Il procuratore di Torino Giovanni Bombardieri a La Magistratura
Giovanni Bombardieri è il procuratore della Repubblica di Torino. È arrivato in Piemonte poco più di un anno fa, dopo le esperienze in Calabria. Lo incontriamo nel suo ufficio in Procura e partiamo proprio dalla sua esperienza a Reggio.
La lotta alla ‘ndrangheta è sempre centrale perché è un’associazione ricca e pericolosa. Quanto impatto ha ancora sulla società?
“La mia esperienza a Reggio Calabria è stata un’esperienza importante, perché è un ufficio giudiziario importantissimo e impegnato nel fronte del contrasto all’ndrangheta, che è un’organizzazione criminale tra le più potenti in Italia e a livello internazionale. Le sue risorse finanziarie derivano in massima parte dal narcotraffico e poi hanno reinvestimenti nell’economia legale, che quindi inquinano. Ormai è storia giudiziaria la presenza dell’ndrangheta in Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio e Piemonte”.
Dunque vi trovate a combatterla anche a Torino.
“L’infiltrazione dell’ndrangheta nel tessuto economico e sociale di questa regione non è un discorso di oggi, ma risale nel tempo. Sicuramente è cambiato il suo di manifestarsi, oggi si inserisce nei processi produttivi. Le aziende esternalizzano una serie di servizi, quindi il processo produttivo è sempre più segmentato. Questo le consente di infiltrarsi, sfuggendo ai controlli a monte, ovvero al momento dell’affidamento all’appalto stesso”.
Quali sono i principali problemi che affronta quotidianamente la Procura di Torino?
“Oggi Torino è un ufficio sicuramente di primo piano, uno dei più importanti d’Italia. Il problema della nostra procura non è tanto nei vuoti di organico dei magistrati che sono fisiologici e minimi, ma nella struttura amministrativa. Noi abbiamo un personale che opera quotidianamente nell’ufficio pari 140-145 persone su una pianta organica di 250 persone. E questo dà la dimensione del problema. C’è un problema di assistenza all’attività dei magistrati è molto forte”.
Per Torino e non solo, esistono ambiti in cui la normativa cambia frequentemente. Per esempio sui reati contro la pubblica amministrazioni. Come cambia il vostro lavoro?
“Nel campo della pubblica amministrazione sicuramente l’attenzione è alta, anche se il venir meno di certe figure di reato, penso soprattutto all’abuso ufficio, complica la valutazione di determinati comportamenti. Complica l’attivarsi di determinate iniziative investigative. Prima avevamo delle condotte che costituivano reato e quindi che ci legittimavano e inducevano a investigare, andando a fondo su un determinato fenomeno. Oggi ci dobbiamo fermare prima, perché su quelle ipotesi di reato non si può neppure investigare. Questo secondo me costituisce un vulnus all’attività investigativa a tutela della collettività”.
Anche sulla violenza di genere si è intervenuto e si sta intervenendo. Che giudizio dà delle novità legislative?
Nella violenza di genere in particolare è importante affrontare il problema a livello culturale. Non è tanto la pena che spaventa l’autore di questi reati. Noi spesso leggiamo nelle dichiarazioni delle persone offese che i loro aguzzini dicono ‘Lo so che andrò in carcere, lo so che tu mi denuncerai, ma questo non mi ferma’.
E allora cosa fare?
“Chiunque maltratta una donna, chiunque uccide la compagna sa che la sua responsabilità sarà individuata e questo non lo ferma, questo ci deve far pensare. Non è solamente la pena che può essere alta ed è alta perché per un femminicidio le pene sono altissime. Il problema è culturale, è un problema di rispetto della persona. Il tema è far crescere i giovani nella cultura del rispetto. A questo poi bisogna affiancare un’opera di assistenza. È importante creare quelle strutture assistenziali per le vittime di violenza di genere che devono intervenire anche all’immediatezza”.
Parliamo della riforma costituzionale sulla separazione delle carriere. Che valutazione fa al riguardo?
“Sicuramente non è una riforma che pone rimedio ai problemi della giustizia, che sono tanti. Non si accorceranno i tempi, non si modificheranno quei meccanismi che sono la base di quanto non funziona in questo momento nella giustizia. A fronte di questo ci sono dei pericoli che sono insiti nel privare il pubblico ministero di quella cultura della giurisdizione di cui si è nutrito sempre”.
Perché parla di pericoli?
“Guardi io ho iniziato la mia carriera come giudice, come giudice per le indagini preliminari in un tribunale piccolo ma importante come quello di Locri, che era in un territorio ad alta densità criminale. Un territorio in cui ancora non operava neanche la Direzione distrettuale antimafia perché non esisteva. Quindi quel tribunale era competente anche per i reati che oggi sono di competenza distrettuale. E quella per me è stata un’esperienza professionale importantissima e formativa. Mi ha consentito di svolgere il mio ruolo da pubblico ministero e lavorare con un bagaglio di esperienza che avevo maturato come giudice. Significa avere una visione delle indagini orientata al processo, orientata alla cultura della prova. Ecco, penso che il rischio che corriamo è quello di perdere questo. Purtroppo la gente oggi non sa quanta attività il pubblico ministero svolge di filtro dell’attività della polizia giudiziaria.
E questa progressivamente verrebbe meno con la riforma?
“Con un pubblico ministero meno ‘vicino’ alla cultura della giurisdizione opererebbe meno quel filtro che c’è attualmente. Poi c’è un altro aspetto importante. Fino ad oggi, gran parte della giustizia, la giustizia onoraria, è amministrata da avvocati. Gran parte di questi avvocati fanno un giorno il giudice e il giorno dopo, in un altro circondario, appunto l’avvocato. Nessuno ha mai pensato che quello fosse il problema della giustizia onoraria. Nessuno ha mai pensato che bisognasse separare nettamente quelle carriere. Perché il problema vero per la magistratura onoraria, come per la magistratura togata, è la professionalità del magistrato”.
Insomma il problema è un altro.
“Ecco, ritengo che, indipendentemente dalle legittime scelte politiche dell’ordinamento giudiziario, queste non risolvano i problemi della giustizia. E forse potrebbero aggravarli”.