una semplice condanna. Sono esclusi dal diritto di voto coloro i quali siano sottoposti a misure di sicurezza detentive, alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno ai sensi dell’articolo 215 del Codice penale, coloro che sono sottoposti a pena che importi l’interdizione temporanea – per la durata corrispettiva – o perpetua dai pubblici uffici, nonché i condannati per reati elettorali ai sensi del d.P.R. n. 361 del 1957.

L’indegnità morale è, infine, una fattispecie ambigua, la cui ratio originaria si riferiva a coloro che non avessero onorato i loro impegni e, in quanto tali, non fossero da considerare degni di svolgere la funzione elettiva. Sino al 2006 tale previsione fu attuata nel senso dell’esclusione dei falliti dal corpo elettorale ma, anche in seguito all’intervento della Corte europea per i diritti dell’uomo (sent. Albanese c. Italia), è stata soppressa. Ad oggi risultano esclusi dal corpo elettorale per indegnità morale esclusivamente coloro che sono sottoposti alle misure di prevenzione di sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, per tutta la durata dei provvedimenti (art. 6 del d.lgs. n. 159 del 2011).

Il nostro testo costituzionale individua nel requisito formale della cittadinanza il prodromo per l’acquisizione della capacità elettorale attiva[10]. In questo contesto, in seguito alla riforma della Costituzione introdotta con la l. cost. n. 1 del 2000, va letta la previsione di precise modalità per l’espressione del voto degli italiani all’estero e la previsione di una quota riservata di seggi alla Camera e al Senato, rispettivamente nel numero di otto e di quattro[11].

 

  1. Le garanzie e le caratteristiche del voto

Le votazioni possono assumere natura elettiva o deliberativa[12]. Quelle di tipo elettivo possono essere definite come la modalità con cui una pluralità di soggetti individua uno o più rappresentanti. Si fa riferimento, dunque, alle elezioni intese in senso classico, quale principale strumento di legittimazione degli organi nei sistemi democratici rappresentativi. Si è di fronte, invece, a votazioni di tipo deliberativo quando per il tramite del voto vengono assunte direttamente decisioni. Il nostro ordinamento contempla i referendum, configurandoli come istituti di democrazia diretta che possono integrare il circuito decisionale parlamentare[13].

Le garanzie previste dal secondo comma si applicano a tutte le tipologie di votazione. Segretezza e libertà del voto costituiscono tutele classiche, che caratterizzano ormai tutti gli ordinamenti di matrice liberaldemocratica[14].

La segretezza costituisce il prerequisito per la libertà del voto, poiché dalla sua garanzia discende la piena autonomia di scelta dell’elettore. I meccanismi previsti per tutelarla si rinvengono prevalentemente nel d.P.R. n. 361 del 1957, fra cui il divieto di esplicitare l’opzione effettuata, pena il suo annullamento (art. 70) cui si aggiunge, in seguito agli sviluppi tecnologici, anche il divieto di introdurre nelle cabine elettorali telefoni cellulari o dispositivi fotografici di vario genere (d.l. 49 del 2008). Servono a garantire la segretezza del voto anche l’uso obbligatorio di una scheda di stato per effettuare la votazione (art. 31), l’impiego di un’apposita matita copiativa (art. 58) e la previsione che la votazione debba essere svolta individualmente e all’interno di apposite cabine (art. 62).

Le tutele classiche al diritto di voto si trovano di recente a fronteggiare ulteriori sfide, rappresentate in particolare dal voto elettronico o in linea. Alla luce delle garanzie previste dalla Costituzione, tuttavia, queste modalità potrebbero essere sperimentate solo con modalità in loco o tramite il voto presidiato, all’interno comunque di apposite cabine elettorali. La modalità di voto a distanza o non presidiato, soprattutto se via internet, potrebbe, infatti, non garantire sufficientemente la segretezza e la libertà del voto, sia per ragioni intrinseche, sia con riferimento alla sicurezza delle reti.

Un discorso a parte deve essere effettuato per quanto riguarda l’espressione del voto dei cittadini italiani residenti all’estero, i quali possono optare per il voto per corrispondenza: una modalità che strutturalmente allenta i controlli sui requisiti di libertà e segretezza, nonché su quello (v. infra) della personalità. Parte della dottrina ha, tuttavia, fatto derivare dal peculiare circuito rappresentativo che la legge costituzionale n. 1 del 2000 costruisce per la rappresentanza italiana all’estero la legittimazione ad introdurre modalità speciali[15].

Il requisito della libertà riguarda, poi, sia il momento in cui il voto viene espresso, sia quello antecedente, inerente la formazione della sua volontà. Sotto il primo profilo, la misura implica che l’elettore debba votare privo da ogni condizionamento di natura fisica o psicologica. Il d.P.R. n. 361 del 1957 disciplina i reati elettorali, punendo coloro che impediscono il suo libero svolgimento del voto in generale (art. 100), ma anche le condotte volte a influenzare la scelta dell’elettore, direttamente o indirettamente (art. 97), comprese forme di acquisto del voto (art. 95) o la promessa di futuri incarichi (art. 96).

La garanzia della libertà ha assunto di recente anche una connotazione legata alla libertà della scelta in sé, intesa nel senso del ventaglio di opzioni entro cui l’elettore può muoversi. Il tema è emerso, in particolare, rispetto alle misure di riequilibrio della rappresentanza di genere, le quali talvolta possono condizionare le opzioni di voto. La Corte costituzionale è intervenuta direttamente sul meccanismo della cd. doppia preferenza di genere, stabilendo che le limitazioni sono legittime se fissano criteri per l’espressione del voto e qualora non coartino completamente la sua volontà (sent. n. 4 del 2010)[16].

Sotto un diverso profilo, è stato sostenuto che la libertà del voto implichi anche il divieto di introdurre sistemi elettorali che privino del tutto l’elettore di una possibilità di individuare, direttamente o indirettamente, i candidati di ciascuna lista. Ciò non implica, tuttavia, l’obbligo di introdurre soluzioni che assicurino una scelta completamente libera, poiché la selezione delle candidature è compito che spetta anche ai partiti ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione (sentt. n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017), ma solo un divieto di meccanismi che non ne garantiscano alcuna, diretta o indiretta.

La principale tutela della libertà del voto nella fase antecedente le elezioni è costituita dalle regole che limitano la libertà di manifestazione del pensiero in campagna elettorale (cd. par condicio), poiché viene in rilievo l’esigenza di evitare che anche la volontà dell’elettore venga indebitamente influenzata. Tale disciplina è contenuta nella l. n. 28 del 2000, ove vengono fissate le modalità di riparto dei tempi fra le forze politiche, la regolamentazione degli spot elettorali e criteri e limiti per la diffusione dei sondaggi. Un ambito non ancora debitamente esplorato ma che probabilmente presto andrà considerato alla luce dei principi comuni in materia elettorale riguarda l’impatto dei nuovi media, in particolare dei social network, sulle campagne elettorali[17], con riferimento ad esempio, al rispetto dei periodi di silenzio immediatamente antecedenti le elezioni o alla diffusione di sondaggi elettorali nel periodo protetto.

L’articolo 48 della Costituzione stabilisce, poi, le caratteristiche del voto: personalità ed eguaglianza.

La personalità implica che il soggetto cui viene riconosciuto tale diritto sia l’unico che possa esercitarlo, il che impone il divieto di introdurre meccanismi elettorali che attribuiscano questa prerogativa a soggetti diversi dall’elettore, come ad esempio il voto per procura. Il nostro ordinamento prevede, tuttavia, la possibilità di fare ricorso al voto assistito in caso di malattia grave e solo se l’accompagnatore si configura come un mero coadiutore e assista un solo elettore (art. 55 d.P.R. n. 361 del 1957), il voto a domicilio o la facoltà di istituire seggi speciali presso ospedali o case di cura, per coloro che non possono allontanarsi dalla propria dimora (l. n. 46 del 2009).

Recentemente, la Corte costituzionale ha riferito la personalità anche al rapporto che può instaurarsi fra la scelta dell’elettore e l’elezione del candidato, dichiarando incostituzionale il meccanismo delle candidature plurime illimitate, poiché il voto dell’elettore, a talune condizioni, non aveva effetti diretti sull’elezione, condizionata invece dalla scelta discrezionale del candidato plurieletto (sent. n. 35 del 2017).

Il principio dell’eguaglianza del voto è, invece, stato declinato con riferimento sia al profilo formale sia a quello sostanziale, qualora riferito, in altre parole, al valore di ciascun voto ovvero agli effetti concreti della scelta.

L’eguaglianza del voto intesa in senso formale esprime la valenza propria del principio, poiché costituisce un’estrinsecazione di quello di eguaglianza sancito dall’articolo 3, comma primo della Costituzione stessa[18]. Da esso deriva che, per le elezioni di tipo pubblicistico, la scelta di ciascun elettore debba avere il medesimo valore e, di conseguenza, che risultino precluse modalità di voto multiplo, plurimo o ponderato, poiché attribuiscono direttamente o indirettamente a determinate categorie di cittadini un peso relativo maggiore.

La possibilità di estendere il principio di eguaglianza del voto anche agli effetti del sistema elettorale è risultata un’interpretazione lungamente minoritaria in dottrina[19] e nella giurisprudenza costituzionale, anche per la difficile sindacabilità dei loro effetti. Recentemente, la Corte ha ripreso talune di quelle argomentazioni, seppur non giungendo a riconoscere al principio un valore assoluto, per censurare istituti che lo comprimevano eccessivamente quali l’attribuzione di un premio di maggioranza senza la presenza di una soglia minima per il suo ottenimento (sent. n. 1 del 2014). Il nostro sistema costituzionale è infatti neutro rispetto alla scelta del sistema elettorale da adottare, ma la Corte costituzionale è stata chiamata ad individuare i confini mobili di un bilanciamento fra i due interessi da garantire: la rappresentatività delle istituzioni parlamentari e il corretto funzionamento delle stesse. Così come il voto è sia un diritto, sia una funzione, è necessario garantire al contempo la rappresentatività e il corretto funzionamento delle istituzioni al cui rinnovo esso è preposto, senza che l’una o l’altro venga irrimediabilmente compresso.

Il momento elettivo non deve, infatti, essere circoscritto alle sole operazioni di voto, poiché il nostro testo costituzionale lo inserisce in un circuito rappresentativo definito, che solo può permettere di sciogliere natura la duale del voto: l’elezione (art. 48) deve garantire che le istituzioni da rinnovare siano rappresentative del popolo (art. 1), ma anche che possano funzionare al meglio, attraverso il filtro costituito dai partiti (49) e passando per le regole per la composizione e funzionamento delle assemblee elettive (artt. 56, 57-58 ma anche 67, 72 e 82). Ed è in questo contesto più ampio che si può apprezzare la funzione precipua delle leggi elettorali, nelle loro interazioni con il sistema partitico, le regole poste a presidio della composizione delle assemblee elettive e, risalendo al testo costituzionale, a quelle sulla forma di governo.

L’eguaglianza del voto può essere declinata, infine, anche con riferimento ai metodi di redistribuzione dei seggi nei territori, rispetto alla configurazione dei collegi elettorali[20] e al rapporto fra i votanti in ognuno di essi e i seggi in palio nello stesso. Pur consci della difficoltà di garantire che tale rapporto venga sempre rispettato – soprattutto in presenza di sistemi elettorali proporzionali che prevedono diversi livelli di assegnazione dei seggi – la Corte costituzionale ha ritenuto che il bilanciamento fra rappresentanza politica e territoriale debba essere il più possibile equilibrato (sent. n. 35 del 2017). Inoltre, ha stabilito che il rapporto fra abitanti e seggi in palio debba essere proporzionato in tutto il territorio nazionale, per evitare che il voto dell’elettore assuma un peso diverso in ragione del luogo in cui è chiamato ad esprimersi.

L’articolo 48 definisce, infine, il voto come dovere «civico» – su cui ci si è già soffermati supra – ma non lo configura come un obbligo. Pur essendo esplicitata la sua natura di dovere in numerose disposizioni di legge, il non voto non incontra oggi alcuna sanzione, se non quella gravante sui pubblici ufficiali e i ministri di culto in caso di induzione all’astensione (art. 98 d.P.R. n. 361 del 1957). Per quanto riguarda il referendum abrogativo previsto dell’articolo 75 della Costituzione, invece, l’opzione di non votare produce effetti giuridici concreti sulla validità dell’elezione stessa[21], ma anche in quel caso non è prevista alcun dispositivo per declinare una eventuale, diversa, interpretazione di tale dovere.

 

  1. Sistemi elettorali e circuiti rappresentativi.

Le modalità di elezione dei membri del Parlamento sono disciplinate da due testi unici, il d.P.R. n. 361 del 1957 per la Camera dei deputati e il d.lgs. n. 533 del 1995 per il Senato della Repubblica, così come modificati dalla l. n. 165 del 2017. Il nostro sistema istituzionale vede, difatti, la compresenza di due distinti circuiti rappresentativi, uno che si svolge a partire dal voto e culmina nella strutturazione della rappresentanza presso la Camera, l’altro che conduce al rinnovo del Senato, in un contesto, peraltro, solo di recente parificazione degli elettorati[22].

Entrambe le camere instaurano con il governo un rapporto di fiducia, per cui le regole per la formazione della rappresentanza, potenzialmente diverse[23], influenzano con forza il funzionamento delle istituzioni. Le modalità di composizione degli organi rappresentativi sono state caratterizzate, di conseguenza, da un’evoluzione tormentata e da numerosi interventi di riforma[24].

Oggi, le legislazioni vigenti presentano delle similitudini molto forti[25], poiché configurano ambedue dei sistemi misti, in cui convivono due distinti canali di selezione dei parlamentari, uno maggioritario uninominale, l’altro proporzionale. Fatti salvi i seggi da assegnare nella circoscrizione estero – con metodo proporzionale e la possibilità di esprimere preferenze, ai sensi della l. n. 459 del 2001 – e il collegio uninominale della Valle d’Aosta, i restanti sono attribuiti per tre ottavi in collegi maggioritari, per la restante parte con metodo proporzionale[26].

Il territorio nazionale è stato, infatti, ritagliato in 146 collegi uninominali per la Camera e 67 per il Senato[27] ove viene eletto, in ognuno di essi, un singolo rappresentante. I restanti 245 deputati e 122 senatori sono individuati con scrutinio proporzionale di lista in circoscrizioni e collegi plurinominali[28].

Il modello prevede che vengano prima di tutto attribuiti i seggi ai candidati che abbiano vinto il collegio uninominale – con il metodo plurality o della maggioranza relativa, secondo cui il candidato che ottiene il maggior numero di voti vince il seggio – e poi venga effettuato il riparto proporzionale con il metodo del quoziente intero e dei più alti resti. Per la Camera, si procede a livello nazionale e i seggi vengono successivamente assegnati prima nelle 27 circoscrizioni elettorali e, poi, nei 49 collegi plurinominali istituiti all’interno di esse. Si tratta di un meccanismo di redistribuzione doppio – dal livello nazionale al circoscrizionale; dal circoscrizionale al collegio plurinominale – che tenta di bilanciare, non senza qualche problematica nella redistribuzione effettiva[29], la rappresentatività politica del sistema con quella territoriale.

Per il Senato il sistema è analogo, anche se, per garantire il rispetto del requisito della «base regionale» disposto dall’articolo 57 della Costituzione[30], è previsto che solamente il calcolo delle soglie di sbarramento sia effettuato a livello nazionale, mentre la distribuzione proporzionale avvenga regione per regione[31] e, in un secondo momento, l’assegnazione venga effettuata nei collegi plurinominali istituiti all’interno di ognuna di esse.

Sia alla Camera, sia al Senato, sono ammesse al riparto le liste e coalizioni che abbiano ottenuto, rispettivamente, una cifra elettorale nazionale almeno pari al tre per cento ovvero al dieci. Nel rispetto dell’equilibrio di genere, i candidati per la competizione proporzionale debbono essere presentati in ordine alternato, mentre sussiste un ulteriore vincolo sia per i candidati nei collegi uninominali sia per i capilista nei collegi plurinominali, in ragione della loro maggiore rilevanza ai fini dell’attribuzione effettiva dei seggi: non superare il sessanta per cento sul totale, conteggiato a livello nazionale per la Camera, regionale per il Senato.

L’elettore ha a disposizione un solo voto, da esprimere in favore di una lista corta di candidati – al massimo quattro – i cui nomi vengono riportati sulla scheda accanto al contrassegno, in modo da risultare direttamente conoscibili, ovvero per il candidato nel collegio uninominale. In tale ultimo caso, il voto viene attribuito in parte anche alle liste che compongono la coalizione che lo sostiene, in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna di esse nel collegio.

 

Note

[1] In merito v. Chiara G., Titolarità del voto e fondamenti costituzionali di libertà ed eguaglianza, Giuffrè, Milano, 2004.

[2] V. in questo senso, per primo, Lanchester F., Voto: diritto di (dir. Pubbl.), in Enc Dir, XLVI, Milano, 1993, pp. 1107ss.

[3] Si rinvia in questa sede, volendo, a Rubechi M., Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive, Torino, Giappichelli, 2016, nella parte specificamente dedicata alla configurazione del diritto di voto nello spazio giuridico europeo (in particolare pp. 145ss).

[4] V. ex multis, sent. n. 1146 del 1988 della Corte costituzionale.

[5] Si fa qui riferimento all’articolo 45 del progetto, che divenne in seguito l’articolo 48.

[6] Cfr. Bettinelli E., All’origine della democrazia dei partiti, Milano, Edizioni di comunità, 1982, pp. 263ss.

[7] Su cui si rinvia a Grosso E., Articolo 48, in Bifulco R., Celotto A., Olivetti M. (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, Utet, 2006, I., pp. 963ss.

[8] Il Partito comunista italiano, in particolare, riteneva che il suo elettorato avesse una maggiore propensione alla mobilitazione, mentre la Democrazia cristiana temeva l’inverso e dunque propendeva per il voto obbligatorio, come mostra la proposta Mortati di introdurre sanzioni pecuniarie in caso di astensione, poi abbandonata. Per una ricostruzione delle vicende v. Cordini G., Il voto obbligatorio, Roma, Bulzoni, 1988, in particolare pp. 79ss.

[9] Inizialmente fissata a ventuno anni, dall’entrata in vigore della l. 51 del 1975 la maggiore età si consegue, come noto, al raggiungimento del diciottesimo anno.

[10] V., proprio sul tema della capacità elettorale, Bailo F., Capacità elettorale e Costituzione, Jovene, Napoli, 2015 nonché, più in generale su garanzie e caratteristiche, Armanno M., Personale uguale libero e segreto. Il diritto di voto nell’ordinamento costituzionale italiano, Editoriale scientifica, Napoli, 2018.

[11] In seguito alla revisione del 2000, il numero di seggi riservati alla circoscrizione estero era pari a 12 per la Camera dei deputati e a 6 per il Senato della Repubblica. Con la revisione del numero dei parlamentari operata dalla l. cost. n. 1 del 2020 (rispettivamente da 630 a 400 e da 315 a 200), il numero degli eletti all’estero è stato corrispettivamente ridotto.

[12] In tema si vedano, diffusamente, Frosini T. E., Le votazioni, Bari-Roma, Laterza, 2002 e Lanchester F., Voto: diritto di…, Op. Cit. Accanto alle votazioni di natura elettiva e deliberativa, se ne è affacciata una terza, di natura selettiva, in seguito all’impiego – ad oggi ancora circoscritto – delle cd. elezioni primarie per la selezione delle candidature e alla loro disciplina con legge (l.r. n. 25 del 2009 Calabria e l.r. n. 70 del 2004 Toscana). Avendo riconosciuto loro una valenza pubblicistica, ad esse sono state estese le garanzie procedurali previste per le votazioni di natura elettiva.

[13] Ci si riferisce in questa sede sia ai referendum previsti per il livello nazionale, segnatamente agli articoli 75 e 138 della Costituzione, sia a quelli che riguardano i livelli regionale (art. 123) e locale, soprattutto con riferimento ai procedimenti di modifica di confini e territori (in particolare agli artt. 132 e 133).

[14] V. amplius, anche in chiave comparata, Trucco L., Democrazie elettorali e stato costituzionale, Torino, Giappichelli, 2011.

[15] Fusaro C., Il voto all’estero: quando i costituzionalisti… non ci stanno, in Quaderni costituzionali, n 2/2002, pp. 3351ss.

[16] V., sul punto, Califano L., L’assenso «coerente» della Consulta alla preferenza di genere, in «Quad. cost.», n. 2, 2010, pp. 404 ss. oltre che, più in generale, Fiorillo V., Articolo 51 della Costituzione, in F. Caringella, C. Silvestro, F. Vallacqua (a cura di), Codice del pubblico impiego, Dike giuridica, Roma, 2011, pp. 56 ss.

[17] Su cui v. Califano L., Autodeterminazione vs. eterodeterminazione dell’elettore: voto, privacy e social network, in Federalismi.it, n. 16/2019

[18] Sul diritto di voto nel contesto della partecipazione politica, anche in chiave comparata, v. Marchese C., Il diritto di voto e la partecipazione politica, Napoli, Editoriale Scientifica, 2019.

[19] A partire dalla nota tesi sostenuta da Lavagna C., Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Riv. Trim. Dir. Pub., 1952, 849ss.

[20] In merito v. Casanova D., Eguaglianza del voto e sistemi elettorali, Napoli, Editoriale scientifica, 2020.

[21] Per una storia politico istituzionale si rinvia a Barbera A., Morrone A., La Repubblica dei Referendum, Bologna, il Mulino, 2003.

[22] Sino alla riforma della Costituzione operata con la l. cost. n. 1 del 2021, l’elettorato attivo per la Camera dei deputati era pari a diciotto anni, per il Senato di venticinque, mentre oggi per ambedue è prevista la maggiore età. L’elettorato passivo resta, invece, differenziato: venticinque anni per i deputati, quaranta per i Senatori.

[23] Non è questa la sede per ricostruire la storia della legislazione elettorale italiana – si veda, per un’evoluzione sino alla XVII Legislatura Clementi F., Vent’anni di legislazione elettorale (1993-2013). Tra il già e il non ancora, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., n. 2/2015, pp. 557ss. – ma in questa sede si ricorda come tutti i sistemi elettorali siano stati caratterizzati da divergenze anche profonde nell’assegnazione dei seggi nei due rami del Parlamento. Per un’ampia e accurata disamina dei sistemi elettorali a tutti i livelli di governo v. Tarli Barbieri G., La legislazione elettorale nell’ordinamento italiano, Milano, Giuffré, 2018.

[24] Per una panoramica complessiva dell’ultimo trentennio cfr. le ll. nn. 276 e 277 del 1993 (cd. legge Matterella), il d.lgs. n. 533 del 1995, la l. n. 270 del 2005 e la l. n. 52 del 2015, che si occupava solo del sistema di elezione dei membri della Camera dei deputati.

[25] Ciò non toglie che gli effetti del voto possano comunque risultare differenti, soprattutto in ragione della ridotta dimensione del nuovo Senato, che potrebbe determinare la formazione di maggioranze meno salde rispetto alla Camera. Si tratta di un effetto che può in ogni caso solo essere attenuato tramite l’opzione per sistemi elettorali omogenei, a causa della presenza di due circuiti elettivi comunque distinti e autonomi in cui anche l’offerta politica può in astratto differenziarsi, così come le scelte degli elettori.

[26] La l. n. 51 del 2019 ha adeguato il sistema elettorale ad una eventuale riduzione del numero dei parlamentari – poi effettivamente intervenuta – sostituendo un numero fisso di collegi uninominale con un rapporto numerico, adattabile al numero dei componenti da eleggere. Sia consentito il rinvio, a commento, a Rubechi M., Un sistema elettorale che si adatta sui numeri dei seggi, in Il Sole 24 ore, Guida al Diritto, 34, 10 agosto 2019.

[27] Per la Camera dei Deputati, il sistema elettorale è identico in tutto il territorio tranne per la Valle d’Aosta.  Per il Senato vige un sistema elettorale speciale anche per il Trentino-Alto Adige, ove i sei senatori complessivamente assegnati vengono eletti nei collegi uninominali istituiti dalla legge n. 422 del 1991 (tre per ogni provincia autonoma), per garantire il rispetto della cd. misura 111 relativa alla tutela delle minoranze linguistiche, in attuazione dell’accordo internazionale De Gasperi-Gruber approvato il 5 settembre 1946 tra Italia ed Austria. Tali sei collegi uninominali, in ragione della loro specialità, si aggiungono agli altri sessantasette individuati nel territorio nazionale.

[28] Cfr. d.lgs. n. 177 del 2020.

[29] Si tratta dell’effetto cui comunemente si fa riferimento con il nome di flipper, che in genere affligge i partiti di dimensioni minori, che non riescono ad ottenere tutti i seggi che gli spettano secondo il riparto nazionale con l’attribuzione provvisoria (con i quozienti interi ovvero con i più alti resti) ai livelli più bassi. Il meccanismo prevede un bilanciamento fra la necessità di restituire ai collegi un numero di seggi non troppo distante da quelli che gli spetterebbero sulla base della popolazione (cd. rappresentatività territoriale) e, al contempo, di far sì che i partiti ottengano rappresentanza ove abbiano un numero più ampio di voti (cd. rappresentatività politica), che avviene tramite la sottrazione alla lista eccedentaria (in genere, il riparto assegna in prima battuta dei seggi in eccesso alle liste più grandi) del seggio ove lo abbia ottenuto con la parte decimale minore e l’attribuzione alla deficitaria (tendenzialmente una delle liste più piccole) dello stesso laddove abbia la parte decimale non utilizzata maggiore. La legge elettorale ha effettuato una fra le molteplici scelte tecnicamente individuabili: pur consci degli effetti distorsivi di tale soluzione – tra cui il fatto che il seggio per una lista piccola potrebbe scattare in una circoscrizione dove ha preso meno voti rispetto ad un’altra, perché gli spetta dove la corrispettiva lista grande deve cederlo – un equilibrio perfetto fra le due esigenze è matematicamente impossibile da realizzare quando si impiegano sistemi elettorali che prevedano l’attribuzione di seggi a livelli superiori e il successivo riversamento in collegi più piccoli.

[30] In merito alla portata della base regionale si v., volendo, Fusaro C., Rubechi M., Commento all’art. 57, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, Torino, Utet, 2006, II, pp. 1143ss.

[31] Al Senato, le circoscrizioni corrispondono alle regioni, al cui interno sono stati istituiti 26 collegi plurinominali.

 

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Massimo Rubechi è Professore associato di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

Si occupa principalmente di diritto di voto e sistemi elettorali, fonti del diritto, regionalismo e forme di governo. Ha ricoperto incarichi istituzionali nei gabinetti delle Autorità politiche con delega alle Riforme istituzionali e i Rapporti con il Parlamento, alla Presidenza del Consiglio dei ministri e alle Pari opportunità e la famiglia. Tra le pubblicazioni si segnalano, in particolare, Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive, Torino, 2016; Guida ragionata alla Costituzione italiana, Rimini, 2019 (con L. Califano); Due nuove “rondini”… fanno primavera? Considerazioni su recenti tendenze del regionalismo italiano, in Federalismi.it, n. 10/2021 e I d.P.C.m della pandemia: considerazioni attorno ad un atto da regolare, ivi, n. 27/2021.