Commento all’art. 100, comma 2 della Costituzione
di Guido Carlino, presidente della Corte dei Conti
Art. 100 – Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione.
La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito.
La legge assicura l’indipendenza dei due Istituti e dei loro componenti di fronte al Governo.
Abstract: il commento delinea i profili più significativi dei controlli preventivi e successivi della Corte dei conti, esterni e neutrali, previsti dall’art. 100, c. 2, evidenziando la funzione della magistratura contabile a servizio dello Stato-Comunità, a garanzia della legalità dell’azione amministrativa e del corretto uso delle risorse della collettività.
Illustra le diverse forme in cui si manifesta l’ausiliarietà dell’azione svolta dalla Corte, quali l’affiancamento degli organi agenti per responsabilizzarli verso la corretta azione amministrativa, la garanzia di interpretazione uniforme delle norme e i referti alle assemblee legislative.
Il lavoro prende anche in considerazione i profili attuativi delle disposizioni costituzionali in materia di garanzia della autonomia e della indipendenza dei magistrati, evidenziando la necessità di una rivisitazione complessiva della normativa vigente.
Parole chiave: controllo; ausiliarietà; magistratura contabile; organo di autogoverno.
Sommario: 1. La funzione di controllo della Corte dei conti nella Costituzione. 2. La funzione ausiliaria della Corte dei conti. 3. Il controllo preventivo di legittimità. 4. Il controllo successivo sulla gestione. 5. Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. 6. La garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati della Corte dei conti.
- La funzione di controllo della Corte dei conti nella Costituzione.
L’articolo 100 della Costituzione attribuisce rilevanza costituzionale al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, assegnando al primo le funzioni di organo di consulenza giuridica amministrativa e alla seconda le funzioni di organo di controllo.
In particolare, il comma secondo espressamente prevede che “La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa nei casi e nelle forme stabilite dalla legge al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle camere sul risultato del controllo eseguito”.
La disposizione in esame contempla esclusivamente le funzioni di controllo assegnate alla Corte dei conti, senza intervenire sulle funzioni giurisdizionali, disciplinate, al pari di quanto avviene per il Consiglio di Stato, dall’art. 103, posto nel titolo IV della parte II della Costituzione dedicata alla Magistratura.
Il legislatore costituente, conformandosi alla tradizione, ha dunque sancito la cointestazione in capo alla Corte dei conti delle funzioni di controllo e di giurisdizione; mentre non vi furono particolari discussioni sul mantenimento della funzione di controllo, articolato e ampio fu, invece, il dibattito sulla configurazione della giurisdizione, anche alla luce dei principi di unità della giurisdizione.
- La funzione ausiliaria della Corte dei conti.
In merito al rapporto della Corte dei conti con il Governo e il Parlamento va rilevato che questo, nell’ordinamento repubblicano, si pone in maniera ben diversa rispetto ai periodi precedenti.
Oggi, la Corte riferisce direttamente al Parlamento, come peraltro agevolmente si rileva dallo stesso art. 100, e la sua funzione ausiliaria si svolge soprattutto nei confronti delle Camere.
L’ausiliarietà si presenta rovesciata rispetto al periodo fascista, quando era previsto un rapporto diretto col Capo del Governo, al quale il Presidente della Corte riferiva annualmente sulla attività svolta (R.D, 12 luglio 1934 n.1214, art.2).
L’ausiliarietà s’inserisce oggi nella dinamica moderna del controllo, che configura la disamina di atti o gestioni che ha il fine precipuo di responsabilizzare gli organi agenti e di accentuare la funzione di collaborazione con essi. Nella pubblica amministrazione, infatti, tutti gli organi concorrono alla realizzazione dei fini generali dell’ordinamento, oltre che al perseguimento di quello specifico a cui il singolo organo è teleologicamente preposto. È proprio siffatta prospettazione del fine che dà luogo al fenomeno dell’ausiliarietà.
In buona sostanza, la Corte dei conti è organo al servizio dello Stato-Comunità, che agisce come “garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario dell’intero settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive”.
Già in sede di Assemblea costituente emerse espressamente che la Corte dei conti dovesse operare a garanzia del corretto uso delle risorse appartenenti alla collettività, attraverso un controllo sull’utilizzo del gettito tributario e dei beni pubblici; in particolare, Costantino Mortati ebbe a rilevare l’importanza del controllo affidato alla Corte, da ritenersi funzionale anche per garantire l’uniformità interpretativa delle norme da parte della pubblica amministrazione.
La qualificazione data dalla sezione III, denominata “Gli organi ausiliari”, in cui è inserita la norma, collocata nell’ambito della parte II, che si riferisce all’“Ordinamento della Repubblica”, e del titolo III della Costituzione, inerente a “Il Governo”, non appare pertanto pienamente conforme all’attuale ruolo di ausiliarietà svolto dalla Corte nei confronti del Parlamento, salvo a volere enfatizzare la funzione di controllo, strumentale all’affermazione della legalità e alla realizzazione di una corretta azione amministrativa e, pertanto, funzionale agli interessi istituzionali del Governo.
- Il controllo preventivo di legittimità.
L’art. 100, comma 2, attribuisce garanzia costituzionale al controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo; il R.D. 1214/1934 prevedeva, al riguardo, che fossero sottoposti al controllo preventivo di legittimità numerosi atti adottati dalla pubblica amministrazione. Tra questi, i decreti del Presidente della Repubblica, i decreti di approvazione di contratti e di autorizzazione di spese superiori a un determinato importo, i decreti incidenti sullo stato giuridico ed economico del personale della pubblica amministrazione statale, i mandati di pagamento e gli ordini di accreditamento emessi dall’amministrazione.
Va rilevato che sino al 1988 erano soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti anche i decreti del Presidente della Repubblica, adottati su deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi degli articoli 76 e 77 della Costituzione (atti di normazione primaria: decreti-legge e decreti legislativi); tale sottoposizione è venuta meno con l’art. 16 della legge n. 400/1988 ed è stata ritenuta costituzionalmente legittima con sentenza della Corte costituzionale n. 406/1989. Ha ritenuto, al riguardo, il Giudice delle leggi, che l’art. 100 garantisce costituzionalmente il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti sugli atti del Governo, non anche l’assoggettamento a tale controllo degli atti del Governo aventi valore di legge e che il controllo sugli atti normativi in questione trova garanzia nel sistema costituzionale nel suo complesso e, in particolare, nelle norme che regolano l’esercizio della funzione legislativa del Governo ai sensi degli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Con legge n. 20 del 1994 (art. 3), il controllo preventivo della Corte dei conti fu limitato soltanto agli atti di rilevante importanza in quanto, come da taluni si riteneva, la previsione del controllo pressoché generalizzato dei provvedimenti della pubblica amministrazione determinava un rallentamento dell’azione amministrativa, aggravato dalla sovrapponibilità tra i controlli della Corte con quelli esercitati dalla Ragioneria generale dello Stato.
Il controllo preventivo di legittimità si configura quale sindacato inteso ad accertare la legittimità dell’attività amministrativa, con esclusione di ogni indagine di merito. Sindacato che, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza, può ricondursi alle tre tipologie fondamentali di vizio del provvedimento amministrativo (incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge).
Il controllo preventivo incide sulla fase integrativa dell’efficacia del provvedimento, sicché il diniego del visto da parte della Corte impedisce che l’atto possa diventare efficace.
L’attività di controllo preventivo svolta dalla Corte dei conti è sottratta a qualsiasi forma di sindacato di carattere giurisdizionale, in quanto essa assume una rilevanza autonoma rispetto all’atto amministrativo controllato, estrinsecandosi come manifestazione del potere di sovranità dello Stato con il fine di garantire la corretta osservanza della legge. Al riguardo, il Consiglio di Stato ha più volte affermato la non impugnabilità degli atti di controllo anche in considerazione del fatto che tali atti non provengono da una pubblica amministrazione e che gli stessi non sono suscettibili di ledere diritti e interessi legittimi.
Come già rilevato, l’atto sottoposto a controllo non ha alcuna efficacia prima della definizione del procedimento di controllo. L’efficacia consegue soltanto attraverso l’ammissione al visto del provvedimento, che interviene in esito a un procedimento complesso che postula l’esame dell’atto da parte di un magistrato istruttore e di un consigliere delegato, i quali, ritenuta la legittimità dell’atto, lo ammettono alla registrazione. Ove, invece, i magistrati concordino sulla non conformità a legge dell’atto, ovvero in ipotesi di dissenso tra gli stessi, la decisione circa l’ammissione al visto viene deferita alla Sezione del controllo che decide nei termini previsti dalla legge.
Va tuttavia considerato che l’atto può assumere efficacia automatica nell’eventualità in cui il procedimento non venga definito nei termini previsti dall’art. 3, comma 2, della legge n. 20/1994.
Di particolare rilievo, nel circuito dei rapporti tra Governo, Corte dei conti e Parlamento è l’istituto della registrazione con riserva.
A fronte di un diniego di registrazione da parte della Corte dei conti, il Consiglio dei ministri può decidere egualmente che l’atto abbia corso e, in tale ipotesi, la Corte è chiamata a deliberare a Sezioni riunite. Se non ritenga di dover modificare l’avviso già espresso, si fa luogo alla cosiddetta registrazione con riserva dandone notizia al Parlamento, che può poi sindacare politicamente il comportamento del Governo.
Il procedimento davanti alla Sezione di controllo non è un giudizio in senso tecnico-processuale; tuttavia, ai limitati fini dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, la funzione in quella sede svolta dalla Corte dei conti è, sotto molteplici aspetti, analoga alla funzione giurisdizionale, risolvendosi nel valutare la conformità degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo, a esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico. A tale proposito, la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimazione della Corte dei conti in sede di controllo (sentenza n. 226 del 1976) a sollevare questioni di legittimità costituzionale, in ragione della sua particolare posizione istituzionale e della natura delle sue attribuzioni.
Il controllo effettuato dalla Corte dei conti è un controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato, volto unicamente a garantire la legalità degli atti a essa sottoposti, e cioè preordinato alla tutela del diritto oggettivo, differenziandosi nettamente dai controlli c.d. amministrativi, svolgentisi all’interno della pubblica Amministrazione; ed è, altresì, diverso anche da altri controlli, che pur presentano le caratteristiche da ultimo rilevate, in ragione della natura e della posizione dell’organo a cui è affidato.
- Il controllo successivo sulla gestione.
L’art. 100 della Costituzione conferisce garanzia costituzionale anche al controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato.
L’art. 3 della legge n. 20 del 1994 prevede che la Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, come pure il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. La Corte accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa. La Corte definisce annualmente i programmi e i criteri di riferimento del controllo sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari a norma dei rispettivi regolamenti. La Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento e ai Consigli regionali sull’esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono, altresì, inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte e agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate.
L’art. 11, comma 2, della legge n. 15 del 2009 ha disciplinato il controllo cd. concomitante; infatti, la Corte dei conti, anche a richiesta delle competenti Commissioni parlamentari, può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento. Ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme, nazionali o comunitarie, ovvero da direttive del Governo, la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause e provvede a darne comunicazione al Ministro competente. Questi, con decreto da comunicare al Parlamento e alla presidenza della Corte, sulla base delle proprie valutazioni, anche di ordine economico-finanziario, può disporre la sospensione dell’impegno di somme stanziate sui pertinenti capitoli di spesa.
Tale forma di controllo è stata successivamente implementata dall’art. 22 del decreto-legge n. 76 del 2020, convertito con legge n. 120 del 2020, che prevede che la Corte dei conti, svolgendo il controllo concomitante sui principali piani programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale avviati a seguito della pandemia da COVID-19, possa tra le altre misure previste, sollecitare l’avvio dei procedimenti per l’accertamento della responsabilità dirigenziale.
In relazione ad altre tipologie di controlli della Corte dei conti sul bilancio dello Stato, va rilevato che l’attività della stessa investe in maniera significativa l’intero ciclo di bilancio. Infatti, per quanto attiene all’attività propedeutica all’approvazione della manovra di bilancio, le Sezioni riunite della Corte dei conti (in sede di controllo) svolgono un’importante funzione ausiliaria di referto nei confronti delle Camere; esse, infatti, vengono sentite in audizione dalle competenti commissioni parlamentari ed elaborano referti sia con riguardo al Documento di Economia e Finanza, sia con riguardo alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, sia infine con riguardo al disegno di legge di bilancio (legge 7 aprile 2011 n. 39, che ha modificato in parte la legge 31 dicembre 2006 n. 109).
Tali referti investono la legittimità, la sostenibilità economico-finanziaria e gli effetti macroeconomici delle politiche programmate.
Il significativo ruolo ausiliario della Corte al Parlamento è, inoltre, attestato dalla recente introduzione, operata dall’art. 7, comma 7, del decreto-legge n. 77/2021, conv. dalla legge. n. 108/2021, di una relazione “almeno” semestrale sull’esito del controllo successivo, svolto in base a parametri di efficacia, efficienza ed economicità, “circa l’acquisizione e l’impiego” corretto e tempestivo delle risorse, siano esse di provenienza interna o comunitaria, per la complessiva attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con riferimento al suo impatto a livello nazionale, nella duplice dimensione della gestione finanziaria e degli effetti sostanziali in termini di opere realizzate e qualità dei servizi e delle prestazioni.
A conclusione dell’esercizio finanziario, poi, si avvia il giudizio di parificazione del rendiconto dello Stato. Al termine dell’anno, infatti, ciascun Ministero compila il conto del bilancio e il conto del patrimonio relativi alla propria amministrazione e li trasmette al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro il 30 aprile successivo. Il Ministro dell’economia e delle finanze invia successivamente alla Corte dei conti il rendiconto generale dell’esercizio scaduto. La Corte dei conti celebra il giudizio di parificazione del rendiconto generale e ne trasmette gli esiti al Ministro dell’economia e delle finanze per la successiva presentazione alle Camere, che approvano con legge il rendiconto.
Il giudizio di parificazione, che si svolge nelle forme contenziose, costituisce il momento culminante dell’attività di controllo e si pone in funzione ausiliaria rispetto al Parlamento, che è chiamato ad approvare il rendiconto. La Corte verifica la concordanza dei dati risultanti dal rendiconto, sia per l’entrata sia per la spesa, con quelli presenti nelle scritture dell’amministrazione, nonché con le registrazioni dei flussi di cassa, e conferisce certezza ai risultati.
La decisione di parifica costituisce, infatti, la fase conclusiva dell’attività di controllo e funge da presupposto necessario e ineludibile per pervenire all’intangibilità del rendiconto successivamente e autonomamente approvato dall’organo legislativo.
Come affermato dalla Corte costituzionale sin dalle prime pronunce (sentenze n. 121 del 1966 e n. 142 del 1968), la parifica, inserendosi obbligatoriamente nel rapporto Governo – Parlamento, riveste un ruolo specifico, conferendo certezza ai risultati del rendiconto predisposto dall’amministrazione.
- Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.
L’art. 100 della Costituzione, inoltre, prevede che la Corte partecipi al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, riferendo direttamente al Parlamento sul risultato del riscontro eseguito.
Il precetto costituzionale ha trovato, poi, attuazione nella legge 21 marzo 1958 n. 259 che disciplina tale forma di controllo; si tratta di un controllo che non investe la mera legittimità degli atti, ma riguarda il merito delle gestioni condotte dagli enti sottoposti a controllo.
In ordine ai controlli effettuati su tali gestioni la Corte, oltre a riferire annualmente al Parlamento circa l’andamento delle gestioni e l’utilizzo delle risorse secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità, può anche formulare, ai competenti ministeri e in qualsiasi momento, le proprie osservazioni circa le irregolarità gestionali riscontrate.
Gli enti sottoposti a controllo sono quelli che godono di una contribuzione ordinaria da parte dello Stato, ovvero quelli rispetto ai quali lo Stato contribuisca con apporto in capitale o in servizi o in beni.
Di particolare rilievo la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 1993 che ha previsto l’assoggettamento al controllo della Corte dei conti anche delle società per azioni partecipate dalla pubblica amministrazione.
Ha sottolineato la sentenza che la funzione di controllo prevista dall’art. 100 è collegata all’interesse preminente dello Stato a che siano soggette a controllo le gestioni suscettibili, in quanto beneficiarie di finanziamenti pubblici, di incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale.
Ha, altresì, rilevato che il controllo della Corte dei conti nei confronti delle società a partecipazione pubblica permane fino a quando lo Stato conservi nella propria disponibilità la gestione economica mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario delle stesse.
Pertanto, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, ai fini del l’assoggettamento degli enti sottoposti al controllo, non rileva la natura giuridica del soggetto, potendo questi essere anche un soggetto privato.
- La garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati della Corte dei conti.
A conclusione della disamina dell’articolo 100 della Costituzione in relazione alle funzioni della Corte dei conti, va rilevato che l’ultimo comma della norma espressamente prevede che la legge assicuri l’indipendenza dell’Istituto e dei suoi componenti di fronte al Governo (in tale previsione la Corte è accomunata al Consiglio di Stato). La disposizione va integrata con l’articolo 108, comma secondo, della Costituzione, che garantisce l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.
La effettiva garanzia della autonomia e della indipendenza dei magistrati della Corte dei conti è in realtà intervenuta con molto ritardo rispetto alla data di entrata in vigore della Costituzione.
L’organo di autogoverno della magistratura contabile, il Consiglio di presidenza (CDP), venne, infatti, istituito soltanto con la legge 13 aprile 1988 n. 117. A esso venne affidata la competenza per l’adozione di tutti i provvedimenti riguardanti le funzioni dei magistrati, con rinvio alla legge 27 aprile 1986 n. 182, riguardante l’omologo organo della giustizia amministrativa.
L’organo venne istituito con una composizione che vedeva allora una prevalenza numerica della componente togata (10) rispetto a quella c.d. laica (4).
Dopo oltre un ventennio, intervenne la legge 4 marzo 2009 n. 15 (art. 11) che apportò rilevanti modifiche alla composizione, alla funzione e al ruolo del CDP. Gli obiettivi perseguiti dal legislatore furono plurimi: si cercò di contrastare le dinamiche correntizie dell’Associazione che influivano sul buon funzionamento del CDP (e quindi la tendenza alla “negoziazione distributiva” delle decisioni più importanti) e si volle individuare un antidoto alla autoreferenzialità della magistratura contabile.
Pur dovendosi valutare positivamente tali obiettivi, si pervenne tuttavia in concreto a soluzioni discutibili che determinarono un declassamento dell’organo e, conseguentemente, la dequotazione dell’indipendenza, garantita all’Istituto e ai suoi componenti dall’art. 100, comma 3, della Costituzione.
Il Consiglio, sul piano definitorio, da organo di autogoverno venne espressamente qualificato come “organo di amministrazione del personale”, e a esso vennero attribuite soltanto le funzioni espressamente previste da norme di legge; al Presidente della Corte, qualificato “organo di governo dell’Istituto”, titolare della funzione di indirizzo politico – istituzionale, vennero invece attribuite tutte le funzioni non espressamente affidate ad altri organi della Corte, ivi compresi il potere di iniziativa sui lavori del Consiglio e la competenza per il rilascio delle autorizzazioni per lo svolgimento di incarichi istituzionali.
Al vulnus funzionale, si aggiunse una rimodulazione nella composizione del Consiglio, prevedendosi che lo stesso fosse composto, oltre che dai componenti di diritto, da quattro rappresentanti del Parlamento e da quattro (anziché dieci) membri eletti da tutti i magistrati della Corte dei conti.
Tale composizione, anomala rispetto a quella prevista per gli organi di autogoverno delle altre magistrature, apparve subito difforme anche rispetto agli standard europei.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il 17 dicembre 2010, sulla base dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, approvò una raccomandazione (CM/Rec (2010) 12) sull’indipendenza e sull’imparzialità dei giudici, che, a proposito degli organi di autogoverno della magistratura, espressamente prevede che: “Almeno la metà dei membri di tali consigli devono essere i giudici scelti da parte dei loro colleghi, nel rispetto del pluralismo all’interno del sistema giudiziario”.
Il principio della maggioranza dei membri eletti dal corpo dei magistrati, rispetto alla composizione complessiva dell’organo di autogoverno, è dunque essenziale per garantire l’indipendenza della Magistratura. È ovvio che debba essere così, perché un organo, la cui composizione non è determinata in modo significativo dai magistrati stessi, non può considerarsi organo di autogoverno.
Va in definitiva rilevato che il CDP della Corte dei conti, per composizione e funzioni, si discosta dal modello indicato dai padri costituenti negli articoli 104 e seguenti della Costituzione, modello peraltro osservato per gli organi di autogoverno della giustizia amministrativa e persino di quella tributaria.
Con riferimento al Consiglio di presidenza, la Corte costituzionale si pronunciò con la sentenza n. 16 del 2011: la Corte non entrò nel merito della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009, n. 15, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 100, 103, 104 e 108, secondo comma, della Costituzione, in quanto l’incertezza del petitum rendeva inammissibile la questione.
Tuttavia, in motivazione, il problema della composizione venne affrontato, individuandosi implicitamente come sottinteso modello ideale quello del Consiglio superiore della magistratura. Sarebbe pertanto indispensabile, oltre al ripristino a favore del Consiglio di tutte le attribuzioni riguardanti i magistrati, rivederne la composizione, anche considerando la necessità di garantire, all’interno dell’organo, una più significativa rappresentanza delle plurime funzioni istituzionali svolte dalla Corte dei conti.
A ciò va aggiunto che, proprio in attuazione degli articoli 100, terzo comma e 108, secondo comma, sarebbero necessari interventi legislativi a tutela delle garanzie di status per i magistrati della Corte dei conti.
Appare, in particolare, non differibile l’adozione di una più completa disciplina normativa dello status del magistrato contabile, in atto non sempre rispettosa della riserva di legge che deve caratterizzare la materia in questione.
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Guido Carlino, dopo avere svolto studi classici, consegue la laurea in giurisprudenza nel 1981 presso l’Università degli studi di Palermo con il massimo dei voti e la lode. Nel 1982, a soli 23 anni, supera il concorso pubblico per uditore giudiziario militare, venendo assegnato presso i Tribunali militari di Napoli e di Cagliari. Transita, quale vincitore di concorso pubblico per titoli ed esami, nei ruoli della magistratura contabile il 1° ottobre 1985, venendo assegnato presso la Sezione di controllo e la Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana. Dal 1990 ha svolto funzioni requirenti presso la Procura regionale per la Sicilia. Dal 1° gennaio 2000 e sino al 13 aprile 2004 è stato assegnato presso la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana. Ha poi svolto le funzioni direttive di Procuratore regionale per la Sicilia dal 14 aprile 2004 al 21 ottobre 2014. Dal 22 ottobre 2014 ha svolto le funzioni di Presidente della Sezione giurisdizionale per il Veneto e, dal 27 agosto 2018, quelle di Presidente della Sezione giurisdizionale per la Sicilia, sino al 14 settembre 2020. Nominato con decreto del Presidente della Repubblica dell’11 settembre 2020, ha assunto la carica di Presidente della Corte dei conti dal 15 settembre 2020. Nel corso della carriera, inoltre, è stato più volte componente delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale e in sede consultiva; è stato assegnato in aggiuntiva (1999 – 2008) al Servizio per il Massimario e Rivista e, per un biennio, è stato componente del Consiglio del Seminario di formazione della Corte dei conti. Ha, altresì, svolto funzioni di delegato al controllo di importanti enti pubblici nazionali e di società partecipate (art.12, l. 259/1958). Numerose le sue pubblicazioni scientifiche e i suoi interventi a convegni sui temi, fra l’altro, della giurisdizione contabile, della responsabilità amministrativa e sanitaria, del giusto processo, del contrasto alle frodi in ambito comunitario, dei protocolli di legalità contro la criminalità economica e della tutela ambientale. Ha, altresì, svolto attività di docenza presso la Scuola superiore della Pubblica amministrazione, la Scuola centrale tributaria e in vari corsi di formazione e aggiornamento per magistrati e funzionari della Corte dei conti. Dal 2012 ha svolto anche le funzioni di Giudice tributario presso la CTP di Palermo. È insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine “al merito della Repubblica”, conferita, motu proprio, dal Presidente della Repubblica.