
Breve relazione introduttiva del Segretario Generale Salvatore Casciaro alla riunione del Comitato Direttivo Centrale dell’Anm del 9-10 settembre 2023
Sulle recenti audizioni che abbiamo tenuto, a nome dell’ANM, al Senato e alla Camera dei deputati, rispettivamente sul ddl Nordio e sui quattro ddl in materia di separazione delle carriere, vi ha fornito un diffuso resoconto il presidente Santalucia, sicché non mi soffermo oltre, avremo modo di continuare a discuterne nel dibattito che seguirà.
Due parole vorrei dire, invece, sul processo civile.
Mancato raggiungimento dei target Pnrr
Sul piano dello smaltimento dell’arretrato nel settore civile, l’obiettivo del Pnrr prevede, rispetto all’anno 2019, la riduzione del 65% dell’arretrato nei tribunali entro la metà del 2024 e in tutti gli uffici di merito (tribunali e corti d’appello) del 90% entro la metà del 2026.
Nella proposta di revisione del Piano inviata alla Commissione europea e illustrata pochi giorni fa a Bruxelles dal Ministro Fitto, si prende atto del fallimento del target sull’arretrato per i processi civili.
Alla luce delle criticità emerse circa il raggiungimento degli obiettivi fissati (nel triennio 2017/2019 la riduzione percentuale media annuale dell’arretrato nei tribunali era del 9,2%, e, nel biennio 2021/2022, è stata inferiore al 6%), il Governo “propone due modifiche alternative: una mera rideterminazione quantitativa (…) oppure la previsione di target differenziati, che tengano conto delle differenze oggettive tra uffici giudiziari” (così a pag. 32 nella proposta di revisione del Piano).
Leggendo nel dettaglio, apprendiamo che 95 tribunali su 140, nel periodo 2019-2022, hanno sì ridotto l’arretrato civile ma in media solo del 28%; mentre i restanti 45 tribunali hanno visto l’arretrato, anziché diminuire, aumentare.
Diremmo che era tutto impietosamente prevedibile; l’amarezza della constatazione non impedisce di coltivare l’auspicio che per l’avvenire non si perseveri sulla strada delle riforme “calate dall’alto”, senza alcun coinvolgimento delle categorie interessate e senza un’adeguata conoscenza della realtà degli uffici giudiziari.
Questo Comitato direttivo aveva, ahimè, anticipato in numerosi interventi, l’ultimo dei quali del 2.10.2022, dal titolo “Gli obiettivi della riforma sono irrealizzabili in difetto di risorse”, il suo scetticismo. Era illusorio pensare di raggiungere target tanto ambiziosi con una scopertura crescente di magistrati arrivata al record di 1.600 unità, pari al 16% dell’organico complessivo, e di circa 10.000 amministrativi, pari al 25% dell’organico complessivo.
Più volte abbiamo evidenziato che sarebbe stato necessario quanto meno intervenire simultaneamente sul piano dell’organizzazione degli uffici, della geografia giudiziaria (razionalizzandola, mediante ulteriori accorpamenti) e delle piante organiche, aggiornandole e adeguandole ai flussi di contenzioso; oltre che, ovviamente, sul versante della digitalizzazione, dell’assistenza e delle dotazioni informatiche, vero nervo scoperto degli uffici. Interventi strutturali, ben più più complessi, che si è preferito negli anni accantonare.
La ex Ministra Cartabia pensava piuttosto di conseguire l’obiettivo con l’ausilio degli addetti all’UPP e gran parte dei fondi (2.282.561.519 euro) sono stati destinati e spesi per le assunzioni a termine.
I giovani neoassunti hanno fornito, sì, un apporto utilissimo, “dimostrando una grande duttilità nel servizio, una forte propensione all’utilizzo degli strumenti tecnologici, una decisa capacità di sfruttare i margini delle attività di cancelleria in chiave di più efficace supporto al magistrato’’ (sono le parole del Presidente della Cassazione Pietro Curzio all’ultima cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario).
Non si è previsto, tuttavia, che della prima tranche di 11.017 assunti (7.789 addetti all’UPP e 3.238 tecnici) ne restassero in servizio complessivamente solo 5.500, perché, come si legge nell’ultima relazione sull’attuazione del Pnrr, “le offerte di lavoro di durata inferiore a tre anni non sono considerate adeguate dagli interessati portando a un progressivo abbandono anticipato dell’incarico”. Consta, in particolare, che già dopo quattro mesi dalle prime assunzioni uno su quattro degli addetti all’UPP si fosse dimesso.
Ora il Ministro Fitto propone a Bruxelles un’ulteriore modifica del Piano nel senso della “riprogettazione dei cicli di assunzione degli UPP anche per mantenere in servizio risorse umane già formate”.
Si vuole cioè prorogare la durata dei contratti in corso fino al 31.12.2026, modifica che sarebbe certo utile, quanto meno per non rendere vano, con nuove assunzioni di funzionari in sostituzione dei precedenti, l’intenso sforzo formativo compiuto finora negli uffici giudiziari.
Ma occorrerebbe anche (e soprattutto), come ribadito da questo Cdc il 14 maggio 2023, assicurare, mediante appositi stanziamenti di bilancio, la copertura a tempo indeterminato delle dotazioni organiche dell’UPP per dare una prospettiva di lungo corso a quello che è divenuto ormai un essenziale modello organizzativo per il lavoro quotidiano negli uffici sia di merito che di legittimità.
Recentemente il Sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro – rispondendo a un’interrogazione parlamentare – ha dichiarato che “intendimento di questo governo è (…) di giungere alla stabilizzazione di una parte degli addetti”.
Attendiamo di sapere quanta parte degli addetti saranno stabilizzati e con quali tempi, ma, ad oggi, non abbiamo risposte.
Principio di sintesi degli atti processuali
La riforma Cartabia ha fissato il principio di chiarezza e sinteticità degli atti del processo civile rimettendo al Ministro della Giustizia, sentito il CSM e il CNF, il compito di definire i limiti dimensionali degli atti. Tale compito era stato assolto dal Ministro con uno schema di decreto che indicava, su parere di apposita commissione, il limite di 25 pagine per gli atti introduttivi, citazione e comparsa di risposta, di 13 pagine per le memorie, repliche e, in genere, per tutti gli atti interni al processo, e di 2 pagine per le note d’udienza. Dimensioni in linea con quelle vigenti per la redazione degli atti dinanzi al Consiglio di Stato e alla Corte di cassazione, anche per effetto di protocolli siglati dall’Avvocatura.
Lo schema di decreto prevedeva che non entrassero nei limiti l’intestazione dell’atto, i nomi delle parti, gli estremi del provvedimento impugnato, l’indicazione dei mezzi di prova, le conclusioni, l’indice dei documenti, gli avvertimenti di legge e che a tale restrizione – peraltro solo nominale, esplicando possibili riflessi sulla regolamentazione delle spese di lite -, si potesse comunque derogare, senza permesso del giudice, purché il difensore si facesse carico di chiarire le ragioni per cui necessitava tale “sconfinamento”.
A seguito delle vibrate proteste del Consiglio nazionale forense e dell’Organismo congressuale forense, che hanno lanciato l’allarme denunciando la compressione del diritto di difesa, è stato adottato, senza sentire il CSM che aveva espresso parere favorevole solo rispetto al precedente schema di decreto, un nuovo D.M., entrato in vigore il 1° settembre scorso, con il quale tutti i limiti dimensionali degli atti sono stati raddoppiati.
Non solo: si è previsto, benché la legge non contempli deroghe all’applicazione del principio, che sopra il valore di €. 500.000 non esistono più limiti dimensionali, i quali opereranno per le cause introdotte dopo il 1° settembre e non anche per i processi in corso.
Si è così vanificata del tutto l’efficacia di una previsione che è fondamentale per l’accelerazione dell’iter dei processi civili. Il legislatore aveva ritenuto tale intervento indifferibile non solo in quanto funzionale all’attuazione del principio di ragionevole durata del processo, ma anche in considerazione dello sviluppo e del consolidamento del processo civile telematico, che impone nuove e più agili modalità di consultazione e gestione degli atti processuali da leggere tramite video, tanto per le parti quanto per i giudici.
Spiace che organismi istituzionali dell’Avvocatura non abbiano colto la sfida culturale sottesa a tale previsione, che non mortifica ma semmai esalta il ruolo e la professionalità del difensore in un processo moderno, imponendo la selezione delle sole questioni rilevanti e un diverso approccio all’argomentazione giuridica con il definitivo abbandono di tecniche redazionali inutilmente ripetitive e ridondanti.
Ma il rammarico è che anche il Ministro della Giustizia, il quale ha ribadito al forum Ambrosetti l’urgenza di interventi volti a garantire la ragionevole durata dei processi civili, la cui lentezza costa all’Italia oltre 2 punti percentuali di PIL, abbia sottovalutato tale essenziale passaggio.
Grazie e buon lavoro.
Roma, 09 settembre 2023