Commento all’articolo 12 della Costituzione
di Federico Savastano, Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico presso Sapienza Università di Roma
Art. 12 – La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
Abstract (It): L’art. 12 della Costituzione individua il tricolore come bandiera della Repubblica e chiude l’elenco dei principi fondamentali enunciati dalla nostra Carta. Se, leggendo la disposizione, sembra di trovarsi di fronte ad una mera descrizione tecnica della composizione di una bandiera, l’art. 12 Cost. presenta interessanti profili che riguardano da una parte la sua collocazione tra i principi fondamentali, dall’altra l’analisi della sua funzione identitaria, da svolgersi tenendo necessariamente conto di un contesto storico del tutto peculiare.
Parole chiave: bandiera, identità nazionale, simboli della Repubblica
Abstract (Eng): Article 12 of the Italian Constitution identifies the tricolour as the flag of the Republic and closes the list of fundamental principles enunciated by our Charter. If, by reading the provision, it seems to be a mere technical description of the composition of a flag, Article 12 of the Constitution presents interesting profiles that concern, on the one hand, its placement among the fundamental principles, and on the other, the analysis of its identity function, which must necessarily be carried out taking into account a very peculiar historical context.
Keywords: flag, national identity, Symbols of the Republic
L’art. 12 della Costituzione individua il tricolore come bandiera della Repubblica e chiude l’elenco dei principi fondamentali enunciati dalla nostra Carta.
Gli aspetti più interessanti della riflessione su questa disposizione riguardano proprio la sua collocazione tra i principi fondamentali, nonché la funzione di integrazione di tale norma che ha inteso costituzionalizzare uno dei simboli della Repubblica.
Una riflessione da compiersi prendendo necessariamente le mosse dalle origini del tricolore, per poi valutare le tappe che ne hanno sancito l’adozione come bandiera dello Stato prima e della Repubblica poi.
La prima testimonianza dell’utilizzo dei tre colori della bandiera come simbolo identificativo degli italiani risale al 21 agosto 1789, quando appare sui vestiti di alcuni manifestanti genovesi che si rifacevano agli ideali della rivoluzione francese[i]. Nel 1796 i tre colori sono utilizzati in ambito militare, per identificare il contingente italiano all’interno dell’esercito napoleonico. Il 7 gennaio 1797, a Reggio Emilia, il Parlamento della neonata Repubblica Cispadana adotta un decreto con cui “si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti”[ii].
La bandiera è a tre bande orizzontali, che diventano verticali l’11 maggio 1798, quando il Gran Consiglio della nuova Repubblica Cisalpina[iii] delibera l’adozione di una bandiera “formata di tre bande parallele all’asta, verde, la successiva bianca, la terza rossa”[iv].
Quando la Repubblica cisalpina diventa Repubblica italiana (1802-1805) e poi Regno d’Italia (1805-1814) la bandiera è formata da “un quadrato a fondo rosso, in cui è inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde”[v]
Con la Restaurazione, la bandiera verde-bianco-rossa viene bandita, e inizia progressivamente ad affermarsi come simbolo di lotta nazionale prima timidamente con i moti del 1821, poi con maggior forza durante i moti del 1831, per poi consacrarsi con la prima guerra d’indipendenza del 1848-49. In questo periodo diverse forze indipendentiste, soprattutto in Lombardia e in Veneto, adottano il tricolore come simbolo antiasburgico, ma la svolta definitiva si ha con la scelta di Carlo Alberto di dotare le sue truppe di bandiere tricolori in cui far campeggiare lo stemma dei Savoia, “per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana”[vi].
Dopo il fallimento della prima guerra d’indipendenza, il verde-bianco-rosso torna ad essere vietato, continuando così a caricarsi di significati e sentimenti che esploderanno dapprima con la guerra di Crimea e poi con la seconda guerra di indipendenza. Con l’Unità d’Italia, la bandiera del Regno diviene definitivamente il tricolore con lo stemma sabaudo, che perdurerà fino all’adozione della Costituzione repubblicana e, dunque, dell’art. 12 qui in commento.
C’è un assunto fondamentale da tenere in considerazione per la complessiva valutazione delle speculazioni intorno a questo articolo, ed è quello che Massimo Luciani definisce il “sostanziale disinteresse della scienza giuridica italiana per l’art. 12 della Costituzione”[vii]. Il dibattito sul tema, infatti, non è particolarmente ampio – limitandosi ai pur eccellenti contributi rinvenibili nei Commentari – sebbene si tratti di un principio fondamentale.
Le ragioni di tale scarso approfondimento sono da rinvenire in diversi fattori, più volte evidenziati in dottrina, e tra loro fortemente interconnessi.
In primo luogo, la brevità della disposizione. Ad una prima lettura, infatti, essa si limita ad identificare la bandiera repubblicana indicandone colori e proporzioni, senza nulla aggiungere e senza molto lasciare, di conseguenza, all’interpretazione.
In secondo luogo, il non particolarmente ampio dibattito che l’Assemblea costituente ha riservato ai simboli in generale.[viii]
In terzo luogo – probabilmente il fattore più rilevante – c’è da considerare il sentimento di imbarazzo con cui non solo nel dopoguerra, ma anche nei decenni successivi, ci si avvicinava a temi inerenti il sentimento nazionale e i concetti di Patria e identità. Si tratta infatti di valori che erano stati fatti propri dal regime fascista e sui quali la dittatura aveva basato gran parte del proprio messaggio ideologico. Un imbarazzo che si è superato solamente alla fine dello scorso secolo, grazie all’opera di sensibilizzazione del Presidente Ciampi che con il suo settennato ha riportato il concetto di Patria all’attenzione dell’opinione pubblica anche e soprattutto attraverso la valorizzazione dei suoi simboli, conducendo una vera e propria operazione culturale e politica[ix], volta a spogliare questa idea dal suo legame con l’esperienza fascista e con la strumentalizzazione di cui era stata oggetto nel corso del regime[x].
Due considerazioni appaiono opportune a proposito del pregiudizio fascista sulla bandiera. Innanzitutto, ne vanno comprese le ragioni, che esorbitano senz’altro il mero aspetto psicologico: la Costituzione repubblicana ha un carattere chiaramente antifascista. Un antifascismo che, nel momento della sua redazione, era necessario rimarcare in ogni dettaglio, fugando ogni possibile ambiguità interpretativa. La retorica nazionalista del fascismo aveva pervaso ovviamente anche la bandiera, non solo nel modo in cui essa era strumentalizzata, ma anche a valere per la normativa che ne disciplinava l’utilizzo: basti pensare all’introduzione del reato di vilipendio alla bandiera, nell’art. 292 del codice penale, collocato tra i “delitti contro la personalità dello Stato”, che perseguiva non fattispecie circoscritte, bensì qualunque tipo di atto anche solo vagamente oltraggioso verso i colori nazionali, ovunque essi fossero rappresentati – in pubblico o in privato.[xi]
Inoltre, va sottolineato come l’aver deliberatamente trascurato, se non proprio oscurato, l’importanza dei simboli nazionali in ragione di una valutazione negativa del sentimento nazionale e di appartenenza alla Patria, è stata operazione controproducente e dannosa. Si è lasciato infatti che tali aspetti restassero appannaggio dei movimenti post-fascisti e neo-fascisti, che trovavano così terreno fertile nel perpetrare una propaganda in cui si presentavano come unici detentori dell’identità nazionale e si sentivano legittimati a proporre visioni più o meno nostalgiche di alcuni aspetti dell’esperienza fascista: come è stato sottolineato dalla più autorevole dottrina, “avere ritegno a parlare di Patria e nazione perché il fascismo aveva fatto quel tentativo significa assicurarne il successo”.[xii]
Per quanto concerne la brevità del dibattito in Assemblea costituente, va compreso se essa sia da ricondurre ad un disinteresse da parte dei costituenti nei confronti dei simboli della Repubblica, ovvero ad una scelta ponderata, dovuta alla consapevolezza di quanto delicato fosse il tema in un sistema che stava transitando contemporaneamente dalla Monarchia alla Repubblica, dal regime fascista alla democrazia, dalla guerra alla pace: non mancano infatti in dottrina orientamenti opposti tra chi valuta come “deludente” la lettura dei lavori assembleari e chi ne ha riconsiderato i contenuti e l’atteggiamento.[xiii]
La prima proposta di disposizione sulla bandiera è nel progetto Cevolotto ed è presentata il 3 dicembre 1946 nella prima sottocommissione della Commissione dei 75. Si tratta di una proposta di art. 5 che recitava: “la bandiera della Repubblica italiana è verde, bianca e rossa”. Il testo sarà approvato aggiungendovi “a tre bande verticali di uguali dimensioni”, a seguito dell’intervento di Palmiro Togliatti, che temeva la confusione – ad esempio – con la bandiera ungherese in uso già dal 1848.
Il testo completo approvato dalla Commissione dei 75 è dunque il seguente: “La bandiera della Repubblica italiana è verde, bianca e rossa, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
Il Comitato di redazione, prima di sottoporre la disposizione all’Assemblea, ne trasforma la prima parte in “La bandiera d’Italia è il tricolore: verde, bianco e rosso”.
Durante i lavori assembleari, l’On. Clerici critica la formulazione troppo asettica (“perché mi pare che l’articolo proposto dalla Commissione sappia un po’ di modello di sartoria”) e propone di aggiungere l’aggettivo italiano per identificare il tricolore. L’accoglimento di questo emendamento consente di giungere al testo definitivo, per cui “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
L’intervento di Edoardo Clerici rivela molto sia sul contesto sia sulla brevità della disposizione. Su quest’ultimo aspetto, il costituente democristiano porta a supporto della modifica proprio l’argomento della brevità: “sono otto parole invece di diciotto”, esplicitando come sarebbe stato un bel risultato riuscire a contenere la lunghezza delle disposizioni. Un risultato da usare come paradigma per tutti gli altri articoli della Carta. Dalle parole di Clerici, dunque, si evince una preoccupazione diffusa per l’eccessiva lunghezza delle disposizioni e un’attenzione nei confronti della loro incisività: più brevi, più chiare anche per il popolo, “che dovrà apprendere la nostra Costituzione”. E fare chiarezza sulla bandiera, come detto, era esigenza non secondaria per la nascente Repubblica.
Ancora Clerici muove una critica non troppo velata al lavoro svolto dalla Commissione dei 75 che, nella sua proposta di apertura, si era limitata a copiare il corrispettivo testo della Costituzione francese del 1946, sostituendo il verde al blu[xiv], senza aver “fatto un grande sforzo cerebrale”.
La precisazione di Clerici è accolta con favore dall’Assemblea, ma il dibattito consente di carpire come il primo testo sartoriale non fosse stato certo frutto di disinteresse, bensì di una scelta consapevole. Lo precisa l’intervento di Meuccio Ruini, che della Commissione dei 75 era stato componente, e che rivendica l’intenzione di richiamarsi “al vessillo che è propriamente nostro, al di sopra delle forme di governo” in modo chiaro e inequivocabile, non certo “per gusto di sarto o per pigrizia”.
Lo spiega con maggiore determinazione la reazione di Girolamo Bellavista agli altri due emendamenti proposti in sede assembleare, riguardanti il simbolo da inserire eventualmente nella banda bianca del tricolore.
Si tratta di proposte che destano preoccupazione e addirittura ilarità in aula: la prima, quella di Condorelli, consiste nell’inserimento dello stemma sabaudo al centro della bandiera[xv]; la seconda, di Vincenzo Selvaggi, prevede invece l’inserimento della lupa romana.
Il primo emendamento è ritirato dal proponente, in ragione dei rumori dell’aula che rendono subito evidente il suo destino in caso di un eventuale voto. Il secondo non viene approvato, trattandosi forse, come ci dice lo stesso Selvaggi, di una proposta “che ha fatto sorridere molti”.
La dichiarazione di Bellavista in risposta a questi emendamenti chiarisce una volta per tutte la ratio della scelta operata dai costituenti: “Io penso che la questione di sartoria, cui alludeva l’onorevole Clerici, sia ben posta, ad evitare future, postume manipolazioni di quelli che costituiscono gli «essentialia» del tricolore italiano: il verde, il bianco ed il rosso. Niente sovrapposizioni distintive, dunque”. A ciò aggiunge, come chiosa ulteriormente chiarificatrice: “Do al mio voto appunto questo valore limitativo”.
La disposizione sulla bandiera avrebbe dunque dovuto essere semplice, chiara e, soprattutto, inequivocabile[xvi]. La brevità dell’art. 12 Cost. è pertanto da spiegarsi con il perseguimento di questi tre obiettivi, e non in ragione di un poco onorevole disinteresse da parte dell’Assemblea che, peraltro, al momento dell’approvazione si leva in piedi insieme al pubblico delle tribune, in “vivissimi, generali, prolungati applausi”.
Resta da interrogarsi circa la collocazione della bandiera nella Carta: si tratta davvero di un principio fondamentale?
Se si parte dall’assunto che i principi fondamentali sono quelli da cui è desumibile l’identità dell’ordinamento costituzionale[xvii], allora essa vi rientra a pieno titolo.
L’art. 12 Cost. è infatti la tipica espressione di quelle che nella dottrina smendiana sono definite norme di integrazione. In particolare, norme di integrazione materiale, ossia riferite a valori tesi a costituire, rinsaldare e rafforzare una comunità.[xviii] Lo Stato si legittima pertanto attraverso i suoi principi fondamentali e anche attraverso questi simboli[xix], che sono per Smend “rappresentazione particolarmente efficace ed elastica di un contenuto di valore”[xx]: il punto di incontro ideale tra l’individuo e la comunità.
Non solo la bandiera[xxi]: anche simboli politici, stemmi, cerimonie, feste, inni e capi di stato; la lingua e la città capitale[xxii]; il motto[xxiii].
Limitandosi agli altri simboli codificati nel nostro ordinamento – non inseriti però in Costituzione – appare opportuno far riferimento all’emblema, allo stendardo del Presidente della Repubblica e, soprattutto, all’inno nazionale.
L’emblema è stato adottato il 5 maggio del 1948 dall’Assemblea costituente a seguito di una doppia selezione pubblica cui parteciparono 637 disegni. È formato da una stella (l’Italia), una ruota dentata (il lavoro), due rami d’ulivo (la pace) e una quercia (la forza e la dignità del popolo italiano.
Lo stendardo del Presidente della Repubblica viene introdotto per la prima volta nel 1965 ed è l’unico tra i simboli ad aver subito diverse modifiche nel corso degli anni. La versione attuale, adottata con d.P.R. 9 ottobre 2000, si ispira alla bandiera della Repubblica Italiana del 1802-1805 e consiste in un quadrato verde inserito in rombo bianco su fondo rosso.
Per quanto riguarda l’inno, il Canto degli Italiani è stato riconosciuto ufficialmente come inno nazionale solo con legge 4 dicembre 2017, n. 181. I diversi precedenti tentativi di inserire l’inno in Costituzione, integrando l’art. 12 con una disposizione che vi facesse riferimento[xxiv], non erano andati a buon fine. Anche l’Assemblea costituente aveva valutato l’ipotesi, non dandovi poi seguito[xxv]. Al momento dell’entrata in vigore della legge 181 del 2017, comunque, non v’era certo dubbio su quale fosse l’inno da adottare. Si è trattato solamente di una formalizzazione, tanto che la disposizione recita: “La Repubblica riconosce il Canto degli italiani […] quale proprio inno nazionale”. Lo riconosce, dunque, in quanto già esistente, non ne dispone l’adozione.
Merita infine un cenno la festa nazionale della Repubblica, che si celebra il 2 giugno in evocazione del referendum istituzionale del 1946. La legge 5 marzo 1977, n. 54 aveva spostato la celebrazione alla prima domenica di giugno, e così è stato fino all’entrata in vigore della legge 20 novembre 2000, n. 336, che ha reintrodotto la festività del 2 giugno.
Tra i diversi simboli, la bandiera assume dunque un significato peculiare, trattandosi di un elemento di uso comune tanto per lo Stato quanto per i cittadini, che possono identificarvisi anche in situazioni con non prevedono il coinvolgimento delle istituzioni. Lo stesso, in parte, vale per l’inno nazionale, sebbene quest’ultimo sia spesso legato a momenti specifici. La bandiera no: sventola sui palazzi pubblici ogni giorno dell’anno e può essere esposta da privati cittadini sul balcone di casa; è costituita da colori che possono essere evocati anche al di fuori di contesti pubblici, anche solo per ragioni identificative.
La stessa formulazione dell’art. 12 Cost. suggerisce il carattere fortemente identitario della bandiera: non corrisponde solamente ad un semplice drappo verde, bianco e rosso, bensì al tricolore italiano. Discostarsi da esso significherebbe pertanto discostarsi da un elemento denso di significati storici e politici che, col tempo, hanno assunto valore costituzionale.
La conseguenza giuridica è che l’art. 12 Cost. è coperto dalle tutele previste dal nostro ordinamento per i principi fondamentali e, dunque, non è modificabile nel suo contenuto essenziale, neppure da una legge costituzionale[xxvi].
Solido il percorso logico individuato dalla dottrina a conferma di questa tesi: l’art. 12 Cost. si riferisce a valori condivisi, dunque identitari, e pertanto intangibili. Ma la disposizione sarebbe intangibile anche laddove la si volesse interpretare come a carattere meramente organizzativo: la Costituzione infatti prevede espressamente l’intangibilità di una norma organizzativa (art. 139 Cost.) ed è altresì opinione diffusa come siano inviolabili non solo le scelte fondamentali della Costituzione, ma anche le strutture organizzative strumentalmente necessarie ad esse collegate[xxvii].
L’altra conseguenza riguarda ovviamente la prescrittività della norma: non solo il tricolore italiano non può essere sostituito da altra bandiera, ma non può neanche essere affiancato da altre bandiere diverse che pretendano di assumerne gli stessi connotati, come può evincersi da alcune vicende riguardanti il nostro regionalismo, sorte per effetto dell’entrata in vigore della legge attuativa dell’art. 12 Cost.
Va ravvisato peraltro come il primo intervento legislativo sull’uso della bandiera in epoca repubblicana si sia avuto solamente alla fine dello scorso secolo con l’approvazione della legge n. 22 del 1998. Sono trascorsi dunque 50 anni dall’entrata in vigore della Costituzione per dare attuazione all’art. 12[xxviii]. La precedente disciplina risaliva al r.d.l. 24 settembre 1923, n. 2072, trasformato in legge 24 dicembre 1925, n. 2264, recante “Norme per l’uso della bandiera nazionale”. La disciplina generale ivi contenuta era integrata dalla legge 24 giugno 1929, n. 1085, che si occupava dell’esposizione delle bandiere estere, nonché dagli artt. 292 e 299 del codice penale, concernenti il vilipendio alla bandiera e l’offesa alle bandiere degli Stati esteri.
Una prima regolamentazione, a livello di normativa secondaria, si era avuta con il d.P.C.M. 3 giugno 1986, recante disposizioni per l’uso della bandiera da parte delle amministrazioni statali.
La legge n. 22 del 1998 chiarisce il suo intento di occuparsi tanto della bandiera italiana quanto di quella europea, in considerazione dell’appartenenza dell’Italia all’UE, e prosegue indicando gli edifici all’esterno dei quali vanno esposte entrambe le bandiere: organi costituzionali e di rilievo costituzionale; Ministeri; Consigli regionali, provinciali e comunali; uffici giudiziari; scuole e università statali; seggi elettorali durante le elezioni; rappresentanze diplomatiche all’estero. Essa individua altresì la possibilità per le Regioni di emanare norme attuative ai sensi dell’art. 117, c. 2, Cost. a valere per l’esposizione della bandiera nelle sedi dei Consigli regionali, provinciali e comunali.
L’art. 1, c. 2, autorizza il Governo ad emanare un regolamento di delegificazione ex art. 17, c. 2, l. 400 del 1988, intervenuto poi effettivamente con il d.P.R. 7 aprile 2000, n. 121, recante la disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici. Il d.P.R. regola in particolare l’esposizione della bandiera all’esterno e all’interno degli edifici pubblici (Capi I e III), l’utilizzo durante le cerimonie (Capo II), alcune questioni peculiari, come l’autonomia della disciplina di utilizzo in ambito militare (Capo IV, § 11) e quella normativa e regolamentare delle Regioni e degli Enti locali (Capo IV, § 12).
L’entrata in vigore del d.P.R. ha comportato, come previsto dell’art. 4 della legge 92/1998, l’abrogazione del r.d.l. n. 2072 del 1923 e della l. 1085 del 1929, nonché la cessazione dell’applicazione del citato d.P.C.M. del 1986.
L’art. 31 del d.P.C.M. 14 aprile 2006 ha infine aggiornato i colori definendoli in verde felce, bianco brillante e rosso scarlatto.[xxix]
Le novelle legislative citate sono intervenute altresì nella disciplina delle bandiere diverse da quella nazionale, nell’ambito della quale assumono rilievo le questioni legate all’utilizzo della bandiera europea e alle bandiere regionali.
Per quel che riguarda la bandiera europea, essa è stata adottata con un iter iniziato con la risoluzione del Parlamento europeo dell’11 aprile del 1983[xxx], conclusosi con l’approvazione della Commissione europea del 30 aprile 1986[xxxi] e la cerimonia ufficiale di issabandiera, il 29 maggio dello stesso anno presso la sede della Commissione a Bruxelles.[xxxii]
Le istituzioni europee non hanno poi proceduto all’approvazione di disposizioni di applicazione generale, per le quali si rimanda alle norme interne degli Stati membri, comunque invitati al riconoscimento e all’utilizzo della bandiera europea a fianco del vessillo nazionale.[xxxiii]
Secondo la legge n. 22 del 1998, la bandiera europea deve essere esposta a fianco della bandiera italiana in tutti i casi in cui vi sia l’obbligo di esposizione di quest’ultima. Il posto d’onore spetta sempre alla bandiera italiana, mentre quella europea ha sempre la seconda posizione.
La normativa in parola, oltre a prendere atto dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, fa riferimento anche alla presenza di autonomie territoriali interne.[xxxiv] Le Regioni e gli Enti locali possono infatti disciplinare l’esposizione delle bandiere nelle rispettive sedi di competenza. Il testo riguarda sia le bandiere italiana ed europea sia gonfaloni, stemmi e vessilli non ulteriormente precisati, ma che possono interpretarsi come il riferimento a vere e proprie bandiere regionali.
La Corte costituzionale, del resto, aveva da tempo legittimato il ricorso a bandiere proprie da parte delle Regioni, argomentando che, ai sensi dell’art. 5 Cost., “non può non ritenersi contenuto minimale dell’autonomia della Regione il potere di scegliere i segni più idonei a distinguere l’identità stessa della collettività che essa rappresenta”[xxxv].
Tutte le Regioni e le Province autonome hanno progressivamente adottato una propria bandiera[xxxvi], ma appare comunque controversa l’ipotesi per cui possano esercitare la propria competenza sulla disciplina dell’utilizzo della bandiera e, in generale, dei simboli nazionali[xxxvii]: esse possono senz’altro scegliere un proprio vessillo ed elevarlo a bandiera; possono disciplinarne l’esposizione negli edifici di propria competenza; non possono invece “imporre l’uso di tali segni ad organi ed enti che, se pure operanti nel territorio regionale, sono espressivi di una collettività distinta e più vasta (quella dell’intera nazione)”[xxxviii]. Di un tale tentativo è stata protagonista la Regione Veneto, che con la l.r. n. 28 del 2017 aveva previsto l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici adibiti a sede di amministrazioni statali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi: la Corte costituzionale ha annullato la disposizione per violazione dell’art. 5 Cost. che, in questo caso, va “traguardato alla luce dell’art. 12”.[xxxix]
Per quanto attiene infine alla tutela penale della bandiera, l’art. 292 c.p.[xl] configura il reato di vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato, e prevede che chiunque vilipenda la bandiera con espressioni ingiuriose riceverà una multa da 1000 a 5000 euro, aumentata laddove tali espressioni siano state proferite durante una cerimonia pubblica; chi invece dovesse intenzionalmente distruggere, disperdere, deteriorare, rendere inservibile o imbrattare la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato incorrerà in una pena detentiva fino a due anni.
Il codice integra poi queste norme con l’art. 299, che punisce il vilipendio e l’offesa a bandiere di Stati esteri con un’ammenda da 100 a 1000 euro.[xli]
Il reato di vilipendio alla bandiera è stato rimodulato per effetto della legge n. 85 del 2006, che ha dato in qualche modo seguito ad una giurisprudenza costituzionale che aveva invitato più volte il legislatore ad attenuarne i caratteri[xlii].
La stessa Corte, nel tempo, ha chiarito come il vilipendio – che va bilanciato con la libertà di espressione – non debba estendersi a qualsiasi espressione di critica o dissenso che non sia manifestamente offensiva, ma vada anzi circoscritto il più possibile.[xliii]
Da una lettura del quadro normativo vigente, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione, appare condivisibile la tesi per cui, per essere meritevole di sanzione penale, il fatto di vilipendio debba avvenire pubblicamente (luogo pubblico, mezzo stampa, riunione) e che debba essere intenzionale.[xliv]
Per quanto riguarda poi i fatti riconducibili alla fattispecie del vilipendio, la Cassazione ha chiarito come basti anche una semplice raffigurazione (ad esempio un disegno propagandistico che la raffigura in modo ridicolo o offensivo[xlv]) per integrare l’illecito penale; rientra senz’altro in questa fattispecie anche il bruciare la bandiera[xlvi].
Il vilipendio si limita però alla bandiera in quanto tale: non sussiste se le offese riguardano genericamente i colori nazionali ovvero i colori nazionali raffigurati in oggetti diversi dalle bandiere: “è necessario che la condotta si concretizzi in un atto di denigrazione di una bandiera nazionale e non anche di un’altra cosa che ne riporta i colori”[xlvii].
La tutela penale non si estende ai vessilli regionali né alla bandiera europea. Per quanto riguarda quest’ultima, la mancata tutela non è da interpretarsi come indice di scarsa considerazione per la vita del nostro ordinamento[xlviii]: la bandiera europea non può rientrare nella fattispecie prevista all’art. 292 c.p., dato che non può operarsi un’assimilazione completa a quella italiana, né può essere considerata bandiera di uno Stato estero, e quindi rientrare nella copertura dell’art. 299 c.p.[xlix]
La compatibilità del reato di vilipendio con la tutela di altri diritti costituzionalmente garantiti – pur se dibattuta in dottrina – è stata confermata più volte dalla Corte costituzionale[l]. Ciò che rileva ai fini di questa analisi è che l’esistenza stessa di una forma di tutela penale nei confronti della bandiera è ulteriore riprova dell’importanza che il nostro ordinamento continua a riservare ai simboli dello Stato.
In conclusione, dopo che per decenni “agli eccessi di un nazionalismo spacciato per patriottismo hanno corrisposto quelli di un antipatriottismo spacciato per cosmopolitismo”[li], oggi la riflessione sull’art. 12 della Costituzione appare strumento utile per rivalutare di uno dei principi fondamentali della Carta e per riaffermare il valore fondante per la comunità dei simboli dello Stato, in ragione della loro insostituibile funzione di integrazione.
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Note
[i] N. FERORELLI, La vera origine del tricolore italiano, in Rassegna storica del Risorgimento, 1925, vol. XII, fasc. III, p. 662.
[ii] I simboli della Repubblica – Il Tricolore, dal sito internet della Presidenza della Repubblica.
[iii] Nata, val la pena ricordare, dalla fusione tra Repubblica Cispadana e Transpadana del 27 giugno 1797.
[iv] U. BELLOCCHI, Il tricolore duecento anni 1797-1997, BPER Artioli ed., Modena, 1996, p. 130.
[v] Decreto della Repubblica italiana del 20 agosto 1802, poi mantenuto dal successivo Regno d’Italia.
[vi] O. VIOLA, Il tricolore italiano, Battiato, Catania, 1905, App. n. 1, p. II.
[vii] Vedi M. LUCIANI, Art. 12, Carocci, Roma, 2018, p.2.
[viii] Si veda, in particolare, F. CORTESE, La disciplina della bandiera come principio fondamentale: appunti di studio sull’art. 12 della Costituzione italiana, in C. CASONATO (a cura di), Lezioni sui principi fondamentali della Costituzione, Giappichelli, Torino, pp. 364-367.
[ix] Lo stesso Presidente Ciampi, quasi a consuntivo del suo mandato, sostiene: “Le radici del mio sentire sono l’amor di Patria, l’orgoglio di essere Italiano. Ho chiara nella mente un’idea dell’Italia, che so condivisa dai miei compatrioti. Negli anni del mio settennato ho esortato gli Italiani a sentire e ad esprimere con forza la propria identità nazionale. E’ un sentimento che proviamo con particolare intensità in una giornata come questa” (Cerimonia di consegna del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi delle Medaglie d’Oro al Merito Civile nella ricorrenza del 61° anniversario della Liberazione, Palazzo del Quirinale, 25 aprile 2006).
[x] Per approfondimenti, ex plur., E. GENTILE, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 65-70.
[xi] T. GROPPI, Art. 12, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, UTET, Torino, 2006, pp. 307-308.
[xii] M. LUCIANI, Art. 12, cit., p. 3.
[xiii] T. GROPPI, cit., p. 308. Contra, M. LUCIANI, cit., p. 27.
[xiv] L’art. 2 della Costituzione francese del 1946 recitava “L’èmbleme nationale est le drapeau tricolore, bleu, blanc, rouge, à trois bandes verticales d’égales dimensions”.
[xv] Per la verità Condorelli aveva argomentato che lo stemma in questione, in realtà, fosse lo stemma del Piemonte, e non di Casa Savoia, che se ne era appropriata per avvalorare le sue pretese sui territori piemontesi.
[xvi] Anche in ragione di questa inequivocabilità e per evitare strumentalizzazioni di sorta (e cambiamenti politicamente orientati) si ritenne opportuno non inserire l’emblema al centro della bandiera. Così R. BIN, Art. 12, in V. CRISAFULLI, L. PALADIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, CEDAM, Padova, 1990, pp. 76-77.
[xvii] Corte cost., ord. n. 24/2017.
[xviii] R. SMEND, Costituzione e diritto costituzionale (1928), trad. it. di F. Fiore e J. Luther, Giuffré, Milano, 1988, pp. 100-102.
[xix] Così F. BELVISI, Verso l’inclusione. La teoria delle istituzioni e l’integrazione sociale mediante il diritto, Clueb, Bologna, 2021, p. 66.
[xx] R. SMEND, cit., p. 103.
[xxi] Interessante, sotto questo profilo, valutare altresì l’emersione di nuovi elementi di integrazione che sorgono nel tempo: si pensi ai codici ISO 3166 (IT, ITA), a quello della targa automobilistica (I), fino ad arrivare al prefisso telefonico internazionale (+39) e al dominio di primo livello sul web (.it).
[xxii] P. HÄBERLE, Nationalflaggen. Bürgerdemokratische Identitätselemente und internationale Erkennungssymbole, Duncker & Humblot, Berlin, 2008, p. 13.
[xxiii] M. LUCIANI, cit., p. 47.
[xxiv] Da ultimo, A.S. 1967, la proposta di legge costituzionale di iniziativa parlamentare presentata l’11 giugno 2013, prevedeva di aggiungere un secondo comma all’art.12: “L’inno di Mameli “Fratelli d’Italia” è riconosciuto quale inno ufficiale della Repubblica”. In realtà è abbastanza controversa la scelta di definire l’opera semplicemente come Inno di Mameli, sia per la genericità sia per l’omissione del riferimento al compositore Michele Novaro. Sul punto anche M. LUCIANI, cit., p. 40.
[xxv] M. LUCIANI, cit., p. 40, riporta l’intervento in Costituente di Francesco Saverio Nitti che si opponeva all’adozione di Fratelli d’Italia in ragione della strofa contenente il riferimento ai “figli d’Italia son tutti balilla”.
[xxvi] Corte cost., sent. n. 1146/1988. Contra A. CASSESE, Art 12, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Zanichelli, Bologna, 1975, p. 589.
[xxvii] M. LUCIANI, cit., pp. 11-12, in particolare il richiamo ivi fatto a V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Cedam, Padova, p. 323.
[xxviii] Art. 1, l. 22/1998.
[xxix] Il regolamento in questione si occupa di disposizioni generali in materia di cerimoniale e della disciplina delle precedenze tra le cariche pubbliche. L’art. 31, intitolato “Definizione cromatica dei colori della bandiera della Repubblica”, stabilisce che “I toni cromatici dei colori della bandiera della Repubblica, indicati dall’art. 12 della Costituzione, sono definiti dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2 giugno 2004, UCE 3.3.1/14545/1, con i seguenti codici Pantone tessile, su tessuto stamina (fiocco) di poliestere: Verde 17-6153; Bianco 11-0601; Rosso 18-1662”.
[xxx] In GUCE, serie C 128/1, del 16 maggio 1983.
[xxxi] COM(86) PV 825. L’articolo I-8 del mai entrato in vigore trattato costituzionale del 2004, intitolato “I simboli dell’Unione”, sanciva che: «La bandiera dell’Unione rappresenta un cerchio di dodici stelle dorate su sfondo blu; l’inno dell’Unione è tratto dall’Inno alla gioia della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven; il motto dell’Unione è: “Unita nella diversità”, in latino “In varietate concordia”; la moneta dell’Unione è l’euro; la festa dell’Europa è celebrata il 9 maggio in tutta l’Unione”. Nel Trattato di Lisbona, che ha recepito gran parte dei contenuti del trattato costituzionale, si è deciso di non procedere all’inserimento dei simboli dell’Unione.
[xxxii] C. CURTI GIALDINO, I simboli dell’Unione europea. Bandiera – Inno – Motto – Moneta – Giornata, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 2005, pp. 61-69.
[xxxiii] Si veda la risoluzione del Parlamento europeo del 14 settembre 1988, in GUCE, serie C 262/50, pp. 68-69.
[xxxiv] R. DICKMANN, Tricolore italiano e bandiere locali nella Costituzione e nella giurisprudenza costituzionale, in Osservatorio AIC, 7 novembre 2018.
[xxxv] Corte cost., sent. n. 365 del 1990.
[xxxvi] Una rassegna completa degli interventi legislativi è rinvenibile in M. LUCIANI, cit., pp. 101-113.
[xxxvii] Secondo M. LUCIANI, cit., p. 101, ciò è da escludersi, o sarebbe possibile solamente in presenza di una legge statale che conferisse alle Regioni la competenza ad intervenire; così T. GROPPI, La Repubblica democratica e i suoi simboli: il tricolore, in S. LABRIOLA (a cura di), Valori e principi del regime repubblicano, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 481, secondo cui l’esigenza di unitarietà nella disciplina si rafforza in ragione dello spiccato decentramento dell’ordinamento.
[xxxviii] Corte cost., sent. n. 183 del 2018.
[xxxix] P.I. D’ANDREA, L’uso delle bandiere regionali e i simboli dell’unità: alcune precisazioni dalla Corte costituzionale (Nota a Corte cost., sent. n. 183 del 2018), in Diritti comparati, 14 dicembre 2018; G. DELLEDONNE, Obblighi di esposizione di bandiere regionali nella Repubblica una e indivisibile: a proposito della sentenza n. 183/2018 della Corte costituzionale, in Osservatorio AIC, n. 3, 2018, pp. 393-404; C.P. GUARINI, Sul ponte sventola bandiera… veneta. Notazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2018 sull’utilizzo di bandiera e simboli ufficiali delle regioni, in dirittifondamentali.it, n. 3, 2018; G. BRAMBILLA, La bandiera italiana: tra unità e differenziazione, in Consulta Online, n. 1, 2019, pp. 203-210.
[xl] Come modificato dall’art. 5 della legge n. 85 del 2006.
[xli] Le disposizioni di cui agli artt. 292 e 299 del c.p. si applicano solo in condizioni di reciprocità con altri Stati (art. 300 c.p.). A tal proposito, una prospettiva comparata della disciplina del vilipendio in altri ordinamenti è reperibile in D. CAMONI, A volte ritornano (questa volta in Spagna). Vilipendio della bandiera e libertà di espressione in prospettiva comparata, in federalismi.it, n. 7, 2022, pp. 64-91.
[xlii] Corte cost., sent. n. 531 del 2000.
[xliii] Corte cost., sent. n. 263 del 2000.
[xliv] Cass. pen., sez. I, sent. n. 22891/2006.
[xlv] E’ il caso dei separatisti sudtirolesi che avevano diffuso vignette in cui spazzavano con la scopa il tricolore italiano. Si veda Cass. pen., sez. V, sent. n. 316/2021.
[xlvi] Cass. pen., Sez. V, sent. n. 51859/2018.
[xlvii] Cass. pen., Sez. V, sent. n. 23690/2011.
[xlviii] “Ammettiamolo: la bandiera europea non emoziona. Si è mai visto qualcuno fremere e sinceramente commuoversi di fronte a quel drappo blu con 12 stelle dorate? Le bandiere degli Stati nazionali,di quei ‘dinosauri’ giuridici le cui origini possono farsi risalire alla pace di Westfalia (1648), invece sì”, sostiene R. FERRARI ZUMBINI, L’Europa fra sovranità indecisa ed ipertrofia. Sciogliere le sovrapposizioni per un’Europa più snella, in federalismi.it, n. p. 2; vedi anche G. ZAGREBELSKY, Simboli al potere. Politica, Fiducia, Speranza, Einaudi, Torino, 2012.
[xlix] C. CURTI GIALDINO, cit., p.76.
[l] Corte cost., sentt. n. 199 del 1972 e 531 del 2000.
[li] M. LUCIANI, cit., p. 130.
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Federico M. Savastano è Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico presso il Dipartimento di scienze politiche della Sapienza – Università di Roma. Redattore Capo di federalismi.it – Rivista di diritto pubblico, comparato ed europeo, con cui collabora dal 2011 e membro dell’associazione Osservatorio sui processi di governo e sul federalismo. Tra i suoi principali interessi di ricerca: diritto costituzionale europeo, diritto regionale e federale, parità di genere. Tra le sue pubblicazione, si segnala la monografia Uscire dall’Unione europea. Brexit e il diritto di recedere dai Trattati, Giappichelli, 2019.