
Un grido dall’allarme. La magistratura parla dei rischi della nuova proposta di legge in esame alla Camera sul sequestro degli smartphone. Una legge che è già stata approvata in prima lettura al Senato e che ora riprende il suo iter in commissione Giustizia. Le audizioni mettono in evidenza i profili critici di un intervento che nasce per far fronte alle indicazioni della Corte costituzionale ma che si allarga ulteriormente.
“Costituisce una preoccupazione che riguarda anche la sorte delle indagini in materia di criminalità mafiosa, perché alcune soluzioni prefigurate nel testo approvato al Senato destano davvero allarme”. A intervenire proprio davanti ai deputati è il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo. Per lui c’è “un pericolo concreto di arretramento dell’azione di contrasto della criminalità mafiosa. Tocca al Parlamento dire se il sacrificio di questa ‘prova’ sia un sacrificio giustificato. Io credo di avere il dovere di dire che è un sacrificio obiettivamente irragionevole”.
Molto chiare anche le parole del presidente dell’Anm Cesare Parodi. “C’è una grave dimenticanza, non vengono richiamate anche le intercettazioni informatiche: la norma riguarda un numero elevatissimo di reati commessi in rete”, dice Parodi. “Togliere la possibilità di utilizzare la prova di comunicazioni per le quali non avremo testi vuol dire abdicare alla possibilità di tutela per un settore vastissimo del diritto penale: sarebbe un messaggio estremamente negativo”, aggiunge.
Cosa prevede la proposta a prima firma Zanettin?
Previsto un iter decisamente più dettagliato e complesso rispetto a quello attuale per avere un’autorizzazione al sequestro dei dispositivi elettronici, diviso in quattro momenti.
Sarà il giudice per le indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero a disporre il sequestro di materiali “necessari per la prosecuzione delle indagini”, “nel rispetto del criterio di proporzione”. Quindi entro cinque giorni dal deposito del verbale di sequestro, il pm conferisce l’incarico per la duplicazione del contenuto del dispositivo. Effettuata l’analisi del duplicato informatico, il pm procede con decreto motivato al sequestro dei dati, delle informazioni e dei programmi “strettamente pertinenti al reato in relazione alle circostanze di tempo e di luogo del fatto e le modalità della condotta, nel rispetto dei criteri di necessità e proporzione”. Infine, se il pm intende sequestrare dati inerenti a comunicazioni, è tenuto ad avanzare una nuova richiesta al gip.
I problemi sul tavolo
Restano numerose criticità. La prima è quella del mancato investimento finanziario. L’introduzione di questa disciplina crea una serie di oneri organizzativi per tutti gli anelli della catena. Nella proposta di legge però si parla di invarianza di spesa. Insomma, neanche un euro in più.
Poi c’è il rallentamento dei tempi, inevitabile data la nuova procedura. E quindi il mancato richiamo alla norma sulle intercettazioni che riguarda un numero elevatissimo di reati commessi in rete.