L’art. 103, comma 2 della Costituzione

di Guido Carlino, presidente della Corte dei Conti

Art. 103, comma 2 – La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge 

Abstract: Il testo tratta della giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre previste dalla legge attribuite dall’art. 103, c. 2 alla Corte dei conti, unico giudice speciale, naturale ed esclusivo, nel quadro delle garanzie per la corretta gestione del pubblico denaro. Con approfondimenti su come il contenuto di tali materie si sia adattato all’evoluzione della finanza pubblica, illustra le oscillazioni giurisprudenziali subite nel tempo dalla nozione di contabilità pubblica, che mostrano come le frontiere della giurisdizione in materia siano ancora mobili. Evidenzia che la recente legislazione e la giurisprudenza recepite dal codice di giustizia contabile estendono l’area di riferimento dell’art. 103, c. 2, a una sempre maggiore connessione tra funzioni di controllo e giurisdizionali della Corte, organo indispensabile sul territorio per il contrasto allo spreco del pubblico denaro, per la reintegra giudiziaria delle risorse erariali dissipate e per la funzione di deterrenza insita nell’istituto della responsabilità amministrativa e contabile.

Parole chiave: giurisdizione contabile; contabilità pubblica; giurisprudenza contabile; responsabilità contabile.

Sommario: 1. I lavori dell’Assemblea costituente. 2. L’area di riferimento delle materie di contabilità pubblica nella giurisprudenza nei primi quattro decenni dalla approvazione della Costituzione. 3. L’evoluzione della giurisprudenza e la tutela delle risorse pubbliche a seguito del processo di riforma della pubblica amministrazione degli anni Novanta. 4. L’art. 103 nel quadro delle nuove disposizioni costituzionali di tutela degli interessi finanziari pubblici.

  1. I lavori dell’Assemblea costituente.

La Costituzione, dopo avere riconosciuto il rilievo costituzionale della Corte dei conti come supremo organo di controllo (art. 100, comma 2, Cost.), con l’art. 103, comma 2, ha provveduto a inquadrarla tra le Magistrature della Repubblica, introducendo in tal modo un’eccezione al divieto di istituzione di giudici speciali, contenuto nell’art. 102, e tenendo conto della espressa esclusione della Corte stessa dalla revisione degli organi giurisdizionali preesistenti, inserita nella VI disposizione transitoria.

La disposizione in esame nasce da un ampio dibattito intercorso tra i Padri costituenti, alcuni dei quali sostenevano la necessità dell’unità della giurisdizione non solo con riferimento ai principi che ne regolano il funzionamento, ma anche in ordine alla unicità degli organi giudiziari cui è affidato l’esercizio della funzione (tra tutti, Pietro Calamandrei), mentre altri (tra questi Costantino Mortati) ritenevano che il principio di unità di giurisdizione dovesse presupporre un’unicità non organica ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, ma anzi implica, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi e autonomi.

L’art. 103, comma 2, scolpisce, in modo lapidario ma efficace, il contenuto delle funzioni giudiziarie intestate alla Corte dei conti, garantendole l’attribuzione della giurisdizione “nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre previste dalla legge”.

 

  1. L’area di riferimento delle materie di contabilità pubblica nella giurisprudenza nei primi quattro decenni dalla approvazione della Costituzione

In realtà, pur non avendo trovato la materia di contabilità pubblica alcuna definizione nella Costituzione e in altri precedenti testi normativi e non essendone stati precisati gli ambiti soggettivi e oggettivi, era tuttavia pacifico che in essa dovessero ricomprendersi i moduli operativi e organizzativi attinenti alla acquisizione e alla gestione dei mezzi finanziari, mediante i quali la pubblica amministrazione persegue e realizza i propri fini istituzionali attraverso l’operato di soggetti che amministrano il denaro e i beni patrimoniali pubblici[1].

La norma costituzionale, in effetti, si limitava a recepire la nozione di contabilità pubblica tradizionalmente accolta nella legislazione allora vigente, che attribuiva alla cognizione del giudice contabile, oltre ai giudizi di conto e a quelli in materia di responsabilità amministrativa, anche altri giudizi, espressamente previsti dalla legge, ma comunque latu sensu ascrivibili alla materia della contabilità pubblica, come i giudizi a istanza di parte, riguardanti controversie inerenti alla gestione di denaro di spettanza dello Stato o di altro ente pubblico da parte di un agente contabile, e i giudizi in materia di trattamenti di quiescenza dei pubblici dipendenti, quest’ultimi non solo per tradizione storica, ma anche per la rilevante incidenza della spesa sulla finanza pubblica.

Veniva, quindi, costituzionalizzato il riparto di giurisdizione sino ad allora configuratosi ed era assolutamente pacifica la giurisprudenza secondo cui, ai fini della affermazione della giurisdizione contabile, fosse necessaria la compresenza di due elementi caratterizzanti, uno soggettivo, relativo alla natura pubblica dell’ente danneggiato, l’altro oggettivo, relativo alla qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione.

Sul piano funzionale, non venne messa in discussione la qualificazione della giurisdizione contabile come esclusiva, conoscendo la Corte di tutte le questioni relative all’oggetto del giudizio, sia che riguardino diritti soggettivi che interessi legittimi, comprese le questioni pregiudiziali o incidentali, e come giurisdizione piena, pronunziando esse sentenze non solo dichiarative, ma anche costitutive e di condanna.

Ancorché la formulazione della norma, con il generico riferimento alle materie di contabilità pubblica, sembrasse volere consentire l’adattamento del contenuto della nozione di contabilità pubblica all’evoluzione della finanza pubblica verso innovative forme organizzative particolarmente complesse e variegate, tale obiettivo non venne immediatamente realizzato.

La norma costituzionale pose, infatti, problemi in ordine alla sua portata precettiva immediata (applicabilità a tutti gli agenti pubblici) ovvero soltanto programmatica (problematica che, in realtà, dopo la approvazione della Costituzione, ebbe a riguardare parecchi precetti in essa contenuti).

Ovviamente, non venne messa in discussione la provvista giurisdizionale tradizionalmente assegnata alla Corte dei conti e, in particolare, la sottoposizione a essa degli agenti contabili dello Stato per i giudizi di conto o dei dipendenti dello Stato per i giudizi di responsabilità, ma si ebbe a controvertere sulla sottoposizione alla giurisdizione contabile di soggetti (amministratori o dipendenti) appartenenti ad altre pubbliche amministrazioni, esclusi per difetto di una specifica previsione normativa[2].

Alla posizione della Corte dei conti, secondo cui le materie di contabilità pubblica dovessero essere sottoposte all’unico giudice naturale specializzato, nel quadro delle garanzie obiettive per la correttezza della gestione del pubblico denaro, si contrappose quella della Corte costituzionale che riconobbe, invece, natura programmatica all’art. 103 della Costituzione, ritenendo essenziale, per la configurazione della giurisdizione contabile, la c.d. interpositio legislatoris, a cui era rimessa la valutazione discrezionale degli interessi da tutelare nella materia de qua e dello strumento processuale più adeguato per perseguirli[3].

Riteneva, al riguardo, la Corte costituzionale che l’attribuzione della giurisdizione a opera dell’art. 103 non fosse cogente e assoluta, ma tendenzialmente generale e che fossero comunque possibili deroghe a favore di altro giudice, in specie per la materia della responsabilità amministrativa non di gestione, involgente diritti soggettivi, per i quali la giurisdizione sarebbe spettata al giudice ordinario[4].

Analoga posizione era mantenuta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione che, in sede di risoluzione di conflitti di giurisdizione, affermavano che la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità a carico di amministratori e dipendenti di enti locali fosse soltanto tendenzialmente generale e comunque condizionata dalla interpositio legislatoris e che dovesse ritenersi, in ogni caso, limitata soltanto agli illeciti direttamente e immediatamente connessi alla gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente pubblico, senza che fosse in alcun modo praticabile un’interpretazione estensiva[5].

Tale assetto giurisprudenziale determinava una pressoché totale esenzione da giurisdizione di molti operatori pubblici, in quanto l’azione risarcitoria dinnanzi al giudice ordinario avrebbe dovuto essere esercitata dagli stessi autori del danno o da soggetti a essi vicini e non da un ufficio autonomo e imparziale quale la Procura della Corte dei conti.

Tale situazione cominciò a cambiare soltanto negli anni Novanta del secolo scorso, anche per effetto del processo di privatizzazione della p.a.[6] e di una politica di maggiore rigore nella tutela dei conti pubblici.

 

  1. L’evoluzione della giurisprudenza e la tutela delle risorse pubbliche a seguito del processo di riforma della pubblica amministrazione degli anni Novanta.

All’inizio degli anni ‘90, sulla spinta di gravi inefficienze della pubblica amministrazione[7], prende avvio, come è noto, un epocale processo di riforma, caratterizzato da una intensa produzione legislativa, che tenta di mutare il volto della amministrazione, rendendola più moderna ed efficiente, attraverso una nuova cultura della amministrazione che attribuisce maggiore risalto ai risultati dell’azione amministrativa, in termini di efficacia ed efficienza, piuttosto che alla mera legittimità dell’atto o del procedimento.

In particolare, vennero approvati il nuovo ordinamento delle autonomie locali (legge n. 142/1990), che ridefinì la struttura degli enti territoriali; la normativa sul procedimento amministrativo (legge n. 241/1990), che disciplinò organicamente l’azione amministrativa, innovando il modo di operare degli uffici pubblici e privilegiando la c.d. cultura del risultato; la normativa sulla organizzazione della p.a., sulla privatizzazione dell’impiego pubblico e sulla dirigenza (decreto legislativo n. 29/1993), che introdusse il principio di separazione delle funzioni dei politici da quelle della dirigenza pubblica e nello stesso tempo affidò al contratto la disciplina del rapporto di impiego del personale.

Anche la Corte dei conti venne incisa dalle riforme di quegli anni, in modo particolare con la legge 8 giugno 1990 n. 142, che estendeva ai dipendenti e amministratori degli enti locali (art. 58) le disposizioni in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, concretizzando così la c.d. interpositio legislatoris ritenuta, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale della Corte di cassazione, necessaria ai fini della configurazione della giurisdizione contabile ex art. 103, comma 2, Cost.

A fronte del vistoso e inarrestabile processo di privatizzazione di enti e amministrazioni pubbliche operanti a livello regionale o comunale[8], permanevano ancora, all’inizio del nuovo millennio, evidenti limiti al pieno esplicarsi della giurisdizione contabile a tutela delle pubbliche gestioni, dovuti, in particolare, allo sbarramento sistematicamente opposto dalla Cassazione alle azioni di responsabilità a carico di amministratori o dipendenti di enti pubblici economici per le attività imprenditoriali.

La Corte di cassazione, con giurisprudenza pacifica, aveva, infatti, ritenuto che la giurisdizione contabile sussistesse limitatamente agli atti configuranti espressione di poteri autoritativi e pubblicistici e non per gli atti connessi all’esercizio dell’attività imprenditoriale propria degli enti medesimi, per i quali riteneva che la giurisdizione appartenesse al giudice ordinario[9].

Dopo oltre venti anni di pacifica giurisprudenza, si è assistito a un revirement da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione che, cogliendo lo spirito delle modifiche ordinamentali intervenute, con l’ormai nota ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei conti, senza limitazioni, per i giudizi di responsabilità amministrativa nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici.

La Cassazione ha ritenuto irrilevante la circostanza che detti enti – soggetti pubblici per definizione, istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura – perseguissero le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato e ha affermato che lo stesso legislatore ha recepito una nozione non soggettiva, ma oggettiva, dei servizi pubblici, caratterizzati dall’elemento funzionale del soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale.

Vi è, però, da rilevare che gli enti pubblici economici, alla luce della privatizzazione dei servizi pubblici, tendevano progressivamente a perdere rilievo nel nostro ordinamento, in considerazione della trasformazione degli stessi in società di capitale partecipate dalla p.a.

La linea interpretativa avallata dalla Cassazione ha, tuttavia, aperto la strada ad altre significative affermazioni del giudice della giurisdizione: con ordinanza Cass. civ., Sez. Unite, 26/02/2004, n. 3899 è stata affermata la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti degli amministratori delle società per azioni a capitale pubblico, ritenendosi, anche in questo caso, che il criterio soggettivo, che identificava l’elemento fondante della giurisdizione contabile nella qualificazione giuridica pubblica della amministrazione e del soggetto agente, dovesse essere sostituito con un criterio oggettivo, basato sulla natura pubblica delle risorse adoperate.

L’orientamento della Cassazione in materia di società partecipate, tuttavia, ha subito nel tempo oscillazioni giurisprudenziali che inducono a ritenere come le frontiere della giurisdizione nella materia in questione siano ancora mobili e non pienamente delineate.

La Corte regolatrice (Cass. SS.UU. 26806 del 19 dicembre 2009), infatti, ha dovuto affrontare il problema del rapporto tra le coesistenti azioni societarie, previste dal Codice civile, e l’azione di responsabilità amministrativa.

La Cassazione ha, al riguardo, affermato la sussistenza della giurisdizione contabile ove venga prospettato un danno arrecato direttamente all’ente pubblico partecipante dalla condotta illecita di amministratori o di componenti di organi di controllo della società partecipata.

A opposta soluzione è, invece, pervenuta in relazione al danno subito direttamente dal patrimonio della società; in tal caso, infatti, non si configura danno erariale poiché il pregiudizio è riferibile soltanto al patrimonio della società, e non anche ai singoli soci, i quali sono titolari unicamente delle rispettive quote di partecipazione. La Cassazione ha, infatti, rilevato che dette società non perdono la loro natura di enti privati disciplinati dal Codice civile e che il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale può dar vita all’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) ed eventualmente a quella dei creditori sociali (art. 2393 bis c.c.), di competenza del giudice ordinario.

La Cassazione ha individuato, tuttavia, talune eccezioni rispetto al principio generale come sopra formulato, riconoscendo che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulle azioni di risarcimento del danno, cagionato da amministratori e da dipendenti di società partecipate che, nonostante la veste formale di società per azioni, abbiano natura sostanziale di ente pubblico, in quanto aventi uno statuto assoggettato a regole particolari[10].

Si tratta di entità giuridica che la Corte di cassazione ha definito “società legali” quelle che si pongono su un piano diverso dal fenomeno negoziale societario previsto e disciplinato dal Codice civile, ancorché possano mutuarne, per espressa previsione di legge, una o più caratteristiche.

In buona sostanza, la Cassazione ha privilegiato gli aspetti connessi allo statuto legale delle società, mettendo in evidenza la peculiarità dei servizi pubblici esercitati, i penetranti poteri di vigilanza da parte della amministrazione, etc., e rilevando che la trasformazione societaria in realtà è soltanto formale e corrisponde a una formula organizzativa che non incide sulla natura sostanziale del soggetto.

La Cassazione (SS.UU. 26283/2013), inoltre, ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione contabile nei confronti delle società di diritto privato costituite per la gestione di servizi pubblici in house providing, rilevando che i connotati qualificanti della società in house, debbano essere: a) la natura esclusivamente pubblica dei soci, con divieto di cessione di quote societarie a privati; b) l’esercizio dell’attività in prevalenza a favore dei soci stessi; c) la sottoposizione a un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici (c.d. controllo analogo).

Tali requisiti devono coesistere e trovare fondamento in precise e non derogabili disposizioni statutarie.

Ne consegue che, come ha rilevato la Cassazione, gli organi di tali società, assoggettati a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, non possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente a un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo preposti a una struttura corrispondente a un’articolazione interna alla pubblica amministrazione, essi sono personalmente legati alla stessa da un vero e proprio rapporto di servizio, al pari dei dirigenti preposti alle altre articolazioni dell’ente pubblico partecipante[11].

A fronte della giurisprudenza della Cassazione, che tende ormai a divenire costante, e delle nuove previsioni normative, la giurisprudenza della Corte dei conti continua a individuare ulteriori percorsi interpretativi, soprattutto nei confronti di amministratori di società che svolgono prestazioni di servizio di pubblico interesse e che, a prescindere dalla veste formale, possono definirsi longa manus della amministrazione.

La giurisprudenza[12], infatti, anche alla luce dei principi dell’ordinamento europeo per una gestione trasparente delle pubbliche risorse, ha ritenuto non corretta la valorizzazione di criteri formali di collegamento per le società in house (percentuale di partecipazione, qualificazione della società, etc.), ritenendo, invece, la necessità di verificare se, in concreto, la società costituisca un mero modello organizzatorio della p.a.; a tale proposito ha richiamato anche il concetto di organismo di diritto pubblico, secondo quanto previsto dalla direttiva 2004/18/CE, che presuppone semplicemente che l’organismo sia stato istituito al fine di soddisfare un interesse generale e che il soggetto non abbia natura industriale o commerciale.

In altre sentenze è stata affermata la giurisdizione nei confronti di amministratori di società con partecipazione pubblica non maggioritaria, richiamandosi i principi contenuti nella direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, ritenuta self executing[13], che ampliano l’area di riferimento delle società in house, includendovi anche quelle che prevalentemente (80 per cento) esercitano compiti propri della amministrazione partecipante e nella quale eventuali partecipanti privati non esercitano poteri di veto.

Occorre, ora, facendo un passo indietro, richiamare una significativa giurisprudenza della Corte regolatrice che ha esteso, forse al di là di quanto potesse essere prevedibile, i confini della giurisdizione contabile, in considerazione della massiccia attribuzione a privati della gestione di attività di interesse pubblico.

La Corte di cassazione (SS.UU. n. 4511 del 1° marzo 2006), nel quadro della giurisprudenza che ha determinato un’ampia estensione degli ambiti cognitivi assegnati alla Corte dei conti ex art. 103 Cost., ha affermato la sussistenza della giurisdizione contabile anche nei confronti di privati percettori di fondi pubblici per lo sviamento delle risorse rispetto ai fini pubblici prefissati.

Il Giudice della giurisdizione ha ritenuto di prescindere, anche in questo caso, dalla qualità del soggetto agente e ha individuato il nucleo fondante dell’azione pubblica nella natura del danno e negli scopi perseguiti.

In sostanza, con tale decisione (cui ne sono seguite tantissime di eguale contenuto) la Cassazione, dopo avere rilevato che è sempre più frequente l’operare dell’amministrazione al di fuori degli schemi della legge di contabilità e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti, ha sostenuto che il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla natura del soggetto che ha arrecato il danno alla natura pubblica delle risorse impegnate e che non rilevano, ai fini della affermazione della giurisdizione, gli strumenti operativi prescelti (di diritto pubblico o privato), ma l’oggettivo perseguimento di interessi pubblici.

In questa materia appare altrettanto significativa la ulteriore e innovativa affermazione giurisprudenziale secondo cui anche gli amministratori degli enti privati/persone giuridiche che abbiano arrecato pregiudizio alla p.a. possono essere convenuti in giudizio di responsabilità, unitamente all’ente[14].

La Cassazione ha ritenuto che, per l’assoggettamento alla giurisdizione contabile, non sia necessaria l’esistenza di un rapporto diretto con l’ente pubblico, avente a oggetto l’utilizzazione di risorse pubbliche, ma che sia invece sufficiente che taluno si sia ingerito, anche in via di fatto, nella gestione di dette risorse. L’estensione trova giustificazione nella necessità di garantire la effettività della tutela erariale, anche nei confronti degli amministratori, ritenuti sostanziali compartecipi del procedimento deliberativo ed esecutivo della spesa; ciò in quanto, in materia di responsabilità amministrativa, è più aderente al sistema aumentare il numero degli obbligati piuttosto che diminuirlo, soprattutto quando gli autori del danno hanno agito al fine di assicurarsi un indebito profitto a scapito dell’amministrazione.

Infine, la Cassazione ha confermato l’orientamento giurisprudenziale del giudice contabile, secondo cui, sempre a norma dell’art. 103, comma 2, Cost., va ritenuta sussistente la giurisdizione della Corte dei conti per la restituzione, a favore dell’Unione europea, di contributi comunitari direttamente erogati e illecitamente percepiti o utilizzati da soggetti privati (Cass. 20701/2013).

In tale caso, i confini della giurisdizione contabile non devono ritenersi limitati al solo danno subito dallo Stato o da altro ente pubblico nazionale, ma ricomprendono anche il danno subito dall’Unione, attesa l’estensione dell’ambito dell’azione di responsabilità, operata dall’art. 1, comma 4, della legge n. 20/1994, che non ammette una discriminazione applicativa in funzione del carattere sovranazionale dell’amministrazione tutelata ovvero della natura del contributo erogato, dovendosi – in applicazione del “principio di assimilazione”, in forza del quale gli interessi finanziari europei sono equiparati a quelli nazionali – assicurare, per la tutela dei medesimi beni giuridici, le stesse misure previste dal diritto interno (art. 325 trattato UE).

 

  1. L’art. 103 nel quadro delle nuove disposizioni costituzionali di tutela degli interessi finanziari pubblici.

Sempre in materia di estensione del concetto di contabilità pubblica di cui all’art. 103, comma 2, della Costituzione, va dato atto della adozione di plurime disposizioni normative che hanno introdotto significativi elementi di novità per le funzioni giurisdizionali intestate alla Corte dei conti.

Ciò è accaduto a seguito della introduzione nella Costituzione del principio del pareggio di bilancio, correlato a un vincolo di sostenibilità del debito pubblico per l’intero aggregato delle pubbliche amministrazioni e al conseguente ampliamento del ruolo della Corte dei conti in sede di controllo (decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213), in funzione di garanzia per la corretta tenuta dei conti e per il rispetto dei vincoli che derivano dall’appartenenza all’Unione europea.

In tale contesto di maggiore rigore finanziario sono state conferite ulteriori attribuzioni anche alla giurisdizione contabile, a tutela della legalità, del buon andamento della pubblica amministrazione e a garanzia dell’Erario pubblico, attraverso la previsione di ipotesi di responsabilità tipizzata e sanzionatoria, l’introduzione di misure interdittive e, infine, l’attribuzione alla stessa giurisdizione contabile di specifiche ipotesi di impugnazione avverso atti adottati nell’esercizio delle funzioni di controllo di regolarità finanziaria attribuite alle Sezioni regionali di controllo.

La cognizione di tali gravami trova fondamento “nell’esercizio di una giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica ai sensi dell’art. 103, comma 2, della Costituzione”, in un sistema che annovera, tra le “materie di contabilità pubblica”, non soltanto i giudizi di responsabilità amministrativa e contabile, ma anche altre tipologie di giudizi, caratterizzati dalla funzione di garanzia dell’equilibrio economico – finanziario dei conti pubblici e che possono essere attivati anche a istanza di pubbliche amministrazioni.

Il nuovo assetto conduce a ritenere che le materie di contabilità pubblica possono oggi correttamente e positivamente individuarsi in un organico corpo normativo, inteso alla tutela della integrità dei bilanci pubblici, dotato di copertura costituzionale e presidiato da un giudice naturale ed esclusivo, che è la Corte dei conti nelle sue varie attribuzioni costituzionali, similmente a quanto, del resto, avviene per i cosiddetti “blocchi di materie” riservati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[15].

In conclusione, si può rilevare che il portato della più recente legislazione e delle interpretazioni giurisprudenziali recepite dal codice amplia notevolmente l’area di riferimento dell’art. 103, comma 2, della Costituzione, ritenuta aperta a successivi interventi nell’ambito della contabilità pubblica e che la costituzionalizzazione del principio di pareggio del bilancio ha determinato una evidente connessione tra le due aree, controllo e giurisdizione, della Corte dei conti.

Ciò potrebbe portare, de iure condendo, a dare ulteriore ingresso, nell’ambito della giurisdizione contabile, di altre materie, sempre comunque collocabili nell’ampia area della finanza pubblica.

In sede giurisdizionale e, quindi, a chiusura delle attività svolte, la Corte dei conti, quale Giudice del buon andamento della pubblica amministrazione, posto a garanzia non solo della legalità dell’attività amministrativa ma anche di tutti gli altri interessi costituzionalmente rilevanti e che trovano sintesi nella regolarità finanziaria, costituisce una indispensabile risorsa non soltanto per il contrasto a ogni forma di spreco delle risorse pubbliche e per la reintegra giudiziaria delle disponibilità erariali dissipate, ma anche per l’importante funzione di deterrenza, che, pur essendo di difficile misurazione in termini quantitativi, è tuttavia insita nell’istituto della responsabilità amministrativa e contabile (C. cost. 371/1998) ed è rafforzata dalla articolata presenza della giurisdizione contabile sul territorio.

Ciò consentirà alla Corte di rendere un servizio sempre più efficace al Paese e alla collettività, a garanzia dell’equilibrio economico finanziario dell’intero settore pubblico e dell’integrità delle pubbliche risorse e, in definitiva, del buon andamento della pubblica amministrazione, come affermato chiaramente dalla Corte costituzionale con sentenza n. 60/2013.

 

Note

[1] Cass. SS.UU. n. 6178/1983.

[2] Si trattava, prevalentemente, di controversie riguardanti amministratori o dipendenti di enti locali, nei cui confronti la giurisdizione, per i primi, era limitata a sparute ipotesi di responsabilità c.d. specifica, mentre, per i secondi, apparteneva in via esclusiva al giudice ordinario, secondo le disposizioni contenute negli artt. 251 ss. del RD 3 marzo 1934 n. 383 (T.U. delle leggi comunali e provinciali), in Sicilia trasfuse, in parte, negli artt. 244 ss. dell’OREL, approvato con L.R. 15 marzo 1963 n. 16.

[3] Corte cost., n. 102/1977; n. 189/1984 (questioni sollevate dalla Sezione giurisdizionale per la Sicilia in ordine alla mancata sottoposizione alla giurisdizione contabile dei dipendenti degli EE.LL.); Corte cost.; 241/1984 (q.l.c. sulla mancata sottoposizione alla giurisdizione contabile dei dipendenti delle IPAB) e Corte cost. 641/1987 (q.l.c. sull’art. 18 della L. 349/1986, che aveva assegnato al giudice ordinario la giurisdizione in materia di danno ambientale).

[4] Corte cost. 110/1970.

[5] Cass. SS.UU. n. 217/1986, che affermava la discrezionalità del potere legislativo nel valutare le soluzioni più idonee alla salvaguardia degli interessi pubblici insiti nella materia del riparto della giurisdizione nei confronti di dipendenti e amministratori di enti locali; Cass. SS.UU. n. 2609/1990, con la quale veniva affermata la giurisdizione ordinaria in ordine a ipotesi di responsabilità c.d. generica di amministratori di enti locali, rigettandosi la interpretazione fornita dalla Corte dei conti, secondo cui l’art. 260 del TULCP costituisse norma di chiusura idonea a consentire la devoluzione al giudice contabile di ogni illecito di carattere gestionale; Cass. SS.UU. n.2081/1990, con la quale veniva affermata la giurisdizione del giudice ordinario per le ipotesi di responsabilità derivanti da attività che, sebbene qualificata da rapporto di servizio, abbia inciso soltanto di riflesso e mediatamente sul patrimonio dell’ente, esponendolo a una perdita.

[6] Ci si intende riferire non solo alla trasformazione di enti pubblici in società partecipate, ma anche all’affidamento di funzioni a privati nell’ambito della realizzazione di programmi di interesse pubblico.

[7] Già da tempo segnalate nel Rapporto sui principali problemi della p.a., trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979 dall’allora Ministro per la funzione pubblica M.S. Giannini.

[8] L. n. 142/1990 (per i servizi pubblici locali); L. n. 333/1992 (per gli enti pubblici economici facenti capo allo Stato); D.lgs. n. 509/1994 (per gli enti gestori di forme obbligatorie di assistenza e previdenza); D.lgs. n. 419/1999 (privatizzazione di enti pubblici nazionali).

[9] per tutte: Cass. SS.UU. 1282/1982 e, per ultimo, 9689/2001.

[10] Cass. SS.UU. n. 15594 e n. 16240/2014, secondo cui spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sull’azione di responsabilità promossa nei confronti di rappresentanti di ANAS S.p.A.

[11] L’orientamento della Cassazione ha trovato conferma nel decreto legislativo 19 agosto 2016 n. 175 (art. 12) recante il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.

[12] Corte dei conti, Sez. I appello n.178/2015.

[13] Corte dei conti, Sez. appello Sicilia n. 38/2016.

[14] Cass. SS.UU. 5019/2010; 10062/2011.

[15] Corte dei conti, SS.RR. 2/2013.

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Guido Carlino, dopo avere svolto studi classici, consegue la laurea in giurisprudenza nel 1981 presso l’Università degli studi di Palermo con il massimo dei voti e la lode. Nel 1982, a soli 23 anni, supera il concorso pubblico per uditore giudiziario militare, venendo assegnato presso i Tribunali militari di Napoli e di Cagliari. Transita, quale vincitore di concorso pubblico per titoli ed esami, nei ruoli della magistratura contabile il 1° ottobre 1985, venendo assegnato presso la Sezione di controllo e la Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana. Dal 1990 ha svolto funzioni requirenti presso la Procura regionale per la Sicilia. Dal 1° gennaio 2000 e sino al 13 aprile 2004 è stato assegnato presso la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana. Ha poi svolto le funzioni direttive di Procuratore regionale per la Sicilia dal 14 aprile 2004 al 21 ottobre 2014. Dal 22 ottobre 2014 ha svolto le funzioni di Presidente della Sezione giurisdizionale per il Veneto e, dal 27 agosto 2018, quelle di Presidente della Sezione giurisdizionale per la Sicilia, sino al 14 settembre 2020.  Nominato con decreto del Presidente della Repubblica dell’11 settembre 2020, ha assunto la carica di Presidente della Corte dei conti dal 15 settembre 2020. Nel corso della carriera, inoltre, è stato più volte componente delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale e in sede consultiva; è stato assegnato in aggiuntiva (1999 – 2008) al Servizio per il Massimario e Rivista e, per un biennio, è stato componente del Consiglio del Seminario di formazione della Corte dei conti. Ha, altresì, svolto funzioni di delegato al controllo di importanti enti pubblici nazionali e di società partecipate (art.12, l. 259/1958). Numerose le sue pubblicazioni scientifiche e i suoi interventi a convegni sui temi, fra l’altro, della giurisdizione contabile, della responsabilità amministrativa e sanitaria, del giusto processo, del contrasto alle frodi in ambito comunitario, dei protocolli di legalità contro la criminalità economica e della tutela ambientale. Ha, altresì, svolto attività di docenza presso la Scuola superiore della Pubblica amministrazione, la Scuola centrale tributaria e in vari corsi di formazione e aggiornamento per magistrati e funzionari della Corte dei conti. Dal 2012 ha svolto anche le funzioni di Giudice tributario presso la CTP di Palermo. È insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine “al merito della Repubblica”, conferita, motu proprio, dal Presidente della Repubblica.