I saluti del presidente Anm Palermo al Congresso

Giuseppe Tango

L’intervento del presidente della Giunta esecutiva sezionale di Palermo Giuseppe Tango in apertura del congresso dell’Associazione nazionale magistrati del capoluogo siciliano.

Giuseppe Tango

Signor Presidente della Repubblica,

La saluto con deferenza e gratitudine per l’attenzione e la sensibilità ai temi della giustizia. La Sua presenza ci onora, ci incoraggia e impreziosisce oltremodo l’evento che ci accingiamo a celebrare.

Desidero altresì porgere i saluti della magistratura associata del Distretto della Corte di Appello di Palermo alle Autorità ed ai partecipanti presenti. A tutti Voi un doveroso e sentito ringraziamento per la testimonianza di interesse e di vicinanza all’attività giudiziaria e associativa dei magistrati, che quotidianamente rendono il loro servizio con l’altamente qualificato contributo del personale amministrativo e di quello di polizia giudiziaria, nonché con l’indispensabile collaborazione garantita dall’Avvocatura.

Benvenuti al XXXVI Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati, che per la prima volta abbiamo l’onore di ospitare a Palermo, in una terra ricchissima di storia e che trasuda di bellezza sconvolgente, ma allo stesso tempo a lungo martoriata.

Infatti, non vi è territorio, almeno in Europa, che ha versato un così alto tributo di sangue per mano di un’organizzazione criminale,  ma é lo stesso territorio che ha dato i natali a tanti Uomini e Donne che hanno vissuto, lavorato e lottato per un ideale di Giustizia, sovente sino all’estremo sacrificio.

La magistratura palermitana é immensamente grata per il dono di un congresso nazionale e per questo non posso non esprimere una profonda riconoscenza a tutti coloro che hanno consentito ciò e si sono impegnati a vario titolo nella realizzazione di questa mirabile iniziativa.

Il 13 giugno 1909 dalla felice intuizione di quarantaquattro magistrati é nata l’Associazione Generale fra i Magistrati d’Italia, l’antesignana dell’odierna A.N.M.

Da allora, salvo la dolorosa parentesi fascista, la magistratura italiana ha sentito il bisogno di “uscire dal suo isolamento di fronte allo sviluppo economico e sociale del Paese e ai complessi problemi che tuttora gravano insoluti sugli ordinamenti della giustizia” (sono le parole – attuali più che mai- di Giovanni Sola, pronunciate, appena assunta la presidenza, nella seduta di fondazione della predetta associazione). Da allora é nata quella che sarebbe stata tradizionalmente definita la “casa comune” dei magistrati.

Certo, una casa che soprattutto negli ultimi anni ha dovuto affrontare varie intemperie, che é stata attraversata da veri e propri terremoti, ma una casa che –nonostante tutto- ha resistito, che é rimasta in piedi e che ora tocca a noi come magistratura tutta avere a cuore. Una casa in cui si sono sempre ritrovate a confrontarsi (spesso appassionatamente, talvolta con durezza) diverse sensibilità.

Ma che ben venga, perché sicuramente la diversità é una ricchezza e, quindi, un valore da preservare.

A patto che, tuttavia, tale diversità non diventi ragione di laceranti divisioni (anche perché sono molto più numerosi e significativi i valori che ci uniscono e in cui tutti noi, senza distinzione, ci riconosciamo) ed altresì non vada mai a discapito del rispetto da riservare all’altro, prima ancora che come collega, come persona e poi ancora che mai l’appartenza ad un gruppo possa soppiantare in alcun modo e a nessun livello il criterio meritocratico; pena il pericolo di minare la credibilità interna – creando soprattutto nei giovani colleghi un senso di sgomento, di disagio se non addirittura di sconforto – ed esterna della magistratura, producendo ripercussioni negative su quella fiducia che la collettività ripone nei confronti dell’imparzialità e dell’integrità dell’ordine giudiziario.

E ciò sarebbe bene ricordarlo in tutte le sedi associative ed istituzionali in cui siamo chiamati ad operare.

Senza questi necessari antidoti il sano e prezioso associazionismo rischia di degenerare in correntismo con gli effetti nefasti già sopra indicati.

Ma – attenzione – occorre far in modo di non commettere l’errore opposto: il disinteresse e l’abbandono della vita associativa – tentazione fortissima, assorbiti, come siamo, dalle incombenze d’ufficio, familiari, personali, ancorché via che possa apparire più comoda e attrattiva – consegna inevitabilmente la magistratura all’individualismo e finisce per eliminare gli spazi di riflessione collettiva, provocando in definitiva la rinuncia alla nostra identità, quali non semplici burocrati ma amministratori di giustizia e amministratori di giustizia in nome del popolo italiano.

Ciò detto, i problemi della giustizia esistono e sono sotto gli occhi di tutti, in particolare modo degli operatori del settore.

Ma mi permetto di dire sommessamente – ma senza alcun timore di essere smentito – che le soluzioni a tali problemi – se aspirano ad essere davvero valide-  non potranno mai e sottolineo mai derivare da riforme che mirano direttamente o indirettamente (per non dire subdolamente) a scardinare quei principi costituzionali di indipendenza e di autonomia, che i nostri padri costituenti hanno fortemente voluto, proprio loro che avevano vissuto sulla loro pelle ciò che significasse una magistratura non autonoma e non indipendente. E ogni volta che vi sarà il rischio che ciò accada, state sicuri che ci troverete sempre lì, uniti, saldi e compatti in difesa di quei valori, che in definitiva non significa altro che in difesa dei diritti e delle libertà dei cittadini, che quelle prerogative mirano a tutelare.

Ma mi chiedo se queste tensioni, acuitesi nell’ultimo trentennio, abbiano portato gli auspicati frutti e se è ciò che dobbiamo necessariamente attenderci per il presente e per il futuro oppure…oppure se si possa percorrere una strada alternativa, se si possa aprire – almeno per i grandi temi della giustizia e ordinamentali – tra la Politica, la Magistratura e l’Avvocatura una nuova stagione, di ravvivato dialogo, di serio e trasparente confronto, di ascolto autentico delle ragioni dell’altro -per una volta senza pregiudizi e senza preconcetti – al fine di discutere e trovare insieme soluzioni condivise e sicuramente più efficaci, perché ritengo che tutti dovremmo avere in definiva un obiettivo comune, convergente oggi più che mai: quello di ridare centralità alla persona umana.

E mi auguro (e forse si tratta di un sogno ingenuo, ma mi conforta sapere che in questa terra tanti uomini giusti hanno serbato nel loro cuore desideri che apparivano irrealizzabili) che questa stagione possa ripartire proprio da Palermo, ossia da una realtà in cui la magistratura (ma oserei dire la giustizia tutta) ha sempre saputo costruire un rapporto di forte fiducia con la società, proprio nei momenti più drammatici della nostra storia.

Vi ringrazio e vi auguro buon inizio di lavori congressuali.