L’art. 81 della Costituzione

Commento all’articolo 81 della Costituzione

di Daniele Cabras, Direttore dell’Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali presso la Presidenza della Repubblica

 

Art. 81 – Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.

Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.

Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale.

 

Abstract: Il presente scritto, dopo aver brevemente ricostruito le vicende dell’articolo 81 all’Assemblea costituente, ne ripercorre a grandi linee l’attuazione richiamando gli orientamenti dottrinari e la giurisprudenza della Corte costituzionale. Viene inoltre ricostruita l’evoluzione della legislazione in materia di contabilità e di finanza pubblica e approfondito il ruolo svolto da Governo e Parlamento nell’approvazione della legge di bilancio e poi anche della legge finanziaria. La riforma costituzionale dell’articolo 81, operata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale” – principio poi declinato nel corpo della legge nei termini di “equilibrio del bilancio” – viene collocata nel quadro istituzionale e normativo europeo che ne ha condizionato profondamente la genesi e i contenuti. Viene dato sommariamente conto anche delle modifiche apportate ad altri articoli della Costituzione al fine di assicurare l’equilibrio dei bilanci pubblici, nonché dei contenuti della legge 24 dicembre 2012, n. 243, c.d. legge rinforzata, che ha dato attuazione alla legge costituzionale n. 1 del 2012. Si evidenzia in particolare come la riforma affronti un tema – l’espansione del debito pubblico – che ha risalenti radici nella storia della Repubblica. L’applicazione della riforma costituzionale – anch’essa profondamente legata alle parallele vicende europee e in particolare dell’Unione monetaria – è affrontata con riferimento all’attività del Governo e del Parlamento, all’esercizio dell’azione di controllo del Presidente della Repubblica e alla giurisprudenza della Corte costituzionale.

Parole chiave: pareggio di bilancio, equilibrio di bilancio, debito pubblico, flessibilità del bilancio

 

  1. L’articolo 81 alla Costituente

Il testo originario dell’articolo 81 della Costituzione fu elaborato piuttosto rapidamente dai costituenti e non dette adito a discussioni accese o particolarmente complesse[1]. L’Assemblea costituente manifestò orientamenti in sostanziale continuità con l’esperienza statutaria per quanto riguarda il procedimento di formazioni del bilan cio dello Stato e i relativi contenuti[2]. Secondo un’opinione ampiamente condivisa, la Costituzione non ha recepito una teoria o dottrina economica determinata né posto alcun vincolo di contenuto o limite quantitativo alle politiche di bilancio[3]. I costituenti assegnarono alla disciplina costituzionale del bilancio un compito assai più limitato, rimanendo nel solco della configurazione tradizionale della materia. Era tuttavia loro intenzione, come si chiarirà in seguito, porre con essa un freno all’espansione incontrollata della spesa pubblica e favorire l’approvazione di bilanci in pareggio. L’articolo è collocato nella Parte seconda, Ordinamento della Repubblica, Sezione II, La formazione delle leggi, della Costituzione e rivela come la prospettiva fondamentale con la quale fu affrontato il tema del bilancio attenesse ai rapporti tra Governo e Parlamento. Del resto, come è noto, la legge di bilancio è storicamente all’origine della nascita dei parlamenti e del graduale affermarsi del loro ruolo nei confronti dei governi. Il testo dell’articolo fu già quasi compiutamente definito nell’ambito della Commissione dei 75, sulla base del lavoro redazionale svolto dalla II Sottocommissione, anche giovandosi di un’istruttoria condotta da una Commissione tecnica istituita presso il Ministero a supporto dell’Assemblea costituente. Il tema più dibattuto riguardò quello che poi sarebbe divenuto il quarto comma dell’articolo 81 (“Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”). Si discusse infatti preliminarmente se riservare, come poi effettivamente avvenne, al Governo l’iniziativa in materia di bilancio. L’iniziativa parlamentare fu quindi circoscritta alle “altre leggi” che dovevano peraltro, secondo una prima formulazione proposta da Ezio Vanoni e Costantino Mortati, “provvedere ai mezzi necessari” per fronteggiare le maggiori spese che la loro approvazione avrebbe determinato. Il testo poi approvato fu proposto come soluzione di mediazione da Einaudi che così si espresse in merito all’iniziativa parlamentare: “L’esperienza ha dimostrato che è pericoloso riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché, mentre una volta erano esse che resistevano alle proposte di spesa da parte del governo, negli ultimi tempi spesso è avvenuto che proprio i deputati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza neanche rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle[4]. La formulazione in un primo momento individuata apparve tuttavia troppo rigorosa e si preferì sostituire il “dovere di provvedere” con quello di “indicare” i mezzi per la copertura delle spese, adottando una formulazione meno puntuale e peraltro già fatta propria dall’articolo 43, comma 3, della legge sulla contabilità di Stato (R.D. n. 2440 del 1923). L’Assemblea apportò al testo una sola modificazione relativa all’esercizio provvisorio disciplinato al secondo comma (“L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi”) che venne previsto potesse essere concesso non per una sola volta per non più di quattro mesi ma per “periodi non superiori” ai quattro mesi, volendo in tal modo evitare che, prudenzialmente, venisse autorizzato l’esercizio provvisorio per il periodo massimo consentito, anche quando la situazione era in grado di sbloccarsi in data antecedente. Significativa della sensibilità prevalente – ed espressione di una notevole dose di preveggenza (ma anche di scarsa consapevolezza dei limiti della formulazione normativa) – è la risposta che l’on. Ruini diede in Assemblea all’on. Buffono, intenzionato a sopprimere il terzo comma (“Con la legge di approvazione del bilancio non si possono istituire nuovi tributi e nuove spese”): è “una norma di correttezza contabile, ammessa nei paesi più ordinati, che sia tolta la possibilità di varare, confondendola con i bilanci, omnibus di provvedimenti anche tributari…la Camera, discutendo il bilancio, potrà aumentare o diminuire le cifre dei capitoli; ma non aumentare o modificare le imposte, che sono autorizzate da apposite leggi, e neppure alterare la legge generale di autorizzazione delle spese. L’aumento delle spese in bilancio dovrà avvenire nei limiti di tale legge[5]. L’on. Vanoni appoggiò questa tesi e precisò che la norma era una garanzia della tendenza al pareggio del bilancio[6], aggiungendo che il Governo doveva avere la preoccupazione che il bilancio fosse in pareggio e che la stessa esigenza non poteva essere trascurata da una qualsiasi forza che si agiti nel Paese e che avanzi proposte che importino maggiori oneri finanziari.

  1. La natura del bilancio tra forma e sostanza

Per quanto riguarda il primo comma dell’articolo 81 come definito dall’Assemblea costituente (“Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo”), si desumono immediatamente il principio dell’annualità del bilancio e la riserva al Governo dell’iniziativa legislativa in materia di bilancio che si estende anche al rendiconto. L’impiego del termine bilanci al plurale si spiega con la circostanza che, sino all’approvazione della legge n. 62 del 1964, si procedeva con leggi distinte all’approvazione dello stato di previsione dell’entrata e dei singoli stati di previsione relativi ai Ministeri. A partire da quella data emerge con ancora maggiore chiarezza il principio dell’unità del bilancio dello Stato, approvato con un solo atto legislativo. A tale principio sono strettamente connessi quelli di integrità e di universalità del bilancio. Al fine di assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese è infatti necessario che tutte le spese e tutte le entrate siano iscritte in bilancio (principio di integrità) e siano in linea di principio da ritenersi vietate le gestioni di fondi fuori bilancio (principio di universalità). L’universalità subisce tuttavia delle eccezioni in casi che devono essere previsti e regolati dalla legge. La riserva alle Camere dell’approvazione del bilancio va intesa in senso particolarmente rigoroso. Si tratta infatti di un rinvio alla legge formale che esclude la possibilità di procedere attraverso un decreto-legge o una legge di delegazione. Inoltre, l’articolo 72, quarto comma, della Costituzione prescrive che per l’approvazione di “bilanci e consuntivi” si segua sempre il procedimento legislativo ordinario (c.d. riserva d’Assemblea), con esclusione quindi dell’approvazione da parte delle Commissioni in sede legislativa o redigente. La riserva d’Assemblea deve ritenersi estesa anche alla legge di autorizzazione all’esercizio provvisorio che svolge una funzione analoga alla legge di bilancio ed è prevista dal secondo comma dell’articolo 81 nel caso di mancata approvazione di quest’ultima. Il bilancio da prendere a tal fin in considerazione, almeno a partire dalla scelta operata dall’articolo 16, co. 2, della legge n. 468 del 1978 è quello dell’esercizio successivo, ancora in corso di approvazione e non quello dell’esercizio precedente che risulta oramai un dato storico, non necessariamente attuale sul piano contabile. Nel corso dell’esercizio provvisorio il Governo è autorizzato ad effettuare le spese e ad incassare le entrate per tanti dodicesimi quanti sono i mesi per i quali l’esercizio è stato concesso. Il ricorso a tale istituto è stato frequente sino all’adozione della legge n. 362 del 1988[7] che ha dato un forte contributo alla razionalizzazione delle procedure di bilancio.

Il comma terzo dell’articolo 81 aveva posto il problema se considerare la legge di bilancio una legge in senso meramente formale, come suggerirebbe la definizione di “legge di approvazione del bilancio”. Il bilancio avrebbe, secondo questa tesi, le caratteristiche di un “conto” e quindi di un atto amministrativo predisposto dal Governo il quale, in virtù dell’approvazione parlamentare, acquista la forma della legge. Tale era la concezione del bilancio secondo la teoria c.d. formale – sostanziale, consolidatasi nel diritto pubblico italiano nella seconda metà del XIX secolo, che vede nel procedimento di approvazione del bilancio una deroga al principio della divisione dei poteri, distinguendo tra titolarità formale del potere ed esercizio materiale dello stesso.[8] La prima giurisprudenza costituzionale, si veda la sentenza n. 7 del 1959, è apparsa in effetti aderire alla tesi della natura della legge di bilancio come legge meramente formale priva della capacità di innovare all’ordinamento giuridico. Secondo questo orientamento[9] nel bilancio potrebbero essere iscritte esclusivamente le entrate e le spese che hanno il loro fondamento in una legge precedente, essa si avente natura sostanziale. Secondo un’opinione largamente diffusa il bilancio doveva in ogni caso rivestire un grado di innovatività della legislazione sostanziale estremamente limitato. Ben presto venne peraltro messa in luce l’incompatibilità di una simile teoria con la Costituzione repubblicana[10] che individuava le fonti di livello primario, determinandone la capacità di innovare l’ordinamento e di resistere alle modifiche secondo criteri formali e uniformi, per ogni tipo di fonte e quindi innanzitutto per la legge. Inoltre, la teoria in questione veniva ad essere smentita dagli stessi contenuti assunti in concreto dalla legge di bilancio ove si riscontrava, ad esempio, la presenza dei c.d. fondi globali, volti a garantire la copertura delle leggi da adottare nel corso dell’esercizio finanziario, nonché capitoli il cui stanziamento veniva determinato di anno in anno dalla stessa legge di bilancio e non risultava quindi stabilito in precedenza da un’altra legge.

 

  1. L’articolo 81 alla prova delle dinamiche economiche e sociali

L’autorevolezza e il comune retaggio culturale dei costituenti più influenti riguardo alla materia del bilancio consentirono, come detto, di giungere piuttosto agevolmente a soluzioni condivise. Questo favorì, in una prima fase, un’interpretazione sostanzialmente uniforme degli enunciati costituzionali. Dai lavori preparatori si ricava in particolare il convincimento che una puntuale applicazione del terzo e del quarto comma dell’articolo 81 avrebbe consentito l’approvazione di bilanci in sostanziale pareggio e il cui equilibrio, in virtù del quarto comma, non sarebbe stato inciso dalla legislazione successiva. Questo senza, come è stato a suo tempo sottolineato, che dal dettato costituzionale discendesse un vincolo giuridico al pareggio, un esito quest’ultimo delle procedure di bilancio rimesso alla volontà politica di Governo e Parlamento.[11] I costituenti non potevano tuttavia prevedere il potente impatto che lo Stato sociale – disegnato da una Costituzione rigida, prodiga nel riconoscimento di tutele e di diritti sociali – unitamente alla fragilità del quadro politico-istituzionale che richiedeva di prevenire l’affermazione di forze antisistema, avrebbero avuto sull’azione di governo, determinando una forte pressione sulla finanza pubblica. Tale processo si svolse con una certa gradualità e comunque senza creare significativi squilibri sino agli anni settanta, quando il deteriorarsi del quadro economico internazionale e la venuta al pettine di alcuni nodi del modello di sviluppo interno cominciarono ad alterare vistosamente gli equilibri di bilancio. L’attuazione del testo costituzionale è risultata nel complesso fortemente condizionata dalle diverse fasi della vita economica e sociale del Paese che hanno fatto via via emergere nuove e mutevoli esigenze. In sintesi può osservarsi come la disciplina costituzionale sia risultata sufficientemente elastica per adattarsi alle dinamiche sociali ed economiche ma non in grado di assicurare quella capacità di tenuta, in termini di salvaguardia degli equilibri finanziari, auspicata dai costituenti di maggiore autorevolezza. I primi nodi vennero al pettine già agli inizi degli anni ’60, mettendo in luce le difficoltà che si profilavano nel perseguire quella “tendenza al bilancio in pareggio” che i costituenti ritenevano di aver salvaguardato tramite il disposto costituzionale. Cominciò a risultare evidente come il bilancio consentisse di introdurre modifiche significative, soprattutto di carattere quantitativo, alla legislazione di entrata e di spesa. Una volta ammessa la natura sostanziale della legge di bilancio, si pose il problema dell’emendabilità della stessa nel corso dell’esame parlamentare. Emendabilità destinata nel tempo a favorire una forte crescita della spesa pubblica, nonostante i limiti ad essa posti dalle peculiari caratteristiche della legge di bilancio che impediscono, ad esempio, di modificare l’importo delle unità di base del bilancio quando i relativi importi sono determinati da leggi sostanziali preesistenti[12]. Peraltro, l’ammontare di numerosi stanziamenti contenuti nel bilancio, come mise in evidenza anche la sentenza della Corte costituzionale 10 gennaio 1966, n. 1, non sono determinati nel loro esatto ammontare da una legge preesistente e, in tali casi, deve ritenersi ammissibile la loro modifica in sede parlamentare. Mentre, infatti, talune leggi di spesa stanziano un determinato ammontare di risorse che viene riportato in bilancio, altre rinviano al bilancio la determinazione annuale del relativo stanziamento. Va inoltre considerato come le stesse spese configurate dalla legge come obbligatorie vadano quantificate sulla base di valutazioni fondate su elementi tecnici che non è da escludere possano essere oggetto di opinioni divergenti e non immuni da condizionamenti politici. Come accennato, nel bilancio sono stati inoltre da subito presenti i c.d. fondi globali (poi fondi speciali) che recavano risorse volte a finanziare leggi da approvare nel corso dell’esercizio[13]. La spinta del Parlamento ad una sempre più accentuata emendabilità del bilancio ha trovato ampia soddisfazione, come si vedrà, con l’introduzione, nel 1978, della legge finanziaria. Una altra questione estremamente delicata era la possibilità di includere il ricorso all’indebitamento tra le forme di copertura degli oneri recati dai provvedimenti legislativi da ritenere consentite ai sensi del quarto comma dell’articolo 81. Tale circostanza era suscettibile di accrescere i saldi di bilancio creando spazi aggiuntivi per prevedere maggiori oneri finanziari. Sul punto la dottrina[14] e la stessa giurisprudenza costituzionale si orientarono ben presto nel senso della compatibilità costituzionale, rivelando chiaramente come fosse tutt’altro che insuperabile l’argine che i costituenti avevano ritenuto di porre all’espansione della spesa pubblica. La tendenza all’aumento della spesa indusse per altro verso la Corte costituzionale a chiarire, con la sentenza 18 maggio 1959, n. 30, e più diffusamente con la sentenza 10 gennaio 1966, n. 1, che quando una spesa non prevista in bilancio incide, non solo sull’esercizio in corso, ma anche su quelli futuri, la legge che la prevede dovrà ottemperare all’obbligo costituzionale di indicare i mezzi di copertura per tutto il periodo interessato, sia pure con modalità meno rigorose per quanto riguarda gli esercizi futuri.

 

  1. La legge n. 468 del 1978 e la razionalizzazione dei rapporti tra Governo e Parlamento nella gestione della finanza pubblica

Nel corso degli anni ’70, a fronte di un massiccio ricorso alla spesa pubblica per garantire la pace sociale e isolare il terrorismo, crebbe la consapevolezza della necessità di una razionalizzazione del rapporto tra Governo e Parlamento nella gestione della finanza pubblica. La chiave fu individuata, con la legge n. 468 del 1978, “Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”, in una programmazione finanziaria orientata a riconoscere un ruolo di guida al Governo e al Parlamento un ruolo di controllo con l’obiettivo di assicurare un più efficace impiego delle risorse disponibili. Al bilancio annuale venne affiancato un bilancio pluriennale, destinato a coprire un orizzonte temporale variabile dai tre ai cinque anni, redatto in termini di competenza e destinato ad essere aggiornato annualmente prendendo in considerazione l’ulteriore anno compreso nel periodo di programmazione. Il bilancio pluriennale rivestiva essenzialmente un significato politico non comportando, a differenza del bilancio annuale, l’autorizzazione a riscuotere entrate e ad effettuare spese. La legge n. 468 precisò inoltre che il bilancio, con riferimento a ciascun capitolo (l’unità elementare del bilancio) andava redatto sia in termini di competenza – indicando l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare e l’ammontare della spesa che si prevede di incassare – che in termini di cassa – indicando l’ammontare delle entrate che si prevede di incassare e delle spese che si prevede di effettuare, ponendo così un duplice vincolo in materia di spesa all’autorità amministrativa competente alla gestione del bilancio annuale. Ma la novità più qualificante e gravida di conseguenze della legge n. 468 del 1978 fu l’introduzione della legge finanziaria, lo strumento attraverso il quale si svolle ampliare notevolmente il tasso di innovazione dell’ordinamento giuridico consentito alla “decisione di bilancio”, in modo da potere compiutamente effettuare una manovra annuale di finanza pubblica. Era divenuta oramai evidente l’inadeguatezza della legge di bilancio, proprio in ragione del limite posto dal terzo comma dell’articolo 81, a garantire la governabilità di un sistema economico di crescente complessità, sempre più coinvolto nelle dinamiche internazionali, interessato da mutamenti strutturali e alle prese con una difficile congiuntura.  Della legge finanziaria veniva individuato un contenuto necessario e un contenuto eventuale. Il primo comprendeva: a) l’indicazione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario, volto a stabilire l’ammontare delle risorse da destinare a copertura del complesso degli oneri da iscrivere nel bilancio annuale; b) la fissazione degli importi degli accantonamenti da inserire nei fondi speciali, con i quali fare fronte alle spese derivanti dai progetti di legge destinati ad essere approvati nel corso dell’esercizio finanziario; c) la determinazione delle quote destinate a gravare su ciascuno degli anni compresi nel bilancio pluriennale delle leggi di spesa che, nel disporre spese a carattere pluriennale, si limitano ad indicare l’onere relativo al primo anno di applicazione e l’onere complessivo e demandano alla legge finanziaria la ripartizione dell’onere sugli altri anni compresi nel bilancio pluriennale. Mentre il contenuto necessario riguardava snella sostanza aspetti tradizionalmente propri della legge di bilancio, il contenuto eventuale conferiva alla legge finanziaria un carattere fortemente innovativo[15], rendendo possibile ogni sorta di modifica ed integrazione a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio dello Stato, su quelli delle aziende autonome e su quelli degli enti che si ricollegano alla finanza statale, purché finalizzate ad “adeguare le entrate e le uscite” di tali bilanci “agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio annuale e il bilancio pluriennale”. Una finalità quindi estremamente generica e assai poco vincolante il legislatore. Esaminata alla luce dell’articolo 81, la legge finanziaria non è altro che la concentrazione in un unico strumento dei compiti che il disposto costituzionale ripartisce tra la legge di bilancio (terzo comma) e le altre leggi recanti nuove o maggiori spese (quarto comma). Se la parte necessaria, di natura quantitativa, poteva in buona sostanza ricondursi al contenuto della legge di bilancio, la parte eventuale della legge finanziaria la rendeva potenzialmente aperta a qualsiasi contenuto innovativo della legislazione vigente sul versante delle spese e su quello delle entrate. La fondamentale distinzione tra bilancio e legislazione di spesa che secondo la visione dei costituenti doveva assicurare un’equilibrata gestione della finanza pubblico veniva in tal modo superata. Inoltre, mentre nel disegno costituzionale le leggi di spesa dovevano indicare i mezzi di copertura nel quadro del bilancio approvato, la legge finanziaria, fissando nella sua prima parte in modo discrezionale il livello del ricorso al mercato, era potenzialmente in grado di assicurare copertura a qualsiasi genere di spesa. Come si verificherà anche in occasione dell’adozione di analoghi provvedimenti quadro in materia di economia e finanza pubblica, la legge nacque da un’intesa tra Governo e Parlamento nonché tra la maggioranza e le opposizioni parlamentari. Il Parlamento, in continuità con la riforma dei Regolamenti del 1971, cominciò a dotarsi degli strumenti e delle risorse per svolgere un ruolo effettivo in materia economico-finanziaria e per verificare in profondità le scelte e le proposte del Governo. L’ambizione era quella di svolgere un ruolo di indirizzo tale da garantire la regia della politica economica attraverso la definizione dei saldi di finanza pubblica e l’individuazione dei grandi obiettivi strategici[16]. In questo modo, si voleva dotare la politica di bilancio di uno sguardo lungo, proiettato nel medio e nel lungo termine, e allo stesso tempo in grado di valutare gli effetti delle scelte compiute sull’intero sistema economico e sociale. A tal fine, nel 1983 e nel 1985, furono modificati i regolamenti di Camera e Senato per istituire la sessione di bilancio in cui svolgere l’esame congiunto della legge finanziaria e della legge di bilancio, concentrando i lavori parlamentari, salvo rarissime eccezioni, esclusivamente sulla materia economico-finanziaria e prevedendo un rigoroso contingentamento dei tempi in modo da evitare il ricorso all’esercizio provvisorio.

  1. Un tentativo di arginare il debito: la legge n. 362 del 1988.

Trascorso un decennio, si avvertì nuovamente l’esigenza di intervenire con la legge 23 agosto 1988, n. 362, “Nuove norme in materia di bilancio e di contabilità di Stato”, sviluppando ulteriormente la dimensione della programmazione economico-finanziaria e precisando i ruoli di Governo e Parlamento. La necessità di un nuovo intervento riformatore derivava dalla ripetuta approvazione di leggi finanziarie c.d. omninibus, contenenti disposizioni onerose di ogni tipo, favorita dalla prassi di approvare per ultima la disposizione che fissava i saldi complessivi di bilancio[17]. Ciò evidenziava come la legge finanziaria, concepita come strumento di attuazione di strategie e di obiettivi generali, fosse in concreto divenuta lo strumento, non solo per porre in essere la manovra finanziaria, ma anche per la tutela di ogni tipo di interesse e per l’accoglimento di ogni istanza, spesso di natura localistica e microsettoriale, con riflessi sul bilancio dello Stato.

Proseguiva in tale quadro la crescita del debito pubblico che rendeva necessaria un’ulteriore iniziativa riformatrice, volta ad una maggiore responsabilizzazione del Parlamento e al riconoscimento di un ruolo più incisivo al Governo, peraltro non certo privo di responsabilità riguardo allo stato della finanza pubblica. A tal fine il contenuto eventuale della legge finanziaria venne sostanzialmente limitato alla “regolazione quantitativa” delle leggi di spesa e di entrata al fine di adeguarne gli effetti finanziari agli obiettivi della manovra, mentre restava ad essa precluso “introdurre nuove tasse, imposte e contributi” ovvero “disporre nuove o maggiori spese”. Il tentativo era evidentemente quello di recuperare la funzione assegnata dal costituente al comma 3 dell’articolo 81, disposizione nei fatti elusa proprio attraverso il ruolo assunto dalla legge finanziaria. Modifiche della legislazione di altra natura dovevano confluire nei disegni di legge collegati alla manovra finanziaria e destinati ad essere approvati dal Parlamento in connessione con essa. Nella stessa direzione andava l’anticipata fissazione attraverso il DPEF (Documento di programmazione economico-finanziaria), da approvare a maggio, dei saldi di finanza pubblica nel rispetto dei quali la legge di bilancio e la legge finanziaria dovevano a quel punto articolarsi, a partire dalla definizione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario. Era evidente la preoccupazione del legislatore di favorire un più accentuato controllo dell’evoluzione della spesa pubblica, limitando la crescita del deficit e del debito pubblico. Si volle tra l’altro rafforzare il contenuto tecnico dell’esame parlamentare dei documenti di bilancio ed incrementare la trasparenza dell’intero procedimento. Di particolare rilievo fu la disciplina del DPEF che, oltre a fissare i saldi-obiettivo, doveva contenere una serie di informazioni di natura tecnica. Va segnalata inoltre la previsione di una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti per materia, verificata dal Ministero dell’economia e delle finanze – nella prassi dalla Ragioneria generale dello Stato – che da quel momento in poi accompagnerà tutti i provvedimenti normativi, emendamenti governativi inclusi, recanti oneri finanziari. Attraverso la relazione tecnica la Ragioneria generale verifica l’esatta quantificazione dell’onere e la correttezza della copertura finanziaria dei provvedimenti normativi sulla base di metodologie e criteri uniformi che sono venuti progressivamente affinandosi e consolidandosi. Il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, veniva assicurato dalla legge n. 362 anche attraverso l’indicazione tassativa di quattro modalità di copertura finanziaria delle leggi recanti nuove o maggiori spese ovvero minori entrate. L’utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali previsti nella legge di bilancio per le spese correnti e in conto capitale, la riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, le modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate e la copertura a carico o mediante riduzione di disponibilità formatesi su capitoli non relativi a spese di natura obbligatoria (questa forma di copertura non fu più consentita a partire dal 1996), divennero le uniche forme di copertura ammesse e validate attraverso le relazioni tecniche. In ambito parlamentare, relazioni tecniche venivano predisposte per le Commissioni bilancio in merito a tutti i provvedimenti e gli emendamenti di carattere oneroso ai fini dell’espressione del parere di competenza.

I regolamenti parlamentari hanno assicurato una particolare efficacia a tali pareri e gli stessi, nei casi in cui sono adottati al fine di garantire il rispetto del quarto comma dell’articolo 81, qualora vengano disattesi, impediscono la conclusione dell’esame dei progetti di legge nelle Commissioni in sede redigente e deliberante con conseguente remissione all’Aula. Nell’eventualità che fosse invece l’Assemblea a violare l’articolo 81 disattendendo un parere delle Commissioni bilancio, sono previsti significativi aggravi di carattere procedurali in modo da disincentivare i comportamenti trasgressivi.  I regolamenti parlamentari hanno inoltre disciplinato l’esame del DPEF da parte di tutte le Commissioni parlamentari, attribuendo un ruolo referente alla Commissione bilancio e all’’Assemblea il compito di adottare una risoluzione di indirizzo al Governo; nonché la verifica del contenuto proprio della legge finanziaria da parte del Presidente del ramo del Parlamento ove ha inizio l’esame, con connesso potere di stralcio, previo parere della Commissione bilancio, delle disposizione estranee all’oggetto della legge stessa. Sempre attraverso i regolamenti, è stato introdotto un più rigoroso regime di ammissibilità degli emendamenti e sono stati resi ammissibili solo quelli predisposti, alla luce del contenuto delle relazioni tecniche di cui si è detto o in ogni caso dei pareri della Ragioneria generale dello Stato, nel rispetto delle regole di copertura stabilite dalla legislazione vigente per la legge di bilancio e per la legge finanziaria nonché quelli di contenuto conforme all’oggetto di tali leggi. In considerazione dello spessore tecnico assunto dalle procedure di bilancio, le Camere hanno istituito i Servizi bilancio dello Stato, specializzati nell’esame dei documenti di bilancio e delle relazioni tecniche prodotte dalla Ragioneria generale dello Stato.

Un’ulteriore novità introdotta dalla legge n. 362 sono stati i disegni di legge collegati alla legge finanziaria[18], strumento funzionale a rendere compatibile una legge finanziaria asciutta con la produzione delle norme necessarie ad attuare la manovra finanziaria nei diversi settori interessati. Il legislatore, tuttavia, ha dettato una disciplina molto stringata e anche i regolamenti parlamentari forniscono poche indicazioni in merito a questa tipologia di disegni di legge che dovevano consentire di conseguire gli obiettivi della manovra, avere priorità nell’esame parlamentare ed essere indicati nel DPEF “come risultante dalle risoluzioni parlamentari” e quindi individuati con il contributo delle Camere. I provvedimenti di tal genere sono variati negli anni per numero e contenuto, assolvendo a funzioni diverse. Sono stati approvati in alcuni casi nel corso della sessione di bilancio, in altri a lunga distanza di tempo e in altri ancora non sono stati nemmeno presentati. La legge n. 362 del 1988, nei primi anni di applicazione, si rivelò effettivamente in grado di rendere più ordinata e conforme ai principi stabiliti dall’articolo 81 la manovra finanziaria. A partire dal 1992 (e sino al 1998), unitamente al disegno di legge di bilancio e al disegno di legge finanziaria, il Governo presentò alle Camere, oltre a provvedimenti collegati fuori sessione, anche un disegno di legge collegato da approvare nell’ambito della sessione di bilancio in quanto necessario ad assicurare la copertura degli oneri recati dalla legge finanziaria. Il provvedimento in questione non presentava i limiti di contenuto della legge finanziaria e poteva introdurre ogni tipo di modifica alla legislazione di spesa e di entrata[19].

 

  1. L’avvento del “vincolo esterno” e i persistenti profili critici sul versante interno

Il 1992, oltre ad essere l’anno della crisi valutaria, è anche l’anno della sottoscrizione del Trattato di Maastricht che avvia il processo di adozione della moneta unica e introduce i noti parametri – il 3 e il 60 per cento in rapporto al PIL – per il disavanzo e il debito pubblico. Con il Trattato si intendeva promuovere la convergenza tra le economie dell’Unione europea, avviando la realizzazione di un’area comune basata su mercati aperti e in libera concorrenza, con l’obiettivo di perseguire una crescita sostenibile e non inflazionistica e di preservare l’equilibrio delle finanze pubbliche. A livello nazionale si pose l’accento sulla sopravvenienza di un vincolo esterno che limitava l’iniziativa di Governo e Parlamento in materia di bilancio. La circostanza che, per la prima volta, l’Italia dovesse rispettare dei precisi limiti alla crescita del deficit e del debito, sembrò, paradossalmente, alimentare la convinzione che l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici richiedesse un impegno minore rispetto al passato, essendo a tal fine garanzia sufficiente l’approdo europeo. Minore attenzione venne invece posta sull’impianto complessivo del Trattato e sulla necessità di adottare, a livello nazionale, quelle riforme necessarie ad affrontare le cause dell’instabilità finanziaria e a favorire il processo di integrazione a livello economico e politico, così da consentire all’Italia di partecipare da protagonista alla nuova fase della costruzione europea. Subito dopo aver conseguito l’obiettivo dell’ingresso nell’Euro, con la legge n. 208 del 1999, viene nuovamente modificato il contenuto della legge finanziaria la quale non deve più limitarsi a recare misure quantitative, ma può dettare disposizioni di natura sostanziale, anche con effetti negativi per la finanza pubblica, purché il relativo contenuto sia “finalizzato direttamente al sostegno o al rilancio dell’economia”, finalità quest’ultima che risulta evidentemente assai difficile accertare in maniera oggettiva. Tornano quindi nuovamente ad allargarsi i confini della legge finanziaria con le conseguenze che subito esamineremo. Questo si verifica quando, a livello europeo, nel 1997, era stato varato il Patto di stabilità e crescita che aveva introdotto, con la procedura per disavanzo eccessivo del c.d. braccio correttivo, il criterio del pareggio di bilancio: il disavanzo, oltre ad essere inferiore al 3%, doveva tendere nel medio termine allo zero. Nel tentativo di circoscrivere comunque il contenuto della legge finanziaria, veniva escluso che essa potesse contenere disposizioni “a carattere ordinamentale ovvero organizzatorio”, a meno che esse “si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi”, nonché “interventi di carattere localistico o microsettoriale”, anche se finalizzati alla crescita economica. Gli argini posti in tal modo ai contenuti della legge finanziaria  – e che evidenziano, sia detto per inciso, la consapevolezza da parte del legislatore dei tradizionali distorsioni e sviamenti delle procedure di bilancio – si rivelarono ben presto assai fragili ed essa divenne nuovamente lo strumento per veicolare una molteplicità di interventi onerosi, di matrice governativa e parlamentare, espressione assai spesso, a dispetto del dettato legislativo, di micro interessi e di istanze localistiche. La legge finanziaria si arricchisce ogni anno in corso d’opera con la votazione di una pluralità di emendamenti dai contenuti più diversi che risulta impossibile sottoporre ad un’adeguata istruttoria parlamentare e che vengono valutati essenzialmente, sotto il profilo tecnico-finanziario e amministrativo, attraverso i pareri della Ragioneria generale dello Stato, chiamata peraltro ad esprimersi in termini estremamente brevi. L’esercizio del potere di stralcio e le valutazioni di ammissibilità degli emendamenti, anche perché non immuni da condizionamenti politici, risultano spesso poco incisivi nel limitarne il contenuto. Questo comporta la necessità per il Governo, al fine di evitare l’esercizio provvisorio, di porre frequentemente la questione di fiducia, sovente su un maxi emendamento composto da un articolo che incorpora l’intero contenuto (o gran parte di esso) della legge. Ciò determina la compressione oltre misura dell’esame in Assemblea e solleva fondate perplessità circa la compatibilità di un simile modo di procedere con l’articolo 72 della Costituzione. Nella stessa Commissione bilancio non risulta spesso possibile completare la valutazione degli emendamenti presentati ed a volte l’esame si conclude senza neanche conferire il mandato al relatore. A fronte delle obiezioni di ordine costituzionali sollevate dentro e fuori il Parlamento, si è affermata la prassi secondo la quale il maxi emendamento del Governo deve recepire il testo approvato dalla Commissione bilancio in sede referente e non può contenere norme non valutate in quella sede, oltre a dover essere sottoposto al parere della medesima Commissione perché ne valuti i profili di copertura finanziaria prima di essere posto in votazione (c.d. procedura Pera dal nome del Presidente del Senato pro tempore). Un accorgimento che attenua, ma certo non cancella, la forzatura del dettato costituzionale che un simile iter procedimentale comporta. L’affermazione, a partire dal 2004, del ricorso ai maxiemendamenti rappresenta il sintomo più evidente della crisi del processo di riforma delle procedure di bilancio che aveva caratterizzato gli anni ’80 e ’90, per poi registrare una regressione proprio in coincidenza con l’ingresso dell’Italia nell’euro. Tra l’altro, un simile andamento della sessione di bilancio comporta il sacrificio del principio della responsabilità politica, determinando una confusione di ruoli tra Governo e Parlamento. Se, infatti, come è stato osservato, il ripetuto ricorso alla questione di fiducia nel corso dell’esame della legge finanziaria è il sintomo del ruolo predominante svolto dal Governo nelle procedure di bilancio[20], va rilevato come lo stesso Governo, per giungere all’approvazione dei documenti di bilancio entro il 31 dicembre in modo da evitare l’esercizio provvisorio, debba consentire l’approvazione di un numero considerevole di emendamenti di origine parlamentare, presentati da esponenti della maggioranza ma anche dell’opposizione, alimentando ulteriormente l’espansione della spesa pubblica e conferendo alla manovra finanziario un carattere disorganico e frammentato.

La prevalenza del Governo rispetto alle decisioni di finanza pubblica emerge anche dal frequente ricorso in materia a decreti-legge che tendono di fatto a prendere il posto dei disegni di legge collegati che garantivano un ruolo più rilevante al Parlamento. Tale fenomeno, vede l’affermazione dei c.d. decreti “collegati di sessione” e di quelli “correttivi dei saldi” e il cui inizio si  può datare al 2001[21], appare peraltro favorito anche all’incapacità delle Camere, nonostante alcune specifiche previsioni regolamentari peraltro di contenuto piuttosto indeterminato, di garantire ai disegni di legge collegati delle reali corsie preferenziali, così da renderli strumenti effettivamente funzionali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Un caso estremo di tale tendenza è rappresentato dal decreto-legge n. 112 del 2008 che non solo conteneva la manovra economica triennale, ma anticipava all’estate la manovra finanziaria. Nel corso di un esame disordinato e confuso segnato dalla presentazione di centinaia di emendamenti di origine governativa, il provvedimento, ridotto ad un unico articolo di 718 commi, venne approvato in poco più di quaranta giorni attraverso la posizione di tre questioni di fiducia. Da questo momento in poi, la legislazione economico-finanziaria è stata quasi sempre esaminata in un clima e con procedure di emergenza.

 

  1. La crisi economica finanziaria del biennio 2008-2009 e i suoi riflessi sui debiti sovrani

La crisi economica finanziaria del biennio 2008-2009 interviene dunque in una fase piuttosto critica delle procedure di bilancio. Per iniziativa del Governo, seguita da un ampio confronto in sede parlamentare, viene approvata una nuova legge di contabilità e di finanza pubblica, la legge n. 196 del 2009, sostitutiva della legge n. 468 del 1978, ancora vigente seppure ripetutamente modificata. Il Documento di economia e finanza prende il posto del Documento di programmazione economica e finanziaria e la legge di stabilità della legge finanziaria. Le variazioni terminologiche segnalano i nuovi orientamenti del legislatore, meno attratto da logiche programmatorie delle attività economiche e preoccupato soprattutto di tutelare la stabilità dei conti pubblici. Un elemento qualificante della legge è l’accentuata corresponsabilizzazione delle regioni e degli enti locali nel perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica “definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione europea” (art. 1, co. 1, della legge n. 196 come sostituito dalla legge n. 39 del 2011). Particolare attenzione viene inoltre posta sul monitoraggio e il controllo della spesa pubblica nonché sulle modalità di copertura degli oneri finanziari recanti dai provvedimenti legislativi.

Innovativa, anche se non valorizzata come avrebbe meritato, risultava inoltre la scelta di riclassificare il bilancio associando i programmi di spesa alle unità di voto parlamentare, in modo di indurre le Camere a concentrarsi sulla valutazione delle politiche pubbliche delle quali i programmi sono espressione[22]. Nel complesso la legge n. 196 risulta orientata a corrispondere alle sollecitazioni delle istituzioni unionali a prestare una maggiore attenzione alla gestione e alla rendicontazione del bilancio e alla corrispondenza dei risultati finanziari alle relative previsioni. L’obiettivo è una riforma delle procedure e dei vincoli di finanza pubblica che garantiscano la stabilità finanziaria e l’adozione di politiche non improntate ad una logica di breve periodo ed ispirate ad una maggior prudenza fiscale. La legge n. 196 è stata successivamente modificata dalla legge n. 39 del 2011 per tenere conto dell’introduzione, a livello unionale, del c.d. semestre europeo con il quale si è inteso stabilire un più stretto coordinamento delle politiche economiche e di bilancio dei Paesi dell’Unione e in particolare tra quelli aderenti alla moneta unica. Viene pertanto prevista la presentazione al Consiglio e alla Commissione europea, entro il 30 aprile di ogni anno, del Programma di stabilità relativo agli andamenti del bilancio nel medio termine e del Programma nazionale di riforma finalizzato alla crescita e all’occupazione che costituiscono la prima e la terza parte del Documento di economia e finanza [23]. Il Ministro dell’economia e delle finanze è chiamato a riferire sulle linee guida di politica economica e di bilancio dell’Unione europea al fine, in particolare, di fornire una valutazione delle loro implicazioni per l’Italia, anche al fine della predisposizione degli anzidetti Programmi. Su questi ultimi si pronuncia la Commissione formulando raccomandazioni specifiche per ogni Stato che vengono approvate dal Consiglio a giugno. I controlli sul rispetto della disciplina preventiva si realizzano proprio attraverso il semestre europeo e in particolare, dopo l’approvazione del Two Pack (regolamenti 472 e 473 del 2013), mediante i progetti di bilancio da presentare alla Commissione entro il 15 ottobre in merito ai quali la stessa Commissione può formulare rilievi e avanzare richieste di modifica.

 

  1. Una riforma costituzionale imposta dalla UE?

La riforma dell’articolo 81, di cui alla legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1, è senz’altro legata alla crisi dei debiti sovrani che nel 2011 aveva toccato il suo apice in Italia mettendo a rischio la stabilità finanziaria. Particolarmente esposti risultavano gli Stati europei, tra i quali il nostro, con un elevato debito pubblico. Per comprendere l’origine e valutare il merito della riforma costituzionale, occorre accennare ai contenuti di quel complesso di provvedimenti assunti in quella fase dall’Unione europea volti a promuovere rigorose politiche di bilancio nel tentativo di rassicurare i mercati finanziari. Nel biennio 2011-2013 le riforme dell’Unione monetaria europea hanno assunto le denominazioni di Six-Pack (5 regolamenti e una direttiva), Two–Pack (due regolamenti), di Patto euro plus e di Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (più noto come Fiscal Compact), provvedimenti normativi dell’Unione i primi e trattati internazionali i secondi. Il Patto euro plus, cronologicamente il primo strumento adottato in ambito UE, fu sottoscritto dai Capi di Stato e di governo della zona euro il 25 marzo 2011. Ad esso hanno successivamente aderito altri membri dell’Unione non aderenti alla moneta unica. Nel Patto era espressamente previsto l’impegno “a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’UE fissate nel patto di stabilità e crescita”, fatta salva “la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale a cui ricorrere” purché presenti “una natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempi costituzione o normativa quadro)”. Alle parti contraenti veniva riconosciuta la facoltà di individuare “anche l’esatta forma della regola…(ad esempio…”freno all’indebitamento”, regola collegata al saldo primario, regola della spesa)”, purché in grado di garantire “la disciplina di bilancio a livello sia nazionale che sub-nazionale”. Al di là degli aspetti tecnici che risulteranno diversi e mutevoli, il Patto individua già la ratio e gli obiettivi perseguiti dagli Stati e dalle istituzioni dell’Unione che verranno confermati anche dagli altri strumenti successivamente adottati con caratteristiche più puntuali e vincolanti. Il Six-Pack ha comportato nel 2011 la riforma del Patto di stabilità e crescita, sia della c.d. parte preventiva, destinata a prevenire il formarsi di deficit eccessivi, sia della c.d. parte correttiva, destinata a correggere i deficit eccessivi una volta che questi si sono formati. Per quanto riguarda le regole della parte preventiva, l’elemento centrale è costituito dall’obiettivo di bilancio a medio termine (OMT)[24] che va calcolato in termini strutturali e coincide con un livello del disavanzo strutturale inferiore all’1% del PIL. Per disavanzo strutturale si intende il saldo nominale di bilancio al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum e straordinarie con effetti solo transitori sul bilancio. L’OMT è specifico per ciascun Paese facente parte dell’Unione monetaria perché tiene conto delle condizioni strutturali dell’economia e dello stato della finanza pubblica e rappresenta l’obiettivo minimo, ferma restando la possibilità per ciascun componente dell’Unione monetaria di darsi un obiettivo più ambizioso. L’Italia, ad esempio, si è data, a partire dal 2005 e sino al 2019, l’obiettivo – mai conseguito – di un saldo strutturale pari a zero. Da quell’anno l’OMT è stato pari a – 0,5% punti di PIL e anche in questo caso non è stato raggiunto. La Germania si è data invece da subito un obiettivo di – 0,5, che consente quindi un margine di indebitamento. Per gli Stati che non hanno ancora raggiunto l’OMT è definito un percorso di avvicinamento all’obiettivo con aggiustamenti minimi annuali dello 0,5% del PIL. Scostamenti dall’OMT o dal percorso di avvicinamento sono consentiti solo al verificarsi di eventi eccezionali o per la realizzazione di riforme strutturali con un impatto positivo rilevante sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche. Va ricordato come, sino al 2005, il saldo di riferimento venisse calcolato in termini nominali, quale semplice differenza tra le entrate e le uscite del complesso delle pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda la c.d. parte correttiva, rispetto alla quale i valori soglia riferiti al PIL sono rimasti il 3%  per quanto riguarda il deficit e il 60% per quanto riguarda il debito,  il superamento della soglia del 3% non comporta di per sé l’esistenza di un “deficit eccessivo”. Se infatti il superamento della soglia è dovuta a misure temporanee oppure al verificarsi di un evento eccezionale non vi è la necessità di effettuare interventi correttivi. Lo stesso vale per il debito pubblico. È possibile che un Paese superi la soglia del 60% ma se ogni anno si registra una diminuzione di 1/20 del debito eccedente non vi sono conseguenze. Più in generale, la procedura per deficit eccessivo non viene avviata dalla Commissione in presenza di una serie di “fattori significativi” (ad esempio, spese per investimenti pubblici, l’attuazione di politiche di crescita adottate nel contesto di strategie comuni, l’impatto di riforme pensionistiche volte a garantire la sostenibilità del sistema nel lungo termine). Il Six Pack ha inoltro introdotto una importante innovazione di carattere procedurale, ridefinendo i rapporti tra Commissione e Consiglio in materia di bilancio. Infatti le proposte della Commissione al Consiglio acquistano efficacia a meno che quest’ultimo non vi si opponga a maggioranza qualificata (regola del c.d. reverse majority voting). In tal modo si è tentato di limitare la discrezionalità politica degli Stati nell’applicazione delle regole di bilancio. Il Fiscal compact, sottoscritto il 2 marzo 2012 e in vigore dal 1° gennaio 2013, è stato stipulato nelle forme di un trattato internazionale – di carattere più stringente rispetto al Patto euro plus – e non di un atto normativo della UE per la ferma opposizione del Regno Unito e della Repubblica Ceca. E’ stato sottoscritto da tutti gli altri Stati membri della UE e reca in massima parte disposizioni già presenti nell’ordinamento dell’Unione, introducendo un limitato numero di impegni aggiuntivi. Gli Stati contraenti con un debito pubblico superiore al 60% del PIL sono vincolati a stabilire un OMT non inferiore a -0,5 punti di PIL (anziché al – 1%) e, in caso di deviazioni superiori allo 0,5% del PIL considerate significative, deve attivarsi automaticamente un meccanismo di correzione definito sulla base di principi comuni individuati dalla Commissione. Secondo il Trattato, la disciplina dell’OMT, unitamente al meccanismo di correzione, deve essere inserito nella normativa nazionale, “preferibilmente a livello costituzionale”. Il rispetto della regola in questione deve inoltre essere monitorato da organismi indipendenti nazionali (i c.d. fiscal council), anch’essi già previsti dalla normativa unionale (in termini generali dalla direttiva 2011/85 UE, parte del Six Pack e dal regolamento 473/2013UE, parte del Two Pack). Il Trattato impegna anche al rispetto della disciplina relativa al livello massimo del debito pubblico e alle modalità di riduzione dell’eccedenza in termini identici alla normativa unionale, nonché a coordinare i piani di emissione del debito. La regola del reverse majority voting viene ribadita a rafforzata prevedendo l’impegno a sostenere le proposte della Commissione a meno che non vi sia una maggioranza qualificata contraria calcolata senza tenere conto del Paese contraente interessato. Il Fiscal compact prevede inoltre che la Commissione o qualunque Stato contraente possa adire la Corte di giustizia e chiedere che venga sanzionata la mancata trasposizione della disciplina dell’OMT (definita regola del pareggio), del meccanismo di correzione e del fiscal council nell’ordinamento nazionale da parte di un altro Stato contraente. Va sottolineato come, ai sensi del Trattato, non possa invece essere sanzionato il mancato rispetto degli obiettivi di disavanzo e di debito come disciplinati nel quadro del Patto di stabilità e crescita, poiché tali condotte rilevano e sono sanzionabili solo nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione europea ai sensi dei regolamenti e delle direttive vigenti. Nel Trattato è tra l’altro contenuto l’impegno – a tutt’oggi disatteso – a trasfonderne il contenuto nell’ordinamento unionale, a conferma dell’eccezionalità e della provvisorietà della scelta operata con il ricorso a tale strumento per disciplinare una materia che, secondo i Trattati istitutivi, rientra nelle competenze dell’Unione europea. Il Fiscal compact ribadisce quindi in massima parte obblighi a cui tutti i Paesi dell’Unione monetaria erano già tenuti in virtù delle normative europee[25]. Lo stesso obbligo di trasposizione dei vincoli europei a livello nazionale, preferibilmente – ma non necessariamente – con norme di livello costituzionale, aveva un precedente nella Direttiva 2011/85EU dell’8 novembre 2011 (facente parte del Six-Pack) che vincolava a recepire con un atto interno le regole di bilancio senza specificarne la forma. La ragione fondamentale sottostante all’adozione del Fiscal compact, scarsamente innovativo rispetto alle normative europee e per molti versi ripetitivo del Patto euro plus – va identificata nell’obiettivo di ristabilire la fiducia dei mercati nella sostenibilità del debito pubblico da parte dei Paesi dell’area dell’euro. L’Italia, il Paese che, dopo la Grecia, risultava il più esposto a manovre speculative e nei confronti del quale si concentra l’attenzione dei mercati, ha ritenuto di assolvere l’impegno in questione con una riforma di livello costituzionale. La scelta di adempiere agli impegni assunti attraverso una riforma costituzionale non era quindi in alcun modo obbligata ed è apparsa il frutto di una valutazione politica condizionata dal costo, sempre più alto e prossimo a divenire insostenibile, al quale l’Italia era costretta a rifinanziare il debito pubblico e dalla conseguente necessità di alimentare la fiducia delle istituzioni europee, degli altri Stati membri e dei mercati nella volontà del Paese di rispettare le regole di bilancio e di intraprendere la via del risanamento della finanza pubblica. Un invito autorevole, la cui singolarità rifletteva la gravità del momento, ad  assumere immediatamente tutte le iniziative utili a contrastare la crisi in atto era contenuto in una lettera, rimasta in un primo momento riservata e poi resa pubblica, che il presidente uscente, Jean Claude Trichet e il presidente entrante della Banca centrale Europea, Mario Draghi, inviarono al Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, il 5 agosto 2011, indicando le misure da adottare “con urgenza” dall’Italia per “rafforzare le reputazione della sua firma sovrana e  il  suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali” ove, dopo la richiesta di una serie di interventi assai incisivi si osservava come “Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringente la regola di bilancio[26]. Nel mese successivo il Governo ha presentato alla Camera un disegno di legge costituzionale in materia che ha dato il via all’iter di approvazione della riforma dell’articolo 81.[27] Già il 30 novembre 2011, la Camera ha approvato in prima lettura la legge costituzionale – nel testo che sarà poi confermato dal Senato – quando nel frattempo, a partire dal 16 novembre, al Governo Berlusconi era subentrato il Governo Monti. Come si è visto il Fiscal compact è stato sottoscritto solo nel marzo del 2012 e quindi in data successiva. Questo attesta il clima di forte preoccupazione per la stabilità finanziaria del Paese che ha indotto tutte le forze politiche ad agire concordemente ancora prima che sorgesse giuridicamente l’obbligo di recepire il Trattato in questione. La riforma costituzionale, oltre al valore contingente di una rassicurazione fornita ai nostri partner in una fase critica per la finanza pubblica, sembra peraltro riflettere anche un più profondo e ampio fenomeno che riguarda l’evoluzione dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento unionale sul quale si tornerà in seguito.

 

  1. La struttura della riforma costituzionale

La trasposizione della c.d. regola del pareggio di bilancio e dei suoi corollari nella Costituzione ha trovato attuazione attraverso fonti normative di diverso livello. Il pareggio di bilancio come definito dalla normativa unionale è, del resto, una regola il cui tasso di complessità, come si è visto, era andato aumentando nel corso dei vari aggiornamenti del Patto di stabilità e crescita, in particolare con le modifiche intervenute a partire dal 2011. Pur essendo infatti la nostra una Costituzione lunga, essa si distingue per una redazione breve ed essenziale dei singoli articoli. Inoltre, la Costituzione non è la sede adatta per indulgere in linguaggi tecnici e specialistici né per cristallizzare normative volte a soddisfare esigenze contingenti. La disciplina del pareggio di livello costituzionale, per quanto ridotta all’essenziale, alla luce degli obiettivi da perseguire e dell’articolazione del testo della Costituzione, non poteva in ogni caso essere collocata esclusivamente nell’articolo 81 della Costituzione vigente. Il legislatore ha quindi articolato la riforma costituzionale su quattro livelli: un’ampia riscrittura dell’articolo 81; la modifica degli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione; una serie di norme di principio di livello costituzionale non destinate a confluire nella Costituzione; la previsione di una legge “rinforzata” da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera volta a stabilire “il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni…nel rispetto dei principi stabiliti con legge costituzionale”, principi contenuti come detto nella stessa legge costituzionale n. 1 del 2012.

 

  1. Il primo e secondo comma del nuovo articolo 81: il principio dell’equilibrio di bilancio

Ai sensi del primo comma dell’articolo 81, “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Il principio del pareggio di bilancio, richiamato nel titolo della legge costituzionale n. 1, viene quindi declinato, nella disciplina costituzionale, nella forma del principio dell’equilibrio di bilancio. Soprattutto per i primi commentatori della riforma costituzionale, tale scelta è sembrata evidenziare una certa confusione concettuale ovvero un’incoerenza del legislatore[28]. In realtà, fare riferimento al più duttile concetto di equilibrio invece che a quello di pareggio, è apparsa la scelta più idonea a assicurare la coerenza della riforma costituzionale alla normativa unionale in materia di bilancio. Dopo la riforma del Patto di stabilità e crescita. intervenuta nel 2005 e poi ulteriormente sviluppata (cfr. par. 8), elemento chiave dell’intera disciplina era divenuto del resto come già osservato il saldo strutturale, ossia il saldo di bilancio depurato dagli effetti del ciclo economico (componente ciclica) e dalle misure una tantum e temporanee che hanno effetti transitori sul bilancio. La “regola di bilancio” risulta in tale quadro rispettata quando è conseguito, ovvero ci si avvicina con la velocità prevista, tenendo conto dei casi in cui sono possibili scostamenti temporanei dal percorso di avvicinamento, all’obiettivo di medio termine (MTO) calcolato attraverso i criteri propri del saldo strutturale, anche se in termini nominali si registra un disavanzo. La norma costituzionale, nel fare riferimento alla nozione di equilibrio, risulta pertanto coerente con le normative europee e gli accordi internazionali più sopra esaminati, che richiedono di tenere conto del contesto recessivo o espansivo dell’economia nazionale, nonché di situazioni eccezionali e particolari, e non consentono di identificare il rispetto della “regola di bilancio” con il pareggio contabile tra le entrate le spese.

Il secondo comma dispone: “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.” individuando in termini generali le due ipotesi in cui è costituzionalmente legittimo ricorrere all’indebitamento. La prima deriva direttamente dall’avere formulato il primo comma in modo tale da poter tenere conto dei criteri di misurazione del saldo strutturale. Ciò comporta che, nelle fasi in cui le condizioni dell’economia peggiorano, sia possibile ricorrere, come previsto dalle regole europee, all’indebitamento, per compensare le diminuzioni delle entrate (si pensi all’IVA) e gli aumenti di spesa legati agli automatismi che presiedono all’operare degli ammortizzatori sociali (si pensi alla cassa integrazione). In questi casi, rinunciare a contrastare gli effetti negativi sull’economia e ricorrere a tagli di spesa o ad aumenti di entrate avrebbe l’effetto di accentuare i cicli economici negativi (c.d. effetti pro ciclici). Il disavanzo di bilancio che in tal modo si determina è destinato ad essere compensato dagli avanzi di bilancio che, per ragioni uguali ed opposte (maggiori entrate e minori spese), si determinano nel caso di ciclo economico positivo, mantenendo, nel tempo, il bilancio in equilibrio. Questo almeno sotto il profilo teorico, perché l’esperienza dimostra come l’alternanza tra cicli economici positivi e negativi con effetti compensativi non sia affatto scontata.

La seconda ipotesi di indebitamento consentito è quella giustificata da “eventi eccezionali”, in tal caso è comunque richiesta l’autorizzazione di ciascuna Camera da adottarsi a maggioranza assoluta dei componenti. La definizione di “eventi eccezionali” – espressione mutuata dalla disciplina del Patto di stabilità e crescita– è fornita dall’articolo 5, comma 1, lettera d), della stessa legge costituzionale n. 1 del 2012, la quale, rifacendosi a sua volta alla normativa europea, identifica tali eventi con le gravi recessioni economiche, le crisi finanziarie e le gravi calamità naturali, rinviando per una disciplina puntuale di tali fattispecie alla legge da adottare a maggioranza assoluta di cui al sesto comma del nuovo articolo 81. I termini “equilibrio di bilancio”, “fasi avverse e fasi favorevoli del ciclo economico”, “eventi eccezionali”, non hanno una valenza giuridica e anche in economia sono suscettibili di assumere diversi significati. Inserire una simile terminologia nel testo costituzionale è tuttavia apparso legato alla scelta di trasporre la “regola di bilancio in Costituzione”, per conformarsi al quadro normativo europeo. E’ proprio alla luce di quest’ultimo e in particolare alla normativa di dettaglio e di natura tecnica del Patto di stabilità e crescita, che appare possibile fornire un’interpretazione univoca e pervenire a una corretta applicazione di tali concetti.

La richiamata duttilità della disciplina costituzionale è peraltro coerente con l’originario art. 81 Cost. ed è stata valorizzata anche dalla giurisprudenza costituzionale. La Corte ha infatti affermato un’interpretazione “dinamica” dell’equilibrio di bilancio, condizionata, cioè, dalla congiuntura e dalle crisi economico-finanziarie, tale per cui il principio dell’equilibrio “consiste nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche[29] attraverso l’impiego delle risorse pubbliche in un ottimale rapporto tra efficienza ed equità rinvolto a garantire “l’equilibrio tendenziale del bilancio[30]. Muovendo da tali assunti, i Giudici costituzionali hanno ravvisato nell’art. 81 Cost. un vero e proprio principio di anticiclicità del bilancio e hanno affermato che le norme costituzionali consentono l’indebitamento per contrastare le fasi avverse del ciclo economico al fine di assicurare le risorse accertate e disponibili per gli investimenti[31].

 

  1. Leggi di spesa e legge di bilancio nel nuovo articolo 81

I commi terzo e quarto innovano profondamente il rapporto tra leggi di spesa e leggi di bilancio come definito dall’assemblea costituente. Il terzo comma prevede che “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. In tal modo anche la legge di bilancio, come ogni altra legge, viene chiaramente assoggettata all’obbligo di copertura. Risulta quindi del tutto superata la concezione della legge di bilancio come legge meramente formale e affermato il suo carattere di legge sostanziale idonea a prevedere aumenti e riduzioni delle entrate e delle spese. In tal modo si supera anche la necessità di prevedere, accanto alla legge di bilancio, una legge di natura sostanziale (la legge finanziaria poi divenuta legge di stabilità). Nella riformulazione del comma, inoltre, il termine “indica” è stato sostituito dal più cogente “provvede”, riproponendo quella che, come si è visto, era stata, in prima battuta, la scelta dell’Assemblea costituente. Il quarto comma – “Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo” – riproduce quasi letteralmente il primo comma dell’originario articolo 81 salvo precisare che l’approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo da parte delle Camere deve avvenire “con legge”. Si continua pertanto a parlare di approvazione del bilancio ma anche per quanto si è detto riguardo al terzo comma, ora va sicuramente riconosciuto alla legge di bilancio un carattere sostanziale. Al Governo viene riservata in via esclusiva l’iniziativa legislativa in materia di bilancio, mentre le Camere potranno modificare e integrare il testo presentato, fermi restando i limiti derivanti dai criteri di formazione del bilancio dello Stato. Discorso diverso – e per il quale il riferimento all’approvazione assume una diversa portata – va fatto sul rendiconto che si presta per sua natura a modiche estremamente limitate. Si tratta infatti di un documento che dà conto della gestione del bilancio da parte dell’Esecutivo basato su evidenze contabili, preventivamente sottoposto al giudizio di parificazione da parte della Corte dei conti. Il quinto comma riproduce letteralmente il contenuto del secondo comma del testo originario dell’articolo 81: “L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi”.

 

  1. Le modifiche agli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione: cenni

L’obiettivo di trasfondere nella Costituzione la regola del pareggio non avrebbe potuto essere conseguito senza intervenire anche su articoli della Costituzione diversi dall’articolo 81. Come accennato, risultava innanzitutto necessario vincolare tutte le amministrazioni, di ogni livello di Governo, a farsi carico dell’esigenza di garantire la stabilità dei conti pubblici. In tal senso la norma alla base della riforma costituzionale può considerarsi il nuovo primo comma dell’articolo 97: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”. In tal modo, non solo l’equilibrio del bilancio ma anche la sostenibilità del debito pubblico divengono obbiettivi costituzionalmente rilevanti per ogni amministrazione[32]. Centrale è il criterio di fondo mediante il quale entrambi gli obiettivi vanno perseguiti, la “coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea”. Tale disposizione ha una duplice funzione. Fornisce un fondamentale criterio interpretativo dell’intera riforma costituzionale, basti pensare ai termini “equilibrio di bilancio”, “fasi favorevoli e fasi avverse del ciclo economico”, “eventi eccezionali”, la cui portata va a questo punto desunta dalla disciplina del Patto di stabilità e crescita dalla quale sono stati tratti.  Il rinvio mobile alle regole europee in materia di finanza pubblica rappresenta inoltre un importante elemento di flessibilità della disciplina costituzionale, in grado di garantire il costante adattamento dell’ordinamento interno all’evoluzione dell’ordinamento unionale. Un meccanismo quella in esame volto a rafforzare in tale ambito l’integrazione tra l’ordinamento nazionale e quello dell’Unione europeo, una sorta di specificazione di quello di portata più generale di cui all’articolo 11 della Costituzione, al quale tradizionalmente si rinvia per fornire copertura costituzionale alle “limitazioni di sovranità” derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. E’ stato inoltre integrato l’articolo 119 per precisare che la “autonomia finanziaria, in materia di entrata e di spesa” degli enti locali e delle regioni va esercitata “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci” e concorrendo ad “assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”. Quindi, non solo per lo Stato, ma anche espressamente per regioni ed enti locali, l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico divengono, attraverso il dettato costituzionale, un vincolo interno idoneo a condizionare la predisposizione e la gestione del bilancio. All’articolo 119, al sesto comma, la facoltà di enti locali e regioni di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese di investimento vene inoltre subordinata al rispetto dell’equilibrio di bilancio da parte del complesso degli enti di ciascuna regione. In altri termini, gli enti territoriali possono registrare un disavanzo per finanziare degli investimenti, purché tale disavanzo trovi compensazione nell’avanzo di bilancio di altri enti della medesima regione. Infine, l’articolo 117 viene modificato per ricondurre alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “armonizzazione dei bilanci pubblici”, sino a quel momento rientrante tra le materie rimesse alla competenza concorrente statale e regionale. Anche tale modifica appare strumentale ad assicurare l’equilibrio dei bilanci pubblici. Tali integrazioni del testo costituzionale si comprendono anche alla luce dell’assetto del Patto di stabilità e crescita che ha introdotto vincoli in termini di controllo del deficit e di riduzione del debito pubblico per l’intero aggregato delle amministrazioni pubbliche, ivi incluse le amministrazioni territoriali, ma che imputa al solo Stato centrale la responsabilità di eventuali scostamenti dagli obiettivi. Da qui l’esigenza, in considerazione della rilevante quota di risorse pubbliche gestite a livello decentrato, di un’accentuata responsabilizzazione e della previsione di vincoli costituzionali nella gestione dei bilanci delle amministrazioni regionali e degli enti locali.

  1. Le altre disposizioni della legge n. 1 del 2012

Gli impegni di trasposizione nel diritto interno derivanti dal Fiscal compact e che l’Italia ha autonomamente scelto di attuare a livello costituzionale riguardavano anche questioni più di dettaglio rispetto a quelle affrontate attraverso modifiche della Costituzione. Inoltre, le stesse disposizioni costituzionali richiedevano alcune essenziali integrazioni per poter disporre di un quadro normativo coerente e, sia pure solo a livello di principi, esaustivo. Pertanto, l’articolo 5, comma 1, della legge n. 1 ha individuato, a grandi linee, i temi oggetto della c.d. legge rinforzata prevista dall’articolo 81, sesto comma. Pur dettando norme in alcuni casi di dettaglio, di natura altamente tecnica e molto legate all’attuale assetto del Patto di stabilità e crescita, non reca tuttavia disposizioni di immediata applicazione e assolve essenzialmente alla funzione di definire il perimetro della legge rinforzata e di indicarne alcuni contenuti. Tale fonte normativa si distingua dalle leggi costituzionale e da quelle ordinarie ed è idonea a resistere all’abrogazione da parte di quest’ultime nonché ad integrare il parametro nel giudizio di costituzionalità[33]. Pertanto, qualsivoglia modifica o deroga a tale legge, a partire dal contenuto della legge di bilancio, introdotta dal legislatore ordinario si presterebbe a censure di incostituzionalità[34].  Alla legge rinforzata, in attuazione di uno specifico impegno assunto con la ratifica del Fiscal compact, era demandato, in particolare, il compito di disciplinare il meccanismo automatico di correzione degli scostamenti non dovuti all’andamento del ciclo economico e ad eventi eccezionali, una volta che questi superino un determinato limite. La medesima legge doveva inoltre definire la nozione di gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali quali eventi eccezionali ai sensi dell’articolo 81, secondo comma, nonché, sempre in attuazione di uno specifico impegno contenuto nel Fiscal compact, disciplinare la regola sulla spesa prevista dal regolamento (UE) n. 1175/2011 facente parte del six pack. Di particolare rilievo era la prevista istituzione, presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio. Una scelta quest’ultima originale se si pensa che, nei Paesi europei analoghi organismi erano già presenti ma operavano o presso il Governo o quali istituzioni comunque estranee agli organi di indirizzo politico. Una decisione poco ortodossa, seppure non in contrasto con il diritto unionale, ma potenzialmente idonea a favorire una maggiore condivisione parlamentare e politica delle scelte assunte nell’ambito dell’Unione monetaria. Un’ulteriore previsione dell’articolo 5 affrontava un problema lasciato aperto dalle modifiche introdotte all’articolo 119. Tale articolo aveva vincolato tutti gli enti territoriali al rispetto dell’equilibrio di bilancio. Occorreva tuttavia tenere conto di come enti locali e regioni, a differenza dello Stato, non abbiano la possibilità di ricorrere all’indebitamento in considerazione dell’andamento del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali. Viene pertanto previsto che, nelle fasi avverse del ciclo economico e in presenza di eventi eccezionali, lo Stato “concorra ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali”. Ciò può avvenire anche in deroga al principio dell’autonomia finanziaria riconosciuta ai predetti enti dall’articolo 119. Il comma 2 dell’articolo 5 individua alcuni ulteriori temi della legge rinforzata: il contenuto della legge di bilancio dello Stato (previsione che ribadisce quanto già stabilito dal sesto comma dell’articolo 81), la facoltà degli enti locai e delle regioni di ricorrere all’indebitamento nel rispetto dell’articolo 119, sesto comma, secondo periodo; le modalità attraverso le quali gli  enti locali e le regioni “concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”. Il comma 3 dell’articolo 5 prevede che la legge rinforzata venga approvata entro il mese di febbraio del 2013. Di tutt’altro tenore è il comma 4 dell’articolo 5 che attribuisce alle Camere, “secondo modalità stabilite dai propri regolamenti, la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all’equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità ed efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni”. Tale disposizione suona quasi come una rivendicazione, di carattere più politico che giuridico, dei poteri del Parlamento in materia di bilancio, effettuata nel momento in cui lo stesso Parlamento stava approvando una riforma costituzionale che, secondo un’opinione alquanto diffusa[35], rifletteva l’affievolimento del ruolo delle Camere a vantaggio del Governo e delle istituzioni dell’Unione monetaria. Una rivendicazione peraltro ineccepibile, con salde fondamenta nell’impianto costituzionale e che presentava una sottolineatura importante relativa “alla qualità ed efficacia della spesa”, profili tradizionalmente oggetto di scarsa attenzione anche da parte delle Camere.

 

  1. La legge 24 dicembre 2012, n. 243 (c.d. legge rinforzata)

Come si è visto, il comma sesto del nuovo articolo 81 demandava ad una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera il compito di stabilire il contenuto della legge di bilancio nonché le norme fondamentali e i criteri “volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”. L’articolo 3, comma 3, della legge rinforzata compie una scelta fondamentale in materia di attuazione della riforma stabilendo che “L’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine”. Come puntualizza il comma 5 dell’articolo 3, l’equilibrio dei bilanci si considera conseguito quando il saldo strutturale: a) “risulta almeno pari all’obiettivo di medio termine” ovvero evidenzia uno scostamento non significativo (v. infra); b) “assicura il rispetto del percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine” ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo non significativo (v. infra). L’ottemperanza al disposto costituzionale viene quindi nella sostanza a coincidere con il rispetto degli impegni assunti dall’Italia in sede europea, in conformità a quanto prevede la modifica dell’art. 97 prima richiamata che vincola le pubbliche amministrazioni ad assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico “in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea”. L’articolo 4, “Sostenibilità del debito”, contiene l’impegno a ridurre il debito pubblico eccedente il valore di riferimento definito a livello unionale “in coerenza con il criterio (un ventesimo all’anno, ndr) e la disciplina in materia di fattori rilevanti (che dispensano dall’obbligo di procedere alla riduzione, ndr)” previsti dall’ordinamento dell’Unione europea. Analogamente all’equilibrio di bilancio, anche la sostenibilità del debito è un concetto preso in prestito dalla scienza economica e non presenta, quindi, un contenuto giuridico determinato. Tale contenuto gli deriva tuttavia dalla disciplina in esame: il debito risulta, per tabulas, sostenibile se gestito secondo i criteri di cui al presente articolo, mutuati dalle norme europee[36]. L’articolo 5, “Regole sulla spesa”, stabilisce che il “tasso annuo programmato di crescita della spesa delle amministrazioni pubbliche” non possa essere superiore a quello calcolato secondo la normativa dell’Unione europea, dando esecuzione ad un altro impegno assunto con la sottoscrizione del Fiscal compact e derivante anche dalle regole europee. L’articolo 6, “Eventi eccezionali e scostamenti dall’obiettivo programmatico strutturale”, reca la disciplina in materia di eventi eccezionali che consentono “scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico”, ossia dall’obiettivo di medio termine, in attuazione del secondo comma dell’articolo 81. Gli eventi eccezionali, premesso che andranno individuati “in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea”, vengono identificati con i “periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’intera Unione europea” e negli “eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese”. Riguardo alla procedura da seguire, il Governo viene vincolato ad acquisire preventivamente l’avviso della Commissione europea ed a presentare alle Camere una relazione in cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e chiede una specifica autorizzazione indicando la misura e la durata dello scostamento, le finalità alle quali destinare le risorse rese disponibili in seguito allo scostamento e il piano di rientro verso l’obiettivo programmatico. L’autorizzazione è conferita dalle Camere con distinte deliberazioni da approvare a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Tale disciplina, nello spirito del disposto costituzionale, appare volta a responsabilizzare sia il Governo che il Parlamento, richiedendo che sia fatta la massima chiarezza sull’ammontare e sulla destinazione delle risorse derivanti dall’indebitamento, nonché sui riflessi dello scostamento sul percorso di (ri)avvicinamento all’obiettivo di medio termine.

Con l’art. 8 “Meccanismo di correzione degli scostamenti rispetto all’obiettivo programmatico strutturale”, si dà esecuzione ad un altro specifico obbligo previsto dal Fiscal compact. Gli scostamenti in questione sono quelli non legati al verificarsi di eventi eccezionali di cui all’articolo 6 e che, qualora, anche cumulati, superino una soglia individuata a livello europeo, vincolano ad adottare misure di correzione le quali, non oltre l’esercizio finanziario successivo a quello in cui si è registrato lo scostamento, assicurino il conseguimento dell’obiettivo programmatico strutturale. Il Capo IV della legge, “Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e concorso dei medesimi alla sostenibilità del debito pubblico”, vincola tali enti, come accennato, ad assicurare l’equilibrio dei rispettivi bilanci in termini nominali, non essendo ad essi consentito ricorrere all’indebitamento se non per finanziare spese di investimento. In tal caso, il complesso degli enti territoriali di ciascuna regione deve comunque presentare un bilancio in equilibrio, ossia un “saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali” (artt. 9 e 10) e quindi  in sostanza un bilancio in pareggio [37]. In ragione dell’andamento del ciclo economico o del verificarsi di eventi eccezionali, con legge dello Stato saranno stabilite le modalità del concorso statale “al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali” (art. 11). Le regioni e gli enti locali, secondo modalità stabilite con legge dello Stato, sono chiamati a concorrere ad assicurare la sostenibilità del debito pubblico, in particolare attraverso versamenti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

Per quanto concerne il bilancio dello Stato, va segnalata la ripartizione in due sezioni del disegno di legge di bilancio presentato dal Governo, la prima di contenuto analogo al disegno di legge di stabilità e la seconda al disegno di legge di bilancio. Pertanto la prima sezione, oltre ad indicare il saldo netto da finanziare – il saldo tipico del bilancio dello Stato da determinare in coerenza con gli obiettivi programmatici definiti in ambito europeo – e il livello massimo del ricorso al mercato finanziario, comprende, per il triennio di riferimento, le “misure di entrata e di spesa aventi ad oggetto misure quantitative, funzionali a realizzare gli obiettivi programmatici indicati dai documenti di programmazione economica e finanziaria”. “Non possono essere previste norme di delega, di carattere ordinamentale e organizzatorio, né interventi di natura localistica o microsettoriale”. La seconda sezione reca invece “le previsioni di entrata e di spesa formate sulla base della legislazione vigente”, unitamente a “proposte di rimodulazione da introdurre alle condizioni e nei limiti previsti dalle leggi dello Stato” (art. 15). A parte l’unificazione in un solo disegno di legge dei due provvedimenti in cui si articolava tradizionalmente la manovra finanziaria, la materia è disciplinata in sostanziale continuità con la normativa vigente, a partire dai limiti di contenuto della prima sezione del disegno di legge di bilancio (già legge di stabilità)[38].

Va infine segnalata, in esecuzione di un ulteriore obbligo previsto dal Fiscal compact e dalle regole europee, nonché in attuazione dell’articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale n. 1 del 2012, l’istituzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (art. 16). L’Ufficio è costituito da un Consiglio di tre membri nominati d’intesa tra i Presidenti delle Camere nell’ambito di un elenco di 10 soggetti indicati dalle Commissioni bilancio delle due Camere a maggioranza dei due terzi tra persona di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza. Esso effettua analisi, verifiche e valutazioni in merito, tra l’altro, a: le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica, l’impatto macroeconomico dei provvedimenti legislativi di maggiore rilievo, gli andamenti di finanza pubblica e l’osservanza delle regole di bilancio, la sostenibilità della finanza pubblica. L’Ufficio (art. 18) predispone analisi e rapporti anche su richiesta delle Commissioni parlamentari presso le quali il Presidente dell’Ufficio, se richiesto, svolge audizioni. Qualora l’Ufficio esprima valutazioni significativamente divergenti da quelle del Governo, su richiesta di almeno un terzo dei componenti delle predette Commissioni, quest’ultimo deve motivare la conferma delle proprie valutazioni ovvero conformarsi a quelle dell’Ufficio. Tale ultima competenza dell’Ufficio è prevista dall’ordinamento europeo che tuttavia, in caso di divergenze tra l’Ufficio e il Governo, prevede l’automatica applicazione della regola “comply or explain” – in base alla quale, come si è detto, l’Esecutivo è tenuto ad adeguarsi alle osservazioni o, se intende discostarsi da esse, a motivare adeguatamente – senza subordinarla alla richiesta di una minoranza parlamentare. Il programma annuale delle attività dell’Ufficio deve prevedere lo svolgimento delle attività spettante all’Ufficio ai sensi delle normative europee e viene presentato dal Presidente alle Commissioni bilancio delle due Camere. La disciplina in esame si segnala per il profilo marcatamente parlamentare dell’Ufficio che rappresenta un’autonoma scelta del legislatore. E’ evidente l’intento di attenuare il profilo di “emissario di Bruxelles” dell’Ufficio e di riconoscergli una natura più complessa, assegnandogli un ruolo, certamente indipendente e imparziale, ma finalizzato anche a supportare l’esercizio delle funzioni delle Camere in materia di finanza pubblica. La dotazione finanziaria dell’Ufficio è stabilita direttamente dalla legge in 3 milioni di euro, può essere modificata solo con la legge di bilancio, sentito l’Ufficio, e deve risultare comunque sufficiente a consentirgli di svolgere le funzioni assegnategli dal legislatore (art. 19).

 

  1. Il nuovo articolo 81 e la flessibilità del bilancio

All’indomani dell’approvazione della riforma costituzionale si prevedeva il perpetuarsi di una fase di rigore finanziario promosso dalle istituzioni europee e alimentato dagli automatismi propri del Fiscal compact – mutuati peraltro, come si è visto, per la quasi totalità, dalla normativa sull’Unione monetaria – che il nuovo articolo 81 aveva espressamente dotato di valenza costituzionale. Ciò avrebbe, si temeva, messo a rischio la stessa tutela dei diritti sociali andando a confliggere con altre disposizioni costituzionali e in particolare con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), che assegna allo Stato il compito di garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale[39]. Tali preoccupazioni non hanno trovato conferma. Questo è avvenuto, in particolare, per una caratteristica del Patto di stabilità e crescita, anche nella sua versione post crisi finanziaria, che ha inciso sull’applicazione delle norme costituzionali. Nel Patto sono stati introdotti regole minuziose, meccanismi rigorosi e percentuali vincolanti con l’intento di rendere la sua applicazione meno soggetta a valutazioni discrezionali e pressoché automatica. Tale scelta di fondo, pur essendo apparsa in una prima fase qualificante e destinata a determinare i futuri sviluppi dell’Unione monetaria, ha prodotto effetti per un periodo piuttosto breve, prima che venisse avviata una riflessione critica sulla strategia adottata dalle istituzioni dell’Unione, con un decisivo contributo del livello intergovernativo, per contrastare l’instabilità finanziaria.

Successivamente, ha avuto inizio una nuova fase che ha fatto leva e ha amplificato i dispositivi di segno contrario anch’essi presenti nel Patto che prevedono il ricorso a margini di flessibilità significativi nella gestione delle politiche di bilancio e consentono di adattarne gli obiettivi alla specifica realtà dei singoli Stati membri[40]. Piuttosto che alla paventata applicazione tecnica, oggettiva ed uniforme delle regole europee, abbiamo assistito ad una loro declinazione in chiave politica e discrezionale fondata su categorie generali quali gli “eventi eccezionali”, i “fattori rilevanti” e le “clausole di flessibilità”, tutte finalizzate a consentire scostamenti dall’obiettivo di medio termine ovvero, ed è il caso dell’Italia, dal percorso di avvicinamento al medesimo. La riforma costituzionale, in virtù delle modalità con cui era stata concepita, a partire dalla definizione dell’equilibrio di bilancio, ha potuto trovare applicazione con analoghi margini di flessibilità e non ha determinato un irrigidimento delle politiche di bilancio, né circoscritto entro limiti eccessivamente ristretti la libertà d’azione di Governo e Parlamento. Essa ha piuttosto precostituito il quadro costituzionale entro il quale ha avuto attuazione la normativa europea in materia di flessibilità di bilancio. A riguardo va rilevato come la strada seguita sia stata ben diversa da quella intrapresa, già nel 2009, dalla Germania, con l’introduzione in Costituzione di una disciplina assai più vincolante che ha il suo fulcro nel c.d. freno all’indebitamento. In virtù di tale riforma può ricorrere all’indebitamento solo lo Stato centrale e non i Lander e in ogni caso questo non può superare lo 0,35 % del PIL[41].

Al fine di avvalersi della flessibilità di bilancio prevista in sede europea, il Governo è stato nelle condizioni di fare ripetutamente ricorso all’applicazione dell’articolo 6 della legge n. 243 del 2012, presentando alle Camere la prevista relazione di autorizzazione. Le prime relazioni di questo genere sono state presentate dai governi Monti, nel marzo del  2013, per sbloccare i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, e Letta, nell’agosto del 2013[42], per adottare misure urgenti in materia di IMU, fiscalità e pagamenti della pubblica amministrazione. La presentazione delle relazioni è stata tra l’altro resa più agevole dalle modifiche introdotte alla legge n. 196 del 2009 (art. 10, comma 5 bis e 10-bis, comma 6), per consentirne la presentazione nella forma di annessi al DEF e alla NADEF. A partire dal 2014, i governi italiani, anche avvalendosi di una Comunicazione della Commissione europea volta ad interpretare in modo estensivo le diverse ipotesi di flessibilità previste dal Patto di stabilità e crescita[43], hanno rivisto annualmente, spesso in maniera significativa,  attraverso la presentazione di relazioni ai sensi del predetto art. 6[44], gli impegni assunti con l’Unione europea, differendo ripetutamente il conseguimento dell’obiettivo di medio termine che inizialmente si identificava con il pareggio di bilancio. Ciò è avvenuto tramite l’applicazione delle “circostanze eccezionali” – grave crisi finanziaria (rectius, la persistenza degli effetti della stessa con conseguente deterioramento delle previsioni di crescita), calamità naturali (ivi inclusa la messa in sicurezza del territorio), eccezionale afflusso di migranti (da inquadrare tra gli eventi al di fuori del controllo dello Stato ai sensi dell’articolo 6 cit.) – nonché delle “clausole di flessibilità” (clausola degli investimenti e clausola delle riforme strutturali), ottenendo il massimo della flessibilità ai sensi dei Trattati vigenti (lo 0,75% del PIL). Nel 2018 la Commissione ha poi stabilito di applicare il principio del “margine di discrezionalità” nel determinare lo sforzo di aggiornamento annuale per quei Paesi chiamati ad una correzione pari allo 0,5% del PIL. Per l’Italia ciò ha comportato una correzione pari a solo 0,2 punti percentuali di PIL. Va sottolineato come, nel periodo 2014-2019, gli scostamenti cumulati abbiano consentito un disavanzo aggiuntivo pari a circa 35 miliardi di euro. Il conseguimento dell’obiettivo di medio termine, nel 2014 il pareggio di bilancio da conseguire nel 2015, è stato ripetutamente rinviato e nel 2019 la NADEF prevedeva nel 2022 un saldo del – 1,0 %, per poi proseguire nel percorso di convergenza verso l’OMT negli anni a seguire. Va evidenziato come l’impiego da parte dell’Italia delle risorse aggiuntive ottenute tramite gli scostamenti, con l’eccezione della quota destinata agli investimenti pubblici,[45] sia stato ampiamente discrezionale e abbia, in particolare, consentito di alimentare la spesa corrente in misura considerevole in ambiti non legati alle motivazioni per le quali i diversi scostamenti erano stati autorizzati[46].

Nel biennio 2020-2021 la diffusione della pandemia da COVID ha indotto la Commissione europea a sospendere, con decisione assunta il 20 marzo 2020, l’applicazione del Patto di stabilità e crescita. Ciò ha consentito di ricorrere al disavanzo in misura senza precedenti dall’introduzione della moneta unica, al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria e la crisi socio-economica che ne è derivata. Nel 2020 sono state presentate alle Camere quattro relazioni[47] volte a richiedere scostamenti di bilancio per complessivi 108 miliardi di euro. Le risorse rese in tal modo disponibili sono state impiegate per finanziare una serie di decreti-legge[48] recanti interventi in materia sanitaria e misure di sostegno in favore delle famiglie e delle imprese. Nel 2021, in continuità con le scelte effettuate nel 2020, sono state presentate al Parlamento due relazioni con la richiesta di autorizzare scostamenti pari a 72 miliardi di euro[49]. Anche in questo caso agli scostamenti è immediatamente seguita l’adozione di decreti-legge volti ad utilizzare le risorse derivanti dal maggiore indebitamento[50]. Da segnalare come, con il D.L. 6 maggio 2021, sia stato finanziato con risorse nazionali un Piano di investimenti complementari al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) finanziato con risorse europee (a fondo perduto ovvero prestiti) nell’ambito del programma Next Generation European Union (NGEU). I provvedimenti di urgenza adottati nel corso del biennio in esame sono stati destinati, in misura via via più mirata, a ristorare/sostenere i gruppi sociali, le categorie e le imprese che subivano maggiormente le conseguenze economiche e sociali della pandemia. Inoltre, oltre ad una finalità di carattere assistenziale, si è perseguita, in una seconda fase, anche una finalità di rilancio del sistema economico e produttivo.[51]

Le vicende più recenti evidenziano peraltro come in determinate circostanze la mera flessibilità di bilancio non assicuri una capacità di manovra finanziaria adeguata alle esigenze. Questo vale per l’Italia ma anche per gli altri Paesi dell’unione monetaria.  In tali casi l’Unione europea viene inevitabilmente chiamata a svolgere la funzione che, negli Stati federali, è propria del governo centrale. La sospensione del Patto di stabilità e crescita, accompagnata dagli interventi effettuati dalla BCE, e gli investimenti attuati attraverso il NGEU, evidenziano come in alcune fasi sia indispensabile un massiccio ricorso alla politica fiscale che deve prescindere dal rispetto di rigidi vincoli quantitativi di bilancio. E’ noto, del resto, come la costruzione europea, e l’Unione monetaria non fa certo eccezione, abbia sempre proceduto in modo graduale, giungendo al risultato attraverso tappe successive. Ciò avviene quando le esigenze si fanno più pressanti e aumenta la consapevolezza politica del comune interesse all’approfondimento dell’integrazione.

 

  1. Il nuovo articolo 81 tra Governo e Parlamento

Tutti i governi che si sono avvicendati nell’ultimo decennio si sono trovati nelle condizioni di attuare, in diversa misura –pur in presenza di un debito pubblico di dimensioni assai consistenti -, una politica di bilancio almeno moderatamente espansiva, sulla base delle scelte politiche assunte nelle diverse circostanze. Sul versante parlamentare, si è tuttavia manifestato un deficit di iniziativa politica e la difficoltà di recepire le novità e cogliere le opportunità relative alla riforma costituzionale. In particolare, le Camere hanno omesso di attuare taluni aspetti della riforma che avrebbero potuto rafforzare il loro ruolo nei confronti del Governo, unico interlocutore diretto delle istituzioni unionali, divenute titolari di accresciuti poteri di coordinamento delle politiche di bilancio nazionali. Ciò con riferimento, in primo luogo, all’articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012 che riconosce alle Camere la funzione di controllo della finanza pubblica “con particolare riferimento all’equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità ed efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni”. Nel contempo, come si è visto, veniva istituito presso le Camere l’Ufficio parlamentare di bilancio, connotato da specifichi obblighi di interlocuzione e di informazione nei confronti del Parlamento. L’organo parlamentare, a partire dalle Commissioni bilancio, poteva così beneficiare di un supporto tecnico altamente qualificato, in posizione di indipendenza dal Governo e profondamente inserito nelle logiche del Patto di stabilità e crescita il quale tra l’altro, anche per il ruolo svolto dall’Ufficio, risulta ora fortemente integrato nelle procedure nazionali.

A ciò si aggiunga che il riferimento alla “qualità ed efficacia della spesa” appariva destinato a rafforzare il legame del Parlamento con la Corte dei conti in materia di controlli di gestione. Ai sensi dello stesso articolo 5, spettava ai regolamenti parlamentari articolare una rinnovata funzione di controllo consentendo alle Camere di occupare i nuovi spazi aperti dalla riforma[52]. Non è stata invece assunta alcuna iniziativa, nonostante, tra l’altro, anche l’articolo 16 della legge n. 243, del 2012, nel disciplinare l’UPB, rinviasse ai regolamenti parlamentari, e l’articolo 18 autorizzasse le Commissioni bilancio a chiedere all’UPB di predisporre analisi e rapporti specifici nonché a svolgere audizioni del Presidente dello stesso[53]. Si è quindi rinunciato a riconoscere una rilevanza politica alle relazioni tra le Camere e l’UPB e non è stato neanche disciplinato il rapporto dell’organismo con le Commissioni parlamentari[54].

Attraverso i regolamenti avrebbe inoltre potuto essere valorizzato, nell’interesse delle Camere, il meccanismo attraverso il quale il nuovo articolo 81 consente di accrescere il livello dell’indebitamento oltre i limiti derivanti dall’andamento del ciclo economico. L’articolo 6 della legge n. 243 del 2012, disciplinando in maniera estremamente puntuale gli scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico, qualora adeguatamente valorizzato, consentirebbe infatti alle Camere di effettuare un penetrante sindacato dell’azione del Governo e di condizionarne l’operato. La rinuncia ad avvalersi delle nuove opportunità legate alla riforma costituzionale ha ostacolato un riequilibrio dei rapporti tra Governo e Parlamento in materia economico-finanziaria. Piuttosto che utilizzare le molteplici occasioni di intervento nelle procedure di bilancio fornite dal semestre europeo, le Camere sono sembrate ulteriormente concentrarsi sulla legge di bilancio annuale, quale sede assolutamente prevalente di rivendicazioni nei confronti dell’esecutivo. È proseguita e, se possibile, si è ulteriormente rafforzata la tendenza ad operare al margine della finanza pubblica, mirando, più che a condizionare in profondità le scelte programmatiche, l’allocazione delle risorse e la gestione dei grandi flussi finanziari, a rivendicare annualmente una quota di risorse, necessariamente di importo limitato, della quale disporre in autonomia. Più che coltivare l’ambizione di controllare e orientare le politiche pubbliche, il Parlamento è sembrato quindi prediligere la possibilità di determinare l’impiego, recependo sovente le più disparate istanze di categorie, gruppi di interesse, enti e associazioni, di quote complessivamente modeste di risorse, lasciando per il resto sostanzialmente campo libero al Governo. Tale atteggiamento traspare chiaramente dalla lettura delle leggi di bilancio approvate negli anni più recenti. Questo nonostante il decreto legislativo 12 maggio 2016, n. 90, in attuazione della delega di cui all’articolo 40, comma 1, della legge n. 196 del 2009, avesse modificato la struttura del bilancio di previsione introducendo, accanto alle “missioni” e ai “programmi”, le “azioni”, quali ulteriori articolazione di dettaglio dei programmi di spesa al fine evidenziando ila relazione tra risorse stanziate e funzioni esercitate, aumentando la trasparenza delle scelte allocative e rendendo quindi più agevole per il Parlamento valutare le diverse politiche. Il contenuto della legge di bilancio, peraltro assai esteso e relativo anche ad interventi e misure di modesta consistenza a partire dal testo presentato dal Governo, nel corso dell’esame parlamentare ha denunciato sistematicamente la tendenza ad un consistente ampliamento in seguito all’approvazione di una pluralità di emendamenti, prevalentemente di maggioranza ma anche delle opposizioni, recanti peraltro disposizioni assai spesso di natura localistica, microsettoriale, ordinamentale e organizzatorio. Si tratta della tipologia di emendamenti che, alla luce dell’articolo 15, comma 2, della legge n. 243 del 2012, e dell’articolo 21, comma 1-quinquies della legge n. 196 del 2009, non dovrebbero avere ingresso nella legge di bilancio[55].

Le modalità con cui si svolge l’esame parlamentare appare tra l’altro contraddire la natura stessa della decisione di bilancio come definita dalla Corte costituzionale. Secondo la Consulta infatti “il bilancio – nella sua nuova veste sostanziale – è destinato a rappresentare il principale strumento di decisione sulla allocazione delle risorse, nonché il principale riferimento della verifica dei risultati delle politiche pubbliche” (Sentenza n. 61 del 2018). La conseguenza è l’approvazione di bilanci omnibus molto simili alle finanziarie omnibus del passato di cui si è detto. Ciò ha provocato -fenomeno peraltro non nuovo – un sovraccarico della procedura di esame del disegno di legge di bilancio e la conseguente concentrazione dell’esame in un solo ramo del Parlamento, al quale segue una impropria forma di ratifica, attraverso la posizione della questione di fiducia, presso l’altra Camera, la quale non sarebbe in ogni caso nelle condizioni di svolgere l’esame degli emendamenti senza determinare il ricorso all’esercizio provvisorio[56]. Tale modalità di svolgimento dell’esame parlamentare hanno indotto negli ultimi anni, per due volte, gruppi parlamentari di opposizione a sollevare un conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale, con riferimento all’approvazione del bilancio relativo, rispettivamente, agli anni 2019 e 2020. In entrambi i casi la Corte ha deciso per l’inammissibilità del ricorso ponendo tuttavia in luce le criticità del procedimento di approvazione del disegno di legge di bilancio.[57] Di tali vicende va evidenziato come, al punto in cui si è giunti, un mutamento delle attuali prassi e delle loro discutibili conseguenze sia legato a un rinnovato approccio del Parlamento alle procedure di bilancio che valorizzi, a partire da una riforma dei regolamenti parlamentari, i profili dell’impianto costituzionale e della governance europea che sollecitano un più informato, ampio e penetrante esercizio dei poteri di indirizzo e controllo dell’organo parlamentare.

 

  1. L’equilibrio di bilancio da vincolo esterno a vincolo interno.

Secondo una autorevole opinione [58] la riforma dell’articolo 81 ha inteso adeguare il nostro diritto interno ad un complesso di norme già operanti nell’ordinamento in quanto contenuta in fonti di diritto dell’Unione e in accordi internazionali. In particolare, la regola dell’equilibrio di bilancio “era già indirettamente costituzionalizzata in quanto facente parte delle norme dell’Unione”. In sintesi la riforma non farebbe che ribadire “un sistema di garanzie per le norme dell’Unione già operante ai sensi degli articoli 11 e 17 Cost.[59] A riguardo appare opportuno svolgere alcune considerazioni. Nel testo originario dell’articolo 81 la regola dell’equilibrio ovvero del tendenziale pareggio del bilancio era oggetto di una tutela che può definirsi indiretta o riflessa, attraverso il combinato disposto del divieto di introdurre nuove o maggiori spese con la legge di bilancio e dell’obbligo di copertura finanziaria, ma non assumeva un’autonoma rilevanza e non si configurava, anche alla luce delle dinamiche attuative dell’articolo 81, nei termini di  un precetto costituzionale suscettibile di diretta e puntuale violazione[60]. Al contrario, il nuovo articolo 81 è volto innanzitutto a tutelare l’equilibrio del bilancio “in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea” (art. 97 Cost.). Mentre quindi in precedenza il vaglio del Presidente della Repubblica, ma anche le valutazioni della Corte costituzionale tendevano a concentrarsi sull’idoneità della copertura finanziaria delle singole leggi di spesa, adesso assume una rilevanza fondamentale innanzitutto la legge di bilancio – e ogni modifica dei saldi con essa stabiliti – libera di prevedere nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e quindi potenzialmente in grado, più di ogni altra legge, di violare le regole di livello costituzionale, procedurali e sostanziali, che presidiano l’equilibrio del bilancio. E’ vero che tali regole, essendo in massima parte coincidenti con regole contenute in atti normativi europei o in trattati internazionali sottoscritti dall’Italia, già in precedenza integravano, in virtù dell’articolo 11 e 117, primo comma, Cost., il parametro di valutazione degli organi di controllo. E tuttavia la riforma dell’articolo 81 sembra presentare profili di autonoma valenza per il legislatore nazionale alla luce dei quali appare riduttivo considerarla un mero rinvio alla disciplina europea del bilancio. In primo luogo, occorre considerare i vincoli di carattere procedurale a cui il nuovo articolo 81 e la legge rinforzata sottopongono la gestione della politica di bilancio da parte di Governo e Parlamento. Come è stato rilevato “le decisioni di spesa e la politica di bilancio non possono più essere (quasi) completamente libere, ma vengono assoggettate ad alcune condizioni e ad un implicito obbligo di motivazione[61]. In secondo luogo, la violazione delle disposizioni costituzionali e di quelle della c.d. legge rinforzata, anche laddove coincidenti con le regole europee, appare di per sé idonea a determinare una immediata violazione del dettato costituzionale, senza tra l’altro dovere attendere le conseguenze che tale violazione produrrà nell’ordinamento dell’Unione monetaria.  Questo appare tra l’altro il significato e l’effetto della costituzionalizzazione del principio dell’equilibrio del bilancio e della sua declinazione in una specifica normativa di rilievo costituzionale.

Vi è inoltre il problema del livello sino al quale può essere estesa la “coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea”. Al fine di valutare la violazione del principio dell’equilibrio di bilancio bisognerà senz’altro tenere conto di quanto dispongono i trattati e gli atti normativi della UE. Anche la violazione, ad esempio, del programma di stabilità presentato dall’Italia può essere ritenuto indice di una violazione del principio costituzionale. Apparirebbe invece problematico basare un’eccezione di incostituzionalità sulla mancata condivisione, ad opera del Governo, di un documento della Commissione europea espressione di discrezionalità tecnica recante, ad esempio, i criteri di calcolo del saldo strutturale ovvero del prodotto potenziale.

Ora, fatto salvo quanto da ultimo osservato, per quanto la complessa architettura del Patto di stabilità e crescita non renda agevole accertare in via definitiva la violazione delle regole poste a presidio dell’equilibrio del bilancio, sembrerebbe eccessivo ritenere che una violazione possa ritenersi costituzionalmente rilevante solo, ad esempio, qualora vengano comminate le sanzioni previste dal braccio correttivo del Patto a conclusione della procedura per disavanzi eccessivi. Il nuovo articolo 81 ha infatti introdotto in Costituzione un vincolo che limita direttamente i poteri del decisore politico e gli impone di agire nel rispetto delle regole europee in materia di bilancio[62]. L’”equilibrio del bilancio” si configura quindi oramai come la norma fondamentale, il quadro di riferimento entro il quale deve essere assunta ogni decisione in materia di finanza pubblica.  Come si vedrà a breve con riguardo al Presidente della Repubblica, l’esercizio dei poteri degli organi costituzionali a tutela dell’equilibrio di bilancio può risultare funzionale proprio ad evitare che il mancato rispetto di tali regole assuma un carattere di definitività e si risolva in una manifesta violazione del Patto di stabilità e crescita.

 

  1. Il nuovo articolo 81 e l’esercizio dei poteri del Presidente della Repubblica

Il nuovo articolo 81 è stato ritenuto da subito fornire un parametro in larga misura nuovo alla luce del quale il Presidente della Repubblica avrebbe potuto esercitare i poteri di promulgazione delle leggi e di emanazione degli atti aventi forza di legge[63]. A riguardo va ricordato come, a partire dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, la causa più frequente di rinvio alle Camere ai sensi dell’articolo 74 Cost. sia stata proprio la violazione dell’articolo 81. Il Presidente della Repubblica ha sempre motivato il rinvio con riferimento al contrasto con il comma 3 di detto articolo che imponeva ad ogni legge recante una nuova spesa di “indicare i mezzi per farvi fronte[64]. Tale previsione è stata, come si è visto, rafforzata dalla riforma costituzionale. Il testo adesso si riferisce più ampiamente, recependo quella che era la prassi applicativa, ai “nuovi o maggiori oneri” e impone al legislatore di “provvedere” anziché di limitarsi ad “indicare”. La portata innovativa della riforma, destinata ad incidere anche sulle attribuzioni del Capo dello Stato, non risiede tuttavia tanto in queste modifiche testuali ma nell’avere espressamente reso oggetto di tutela costituzionale la regola l’equilibrio complessivo del bilancio pubblico “in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea”.

E’ opinione ampiamente condivisa in dottrina che le valutazioni di competenza del Presidente della Repubblica sub articolo 74 Cost. non siano assimilabili a quelle di competenza della Corte costituzionale. Il controllo svolto dal Presidente, oltre a venire esercitato quando un atto legislativo contrasta in modo puntuale ed evidente con una norma costituzionale,  considera in particolare i riflessi dei provvedimenti legislativi sul sistema costituzionale nel suo complesso, si estende quindi per taluni aspetti al merito dei provvedimenti e risulta caratterizzato da ampi margini di discrezionalità[65]. Esiste tra l’altro un nutrito numero di precedenti relativi ad interventi del Presidente che non consistono nel rinvio alle Camere di atti legislativi come prevede l’articolo 74 Cost. Si tratta di suggerimenti, richiami, sollecitazioni, prese di posizione, riconducibili alla c.d. moral suasion, volti a indurre il Governo ovvero il Parlamento a modificare i propri orientamenti rispetto ad atti aventi forza di legge in itinere o a esprimere rilievi critici rispetto a leggi approvate per condizionarne i comportamenti futuri. Tali esternazioni legislative libere[66], durante le presidenze Napolitano e Mattarella, sono divenute le modalità di intervento nel procedimento legislativo assolutamente prevalenti[67]. Alla luce del nuovo articolo 81, i margini di apprezzamento del Presidente circa la violazione del principio dell’equilibrio di bilancio appaiono significativi e tali da potere giustificare sue prese di posizione differentemente modulate anche nel corso del procedimento legislativo. Merita a riguardo di essere ricordata la lettera del 31 ottobre 2018, inviata dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio dei ministri subito dopo avere autorizzato, ai sensi dell’articolo 87, quarto comma, della Costituzione, la presentazione alle Camere del disegno di legge di bilancio per il 2019. Il Presidente premette di rivolgersi al Governo “nel comune intento di tutelare gli interessi fondamentali dell’Italia, con l’obiettivo di una legge di bilancio che difenda il risparmio degli italiani, rafforzi la fiducia delle famiglie, delle imprese e degli operatori economici e ponga l’Italia al riparo dall’instabilità finanziaria”. Aggiunge quindi che “A questo scopo, sulla base di quanto disposto dalla costituzione agli articoli 81, 97 e 117, delle valutazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio…delle richieste e delle osservazioni avanzate dalla Commissione europea, è mio dovere sollecitare il Governo a sviluppare – anche nel corso dell’esame parlamentare – il confronto e un dialogo costruttivo con le istituzioni europee”. Per meglio comprendere le considerazioni formulate nella predetta lettera è opportuno richiamare alcuni elementi di contesto. Il 13 ottobre 2018 l’Ufficio parlamentare di bilancio aveva comunicato al Governo di non poter validare “le previsioni programmatiche per il 2019 pubblicate nella NADEF 2018, in quanto esse si collocano fuori dall’intervallo accettabile allo stato delle informazioni disponibili”.[68] Il 23 ottobre successivo, la Commissione europea, alla quale era stato sottoposto, come previsto dalla normativa UE, il Documento Programmatico di Bilancio (DPB), chiedeva al Governo italiano di inviargli entro tre settimane un DPB rivisto “considerato che l’attuale DPB non rispetta né la raccomandazione fiscale rivolta dal Consiglio all’Italia né gli impegni assunti dal Paese”.[69] La Commissione europea motivava il suo parere osservando come il DPB presentato dall’Italia prevedesse una “deviazione significativa dal percorso di aggiustamento raccomandato verso l’obiettivo di bilancio a medio termine”. Il DPB non risultava in linea né la raccomandazione del Consiglio di un miglioramento del saldo strutturale dello 0,6% per il 2019, mentre veniva pianificato un deterioramento del predetto saldo dello 0,8% del PIL, né con gli impegni assunti dall’Italia nell’aprile 2018 nel programma di stabilità che conteneva l’obiettivo di un disavanzo pari allo 0,8% del PIL nel 2029, mentre il DPB prevedeva, per tale anno, un disavanzo del 2,4% del PIL.[70] Era quindi evidente come il Governo, con la presentazione del disegno di legge di bilancio per il 2019, avesse consapevolmente violato gli impegni assunti sulla base delle regole europee in materia di bilancio e mirasse ad aumentare il disavanzo pubblico in misura nettamente superiore a quanto consentito dai vincoli assunti con  il Patto di stabilità. Sotto il profilo costituzionale, qualora la legge di bilancio fosse stata approvata nel testo originariamente presentato dal Governo, ciò avrebbe comportato una violazione piuttosto evidente del principio dell’equilibrio di bilancio, sancito dall’articolo 81 Cost. e declinato dalla legge n. 243 del 2012 (legge rinforzata), dell’articolo 97, Cost., nonché dell’articolo 117, primo comma, che impone allo Stato di esercitare la potestà legislativa “nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Da qui la “doverosità” del richiamo rivolto al Governo dal Presidente della Repubblica al confronto e al dialogo costruttivo, a rendersi quindi disponibile a soluzioni condivise e a modificare i contenuti del disegno di legge di bilancio. Difronte alla manifestazione di una deliberata volontà di non rispettare le regole europee e lo stesso disposto costituzionale, il Presidente ha ritenuto necessaria una presa di posizione tempestiva anche nella consapevolezza, è da ritenere, dell’opportunità di avviare immediatamente un processo di chiarimento con le istituzioni europee, evitando le conseguenze negative dalle quali aveva implicitamente messo in guardia nella prima parte della sua lettera. Il richiamo, in un primo momento, non ha avuto esito e la Camera ha approvato il disegno di legge senza modificare i saldi di bilancio. Tuttavia, al Senato, l’esame del provvedimento si arenava in una serie di rinvii protrattisi fino al 19 dicembre quando la disponibilità del Governo a rivedere l’impostazione della manovra finanziaria e a modificare ampie parti del disegno di legge di bilancio ha consentito di giungere ad un’intesa con la Commissione europea venendo incontro alla richiesta del Presidente della Repubblica ed evitando l’avvio di una procedura d’infrazione. L’approvazione del provvedimento è a quel punto avvenuta attraverso la presentazione di due maxiemendamenti che hanno integralmente sostituito il testo della legge di bilancio e compresso l’esame parlamentare in misura tale da determinare la presentazione del ricorso per conflitto di attribuzione ricordato al paragrafo 16.

  1. Corte costituzionale ed equilibrio di bilancio

L’equilibrio di bilancio era stato ritenuto, come si è visto, un principio desumibile anche dall’originaria versione dell’art. 81 e ad esso aveva fatto riferimento la giurisprudenza costituzionale. Tuttavia, quale parametro costituzionale l’art. 81 veniva costantemente evocato con riferimento alla disposizione espressa e cogente relativa alla copertura finanziaria delle leggi. Ciò si verificava, nella grande maggioranza dei casi, nei giudizi in via d’azione promossi dal Governo contro leggi regionali[71].

Il nuovo articolo 81 disciplina espressamente l’equilibrio di bilancio che assume ora i caratteri di una regola idonea, in linea di principio, a costituire un parametro specifico nel giudizio di costituzionalità. In precedenza la violazione dell’art. 81, riguardando l’obbligo di copertura, assumeva i contorni di un vizio di carattere procedurale, mentre presenta ora i caratteri di una violazione sostanziale, in quanto si risolve in un contrasto con disposizioni che impongono vincoli di contenuto, ivi incluse quelle recate dalla c.d. legge rinforzate che integrano il parametro di costituzionalità[72]. La concreta giustiziabilità dell’equilibrio appare tuttavia assai complessa sotto diversi profili: vie di accesso alla Corte, accertamento della legittimità costituzionale, effetti delle pronunce della Corte.

Per quanto riguarda i ricorsi in via incidentale, è stato osservato come appaia di problematica applicazione il requisito della rilevanza della questione posto che, qualora venga in discussione la legge di bilancio, il giudice remittente dovrebbe dimostrare di dover fare applicazione in giudizio di tutte le norme in essa contenute[73]. Una sorta di probatio diabolica che peraltro dovrebbe indurre a riflettere, qualora si intenda assicurare un effettivo controllo di costituzionalità, sulla possibilità di applicare in modo diverso, con riferimento ad una fattispecie così peculiare, il criterio della rilevanza. Se è vero infatti che l’equilibrio di bilancio è alterato dall’operare congiunto di tutte le disposizioni della legge di bilancio, è anche vero che ogni singola disposizione onerosa è di per sé responsabile, al pari delle altre, della violazione dell’equilibrio e, pertanto, in quanto incostituzionale, dovrebbe poter essere oggetto di valutazione da parte della Corte. Un altro ostacolo alla giustiziabilità è dato dal fatto che, costituendo le norme che determinano maggiori spese o minori entrate, incidendo sull’equilibrio di bilancio, norme di favore, appare difficile, pur non essendo in linea di principio da escludere, che qualcuno possa avere interesse a sollevare una questione di costituzionalità. Per quanto riguarda l’oggetto della valutazione della Corte, è evidente come verificare il rispetto o meno della regola dell’equilibrio possa richiedere in non poche circostanze delle conoscenze di natura economica e statistica di cui i giudici costituzionali, di norma, non sono in possesso e che appaiono invece decisive nell’applicazione del parametro di costituzionalità. La Corte dovrebbe quanto meno svolgere un’approfondita attività istruttoria condotta con l’ausilio, in particolare, di soggetti titolari di specifiche competenze quali, ad esempio, l’Ufficio parlamentare di bilancio e la Corte dei conti. Una volta poi che la Corte avesse accertato la violazione dell’equilibrio da parte della legge di bilancio, la conseguenza – allo stato attuale della disciplina dei giudizi dinanzi alla Corte – dovrebbe essere la declaratoria di incostituzionalità dell’intera legge, non spettando ad essa ma al legislatore il compito di individuare le norme da espungere a salvaguardia dell’equilibrio. È di tutta chiarezza come le conseguenze, politiche, economiche e finanziarie derivanti dalla caducazione dell’intera legge di bilancio determinerebbero all’interno della Corte – considerata l’impossibilità di modulare gli effetti temporali delle sentenze, alla quale la Corte ha sopperito talvolta in via giurisprudenziale (v. infra) – comprensibili esitazioni ad assumere una simile decisione, anche qualora fosse convinta dell’intervenuta violazione della regola dell’equilibrio. Una volta accertata l’incostituzionalità della legge di bilancio, la decisione per molti versi più logica sarebbe quella di assegnare al Parlamento un termine per correggere la legge approvata o, eventualmente, per ricorre all’esercizio provvisorio[74].

Non vi è in ogni caso dubbio circa il fatto che la revisione costituzionale “ha aperto le porte al sindacato di costituzionalità e alla possibilità di una declaratoria di illegittimità, con conseguente annullamento degli atti legislativi interni[75]. Peraltro, delle difficoltà in cui si sarebbe trovata la Corte qualora fosse stata chiamata a censurare il mancato rispetto dell’equilibrio di bilancio è sembrato consapevole lo stesso legislatore. Nel testo della riforma costituzionale elaborato alla Camera nella sede referente, era stata infatti in un primo tempo riconosciuta alla Corte dei conti la facoltà di ricorso alla Corte costituzionale in via diretta nei confronti delle leggi adottate in violazioni del principio dell’equilibrio di bilancio, previsione poi espunta nel corso dell’esame in Assemblea. Nella scelta del Parlamento ha verosimilmente pesato la volontà di tutelare la natura eminentemente politica delle scelte operate con la legge di bilancio. Attribuire alla Corte dei Conti la possibilità di ricorrere in via diretta alla Corte costituzionale la avrebbe, nei fatti, resa il giudice dell’equilibrio di bilancio, introducendo un controllo sistematico sulla legislazione con riflessi sulla finanza pubblica.

Le scelte effettuate dal legislatore sembrano invece voler affidare l’attuazione della regola dell’equilibrio prioritariamente alle dinamiche istituzionali di cui sono protagonisti il Governo, il Parlamento e il Presidente della Repubblica. La possibilità di accesso alla Corte costituzionale appare configurarsi quale extrema ratio di un processo che deve innanzitutto svolgersi sul piano della rappresentanza politica e dei rapporti tra Governo e Parlamento, seppure nel rispetto delle procedure e dei vincoli costituzionali. Alla Corte dei conti non manca in ogni caso la possibilità di far valere la regola dell’equilibrio di bilancio. Essa è infatti legittimata ad adire la Corte costituzionale sia in sede di controllo di legittimità sugli atti del Governo, ammesso dalla Corte sin dalla sentenza n. 226 del 1976, sia in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato e delle Regioni. Va tuttavia riconosciuto come il controllo di legittimità sugli atti del Governo sia limitato agli atti privi di forza di legge e il ricorso in via d’azione sia un istituto di fatto desueto. Il rendiconto si riferisce inoltre ad un bilancio già integralmente attuato e gli effetti di una pronuncia di illegittimità appaiono di problematica individuazione.

La via più agevole per promuovere il rispetto della regola dell’equilibrio sembra ancora, allo stato, quella dei giudizi in via d’azione promossi dal Governo nei confronti delle leggi regionali di bilancio. Anche prima della riforma dell’art. 81 – si veda in particolare la sentenza n. 70 del 2012[76] – la Corte era pervenuta a una declaratoria di incostituzionalità di alcune disposizioni di una legge regionale di bilancio per mancato rispetto dell’art. 81, in quanto utilizzavano a fini di copertura avanzi di amministrazione non preventivamente accertati con l’approvazione del rendiconto. Sembrerebbe pertanto possibile anche l’impugnazione in via diretta di una legge regionale che violasse in maniera evidente l’equilibrio di bilancio, affinché ne venga dichiarata l’integrale incostituzionalità. Nella sentenza n. 107 del 2016 la Corte ha tra l’atro rilevato come sebbene “il ricorso in via d’azione sia connotato da un forte grado di discrezionalità politica … l’esercizio dell’impulso giurisdizionale al controllo di legittimità delle leggi finanziarie regionali non può non essere improntato alla assoluta imparzialità, trasparenza e coerenza”. Meno efficaci ai fini di far valere la regola dell’equilibrio appaiono invece i ricorsi in via diretta delle Regioni nei confronti delle leggi dello Stato, ivi compresa la legge di bilancio. Ciò in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte, le Regioni possono invocare un parametro diverso dalle disposizioni relative al riparto di attribuzioni solo qualora le disposizioni violate determinino comunque una compromissione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni ovvero si riflettano sul riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni (sentenze nn. 22 e 80 2012 e n. 33 del 2011).

Va infine brevemente accennato a come il principio dell’equilibrio di bilancio, già in una qualche occasione evocato dalla Corte costituzionale prima della riforma con riferimento all’art. 81, quarto comma, nel testo originario,[77] sia stato di recente utilizzato nei giudizi di costituzionalità a fini di bilanciamento con altri interessi. La sentenza n. 10 del 2015 – nel dichiarare l’illegittimità delle norme che prevedevano un prelievo addizionale sull’imposta sul reddito delle società petrolifere che avessero registrato un certo livelli di ricavi per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Cost. – ne ha stabilito tuttavia la cessazione degli effetti solo dal giorno della pubblicazione della sentenza. L’esclusione dell’irretroattività della pronuncia è stata motivata con “il rispetto del principio dell’equilibrio del bilancio” che imponeva di considerare come la restituzione dei versamenti tributari avrebbe determinato “uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva” e questo “in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli”.

Con la sentenza n. 178 del 2015 la Corte ha invece dichiarato l’illegittimità sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva dei pubblici dipendenti a far data dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, blocco introdotto per legge sin dal 2011, e che risultava prorogato, da ultimo, al 2015 dalla legge n. 190 del 2014. La Consulta è giunta a tali conclusioni facendo leva sul valore assunto dall’art. 81 Cost. nel bilanciamento con altri principi fondamentali e chiarendo come “l’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica” sia da considerare con attenzione “in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri di finanza pubblica”. La Corte, in particolare, osserva come “si tratta di misure oggi più stringenti, in seguito all’introduzione nella Carta fondamentale dell’obbligo del pareggio di bilancio (art. 81, primo comma, Cost. …)”. Tuttavia, aggiunge che, allo scadere del biennio 2013-2014, l’avere esteso al 2015 il bocco della contrattazione collettiva al 2015 lo rendeva strutturale, configurando un “un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale (tutelata dall’art. 39 Cost. n.d.r.) ed altre esigenze costituzionali”. Anche in questo caso, come era accaduto con la sentenza n. 10 del 2015, la Corte modula gli effetti temporali della pronuncia in una logica di bilanciamento tra l’art. 81, primo comma, e diritti costituzionali che trovano fondamento in altre disposizioni della Costituzione. Tuttavia, nella sentenza n. 10 il ricorso al bilanciamento era risultato esclusivamente funzionale a temperare le conseguenze sulla finanza pubblica di una declaratoria di incostituzionalità fondata su distinte ed autonome valutazioni. Nella sentenza n. 178, invece, attraverso il bilanciamento, la Corte giunge a delimitare, per così dire, dall’interno la portata della declaratoria di incostituzionalità, riconoscendo come un determinato diritto costituzionale possa, entro certi limiti e per un periodo di tempo determinato, essere sacrificato in nome di un interesse generale anch’esso oggetto di tutela costituzionale.

Non sorprende quindi che la prima pronuncia, nella quale la Corte “ha ritenuto di doversi fare carico delle eventuali conseguenze finanziarie di una “normale” sentenza di illegittimità”, sia stata oggetto di diffuse critiche in dottrina[78]. La Corte, con la sentenza n. 70 del 2015, ha invece ritenuto di non dare rilievo alle esigenze di bilanciamento, censurando il blocco delle rivalutazioni dei trattamenti pensionistici disposto dal governo Monti nel 2011. La Corte ha ritenuto che “il diritto a una prestazione previdenziale adeguata” fosse stato “irragionevolmente sacrificato in nome di esigenze finanziarie non illustrate nel dettaglio”. Non emergeva in particolare “la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento”, diritti fondati peraltro su “inequivocabili parametri costituzionali”, identificati con la proporzionalità e l’adeguatezza del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.). Peraltro, essendo il blocco delle rivalutazioni limitato a un biennio, non era agevole circoscrivere, come avvenuto nelle sentenze nn. 10 e 178 cit., gli effetti della declaratoria di incostituzionalità.

Va infine rilevato come, anche nel motivare l’ordinanza n. 17 del 2019 richiamata al paragrafo 16, la Corte sia sembrata attribuire un rilievo al principio dell’equilibrio di bilancio. La pronuncia di inammissibilità è sembrata infatti fondarsi anche sul riconoscimento della obiettiva necessità di rideterminare i saldi della manovra finanziaria per rispettare le indicazioni delle istituzioni europee. Per usare le parole della Corte il “”fatto” economico finanziario, costituito dai vincoli di bilancio euro-unitari, determina l’esigenza di determinare i contenuti della manovra sotto la “pressione del tempo””.

  1. Conclusioni

Il nuovo articolo 81 della Costituzione è sicuramente il frutto di circostanze contingenti ed eccezionali che hanno fortemente influenzato la volontà di Governo e Parlamento. Allo stesso tempo, esso appare espressione di dinamiche di lungo periodo, di natura nazionale e europea. Il tema del debito pubblico è il grande nodo irrisolto dell’economia italiana a partire dalla fine degli anni 60 –  come evidenziato anche dalle riforme delle procedure di bilancio che si susseguono da oltre quarant’anni – affrontato in tale circostanza mettendo mano alla Carta costituzionale e tenendo inevitabilmente conto della dimensione europea, divenuta determinante, delle politiche di bilancio.

La nuova disciplina costituzionale responsabilizza gli attori politici, assicura la trasparenza nella gestione dei conti pubblici e ancora la politica di bilancio alla dimensione europea. Il debito pubblico, tramontata l’illusione di poterlo finanziare con più alti livelli di spesa pubblica[79], costituisce un limite all’iniziativa dei governi soprattutto nelle fasi di crisi economica e sociale, nonché una pesante ipoteca sul futuro delle giovani generazioni. Contrarre debito è, entro certi limiti, necessario. Ma è il farlo in una logica limitata al breve periodo, con la pretesa di avere le mani libere nella ricerca del consenso elettorale, a produrre conseguenze negative sulla finanza pubblica nel medio e lungo periodo, con effetti lesivi dell’equità intergenerazionale[80]. Per contrastare tale tendenza è stato inserito in Costituzione l’impegno alla “sostenibilità” del debito, prevedendo regole che fanno emergere e obbligano a considerare le conseguenze che il ricorso all’indebitamento determina nel corso del tempo.

La riforma ha trasformato l’equilibrio di bilancio da vincolo esterno in vincolo interno operante nei confronti di tutti i livelli di governo.  La nuova disciplina costituzionale di bilancio appare anche espressione dell’accresciuta integrazione europea e in particolare degli sviluppi dell’unione monetaria, nonché della accentuata convergenza tra costituzioni nazionali e costituzione europea. Una costituzione europea che appare il prodotto di un intreccio tra disposizione dei Trattati, diritto derivato, trattati internazionali e costituzioni degli Stati nazionali[81].

La legge costituzionale n. 1 del 2012 concorre inoltre a configurare l’Unione europea come un aspetto fondamentale dell’identità costituzionale e, conseguentemente, a qualificarla nei termini di una scelta sostanzialmente irreversibile. Le stesse procedure di bilancio sono il prodotto del combinato disposto di norme nazionali e di norme unionali. Non a torto, in seguito all’introduzione del “semestre europeo” si è parlato di “decisione finanziaria “euro-nazionale””[82].

Al nuovo articolo 81 è stato imputato di ancorare la disciplina costituzionale ad uno stadio dell’evoluzione del Patto di stabilità e crescita, di essere pertanto frutto della contingenza e di recare una disciplina inadeguata ad essere inserita nella Costituzione, per sua natura destinata a durare. Non vi è dubbio che taluni aspetti della riforma evidenziano il suo legame con una particolare fase critica attraversata dall’Unione monetaria. Va tuttavia osservato come il legislatore costituzionale, nel definire la regola dell’equilibrio di bilancio, abbia avuto cura di inserire nel corpo della Costituzione poche disposizioni, recanti principi e criteri di carattere generale che appaiono potenzialmente in grado di non perdere di attualità in seguito alle modifiche alle quali andranno inevitabilmente incontro le regole europee. Per la stessa ragione, la Costituzione non sembra aver fatto propria una particolare teoria economica o comunque una concezione dell’equilibrio di bilancio legata a una particolare congiuntura dell’economia europea e internazionale.

A considerazioni diverse appare prestarsi la c.d. legge rinforzata che riflette anche aspetti di dettaglio e di natura congiunturale del Patto di stabilità e crescita rispetto ai quali non si può escludere un ripensamento, anche a breve, in ambito europeo. È stato in precedenza sottolineato come il principio dell’equilibrio, nei termini in cui è stato attuato con la riforma costituzionale, non abbia ostacolato la flessibilità del bilancio.

Analogamente a quanto emerge dall’esperienza applicativa del testo originario dell’articolo 81, le vicende dell’Unione monetaria riguardo alla flessibilità di bilancio attestano come la materia sia caratterizzata da un tasso di discrezionalità e, quindi, di politicità ineliminabile, nonostante il livello di complessità raggiunto e gli automatismi presenti nella disciplina del Patto di stabilità e crescita. Semmai va rilevato come l’Unione, la Commissione ma anche il Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione, abbiano avallato una flessibilità che, al di là delle affermazioni di principio, è risultata assai spesso poco orientata a promuovere la crescita economica e quelle riforme strutturali che ne sono il necessario presupposto. Peraltro, il programma Next Generation EU, lo strumento istituito di recente dall’Unione europea per contrastare gli effetti sociali ed economici provocata dal COVID 19[83], sembra manifestare l’acquisita consapevolezza di dovere promuovere l’adozione di politiche di bilancio volte a perseguire obiettivi di carattere strategico, all’altezza delle sfide che l’Unione e gli Stati membri devono affrontare. In tali casi si è andati oltre la flessibilità di bilancio ed è stato implicitamente riconosciuto come, proprio il principio dell’equilibrio di bilancio oramai incorporato negli ordinamenti degli Stati membri, richieda che l’Unione si assuma più ampie responsabilità in materia di politica fiscale e si faccia ricorso a forme di debito comune, senza che questo deresponsabilizzi i singoli Stati e incentivi comportamenti ispirati al moral hazard.

In un contesto internazionale a rischio di frammentazione e dominato da logiche di competizione più che di collaborazione, si avverte la necessità di una politica di bilancio nazionale che guardi al futuro e si concentri, in un quadro europeo, sulla qualità della spesa e sulle riforme da avviare e da sostenere con continuità per promuovere la transizione ecologica, digitale e tecnologica. L’articolo 81 ci ricorda che lungo questa strada c’è il problema del debito che non possiamo continuare a rimuovere ma dobbiamo affrontare.

 

 

 

 

[1] Cfr. N. Lupo, Art. 81, in “Commentario alla Costituzione,” a cura di R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti, vol. II, Artt. 55-100, Utet, Torino, 2006, p. 1580, che ricorda come l’art. 81 fu approntato, nell’ambito della Commissione dei 75, dalla II Sottocommissione, nel quadro della disciplina relativa al procedimento legislativo. E osserva come “estremamente rapido fu l’esame relativo ai primi tre commi”, mentre “più approfondita fu la discussione” in merito a quello che era destinato a diventare il quarto comma dell’articolo.

[2] Decisamente netta e critica è la valutazione di A. Brancasi, “Le decisioni di finanza pubblica secondo l’evoluzione della disciplina costituzionale”, in La costituzione economica: Italia, Europa, a cura di C. Pinelli e T. Treu, il Mulino, Bologna, 2010, p. 347, a giudizio del quale “l’art. 81 è certamente una delle disposizioni meno pensate dal costituente: in essa si ritrova, per un verso, una ricezione dell’esistente poco consapevole e comunque assolutamente acritica e, per altro verso, una disciplina che addirittura tradisce le stesse intenzioni di quei costituenti che l’avevano voluta”.

[3] Si tratta di valutazioni fatte proprie da larga parte della dottrina, cfr. G. Rivosecchi, “L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustiziabilità”, in Rivista AIC, n. 3/2016, p. 2 e gli autori ivi citati.

[4] Cfr. V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, “La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori”, Colombo 1949, p. 137.

[5] Cfr.V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, op. ult. Cit. p. 137

[6] Per Einaudi il pareggio era un requisito fondamentale del bilancio e il disavanzo non poteva che essere un fenomeno transitorio. Si veda L. Einaudi, “Sulla interpretazione dell’articolo 81 della Costituzione”, in Lo scrittoio del Presidente, Torino 1956.

[7] Dall’entrata in vigore della Costituzione il ricorso all’esercizio provvisorio si è verificato 33 volte. L’ultima nel 1988.

[8] V. G. Rivosecchi, “Il bilancio nel diritto pubblico italiano”, in Nomos. Le attualità nel diritto. n. 3/2020, p. 6 e ss., e la dottrina ivi citata.

[9] In dottrina la natura meramente formale della legge di bilancio è stata sostenuta, tra gli altri, da A.M. Sandulli, voce “Legge (diritto costituzionale)”, in Novissimo Digesto Italiano, vol. IX, Torino, 1963, p. 650; C. Anelli, “Natura giuridica dei bilanci pubblici”, in Corriere amministrativo, 1965, p. 2050; P. Virga, “Diritto costituzionale”, Milano, 1967, p. 229.

[10] La concezione della legge di bilancio come legge sostanziale è oramai nettamente prevalente. Si veda per tutti S. Bartole, “Art. 81”, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, art. 76-82. La formazione delle leggi. Tomo II, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro Italiano, 1979, p. 245 ss. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 10 del 2016, ha di recente rilevato come la legge di bilancio produce “effetti novativi dell’ordinamento giuridico” compiendo “scelte allocative di risorse”.

[11] V. Onida, “Le leggi di spesa nella Costituzione”, Giuffrè, Milano, 1969, pag. 451.

[12] Sui limiti all’emendabilità della legge di bilancio v. N. Lupo, Art. 81, in “Commentario alla Costituzione,” op. cit., p.1590-1591.

[13] Cfr. G. Rivosecchi, “Il bilancio nel diritto pubblico italiano”, in Nomos. Le attualità nel diritto, n.3/2000, p. 11, che, nell’evidenziare le modifiche quantitative alla legge di bilancio, osserva come già nella prima fase dell’esperienza repubblicana, contrariamente a quanto auspicato da Einaudi in Assemblea costituente, il bilancio era strumento che consentiva l’espansione della spesa pubblica.

[14] Cfr. per tutti V. Onida, “Le leggi di spesa nella Costituzione”, Milano, 1969, p. 437 ss., il quale osserva come il disavanzo piuttosto che il pareggio caratterizzasse oramai il bilancio e questo fosse giustificato dalle esigenze di spesa legate agli interventi di politica economica (p. 442).

[15] Sottolinea la “importanza centrale” del contenuto eventuale della legge finanziaria N. Lupo, Art. 81, in “Commentario alla Costituzione,” op.  cit., p. 1595.

[16] Il ruolo che la legge n. 468 del 1978 intendeva attribuire al Parlamento è ben descritto da E. di Carpegna Brivio, “Rappresentanza nazionale e valutazione delle politiche pubbliche”, Torino, Giappichelli, 2021, p. 123 ss.

[17] Cfr. E. di Carpegna Brivio, “Rappresentanza nazionale e valutazione delle politiche pubbliche”, op. cit., p. 126 che osserva come la ripetuta presentazione di finanziarie omnibus avessero snaturato il disegno riformista del 1978 e favorito un notevole appesantimento della finanza pubblica.

[18] V. N. Lupo, Art. 81, in “Commentario alla Costituzione,” op. cit., p. 1603 ss.

[19] Osserva N. Lupo, Art. 81, in “Commentario alla Costituzione,” op. cit., p. 1603 che tale innovazione è strettamente connessa all’accelerazione delle politiche di risanamento finanziario. Il DPEF e le risoluzioni approvative di quegli anni richiedevano infatti la presentazione, unitamente al disegno di legge finanziaria, di un disegno di legge contenente esclusivamente misure di risanamento della finanza pubblica.

[20] V. tra gli altri G. Rivosecchi, “Il bilancio nel diritto pubblico italiano”, op. cit. p. 20, che osserva come “dalla prima metà degli anni duemila, il Governo ha conquistato il completo controllo sulle procedure di bilancio”.

[21] V. i decreti-legge nn. 347 e 350 del 2001.

[22] V.  E. di Carpegna Brivio, “Rappresentanza nazionale e valutazione delle politiche pubbliche”, op. cit., p.128 che attribuisce alla legge n. 196 del 2009 l’obiettivo di “trasformare le camere in una sede istituzionale per la comprensione e la valutazione delle politiche pubbliche concretamente perseguite”.

[23] Si consenta di rinviare a. D. Cabras, “L’impatto della nuova governance economica europea sull’ordinamento italiano”, in Quaderni costituzionali, 2011, p. 388, nella parte in cui si rileva come l’obiettivo del semestre europeo – indurre gli Stati ad affrontare contestualmente le politiche per la stabilità finanziaria e le politiche per la competitività e la crescita, ivi incluse le riforme strutturali – diviene in tal modo anche l’obiettivo della programmazione nazionale.

[24] Sulla riforma della normativa europea intervenuta tra il 2011 e il 2013 cfr. L. Landi, “”Pareggio di bilancio” oppure “equilibrio di bilancio” nella Costituzione italiana? Il riferimento all’ordinamento europeo”, in Il Filangeri, Quaderno 2014, p. 151 e ss. e, in particolare, p. 159 dove osserva come “Dal 2005, la pietra angolare della disciplina di bilancio in sede europea, fondata come si è detto sui saldi strutturali, è l’obiettivo di medio termine (MTO)”.

[25] Ricorda tra l’altro G.L. Tosato, “La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’unione: l’interazione tra i livelli europei e interno”, in Corte costituzionale, “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 20122, Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 22 novembre 2013, Giuffrè, Milano, 2014 p.4, come le norme del Fiscal compact assumano una posizione subordinata rispetto alle fonti dell’Unione e “sono abilitate ad integrare e dare esecuzione alle norme primarie e secondarie dell’Unione, ma non possono porsi con esse in conflitto”.

[26] Ha ritenuto, tra gli altri, che la lettera in questione abbia spinto il Parlamento ad intervenire M. Luciani, “Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini”, Relazione conclusiva presentata al Convegno di studi amministrativi “Dalla crisi economica al pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e responsabilità”, Varenna, 20-21 settembre 2012, adesso in Astrid Rassegna, n. 3, 2013, p. 22-23.

[27] Il disegno di legge costituzionale A.C. 4260, “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione”, presentato alla Camera il 15 settembre 2011 dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e dal Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti.

[28] V. per tutti le espressioni critiche di N. D’Amico, “Oplà, il pareggio di bilancio non c’è più”, in IBL (Istituto Bruno Leoni), www.brunoleoni.it, n. 107, p. 2.

[29] Sent. n. 250 del 2013, punto n. 2 del “Considerato in diritto”.

[30] Sent. n. 247 del 2017, punto n. 9.2 del “Considerato in diritto”.

[31] Cfr. sentt. n. 247 del 2017, punto n. 9.2 del “Considerato in diritto”; n. 101 del 2018, punto n. 6.2.1 del “Considerato in diritto”; n. 61 del 2018, punto n. 2 del “Considerato in diritto”.

[32] V. G. Bottini, “Il nuovo articolo 97 della Costituzione”, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2014, fasc. 3, p. 695 che osserva come i nuovi principi costituzionali in materia di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico vincolino a questo punto “direttamente la singola pubblica Amministrazione, ogni Amministrazione pubblica, sia essa statale, territoriale o non territoriale”. Si consenta di rinviare anche a D. Cabras, ”L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio nella Costituzione: una regola importante per la stabilizzazione della finanza pubblica”, in Quad. cost., 2012, pag. 111-114.

[33] Si veda la sentenza n. 88 del 2014, ove la Corte costituzionale afferma che la legge rinforzata può essere oggetto e, nel contempo, parametro nel giudizio di costituzionalità.

[34] A giudizio di N. Lupo, ““La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti”, op. cit., p. 108 ss., si tratterebbe di una “vera e propria legge organica, alla quale è garantita una competenza definita in termini tassativi e al tempo stesso riservata”. Tale particolare definizione non sembra in ogni caso mutare la collocazione nel sistema delle fonti della legge in questione rispetto a quanto osservato nel testo e, in particolare, il suo rapporto con la legge ordinaria.

[35] V. per tutti A. Brancasi,”La nuova regola costituzionale del pareggio del bilancio: effetti su rapporti Parlamento-Governo e sugli indirizzi delle politiche sociali: il caso italiano”. Relazione al Convegno “La Costituzione alla prova della crisi finanziaria mondiale”, Lecce 14-15 settembre 2012, in www.gruppodipisa.it., p. 7 a giudizio del quale, pur non avendo la riforma “un impatto diretto, è invece il quadro europeo che comporta un inevitabile rafforzamento della posizione del Governo a danno della centralità del Parlamento”.

[36] Cfr. S. Caldarelli, “I vincoli al bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni. Sovranità, autonomia e giurisdizione”. Roma, Roma Tre – Press, 2020, pp. 83 e 84, dove si fa tra l’altro riferimento a diverse definizioni di sostenibilità del debito fatte proprie dalla scienza economica.

[37] E’ pertanto da condividere l’opinione di chi rileva come  (M. Nardini, “La legge n. 243/2012 e l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alle regole europee di bilancio”, in www.osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 1/2013, p. 15) “mentre per il bilancio statale l’”equilibrio” viene definiti volta per volta in sede europea (sia pure nei limiti previsti in materia), nel caso degli enti territoriali si prevede un pareggio vero e proprio, vincolato espressamente nella Costituzione e nella legge” rinforzata””.

[38] La nuova struttura della legge di bilancio e il venir meno della legge di stabilità hanno reso necessario intervenire sulla legge di contabilità (legge n. 196 del 2009) modificandola in più parti con la legge 4 agosto 2016, n. 163.

[39] E’ significativo a riguardo che, nel corso dell’indagine conoscitiva svolta dalle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera relativa all’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, venisse chiesto agli auditi “Quali sono gli effetti che l’introduzione del principio del pareggio del bilancio potrebbe determinare sulla tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente protetti e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale? In che modo è possibile contemperare l’esclusione o la limitazione dell’indebitamento con la tutela di tali diritti? Quesito riportato da G. Bognetti, “Il pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”, in Rivista AIC, n. 47/2011, p. 9, in risposta al quale l’autore si è limitato a rileevare come le proposte di legge in esame non prevedessero un divieto assoluto di indebitamento.

[40] Il carattere “bifronte” del Patto di stabilità e crescita è ben descritto da G.L. Tosato, “La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’unione: l’interazione tra i livelli europei e interno”, op. cit., p. 8 e ss.

[41] V. R. Bifulco, “Il pareggio di bilancio in Germania: una riforma costituzionale postnazionale?”, in Rivista AIC, n.3/2011, 20/09/2011, p. 2 e ss. Dall’articolo emerge tra l’altro come invece alcuni contenuti (considerazione dell’andamento del ciclo economico, rilievo degli eventi eccezionali) e taluni profili procedurali (maggioranza assoluta per ricorrere all’indebitamento, piano di ammortamento in caso di scostamenti) della riforma tedesca siano stati recepiti nella riforma nazionale (e per quanto riguarda i contenuti dalla normativa europea n.d.r.).

[42] Cfr. Relazione presentata il 21 marzo 2013 dal Governo Monti e Relazione presentata il 28 agosto 2013 dal Governo Letta.

[43] V. Comunicazione del 13 gennaio 2015 “Making best use of the flexibility within the existing rules of the Stability and Growth Pact”.

[44] Si vedano: Relazione 30 settembre 2014, annessa alla NADEF 2014 (Governo Renzi); Relazione 18 settembre 2015 annessa alla NADEF (Governo Renzi); Relazione 8 aprile 2016 annessa al DEF (Governo Renzi); Relazione 27 settembre 2016 annessa alla NADEF (Governo Renzi); Relazione 23 settembre 2017 annessa alla NADEF (Governo Gentiloni); Relazione 27 settembre 2018 annessa alla NADEF (Governo Conte I); Relazione 30 settembre 2019 annessa alla NADEF (Governo Conte II).

[45] Nel 2016 la flessibilità per investimenti è stata concessa nell’ammontare massimo consentito, lo 0,25% del PIL, ma poi ridotta a consuntiva per il mancato impiego di tutte le risorse a tal fine disponibili.

[46]E’ sufficiente ricordare come: a) l’art. 1, c 12-15, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015), abbia previsto il c.d. Bonus di 80 euro che spettava, sotto forma di detrazione fiscale, a tutti i lavoratori dipendenti con un reddito non superiore a 24 mila euro, con un costo annuo per l’erario di circa 9 miliardi di euro; b) l’art. 14 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, all’art. 14, abbia introdotto, in via sperimentale per il triennio 2019-2021, un trattamento di pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 38 di contributi (c.d. quota cento) che ha comportato una spesa effettiva pari a circa 12 miliardi.

[47] Relazione del 5 marzo e Relazione integrativa dell’11 marzo 2020 hanno autorizzato uno scostamento pari a 20 miliardi (Governo Conte II); relazione del 24 aprile 2020 (Governo Conte II) ha autorizzato uno scostamento di 55 miliardi; relazione del 20 luglio 2020 (Governo Conte II) ha autorizzato uno scostamento di 25 miliardi; relazione del 21 novembre 2020 (Governo Conte II) ha autorizzato uno scostamento di 8 miliardi.

[48] Si segnalano i più significativi: D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. DL cura Italia); D.L. 17 maggio 2020, n. 34 (c.d. DL rilancio), D.L. 14 agosto 2020 (c.d. DL agosto); D.L. 28 ottobre 2020, D.L. 9 novembre 2020, D.L. 23 novembre 2020, D.L. 30 novembre 2020, n. 157 (c.d. DD.LL. ristori).

[49] Relazione del 14 gennaio 2021 (Governo Draghi) ha autorizzato uno scostamento di 32 miliardi di euro; relazione del 15 aprile 2021 annessa al DEF (Governo Draghi) ha autorizzato uno scostamento di 40 miliardi di euro.

[50] D.L. 22 marzo 2021 (c.d. DL sostegni); D.L. 6 maggio 2021, n. 59 (Piano di investimenti complementari) e D.L: 25 maggio 2021, n. 73, (c.d. DL sostegni bis).

[51] Il ricorso all’indebitamento in misura così consistente ha determinato un netto peggioramento dei saldi di bilancio. La NADEF per il 2020 stimava un indebitamento netto pari a – 10,8 per cento nel 2020, – 7 per cento nel 2021, a – 4,7 per cento nel 2022 e a – 3 per cento nel 2023. La NADEF per il 2021 stimava invece un livello del saldo pari a -7,6% nel 2021, 5,5 % nel 2022, – 4,5% nel 2023 e – 3,9% nel 2024.

[52] E’ stato osservato come l’attuazione dell’articolo 5 avrebbe “consentito al Parlamento italiano non soltanto di mantenere una centralità istituzionale nella decisione di bilancio, ma anche di compiere un salto di qualità verso una valutazione delle politiche pubbliche”, così E. di Carpegna Brivio, “Rappresentanza nazionale e valutazione delle politiche pubbliche”, op. cit. p. 132.

[53] In proposito C. Tucciarelli, “Procedure finanziarie e integrazione europea: l’inesorabile trasformazione del Parlamento nell’inerzia dei Regolamenti”, in Il Filangieri, Quaderno 20021, ha rilevato come “Ai forti condizionamenti introdotti dalle fonti europee e nazionali ha corrisposto una sostanziale inerzia dei regolamenti parlamentari” p. 167 e questo quando “Ampi sarebbero i margini per i regolamenti parlamentari nell’elaborazione attuativa della funzione di controllo nel processo di bilancio”. P. 168.

[54] L. Gianniti e C. Goretti, “Prime note sull’Ufficio parlamentare di bilancio”, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 2013, p. 81 ss., dopo aver affermato che l’Ufficio è una delle “previsioni più qualificanti della legge n. 243/2012”, ricordano come, attraverso la produzione di informazioni volta a colmare l’asimmetria informativa tra decisori (Governo e Parlamento) e stakeholder  (cittadini e mercati finanziari), i “fiscal council mirano dunque a migliorare la qualità delle decisioni di policy, limitando la possibile miopia di breve periodo e la probabilità di comportamenti opportunistici”. Si consenta di rinviare anche a D. Cabras, “Un fiscal council in Parlamento”, in Federalismi.it, n. 20, 2012.

[55] Il giudizio sui contenuti delle più recenti leggi di bilancio è ampiamente condiviso, v. per tutti C. Tucciarelli, “Procedure finanziarie e integrazione europea: l’inesorabile trasformazione del Parlamento nell’inerzia dei Regolamenti”, op. cit., p. 181 che osserva “Le possibilità e le capacità emendative del Parlamento si trovano spesso relegate a modifiche marginali. Anzi, spesso continua a non avere effettiva applicazione il divieto (art. 15, comma 2, terzo periodo della legge n.243/2012) di inserire nella legge di bilancio norme microsettoriali o localistiche oppure di natura ordinamentale o organizzatorio.”

[56] La seconda lettura dei disegni di legge di bilancio relativi agli anni 2020, 2021 e 2022 ha avuto una durata, rispettivamente, di 7, 4 e 7 giorni, a fronte di una prima lettura con una durata, rispettivamente, di 42, 39 e 44 giorni. Ad essere sacrificato e reso praticamente impossibile nella seconda lettura è stato l’esame degli emendamenti presso la Commissione bilancio.

[57] Cfr. l’ordinanza n. 17 del 2019 e l’ordinanza n. 60 del 2020 della Corte costituzionale.

[58] G.L. Tosato, “La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione…, op. cit. p. 11 e ss.

[59] Op.ult.cit. p. 12.

[60] “Tutto il sistema del nostro bilancio prescinde da un ipotetico vincolo giuridico al pareggio, che è sempre stato considerato un fatto di natura politica”, così V. Onida, “Le leggi di spesa nella Costituzione…”, op. cit. p. 451.

[61] Così M. Luciani, “Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini”, op.cit. p. 44.

[62] V. N. Lupo, “La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti”, in Il Filangieri – Quaderno 2011. Costituzione e pareggio di bilancio, a cura di V. Lippolis – N. Lupo – G. M. Salerno – G. Scaccia, Jovene, Napoli, 2012, p. 102, che nota come con la riforma costituzionale in esame “si sia perciò perfettamente all’interno della funzione di fondo del costituzionalismo, ove inteso come quell’insieme di norme giuridiche volte a limitare il potere politico”.

[63] V. M. Luciani, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità, in Corte costituzionale, Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012, Atti del seminario svoltosi a Roma, Palazzo della Consulta, 22 novembre 2013, Giuffrè, Milano, 2014 p.35 .

[64] Su un totale di 61 rinvii alle Camere ex art. 74 Cost., 36 sono stati motivati con la violazione del terzo comma dell’art. 81 cost.

[65] Cfr. G. Scaccia, La funzione presidenziale di controllo sulle leggi e sugli atti equiparati, in Rivista AIC, n. 1/2011, pp. 4 e ss. e gli autori ivi citati.

[66] La definizione e una ampia rassegna di tali esternazioni presidenziali relative alla presidenza di Giorgio Napolitano si trova in V. Lippolis, G.M. Salerno, La presidenza più lunga, Il Mulino, 2016, p. 104 ss.

[67] Nel corso delle due presidenza, quindi a partire dal 2006, vi sono stati solo due rinvii alle Camere, uno per ciascuna presidenza, ai sensi dell’art. 74 Cost.

[68] V. la lettera del Presidente dell’UPB, prof. Giuseppe Pisauro, al Ministro dell’economia e delle finanze, Giovanni Tria del 13 ottobre 2018, https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2018/10/lettera-validazione-QMP-2018-con-allegato-pdf.

[69] V. la lettera del Vice-Presidente della Commissione europea, e del, Membro della Commissione europea, Pierre Moscovici, al Ministro dell’economia e delle finanze, Giovanni Tria in www.dirittoue.info/wp-content/uploads/2018/10/2019_dpb_commission_letter_it_20181023_it.pdf

[70]Cfr. www.dirittoue.info/wp-content/uploads/2018/10/MEMO-18-6175_IT.pdf

[71] V. G. Scaccia, “La giustiziabliità della regola del pareggio di bilancio”, in www.rivistaaic.it n. 3/2012, p. 3, dove si riporta come la violazione dell’obbligo di copertura ex art. 81, quarto comma, Cost secondo dati statistici aggiornati al 24 luglio 2012, fosse stato denunciato nel 73,2% dei casi attraverso giudizi in via d’azione relativi a leggi regionali. Da ciò la conclusione che “l’art. 81 Cost., nella sostanza della sua effettività giuridica, ha operato prevalentemente come meccanismo di controllo statale sui bilanci regionali”.

[72] Così G. Rivosecchi, “L’equilibrio di bilancio…”, cit. p. 21.

[73] G. Scaccia, “La giustiziabilità della regola…”, cit. p.4

[74] V. in questo senso E. Caterina, “E’ possibile dichiarare costituzionalmente illegittima un’intera legge di bilancio?”, in Osservatorio sulle fonti, n. 1. p. 7 e ss. Anche per quanto si è detto in merito alla rilevanza della questione, la via maestra per agevolare l’intervento della Corte a tutela dell’equilibrio di bilancio sembrerebbe essere la modifica della legge n. 87 del 1953.

[75] Così M. Luciani, “L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità”, Relazione al Convegno “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Corte costituzionale, 22 novembre 2013.

[76] Ricordata da G. Rivosecchi, “L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustiziabilità”, in www.rivistaaic.it n.3/2016, p. 3.

[77] Lo rileva G. Rivosecchi, op. ult. cit. p. 4, richiamando le sentenze n. 70, n. 115 e n. 192 del 2012, ma anche n. 213 del 2008, nelle quali la Corte aveva ribadito che “la copertura deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri”.

[78] V. C. Bergonzini, “Il nuovo principio dell’equilibrio di bilancio: le prime ricadute sull’ordinamento italiano”, in “La legge dei numeri, governance economica europea e marginalizzazione dei diritti”, a cura di C. Bergonzini, S. Borelli, A. Guazzarotti, Jovene, Napoli, 2016, p. 158.

[79] V. R. Succio, “Il Principio dell’equilibrio di bilancio di cui all’art. 81 Cost. e la Corte costituzionale: un primo (complesso) approccio”, in Il diritto dell’economia, Mucchi Editore, Modena, vol. 28, n. 88, 3 – 2015, p. 716 ove si osserva come “l’esplosione del debito negli anni Ottanta e Novanta risulta imputabile anche all’illusione di poter finanziare il debito pubblico con gli alti livelli di crescita”, e la letteratura economica ivi citata.

[80] V. sul tema dell’equità intergenerazionale N. Lupo, “La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti”, in Il Filangeri. Quaderno 2011, Napoli 2012, p. 104.

[81] Cfr. N. Lupo, “La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti”, in Il Filangeri…cit., pag. 91-92, che legge la revisione costituzionale della disciplina di bilancio come una “conferma della tesi che afferma la natura “composita” della Costituzione europea: nel senso che tale Costituzione si compone necessariamente di elementi ricavati dall’ordinamento dell’Unione europea e di elementi tratti dagli ordinamenti costituzionali europei”.

[82] Così G. Rizzoni, Il “Semestre europeo” fra sovranità di bilancio e autovincoli costituzionali: Germania, Francia e Italia a confronto”, in Rivista AIC, n. 4, 2011, p.7.

[83] Il programma NGEU è stato istituito dal regolamento (UE) 2020/2094.

 

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Daniele Cabras nel 1991 è vincitore del concorso per Consigliere parlamentare della professionalità generale presso la Camera dei deputati. Presso il Servizio studi della Camera dei deputati ha assunto l’incarico di responsabile dell’attività di documentazione e ricerca della IV Commissione difesa e, successivamente, è stato nominato Capo Ufficio prima con l’incarico di coordinamento dell’area economia, mercato, infrastrutture e ambiente, poi dell’area comunitaria, internazionale e sicurezza e infine dell’area finanza pubblica. Presso il Servizio Commissioni della Camera dei deputati ha operato in qualità di Consigliere preposto alla segreteria della Commissione affari costituzionali ed è quindi stato nominato Segretario della Commissione esteri. Dal novembre 2008 all’aprile 2013 è stato Segretario della Commissione bilancio, tesoro e programmazione.

Presso il Governo è stato, dal novembre 1998 al dicembre 1999, Capo di gabinetto del Vice presidente del Consiglio dei ministri e dal dicembre 1999 all’aprile 2001 Consigliere giuridico e per i rapporti istituzionali del Ministro della difesa. Dal maggio 2006 al marzo del 2008 è stato Capo di Gabinetto del Ministro per le politiche della famiglia e dal maggio 2013 al marzo 2014 Capo di gabinetto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Dal giugno 2014 al dicembre 2014 è stato il primo Direttore generale dell’Ufficio parlamentare di bilancio istituito ai sensi dell’articolo 16 della legge 24 dicembre 243, “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio del bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione”. Il 1° gennaio 2015 è stato nominato Segretario generale dell’Autorità di regolazione dei trasporti.

Il 15 febbraio 2015 è stato nominato Consigliere del Presidente della Repubblica ed ha assunto l’incarico di Direttore dell’Ufficio della Segreteria Generale. Il 22 febbraio 2019 è stato nominato dal Presidente della Repubblica Direttore dell’Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, incarico che tutt’ora ricopre.

Nel mese di novembre del 2021 è stato nominato Consigliere di Stato.

E’ autore di numerosi articoli e saggi in materia di diritto costituzionale e di finanza pubblica.