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La risposta polacca: fare rete contro gli attacchi all’indipendenza, i giudici non devono aver paura

Dialogo con Paulina Kieslowska, Monika Frąckowiak, John Dalhuisen e  Iver Ørstavik

La crisi dello Stato di diritto in Polonia, la risposta che giudici e società civile hanno dato nel Paese e attraverso i network europei e la lezione per altri paesi dell’Unione e per tutti i sistemi giudiziari chiamati a difendere la loro autonomia. Questi i temi affrontati in un dialogo con La Magistratura in occasione di un incontro organizzato dall’Anm a Roma in collaborazione con la Raftko foundation. Il risultato è un colloquio a più voci con Paulina Kieslowska, Monika Frąckowiak, John Dalhuisen, Iver Ørstavik, stimolato dalle domande della direttrice della Magistratura, Monica Mastrandrea. Un dialogo che aiuta a mettere a fuoco cosa può funzionare e cosa no nella risposta non solo della magistratura ma della società civile e della collettività davanti ai tentativi di intaccare autonomia e indipendenza della magistratura e di conseguenza i pilastri della democrazia liberale.

Paulina Kieslowska è cofondatrice della Free Courts Initiative e del Comitato per la difesa della giustizia (KOS), ha lavorato per costruire consapevolezza pubblica sull’importanza dello Stato di diritto e delle istituzioni indipendenti. Si è riusciti, attraverso una comunicazione efficace, semplice e con finalità informativa, a coinvolgere i cittadini su temi della giustizia così complessi e spesso percepiti come astratti, trasformando i principi giuridici in una responsabilità condivisa?

“Abbiamo iniziato facendo dei video con delle metafore del potere che può distruggere le persone, gli individui. Non è stato così difficile perché è qualcosa che conosciamo dal cinema, penso a film famosi come Star Wars o il Signore degli anelli, tutte storie che ricordano come il potere può essere usato in modo sbagliato contro l’eroe di turno, come accade nei film, ma anche contro una persona che vive in una società. Dopo il primo anno di campagna fatta attraverso questo tipo di video abbiamo iniziato a spiegare temi più complicati, legati al diritto, con un ciclo di video su Facebook o anche attraverso i podcast. Su Instagram invece ci siamo dedicati ad una campagna con messaggi molto corti e molto metaforici, perché tutti potessero capire, anche chi non ha conoscenza diretta del diritto”.

Lei ha anche sottolineato come la magistratura in Polonia sia stata oggetto di campagne denigratorie mirate a minare la fiducia dei cittadini nella giustizia.
A suo avviso, in che modo la società civile e i media responsabili possono collaborare per ricostruire la fiducia nella giustizia e contrastare le narrazioni che cercano di delegittimare i giudici e il sistema giudiziario?

“Noi abbiamo iniziato a parlare con le persone nel modo più semplice possibile, esattamente come fanno in politica i populisti, per fronteggiare i messaggi offensivi nei confronti dei giudici e tutta la propaganda messa in campo dal passato governo di destra in Polonia. Abbiamo creato un’alleanza di giudici, avvocati, attivisti per aiutare gli stessi giudici ad affrontare temi cari ai cittadini e non ai magistrati, che hanno dei limiti di comunicazione, dovendo sempre mostrarsi indipendenti. Ma noi, come avvocati, come cittadini avevamo più possibilità di spiegare di cosa si trattava. La nostra rete si è basata sia sul lavoro di comunicazione che su un lavoro legale per difendere i giudici sottoposti ad attacchi o a procedimenti disciplinari o altri attacchi da parte del governo. L’esecutivo polacco, qualche anno fa, aveva deciso di mettere in difficoltà i giudici in diverse maniere. E questo lavoro legale è stato importante anche in Europa perché alla fine abbiamo vinto tra i 100 e i 150 processi al Tribunale di Strasburgo (CEDU) e alla Corte Ue in Lussemburgo. Si tratta di precedenti che possono essere utilizzati dai cittadini italiani e da tutti i cittadini europei”.

John Dalhuisen, è membro senior presso l’European Stability Initiative, ex direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Amnesty international ed è stato consulente del Commissario del Consiglio d’Europa. L’indipendenza della magistratura non è una prerogativa dei magistrati ma rappresenta un diritto di tutti i cittadini: perché è così difficile far comprendere questo messaggio?

Non sono sicuro che sia così difficile spiegare i concetti di base o far sì che le persone siano d’accordo con cose che normalmente desiderano. Penso che la maggior parte dei cittadini, anzi che tutti i cittadini abbiano un’aspettativa nei confronti del sistema giudiziario: che sia imparziale, indipendente e che persegua i reati di tutti, da chiunque siano commessi, ricchi, famosi, potenti, politici. Che i loro diritti siano difesi e che non siano sottoposti a interferenze arbitrarie secondo i capricci di governi o funzionari corrotti che vogliono perseguirli e nuocere loro. E penso che questa idea di base, questo concetto centrale di equità oggettiva e imparziale continui a risuonare molto forte ancora oggi. Invece credo che le complessità e che alcune delle tensioni che vediamo nei dibattiti sull’indipendenza della magistrature nascano quando partiti politici e personalità propongono riforme con cui molte persone possono essere d’accordo. Proposte che invece i giudici si trovano a dover condannare perché queste violano una serie di norme costituzionali, internazionali sui diritti umani o violano la legislazione nazionale ed  europea. A quel punto è facile per i partiti populisti dire: guardate questi giudici che ostacolano la volontà del Popolo! E penso che gran parte della tensione derivi da questo.  Non è perché i giudici si stiano appropriando di un potere che non è loro ma perché applicano la legge così com’è. Ma questa legge a volte è in tensione, in contrasto e diversa da ciò che una parte del pubblico desidera e da ciò che i rappresentanti politici dicono dovrebbe accadere. Il pericolo alla fine è che questo impulso a portare avanti una seria di agende politiche provochi una lacerazione di tutte le garanzie dello Stato di diritto, dell’indipendenza della magistratura. Ma una volta perse queste cose è molto molto difficile recuperarle”.

Iver Ørstavik, consulente senior della Fondazione Rafto per i diritti umani. In questi anni avete seguito attentamente la situazione in Polonia e altri Paesi europei. Quale ruolo può avere una fondazione come Rafto per aumentare la conoscenza pubblica di questi problemi e per aiutare le persone a capire come l’erosione dello Stato di diritto riguarda le loro vite quotidiane?

Ci sono molte cose che possiamo fare. La nostra organizzazione offre un programma di insegnamento ambizioso per i giovani, principalmente gli studenti di scuola superiore, ma anche per gli insegnanti che vogliono occuparsi di diritti civili. Supportiamo anche artisti che affrontano problemi di questa natura, in diversi modi, con documentari, con attività di advocay presso il nostro governo nazionale, con le autorità europee e nel mondo. Dobbiamo pensare a questo come una responsabilità da cittadini che abbiamo tutti e che tutti possiamo fare la differenza nei nostri ambiti, con le nostre professioni, e con l’entusiasmo e gli skill che possiamo imparare per il nostro obiettivo.

Monika Frąckowiak, presidente del Tribunale distrettuale di Poznań-Nowe Miasto e Wilda, esponente di punta dell’Associazione dei magistrati polacchi Iustitia e vicepresidente di MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés). Negli ultimi anni lei è diventata una delle voci più riconosciute nella difea dell’indipendenza dei giudici in Polonia. Guardando oggi all’esperienza polacca, quali pensa siano le lezioni più importanti per l’Europa? Nota qualche segnale che dinamiche simili di erosione democratica stiano emergendo in altri paesi Ue?

“Prima di tutto, ogni volta che viaggio con i miei colleghi polacchi in Europa o anche negli Stati Uniti o altri paesi vediamo lo stesso schema ovunque. Quello che prima stava accadendo in Polonia, Ungheria, Turchia, inizia ad accadere anche in altri Paesi.  E in alcuni è più complicato che in altri. In Polonia si è trattato di un cambio radicale del sistema, in altri Paesi vediamo passaggi più sottili e difficili da riconoscere, ma la tendenza è che i populisti cercano di convincere le persone che i  magistrati non sono dallo loro parte, che I giudici fanno parte di una casta. E lo schema è uguale dappertutto e noi siamo, putroppo, un target facile da attaccare. La lezione più importante, alla fine, è che dobbiamo essere attivi, ricordando i nostri doveri e i confini che non possiamo superare ma dobbiamo parlare apertamente. E questo è confermato anche dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, da molte dichiarazioni di  organizzazioni internazionali: dobbiamo essere attivi e difendere lo Stato di diritto e dobbiamo collaborare con gli avvocati a la società civile”.

 

 

 

 

 

 

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