A 50 anni dalla legge sull’ordinamento penitenziario un racconto su cosa funziona negli istituti. Prima tappa Secondigliano
Cinquant’anni fa, il 26 luglio del 1975, l’Italia approvava la legge sull’ordinamento penitenziario. Molte di quelle misure, lungimiranti per l’epoca come altre adottate negli stessi anni, sono rimaste in parte irrealizzate. Le difficili condizioni degli istituti, il sovraffollamento, i suicidi sono cronaca quotidiana. Esiste però un altro carcere, che tra le mille difficoltà strutturali, l’aumento della popolazione carceraria e la necessaria sicurezza, prova ad essere quello immaginato nella legge sull’ordinamento penitenziario cinquant’anni fa: un’istituzione che fa da ponte con l’esterno e che affianca al contenimento e all’espiazione della pena, un percorso di riabilitazione. Perché come i dati sulla recidiva dimostrano costruire il reinserimento è la strada migliore per svuotare gli istituti.
Ci sono molte piccole realtà che meritano di essere raccontate, un racconto che abbiamo immaginato in tappe e che oggi parte da Secondigliano, alle porte di Napoli.
Dalla casula per Papa Francesco alla chitarra per Sting, le realtà artigiane nel carcere di Secondigliano
La casa circondariale Pasquale Mandato, nel quartiere Scampia, è una vera e propria cittadella penitenziaria con oltre 1500 detenuti – di cui una parte cospicua sono di alta sicurezza – e dal 2021 ospita anche le detenute della sezione femminile di Pozzuoli, chiusa in seguito alle forti scosse di terremoto che si susseguono nella zona.
Davanti a questa realtà così complessa l’idea della direttrice Giulia Russo come lei stessa ci racconta è stata di “rendere gli elementi del trattamento forti e validi a partire dalla scuola”. Aumentato il numero delle scuole superiori per i detenuti, dall’indirizzo commerciale e informativo a quello alberghiero, socio-sanitario e odontotecnico.
Dal 2018 è nato poi un protocollo d’intesa con la Federico II per l’istituzione di 9 dipartimenti e 10 corsi di laurea (con circa 90 iscritti di cui 10 finora hanno concluso il percorso e si sono laureati). “Dal 2022 – racconta ancora la direttrice dell’istituto – ho voluto affiancare alla linea scolastica in tutte le sue forme e gradi, anche una linea che guardi ai mestieri ed è nato quindi, affianco al polo universitario penitenziario il polo arti e mestieri diviso in quattro lavorazioni: ferro e legna, sartoria, meccatronica e digitalizzazione.
Queste quattro lavorazioni hanno la prerogativa di aver realizzato due cose: la possibilità di formare in maniera qualificata i detenuti per attendere ad un lavoro vero, anche perché sono percorsi fatti con l’ausilio della Regione Campania, quindi con un riconoscimento professionale alla fine del percorso, spendibile fuori dal carcere. Oltre alla possibilità di avere colloquio con le aziende ed uscire magari già con un contratto di lavoro o un ulteriore possibilità di specializzazione in azienda.
Strumenti musicali prodotti in carcere con il legno dei migranti di Lampedusa
A Secondigliano alcuni degli oggetti prodotti sono stati regalati anche ad artisti come Sting che ha tenuto un concerto nel carcere.
La sartoria dei detenuti
E c’è una terza linea della sartoria che Giulia Russo ricorda con particolare emozione, visto che da lì è stata creata una casula donata nel 2022 a Papa Francesco e da lui indossata per la giornata mondiale dei poveri. In questo progetto l’amministrazione penitenziaria è affiancata dalla Curia attraverso il cappellano della prigione. Ci sono poi gli altri settori, come quello per la digitalizzazione e la meccatronica che si occupa della manutenzione ordinaria e straordinaria del parco auto della Polizia Penitenziaria della regione. Con un doppio messaggio, in questo caso: il superamento del pregiudizio, come sottolinea la direttrice dell’istituto: “ci fidiamo dei nostri detenuti”.
Un chicco di speranza
Nel 2024 è nato anche un protocollo d’intesa con la Kimbo, azienda che produce caffè, la Curia di Napoli, la direzione del carcere e il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Il progetto si chiama “un chicco di speranza”. E così l’anno scorso dieci detenuti hanno iniziato a formarsi nel training center all’interno dello stabilimento di produzione del caffè, poco distante dal carcere napoletano. Una formazione per baristi e manutentori tecnici che può creare opportunità di lavoro per il futuro, specie in una città come Napoli o nel territorio che la circonda.