La strage di Capaci: memoria viva, impegno presente

Antonio Balasco/Kontrolab /IPA

Abbiamo scelto di dedicare uno spazio speciale all’anniversario della strage di Capaci perché crediamo che ricordare non significhi soltanto celebrare, ma provare a capire, interrogarsi. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le persone che li hanno seguiti nella battaglia contro la mafia non sono morti per un’idea astratta di giustizia, ma per un impegno concreto, quotidiano, fatto di studio, di determinazione, di coraggio e anche di solitudine. A distanza di oltre trent’anni, ci siamo chiesti: cosa resta davvero di quell’eredità? La mafia è cambiata, ma non è scomparsa. E la lotta alla criminalità organizzata oggi si scontra con forme più subdole, meno visibili, ma non per questo meno pericolose. Il contrasto alla criminalità organizzata richiede oggi strumenti nuovi, competenze profonde e uno sguardo lucido sulle trasformazioni sociali ed economiche in cui queste nuove mafie si annidano.

Con la Rivista, che nasce all’interno della magistratura ma si rivolge a tutti coloro che vogliono comprendere i meccanismi della giustizia attraverso una informazione ragionata e critica, vogliamo raccontare tutto questo senza semplificazioni. Vogliamo offrire strumenti di riflessione, anche scomodi se necessario, sulla condizione attuale della giurisdizione, sul contrasto alla criminalità organizzata e sul senso dell’impegno di tanti colleghi che ogni giorno operano in territori difficili. Vogliamo aiutare a capire che la giustizia non è un affare per pochi “addetti ai lavori”: riguarda tutti. Ogni giorno. Tenere viva la memoria della strage di Capaci significa proprio questo: non smettere di farci domande, non smettere di guardare con onestà a quello che siamo diventati e a quello che possiamo ancora cambiare. La memoria, per noi, è un esercizio civile e professionale che deve restare vivo, non solo nel ricordo, ma nel confronto con le sfide del presente.

Legalità come cultura condivisa

Legalità non significa solo rispetto delle regole. Significa prima di tutto cultura. Non basta applicare le leggi: bisogna far capire perché rispettarle è un valore per tutti, e non solo un obbligo. La magistratura associata può fare molto in questo senso, perché ha la possibilità – e direi anche la responsabilità – di uscire dai palazzi di giustizia e dialogare con la società. Non per impartire lezioni, ma per condividere esperienze, dubbi, limiti.

Penso soprattutto ai giovani: nelle scuole, nelle università, nei territori più fragili. La cultura della legalità non si trasmette con gli slogan, ma con il racconto concreto di chi ogni giorno sceglie di stare dalla parte della giustizia. Parlare di giustizia in modo chiaro, aperto, onesto, anche mostrando le difficoltà che viviamo come magistrati, aiuta le persone a sentire che la legalità non è una parola astratta, ma qualcosa che ha a che fare con la vita di tutti.

Con il lavoro de La Magistratura, ma anche e soprattutto con il lavoro associativo, possiamo fare molto: aprire spazi di confronto per portare fuori dai tribunali il senso profondo del nostro lavoro. Perché se la legalità è cultura, allora va coltivata insieme, non solo nelle aule di giustizia, ma anche nelle scuole, nei luoghi di aggregazione, nei quartieri. Solo così può diventare parte di un’identità collettiva e non restare una parola da usare solo nelle commemorazioni.

Il coraggio della memoria

Giovanni Falcone diceva: “il coraggio non è non avere paura, ma non farsi condizionare dalla paura”. Ricordare oggi la strage di Capaci significa anche questo: avere il coraggio di affrontare le paure nuove, meno evidenti ma ugualmente insidiose. Significa domandarci, ancora una volta, cosa vuol dire oggi, davvero, affermare una cultura antimafia.

Non sempre è facile. Non lo è per chi vive in territori segnati dalla presenza criminale, non lo è per chi cerca di raccontare la verità, non lo è nemmeno per chi, come noi, esercita una funzione pubblica. Ma proprio per questo, oggi più che mai, serve un impegno collettivo: delle istituzioni, della scuola, dell’università, dell’informazione, della magistratura.

La memoria non è un atto rituale. È una scelta. Una responsabilità. Un impegno che deve rinnovarsi ogni giorno. Anche, ed anzi soprattutto, quando non fa notizia.