
Con la sentenza di oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito in termini netti e inequivocabili i limiti e le condizioni per la designazione da parte degli Stati membri di Paesi terzi come “Paesi di origine sicuri”, in relazione alle domande di protezione internazionale.
La decisione – sentenza del 1° agosto 2025 nelle cause riunite C-758/24 (Alace) e C-759/24 (Canpelli) – giunge all’esito di un rinvio pregiudiziale formulato dal Tribunale ordinario di Roma (sezione immigrazione) che ha sollevato importanti questioni interpretative sull’atto legislativo italiano del 2024 che ha inserito il Bangladesh tra i Paesi di origine sicuri, senza indicazione delle fonti informative utilizzate per giungere a tale valutazione.
La Corte Ue ha stabilito che tale designazione può avvenire tramite un atto legislativo, purché sia sottoposto a un controllo giurisdizionale effettivo, incentrato sul rispetto dei criteri sostanziali stabiliti dal diritto dell’Unione. Le fonti di informazione su cui si fonda la designazione devono essere accessibili al richiedente e al giudice nazionale, così da consentire un sindacato pieno, trasparente e documentato. Non può essere considerato “sicuro” un Paese che non garantisca protezione sufficiente a tutta la sua popolazione, anche solo per alcune categorie, escludendo perciò valutazioni meramente formali o astratte.
La pronuncia della Corte di Lussemburgo assume una portata dirompente non solo sotto il profilo giuridico, ma anche nel dibattito pubblico e politico. La sentenza conferma in modo esplicito la correttezza dell’interpretazione fornita dalla magistratura italiana, e in particolare dai giudici del Tribunale di Roma e della Corte di Appello, oggetto nei mesi scorsi di violente e sistematiche critiche per l’esercizio delle proprie funzioni.
I giudici italiani non legiferano, ma applicano la legge: lo fanno nel rispetto delle norme nazionali e sovranazionali, con attenzione scrupolosa ai principi costituzionali e al diritto dell’Unione. La Corte Ue ribadisce il principio di separazione dei poteri e valorizza il ruolo del giudice come garante dei diritti fondamentali.
L’effettività della tutela giurisdizionale, così chiaramente riaffermata dalla Corte, è principio strutturale dello Stato di diritto e cardine dell’ordinamento dell’Unione. È attraverso l’indipendenza del giudice, la trasparenza delle fonti e la possibilità di sindacato critico che si difendono, nella prassi quotidiana, le libertà individuali e la dignità delle persone.
Nel contesto attuale, segnato da tensioni politiche e tentativi di delegittimazione del potere giudiziario, questa sentenza rappresenta un riconoscimento importante del ruolo costituzionale della magistratura e del valore della giurisdizione come spazio di legalità, razionalità e garanzia.
La Corte di Giustizia ha indicato con chiarezza la rotta. Spetta ora a tutte le istituzioni — politiche, giudiziarie e sociali — assumere fino in fondo la responsabilità di proteggere ciò che essa riafferma: il diritto a un giudice vero, indipendente, e in grado di esercitare un controllo effettivo sulle decisioni che incidono sulla vita delle persone.