
Commento all’art. 50 della Costituzione
di Filippo Donati, ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Firenze e consigliere laico del CSM
Articolo 50 – Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
Abstract: Il contributo analizza l’istituto della petizione, che trova le proprie origini nella nascita del costituzionalismo e del parlamentarismo.
Parole chiave: petizione; Parlamento; cittadino, internet.
Sommario: 1. Origine della petizione. 2.I lavori dell’Assemblea costituente. 3. Il contenuto del diritto e il rapporto con gli altri strumenti di democrazia diretta. 4. La petizione nell’Unione europea. 5. Prospettive per un istituto “negletto”.
- Origine della petizione
La Costituzione italiana permette ai cittadini di rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
L’istituto, che oggi riveste un rilievo pratico tutto sommato marginale, ha una lunga tradizione. Secondo una consolidata opinione, esso affonda le proprie radici nella Magna Charta Libertatum del 1215[1], che riconosceva a tutti i cittadini la facoltà di proporre reclami a fini di giustizia[2]. In un contesto ormai diverso, quando le istanze per fini giustizia erano devolute ad appositi organi giurisdizionali, l’istituto della petizione alle Camere ha poi trovato riconoscimento in Inghilterra, con l’approvazione del Bill of Rights (1689)[3], e in Francia, dove la Costituzione del 1791 ha espressamente inserito tra i diritti naturali e civili dei cittadini, anche quello di “indirizzare alle autorità costituite delle petizioni firmate individualmente”[4], senza distinguere tra la petizione su questioni di interesse personale (la petizione-plainte) e quella su temi di interesse generale[5]. La petizione è stata altresì introdotta negli Stati Uniti, con l’approvazione del I Emendamento (1789)[6].
Lo Statuto albertino, coerentemente con la tradizione liberale del XIX secolo, riconosceva la petizione al Parlamento. Tutti i cittadini potevano presentare alle Camere petizioni su temi di interesse personale; queste, una volta dichiarate ammissibili dalla Giunta competente, erano trasmesse al Governo per l’eventuale adozione degli opportuni provvedimenti. Le petizioni su questioni di interesse generale, invece, potevano essere presentate soltanto da enti pubblici rappresentativi di interessi generali, come ad esempio giunte, consigli comunali, corpi accademici[7]. Nel periodo fascista la petizione permane ma muta destinataria, dovendo essere indirizzata non più al Parlamento ma direttamente il Capo del governo.
- I lavori dell’Assemblea costituente
Nel dibattito in Prima Sottocommissione furono avanzate forti riserve sull’opportunità di inserire in Costituzione l’istituto della petizione, sul rilievo che la funzione dello stesso “nell’epoca moderna non è stata mai efficiente, essendosi ad esso surrogati tutti gli altri innumerevoli mezzi di espressione della pubblica opinione e i particolari congegni di difesa degli interessi dei singoli di fronte alla pubblica autorità”[8]. La maggioranza della Sottocommissione espresse tuttavia la convinzione circa la perdurante utilità di tale istituto.
Il dibattito si spostò quindi sull’opportunità o meno di prevedere la petizione per casi personali (petizione-plainte) nonché di riconoscerla a tutti (come proponevano gli onorevoli Merlin e Mancini), ovvero solo ai cittadini e non anche agli stranieri (come sosteneva l’onorevole Basso)[9]. Il testo finale, approvato in Sottocommissione alla unanimità, prevede la petizione riferita a “provvedimenti legislativi” o a “comuni necessità”, e non individua limiti quanto ai soggetti legittimati ad esercitarla[10].
In Assemblea furono proposti emendamenti intesi a ripristinare la petizione per casi personali[11], a prevedere la legittimazione all’esercizio del diritto solo per i maggiorenni[12], a inserire la cosiddetta petizione collettiva[13] nonché la legittimazione degli enti, limitatamente all’“àmbito dei fini ad essi propri”[14]. Tutti gli emendamenti, incluso quello volto a riconoscere la petizione-plainte, furono tuttavia respinti[15]. La petizione non può dunque impiegata come strumento alternativo alla tutela giurisdizionale dei diritti, dovendo essa perseguire un obiettivo comune alla cui realizzazione i presentatori hanno, evidentemente, un concreto interesse[16].
- Il contenuto del diritto e il rapporto con gli altri strumenti di democrazia diretta
La petizione è un istituto che, essendo volto stimolare le Camere a intervenire su un determinato tema di interesse generale, permette ai cittadini di realizzare una forma di partecipazione diretta alla formazione della volontà delle Camere, senza l’intermediazione dei partiti[17].
La petizione è dunque uno strumento di democrazia diretta[18] che però si differenzia nettamente dal referendum, che contrappone la volontà popolare a quella del Parlamento e può incidere sul risultato della funzione legislativa[19]. La petizione, pur potendo essere utilizzata per chiedere provvedimenti legislativi, è inoltre ben diversa dall’iniziativa legislativa popolare, sia perché non determina l’avvio di un procedimento legislativo, sia perché è libera nella forma e nel modo di esercizio[20]. A differenza del referendum abrogativo e dell’iniziativa legislativa popolare, inoltre, per le petizioni non sussistono limiti di materia. Sono dunque ammissibili petizioni per chiedere interventi normativi riservati all’iniziativa del governo, ovvero rientranti in campi sottratti all’abrogazione referendaria. È stato osservato che la petizione potrebbe essere volta, ad esempio, a stimolare l’adozione di riforme costituzionali[21], ovvero provvedimenti legislativi del Governo[22].
I regolamenti parlamentari prevedono che il Presidente di Assemblea debba annunciare la presentazione della petizione e, una volta valutata la sua ammissibilità[23], assegnarla alla Commissione competente per materia. Alla Camera non è previsto alcun obbligo di esaminare le petizioni, mentre al Senato tale obbligo è circoscritto alle petizioni connesse a disegni di legge già assegnati in Commissione[24]. I regolamenti parlamentari non impongono alle Camere l’obbligo di deliberare sulle petizioni[25].
La Corte costituzionale ha escluso la possibilità di configurare i presentatori di una petizione come un potere dello Stato, analogamente al comitato promotore per il referendum[26]. I firmatari di una petizione, secondo la Consulta, sono titolari di situazioni giuridiche soggettive proprie, ma non possiedono attribuzioni costituzionali e non svolgono una funzione pubblica[27]. Nessun rimedio è dunque consentito in caso di inerzia del Parlamento a fronte della presentazione di una petizione.
- La petizione nell’Unione europea
La petizione è un istituto che ha conosciuto un’ampia diffusione non solo a livello statale, ma anche sul piano locale[28] e sovranazionale[29].
I cittadini e le società, organizzazioni o associazioni dell’Unione europea possono presentare una petizione al Parlamento europeo, individualmente o in associazione con altri, su una materia che rientra nel campo d’attività dell’Unione (art. 227 TFUE)[30]. La petizione può assumere la forma di una denuncia o di una richiesta e può fare riferimento a questioni d’interesse pubblico o privato; può contenere, inoltre, una richiesta personale, un reclamo o un’osservazione riguardo all’applicazione della normativa europea o invitare il Parlamento a pronunciarsi su una determinata questione. Essa può permettere di far emergere lacune in ambito legislativo, problemi legati all’attuazione pratica delle politiche europee e, in particolare, violazioni del diritto comunitario o dei diritti fondamentali[31]. Per i casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione Europea è invece prevista la possibilità di denuncia al Mediatore europeo (art. 288 TFUE).
L’ordinamento dell’Unione garantisce la pubblicità delle petizioni, anche attraverso la pubblicazione su un’apposita pagina web[32], e permette ai firmatari delle stesse di intervenire nelle sedute parlamentari in cui le petizioni sono trattate e, in alcuni casi, di prendere la parola per illustrarne i contenuti. Possono essere organizzate missioni d’informazione nello Stato membro o nella regione cui la petizione si riferisce[33]. All’interno del Parlamento europeo è istituita la Commissione per le petizioni che può, tra l’altro, trasmettere le petizioni che non rientrano nel campo del diritto dell’Unione al Parlamento dello Stato interessato. Il Parlamento europeo può, altresì, richiedere alle istituzioni nazionali informazioni rilevanti per l’istruttoria delle petizioni ricevute. I rappresentati della Commissione europea e del Consiglio partecipano alle sedute della Commissione per le petizioni.
La petizione può evidenziare fatti idonei a far scattare una procedura di infrazione, come ad esempio è avvenuto nel caso C-297/08, relativo ad inadempienze dell’Italia nella gestione dei rifiuti[34].
- Prospettive per un istituto “negletto”
Numerose sono le petizioni che ogni anno vengono presentate al Parlamento: nella XVIII legislatura, sono state 886 alla Camera e 1119 al Senato[35]. Gli effetti delle petizioni sull’attività parlamentare sono stati, però, scarsamente significativi.
Recentemente sono state proposte riforme[36] volte a permettere la sottoscrizione online di petizioni, utilizzando strumenti di identificazione elettronica come quelli impiegati per il referendum abrogativo[37]. Per incentivare l’utilizzo delle petizioni e stimolare il Parlamento al loro esame, tuttavia, occorrerebbe prevedere anche la creazione di un portale delle petizioni che, sulla scorta di quanto avviene nell’Unione europea, possa permettere ai cittadini di conoscere le petizioni presentate e, se condivise, di aderirvi. Si potrebbe altresì ipotizzare l’inserimento nei regolamenti parlamentari di obblighi per le Camere di prendere in esame le petizioni sottoscritte da un determinato numero minimo di cittadini e, eventualmente, di deliberare al riguardo.
L’impiego delle nuove tecnologie, accompagnato ad idonee riforme dei regolamenti parlamentari, potrebbe contribuire a rivitalizzare un importante strumento di democrazia diretta, oggi in stato di sostanziale quiescenza.
Note
[1] Cfr. A. Coccia, Art. 50, in G. Branca e A. Pizzorusso (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1992, pp. 50-51.
[2] Nulli vendemus, nulli negabimus, aut differemus rectum vel iustitiam: cfr. Magna Charta Libertatum, clausola 40.
[3] R. Orrù, Art. 50, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 1003
[4] Costituzione francese del 1791, Titolo I.
[5] Sul punto cfr. P. Ridola, Art. 50, in V. Crisafulli e L. Paladin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova, pp. 338-340.
[6] Il I emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America dispone che “Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero esercizio di una religione; o che limiti la libertà di parola o di stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente, e di rivolgere petizioni al governo per la riparazione di torti”.
[7] R. Orrù, op.cit., pp. 1004-1005.
[8] Relazione all’Assemblea Costituente, Roma, 1946, p. 138
[9] Assemblea costituente, Prima Sottocommissione, seduta del 19 novembre 1946, pp. 401-402. Questo il testo proposto dagli onorevoli Merlin e Mancini: “Ciascun cittadino può presentare petizioni alle Camere su qualunque oggetto personale o generale, privato o pubblico. Ciascuna Camera nominerà una Giunta delle petizioni, la quale esaminerà i ricorsi ricevuti in seduta pubblica e pronuncerà su ciascuno con deliberazione motivata”.
[10] “Ogni cittadino può rivolgere petizioni al Parlamento per chiedere provvedimenti legislativi o esprimere comuni necessità. Il Parlamento provvede a norma del proprio Regolamento”.
[11] Emendamenti degli onorevoli Ruggiero e Colitto.
[12] Emendamento onorevole Colitto.
[13]Emendamento onorevole Della Seta.
[14] Emendamento onorevole Mortati.
[15] Il relatore Merlin, nella seduta del 22 maggio 1947 (p. 4156) osservò: Guai se noi apriamo la valvola ed ammettiamo che possano i cittadini presentare ricorsi o petizioni al Parlamento anche per interessi individuali o, come ha detto Colitto, per denunciare abusi. Guai. Del resto io ho proprio letto in una di quelle relazioni che sono state presentate alla Costituente le parole del collega Mortati che calzano proprio su questo punto. Egli ricorda che i francesi hanno la ‘plainte’ che è l’istanza personale, ma egli insiste nel dire che la petizione in senso proprio deve essere rivolta ad interessi obiettivi, generali, e cioè alla segnalazione di errori che siano commessi nell’applicazione del diritto vigente, ed alla proposta di riforme da apportare a questo. È solo in questi casi che al diritto di petizione può competere la inclusione nella categoria dei diritti politici”.
[16] E. Spagna Musso, Note sul diritto di petizione, in Rassegna di diritto pubblico, n. 1/1957, p. 121; U. Rossi Merighi, Il diritto di petizione: note e spunti ricostruttivi, in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, t. 2, Milano, 1974, p. 1707.
[17] Cfr. P. Stancati, Petizione (diritto costituzionale), in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXIII, Milano, 1983, pp. 598 ss. Cfr. anche F. Cossiga, Diritto di petizione e diritti di libertà, in Foro padano, n. 4/1951, p. 296, che tende a classificare la petizione come una particolare forma di manifestazione del pensiero.
[18] A. Manzella, Il parlamento, Bologna, 1977, p. 53, ritiene che la petizione è “strumento polivalente di democrazia diretta”.
[19] Cfr. S. Fois, Il referendum come «contro potere» e garanzia nel sistema costituzionale italiano, in Referendum, ordine pubblico, costituzione (Atti del primo convegno giuridico organizzato dal Gruppo parlamentare radicale, Firenze, 8-9 ottobre 1977), Milano, 1978, p. 134.
[20] U. Rossi Merighi, op.cit., p. 1736.
[21] A. Coccia, op. cit., p. 58.
[22] Come sostenuto da F. Cossiga, op. cit., p. 300.
[23] Nel solo Regolamento del Senato si precisa che il Presidente del Senato (e non più le commissioni parlamentari) ha facoltà di disporre che sia accertata l’autenticità della petizione e la qualità di cittadino del proponente.
[24] Art. 141, comma 1, del Regolamento del Senato.
[25] Cfr. gli artt. 140 e 141 del Regolamento del Senato; artt. 33 e 109 del Regolamento della Camera dei deputati.
[26] Come riconosciuto già da Corte cost., ord. 3 marzo 1978, n. 17.
[27] Corte cost., ord. 23 dicembre 2021, n. 254.
[28] Come previsto dall’art. 8 del TUEL. Per un’analisi dell’istituto a livello regionale, si rinvia a M. Luciani, Gli istituti di partecipazione popolare negli statuti regionali, 2005, in www.astrid-online.it; C. Bertolino, Il diritto di petizione negli Statuti regionali. Un istituto obsoleto o nuove ipotesi di sua utilizzazione?, in Federalismi, n. 17/2011. Si segnala che alcune regioni garantiscono il diritto di presentare petizioni anche agli stranieri (es. Lazio, Abruzzo, Calabria, Liguria), cfr. V. De Santis, La partecipazione democratica nell’ordinamento delle regioni, Torino, 2013, pp. 264-269.
[29] L. Trucco, Articolo 50, in F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G.E. Vigevani (a cura di), La Costituzione italiana, Bologna, 2018, pp. 322-323. Per una lettura in chiave comparata, cfr. Senato della Repubblica, Il diritto di petizione in prospettiva comparata: istituti e modelli a confronto, in www.senato.it.
[30] Recentemente sul punto, C. Fasone, La petizione nel contesto italiano ed europeo: brevi riflessioni su un istituto tradizionalmente negletto, in G.C. De Martin, A. Szmyt, P. Gambale, M. Serowaniec (a cura di), La democrazia diretta in Italia, Polonia e Unione europea. Atti del VII Colloquio italo-polacco sulle trasformazioni istituzionali, Roma, 2020, pp. 375-398.
[31] Così G. Della Cananea, Diritto amministrativo europeo. Principi e istituti, Milano, 2008, p. 131.
[32] Cfr. www.europarl.europa.eu/petitions/it/home.
[33] Regolamento del Parlamento europeo, art. 216-bis.
[34] CGUE, 4 marzo 2010, Commissione c. Italia. La CGUE ha condannato la Repubblica italiana perché non aveva adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente. In particolare, lo Stato italiano era venuto meno agli obblighi incombenti in forza della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006 (2006/12/CE) non avendo creato una rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento per consentire l’autosufficienza, improntata al criterio della prossimità geografica, creando un pericolo per la salute dell’uomo.
[35] Dati aggiornati al 19 giugno 2022.
[36] Senato della Repubblica, Leg. XVIII, Proposta di modificazione del Regolamento, Doc. II, n. 8.
[37] N. Rossi, Firma digitale per referendum e leggi di iniziativa popolare. Una meditata rivoluzione o un improvvisato azzardo?, in www.questionegiustizia.it, 15 settembre 2021.
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