Tango: “Con la riforma si attenta all’assetto costituzionale”

Giuseppe Tango è componente della Giunta esecutiva Anm e coordinatore dell’ufficio sindacale. Perché la riforma Nordio è sbagliata?

“Perché nel momento in cui si indebolisce uno dei poteri fondamentali dello Stato – in questo caso quello giudiziario – e lo si fa mediante lo sdoppiamento del Csm, l’istituzione di un’Alta corte disciplinare, con la composizione per sorteggio dei predetti organi, il risultato finale è quello di colpire al cuore il Consiglio superiore della magistratura”.

Qual è la ragione che vi preoccupa al riguardo?

“Spero sia chiaro a tutti che è il Csm l’unico organo di autogoverno della magistratura, è l’unico baluardo che ne garantisce davvero l’autonomia e l’indipendenza. Grazie allo scudo rappresentato dal Csm il magistrato non è indotto ad appiattirsi sulle tesi governative per compiacere o per evitare di scontentare il potere di turno, ma può amministrare giustizia senza condizionamenti, sottoposto solo alla legge”.

Viene messa in discussione l’architettura pensata dai costituenti.

“Con la riforma si attenta seriamente all’assetto costituzionale, creando lo sbilanciamento di quel sistema di pesi e contrappesi, disegnato magnificamente dai nostri saggi padri costituenti. E non è finita qui, perché ricordiamoci che in cantiere c’è anche la riforma del premierato, tanto cara all’attuale compagine governativa, che determinerà uno svuotamento dei poteri del Parlamento a favore dell’esecutivo. Il rischio allora è quello di riportare indietro la lancetta della storia: è quello di risvegliarsi all’indomani delle riforme in un Paese profondamente diverso, meno democratico. Insomma, il rischio è di consegnare ai nostri figli un Paese con meno libertà e meno tutele rispetto a quelli di cui noi abbiamo goduto”.

Oltre a quelli che ha già citato, ci sono altri aspetti preoccupanti?

“Aggiungerei quello che riguarda la ridefinizione della figura del pubblico ministero. Con la riforma avremo un pubblico ministero che non ha mai svolto la funzione di giudice, che non ha condiviso un percorso di formazione con il giudice, che è stato anzi strutturato per diventare l’avvocato dell’accusa, perché è il modello statunitense che si guarda con tanta simpatia. Quindi un pm allontanato irreversibilmente dalla cultura dell’imparzialità e che quindi ragiona in termini di vittoria, in caso di condanna dell’imputato, e di sconfitta, in caso di sua assoluzione. Un pm aprioristicamente indirizzato verso l’obiettivo accusatorio, non più incline al dubbio sull’innocenza dell’indagato. Ma è davvero questo il modello a cui si aspira per rendere più giusto il processo? E dirò di più. L’istituzione di un corpo separato di magistrati del pubblico ministero, privi di cultura dell’imparzialità e fortemente aggregati, scevro da qualsiasi potere, arbitro delle proprie carriere, non mitigato dalla componente giudicante, rischia di trasformare lo Stato di diritto in Stato di polizia. E quanto tempo servirà alla politica per accorgersi che questo sistema è intollerabile per la tenuta democratica del sistema? E che sia necessario un nuovo accorgimento, ossia ricondurre la corporazione pm – perché tale sarà diventata – sotto l’ala del potere dell’esecutivo?”.

Il governo la presenta come la separazione delle carriere, è corretto definirla così?

“Assolutamente no, direi piuttosto che siamo di fronte ad una truffa delle etichette. Non si tratta di riforma della separazione delle carriere perché la riforma contiene ben altro e di ancora più pericoloso per gravità e per estensione, visto che gli altri punti riguardano non solo la magistratura penale ma anche i giudici civili e del lavoro. Ma non si tratta neanche di riforma della giustizia perché come hanno avuto modo di affermare espressamente e pubblicamente gli stessi fautori della riforma, il ministro Nordio e la senatrice Bongiorno per esempio, questa non risolverà uno solo dei problemi concreti che affliggono la giustizia e sui quali invece sarebbe bene dare risposta ai cittadini. Penso alla lentezza dei procedimenti, alla mancanza di risorse umane e materiali, alla revisione delle piante organiche e alla situazione delle carceri. Si tratta tecnicamente di riforma della magistratura, perché è il titolo IV della Costituzione a essere modificato. Tuttavia, la magistratura è in realtà solo un bersaglio interposto, perché ciò che viene realmente toccato ed intaccato è il principio della separazione dei poteri, che è garanzia di libertà per tutti nelle democrazie liberali, secondo cui nessuno dei tre tradizionali poteri dello Stato deve prevalere sugli altri”.