di Chiara Valori, GIP Tribunale di Milano
La situazione attuale
Ai sensi dell’art. 11 co. 1 d. lgs. n. 160 del 5 agosto 2006, “tutti i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione di professionalità”. La valutazione del CSM (trattandosi di materia ad esso riservata dall’art. 105 Cost.) è espressa all’esito di un complesso procedimento che vede al centro l’elaborazione di un parere – fondato su una pluralità di parametri – del Consiglio Direttivo della Cassazione (per i magistrati di legittimità) o dei Consigli giudiziari (per i magistrati di merito), riservando però tale competenza ai soli componenti togati ed escludendo invece i rappresentanti del mondo accademico e forense (che rappresentano circa un terzo dei membri).
L’obiettivo perseguito dai proponenti
Il quesito referendario mira all’abrogazione dell’art. 8 e dell’art. 16 d. l.vo n. 25/2006 nella parte in cui riservano al Consiglio Direttivo della Cassazione e ai Consigli Giudiziari in composizione ristretta alcune materie, fra cui quella sulla valutazione periodica di professionalità dei magistrati.
Secondo i proponenti, la partecipazione dei soli membri togati alla ‘decisione’ comporterebbe una “sovrapposizione tra ‘controllore’ e ‘controllato’” e renderebbe “poco attendibili le valutazioni”, favorendo “la logica corporativa” all’interno della magistratura.
L’effetto che produrrebbe l’approvazione del referendum
In caso di vittoria dei sì, i membri laici acquisirebbero pieno diritto di voto su tutto quel che rientra nelle attribuzioni del Consiglio Direttivo della Cassazione e dei Consigli Giudiziari, comprese dunque le valutazioni di professionalità.
Considerazioni critiche
In realtà, già adesso la legge prevede che gli avvocati possano far sentire la propria voce attraverso apposite segnalazioni del Consiglio dell’Ordine (previste dall’articolo 11, comma 4, lettera f) d. lgs. 5 aprile 2006, n. 160 previste fra le fonti di conoscenza utilizzabili ai fini della valutazione di professionalità), laddove riguardino “fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica”.
Questo tipo di segnalazioni incontra però attualmente un doppio filtro: oltre a provenire dal consiglio dell’ordine degli avvocati e non dal singolo professionista, deve essere fatta propria dal capo dell’ufficio che, nel redigere il rapporto informativo ed operato ogni più opportuno accertamento, deve tenerne conto (così come di qualsiasi situazione specifica rappresentata da terzi) laddove la ritenga fondata e di rilievo, tutelando così il magistrato dai rischi di pressione, sovraesposizione e scarsa conoscenza del funzionamento e delle vicende dell’ufficio.
Con la soppressione delle disposizioni normative indicate, invece, questo filtro verrebbe abolito e i membri laici esprimerebbero direttamente il proprio voto in consiglio, senza neppure doverlo motivare con riferimento a fatti specifici.
Evidenti sono i rischi per l’indipendenza dell’autogoverno, sia pure in sede decentrata.
Se è vero, infatti, che i membri laici hanno già pieno diritto di voto al CSM (destinato all’approvazione finale della valutazione di professionalità), l’estensione di analoga previsione ai membri laici del CDC e dei CG pone problemi di non proprio conto, che l’esito referendario lascerebbe del tutto irrisolti.
Attualmente, infatti, la legge non disciplina in modo puntuale il metodo di selezione dei componenti laici, nominati dal Consiglio universitario nazionale su indicazione dei Presidi di facoltà (i docenti) e dal Consiglio nazionale forense su indicazione dei Consigli dell’ordine del distretto (gli avvocati), sulla base di criteri imperscrutabili e assolutamente variegati. Non è poi indicato alcun principio di raccordo o anche solo di ‘responsabilità’ dei designati, sicché è rimessa solo alla prassi la decisione di mantenere un canale di interlocuzione aperto con gli ambiti di provenienza durante l’esercizio del mandato.
Non è inoltre previsto alcun dovere di sospensione generale dell’attività da parte dei componenti non togati dei Consigli Giudiziari (come avviene per i membri laici del CSM), con la conseguenza che i rappresentanti del foro continueranno ad esercitare la professione nel distretto, incrociando quotidianamente la strada del magistrato che si trovano a valutare (ed in quattro anni di consiliatura tutti i magistrati del distretto sono sottoposti alla valutazione di professionalità), continuando a rappresentare interessi di parte nei procedimenti che costoro hanno in carico.
Neppure è previsto alcun dovere di astensione del legale che sia parte processuale in un giudizio trattato dal magistrato in valutazione; né è prevista alcuna dichiarazione formale in tal senso, sicché la concreta sussistenza di una posizione in conflitto potrebbe essere ignota agli altri componenti del consiglio e rimanere nascosta.
L’approvazione del referendum, inoltre, supererebbe anche la previsione – contenuta nel progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario attualmente in discussione in Parlamento – di introduzione di un solo voto unitario temperato per gli avvocati, con il filtro del preventivo parere del Consiglio dell’Ordine; l’estensione del voto a tutti i membri laici rischia invece di incidere in modo determinante sull’approvazione del parere.
La valutazione di professionalità può così tramutarsi in un formidabile strumento di pressione sulla decisione e gestione dei singoli procedimenti da parte del magistrato; l’effetto sarebbe dunque immediato, con evidenti pericoli di condizionamento anche indiretto del singolo magistrato nell’esercizio quotidiano della giurisdizione.
Se, dunque, poteva essere valutata con favore l’introduzione del diritto della componente laica dei consigli di assistere alle sedute in cui veniva in discussione la permanenza della adeguatezza dei magistrati in servizio del distretto, per evidenti esigenze di trasparenza e responsabilizzazione di tutti gli attori della giurisdizione, l’estensione per via referendaria del diritto di voto ai rappresentanti dell’avvocatura non può che essere letta con grande preoccupazione.
Chiara Valori, GIP Tribunale di Milano
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