
Paola Cervo è giudice di sorveglianza a Napoli ed è componente della Giunta esecutiva centrale dell’Anm. A lei chiediamo una valutazione sulla riforma Nordio.
Quali sono le maggiori criticità del ddl costituzionale che ha già ottenuto i primi due passaggi in Parlamento?
“Il disegno di legge costituzionale non è una riforma ma è un un atto di strabismo istituzionale. Perché non si può parlare di riforma della giustizia senza parlare di giustizia civile. E invece questa riforma non ne parla. Perché non genera risorse. Perché non accelera i tempi dei processi. Perché è un pot pourri. E per accorgersene basta ascoltare le istanze di chi la sta sostenendo. È una riforma nella quale si va a toccare l’architrave di un ordinamento, la Costituzione, senza avere una visione chiara.
Gli avvocati dicono che per loro è la soluzione per avere parità di strumenti rispetto al pubblico ministero nella fase delle indagini. I sostenitori del sorteggio, sostengono che è lo strumento per scardinare il correntismo e ridimensionare il Consiglio superiore della magistratura. I sostenitori dell’Alta Corte dicono che è la sola strada per avere una giustizia disciplinare che non sia addomesticata. Tutte queste finalità forzatamente ficcate in un barattolo che forse non le contiene tutte, restituiscono l’immagine di una riforma che in realtà forse vuole altro, cioè vuole regolare i vecchi conti e ridimensionare la magistratura”.
Quali sono gli aspetti più preoccupanti?
“Quelli che non si esplicitano. Per esempio la sottoposizione del pubblico ministero all’esecutivo, che tutti i sostenitori della riforma negano essere presente tra le sue finalità, è una di quelle che io reputo particolarmente insidiose, appunto perché non è esplicitata e quindi si rischia che i cittadini, che poi sono quelli diciamo ai quali noi stiamo cercando di spiegare le nostre ragioni, non la comprendano con la immediatezza con la quale invece questa impatterà su di loro”.
Il governo la definisce, o meglio la presenta, come separazione delle carriere. È giusto definirla così?
“Assolutamente no. È uno slogan efficace, ma la portata di questa riforma è molto più ampia. Però questo slogan della separazione delle carriere è quello più insidioso perché è quello che rischia di fare breccia. Se ci soffermiamo con un attimo di attenzione, vediamo che la sua insidia sta nel fatto che questo slogan implica una serie di cose. Si parla di processo giusto, di parità tra accusa e difesa, di terzietà del giudice. Come se queste cose non ci fossero già, come se fossero obiettivi da conseguire. In realtà quello che dovrebbe essere più correttamente rappresentato ai cittadini è che questa è una riforma della magistratura. La separazione delle carriere è solo fumo negli occhi”.