40 anni dopo l’Asinara. Borsellino e Falcone: quando memoria è storia

Una memoria che si fa storia. La cuciono le testimonianze di Lucia e Manfredi Borsellino, che tornano all’Asinara a quarant’anni da quell’estate del 1985 quando Falcone, Borsellino, Morvillo e le loro famiglie furono costretti a passare diverse settimane nell’isola bunker nel nord della Sardegna per preparare il Maxiprocesso.

Quello della famiglia Borsellino è un ricordo intimo, familiare. Ma non solo. È la storia del Paese, della lotta alla mafia che ha visto eroi loro malgrado quei magistrati che erano in prima fila per combattere la criminalità organizzata.

Ed è per questo che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha voluto inviare un messaggio al presidente Anm Cesare Parodi per esprimere la sua vicinanza in occasione del ricordo voluto dalla magistratura associata

“Il Maxiprocesso di Palermo costituisce una tappa fondamentale nella storia della giustizia italiana e della lotta alla criminalità organizzata – scrive Mattarella. Il contributo di Falcone e Borsellino fu determinante, con l’opera instancabile di magistrati e forze dell’ordine, per dimostrare l’esistenza di Cosa Nostra come organizzazione unitaria, dotata di una propria struttura gerarchica e aberranti canoni. Il coraggio e l’abnegazione di quanti resero possibile tale risultato sono un’indelebile testimonianza di fedeltà ai valori costituzionali. La memoria del loro esempio è motivo di ispirazione per ogni cittadino”, conclude il presidente della Repubblica.

Manfredi Borsellino ricorda quelle settimane all’Asinara, ma anche quei mesi complessi. E racconta un aneddoto. “Ricordo quando mio padre si occupò dell’istruttoria dell’omicidio del capitano Basile, fu l’inizio di tante sofferenze impartite a mio padre proprio dai suoi colleghi. Ricordo uno dei presidenti dei collegi giudicanti che nella sentenza in cui assolse tre killer del capitano arrivò a offendere nella sentenza mio padre dicendo che il magistrato che aveva istruito il procedimento lo aveva fatto in maniera pessima. E lo scrisse in sentenza”, racconta.

“Ci volevano quarant’anni”, dice con parole piene di emozione Lucia Borsellino. “Ci volevano quarant’anni perché a volte quando si provano delle emozioni molto forti, e noi non ce ne siamo fatte mancare, si vive una sorta di disorientamento temporale, o almeno io mi sono trovata in questo limbo in questi oltre trent’anni che mi hanno separato da mio papà e ho sempre avuto la sensazione di essere fuori posto, come se una parte, una grossa parte di me nonostante abbia tentato di andare avanti, di farmi una famiglia, di crescere dei figli, una parte di me era rimasta, ed era rimasta fino a qualche momento fa, sempre indietro. Oggi si è compiuto quello che io definisco un matrimonio forse perché sono andata a cercare quella parte di me che era rimasta qui e che ancora non avevo ritrovato e per la quale appunto mi serviva essere fisicamente in questo posto”. E il ringraziamento ad Andrea Vacca, presidente dell’Anm Sardegna, che ha costruito questa iniziativa con cura e sensibilità.

Accanto ai familiari di Borsellino ci sono anche i colleghi e i collaboratori di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Fra questi Rino Germanà, il poliziotto che era sempre al fianco del magistrato ucciso il 19 luglio 1992. E che viene ringraziato proprio dal figlio Manfredi. “Il coronamento di tutto per noi era avere qui all’Asinara anche Rino Germanà. Se oggi faccio il poliziotto lo devo essenzialmente a lui”, dice Borsellino. E ricorda come poche settimane dopo via D’Amelio riuscì a salvarsi da un attentato. “Solo la prontezza di un grande poliziotto e un uomo dalle doti uniche permise a Germanà di salvarsi gettandosi a mare”, ricorda. “Una persona come lui non poteva non arrivare ai vertici della Polizia. Invece è un eroe dimenticato”, aggiunge Manfredi.

All’Asinara ci sono poi i ricordi di Giovanni Paparcuri, c’è la presenza di Giuseppe Costanza. I contributi dei protagonisti della magistratura antimafia di quegli anni. Peppino Di Lello, Leonardo Guarnotta e Gian Carlo Caselli, procuratore di Palermo che arrivò proprio dopo le stragi del 1992 nel capoluogo siciliano. C’è la trama storica e giuridica messa assieme da Antonio Balsamo. Ci sono le istituzioni, con il saluto del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli. Ci sono i vertici della magistratura sarda. E i giornalisti Elvira Terranova e Giovanni Bianconi.

E ci sono i protagonisti odierni della lotta alla criminalità organizzata. “L’Asinara ha un valore simbolico per l’intera magistratura, perché l’impianto del Maxiprocesso ha avuto centrale importanza nelle strategie di contrasto della criminalità organizzata in tutti gli uffici giudiziari italiani”, sottolinea Giovanni Melillo, procuratore nazionale Antimafia. Mentre il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia ricorda che “da allora cambiarono sostanzialmente le cose per chi lavora contro l’organizzazione criminale che infetta la Sicilia. Il maxiprocesso è una svolta giuridica e culturale”. Incisive le parole del procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio. “Falcone e Borsellino erano dei maestri, avevano voglia di seminare il germe della legalità, credevano nel gruppo, credevano in una magistratura diversa da quella che ancora allora dialogava con la mafia e ne disconosceva la capacità di condizionate la società e mortificare la vita democratica”.

Dietro questo ricco pannello di memoria e storia c’è il ruolo di collante silenzioso dell’Associazione nazionale magistrati. L’organizzazione dell’Anm Sardegna con Andrea Vacca, la collaborazione della commissione Legalità, guidata da Gaspare Sturzo e il coinvolgimento della giunta palermitana presieduta da Giuseppe Tango. “C’è una battaglia, una sfida per far conoscere cosa è accaduto nella storia del nostro Paese. Abbiamo deciso di riprendere un percorso in questo senso. Vogliamo far rinascere luoghi e spazi culturali per parlare di cosa è successo in Italia”, spiega Sturzo annunciando anche future iniziative della commissione. “Falcone e Borsellino hanno svolto un ruolo fondamentale per aver contribuito alla credibilità stessa dello Stato”, ribadisce Tango.

“Un evento che abbiamo sostenuto perché era doveroso. Nostro compito è coltivare la memoria per non disperdere quel patrimonio enorme che colleghi come Falcone e Borsellino ci hanno lasciato”, afferma con evidente emozione il segretario generale Anm Rocco Maruotti. Un tassello importante. Un’azione incisiva. Perché coltivare la memoria significa costruire il futuro.