
Sono passati molti anni. Era l’estate del 1992, ero un giovane magistrato, sconvolto come tutti dopo la strage di Capaci.
A Roma, a un corso del CSM, Paolo Borsellino era presente come relatore. Era seduto a cena a un tavolo di fianco al mio. Il ricordo del suo volto è forse il ricordo più vivo di questi 35 anni di magistratura. Non era suggestione, ne sono certo. Il suo volto esprimeva la assoluta consapevolezza di quanto lo attendeva ma anche la forza e la determinazione di chi sapeva di essere nel giusto.
E chi è nel giusto, non può cambiare: deve andare avanti.
Il 19 luglio, il dolore è stato enorme, devastante, per lui e per chi lo accompagnava. Non lo stupore. Era solo una questione di giorni.
Il mio pensiero corre costantemente a quella consapevolezza, a quella determinazione e a come può avere vissuto quei giorni dell’estate 1992 sapendo di dovere lasciare quello che assolutamente non avrebbe voluto lasciare: i suoi affetti, il suo lavoro, che ben sapeva non essere terminato (ed è morto proprio per questa ragione).
Non è sufficiente non dimenticare. Bisogna vivere e trasmettere ogni giorno quell’esempio.
Ci abbiamo provato, ci proveremo.