La riflessione, che prende forma nel dibattito del congresso ANM di Palermo, intende rilanciarne i contenuti, e muove dal convincimento che su certi temi, mai sufficientemente arati, la magistratura associata debba continuare a interrogarsi per avvicinare le diverse posizioni al suo interno e mostrarsi coesa sui principi e le regole deontologiche, passaggio questo fondamentale per rinsaldare il rapporto di fiducia che la lega ai cittadini.
L’imparziale applicazione della legge come fondamento della giurisdizione
1. «I giudici della nazione sono solo la bocca che pronuncia le parole della legge: esseri inanimati che non possono moderarne né la forza né il rigore» [1] . Questo storico passo simboleggia più di ogni altro la dottrina della separazione dei poteri secondo cui i giudici non debbono produrre diritto. Secondo altra concezione, invece, non potrebbero fare a meno di farlo nell’esercizio dell’attività ermeneutica, anche, e se occorre, in “supplenza” del potere legislativo. Se il legislatore si limita a pronunciare parole, il significato di esse è attribuito dall’interprete. Con l’espressione law in action si suole, appunto, indicare il diritto in senso proprio, il quale promana dagli organi dell’applicazione della legge che, tra i vari significati possibili, ne scelgono uno o più d’uno [2].
2. Il dilemma che si pone è allora questo: i giudici non devono creare diritto o lo devono creare, sia pure in una cornice di significati fornita dal legislatore?
Alcune pronunce di legittimità hanno escluso che possa qualificarsi come interpretativa «l’attribuzione di un significante che va oltre ogni possibile significato traibile dalla disposizione» [3], perché la norma giuridica trova la sua fonte di produzione nella legge, di competenza esclusiva degli organi del potere legislativo; il fenomeno di adeguamento nel tempo della norma di legge, per la sua complessità, esige la mediazione della giurisprudenza, che quindi lo disvela, ma non per questo lo crea [4]. Altre decisioni hanno evidenziato, in apparente contraddizione, che l’attività di produzione normativa può non essere distinguibile da quella interpretativa affidata al giudice, in quanto l’interpretazione non svolge una funzione meramente euristica, ma si sostanzia nell’enunciazione della regula iuris applicabile al caso concreto, con profili innegabilmente creativi [5].
Un conflitto che sembra forse comporsi in pronunce più recenti della Cassazione secondo le quali il precetto che la giurisprudenza porta alla luce è quello che è già contenuto nell’enunciato linguistico, i cui confini non possono essere superati, pena l’usurpazione di funzioni normative da parte dell’interprete, che così creerebbe una nuova disposizione, un enunciato linguistico cioè, non esistente nell’ordinamento [6].
Certamente, non c’è creazione di norma in senso proprio se l’interprete si contiene entro i margini delle potenzialità semantiche del testo di legge, il quale segna il confine massimo dell’attività interpretativa la quale va, quindi, contenuta nei limiti di elasticità dell’enunciato, dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza [7].
3. Anche il giudice delle leggi ha messo in guardia da forzature del testo normativo che implicherebbero la consegna al giudice, organo designato all’esercizio della funzione giurisdizionale, di una funzione legislativa, in radicale contrasto con i profili fondamentali dell’ordinamento costituzionale [8].
Ma è un alert che potrebbe non rivelarsi risolutivo.
Ben può darsi il caso che la regola, per come si colloca nel sistema delle fonti, non risulti affatto chiara o che vi sia la necessità di ricorrere a clausole generali o, ancora, di colmare lacune normative, e qui irrompono nell’attività dell’interprete i principi generali dell’ordinamento e soprattutto quelli costituzionali, i quali (a dire il vero) guidano costantemente l’attività ermeneutica orientandone l’azione e indirizzando sul significato da attribuire alla singola disposizione.
Inutile negarlo: talora questa operazione, nella misura in cui amplifica i margini di discrezionalità, può essere foriera di tensioni istituzionali e si addebitano alla giurisdizione impropri sconfinamenti.
4. In un passo dell’ultima relazione annuale del presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera si coglie la preoccupazione per alcuni orientamenti di giurisprudenza, più o meno episodici, che, attraverso un’attività interpretativa orientata direttamente ai valori costituzionali (o ritenuti tali), «finiscono per risolversi in una più o meno grave disapplicazione di disposizioni legislative, persino da parte di giurisdizioni superiori». Secondo il presidente Barbera [9], si può comprendere (ma non giustificare) che il giudice avverta l’esigenza di approntare una risposta, la più rapida ed efficace possibile, a fronte di assetti normativi reputati in contrasto con la Costituzione, e, più specificamente, di offrire una tutela ai diritti inviolabili che essa riconosce. Si tratta, però, di una risposta ‒ ammonisce nella sua relazione ‒ incompatibile con la Costituzione stessa, in quanto l’Assemblea costituente, dopo avere scartato il modello nordamericano della giurisdizione “diffusa”, ha voluto seguire la via del sindacato accentrato, con effetti erga omnes delle sue decisioni; ciò anche a garanzia della prevedibilità e certezza del diritto costituzionale. Nella stessa relazione si parla, censurandoli, di “eccessi valoriali” da cui talvolta non pochi giudici si sentirebbero pervasi.
5. Si tratta di preoccupazioni cui fanno eco quelle provenienti, con toni più accesi, da ambienti della Politica. Vale la pena richiamare, a riguardo, un recente intervento a Palermo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano [10], a proposito della polemica ingeneratasi con la disapplicazione del decreto Cutro da parte di un giudice della sezione immigrazione del Tribunale di Catania.
In esso, Mantovano denuncia che il potere-dovere di disapplicazione di una norma nazionale contrastante con il diritto europeo non può trasmodare «in una revisione da parte dei giudici nazionali dell’applicazione della normativa interna sulla base di incerte e opinabili interpretazioni della relazione tra le due fonti». Questo perché è la politica, nel senso più alto del termine, «ad avere la funzione di confrontarsi col reale, non già per recepire e regolare tutto quello che si presenta: ma per coglierne l’essenza, per affiancarla ai valori di riferimento e per trarne le scelte necessarie», assumendone la relativa responsabilità, pur essa di natura politica [11].
6. Le tensioni tra legislativo e giudiziario sono destinate a riproporsi perché in certa misura fisiologiche in tutte le democrazie liberali, dove il valore dei principi contenuti nella Costituzione, per sua natura pluralista, precede la legge e ne guida la lettura [12] esaltando la discrezionalità dell’interprete. La magistratura, si è osservato [13], viene sempre maggiormente investita di “istanze dal basso” ed è caricata di una “funzione di ascolto” di una società plurale in continua trasformazione, sicché vede una significativa espansione dei suoi tradizionali ambiti di intervento, vissuta con disagio dalla Politica.
Ma i rilievi di quest’ultima, e le accuse ‒ sovente ingenerose ‒ di invasione di campo del “giudiziario” nell’esercizio dell’attività di interpretazione delle leggi, non possono che avere il loro sbocco nelle sedi proprie, attraverso la riappropriazione da parte della Politica dei suoi spazi naturali di intervento. Mentre l’attività ermeneutica del giudice non può che essere scrutinata attraverso l’impugnazione del singolo provvedimento, essendo questo il solo canale “istituzionale” (e direi costituzionale) per poterla censurare.
7. L’attività di “composizione” tra la singola fattispecie e i principi entro cui inquadrarla è cimento costante per il giudice ed ha, però, il limite, invalicabile, del rispetto delle scelte del legislatore. Questo perché interpretare le norme, come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Mattarella, vuol dire innanzi tutto per il giudice «riconoscerne l’esistenza e l’effettiva portata» [14] nel rispetto del principio della soggezione del giudice alla legge, la cui imparziale applicazione è «il fondamento e insieme il limite della sua stessa indipendenza».
La posizione della norma avviene, infatti, nell’ambito di un “bilanciamento” effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione [15]. Il nucleo di certezza della disposizione, ulteriore rispetto all’enunciato linguistico, corrisponde alla scelta politica del legislatore in favore di un principio nell’ambito di una graduazione fra principi. L’interprete non può, quindi, sostituire la scelta politica del legislatore con quella propria e in favore di un diverso principio.
8. Compito della giurisdizione può essere, piuttosto, nel contesto dei principi costituzionali, quello di salvaguardare la “massimizzazione” del bene protetto nonché il rispetto del criterio di proporzionalità nel “bilanciamento” con gli altri principi costituzionali che vengono in rilievo, in tal guisa osservando il (concorrente) criterio di “minimizzazione” del sacrificio dei beni coinvolti di cui va preservato il contenuto minimo essenziale [16].
Ecco, allora, che i principi costituzionali entrano in gioco attraverso le loro possibilità combinatorie e sono sottoposti, come non si è mancato di osservare, alla “logica del possibile” in rapporto a valori confliggenti con reciproca “relativizzazione” [17], sicché il giudice si avvarrà, nell’attività ermeneutica, degli strumenti che l’ordinamento gli appresta, come ad esempio l’interpretazione conforme (a Costituzione o alla normativa del diritto unionale), l’incidente di costituzionalità, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e, in caso di contrasto puntuale con norme UE direttamente applicabili alla fattispecie, la disapplicazione (diretta) del diritto interno.
9. L’esigenza del necessario bilanciamento tra i principi costituzionali non viene in considerazione soltanto nell’ambito dell’attività interpretativa del giudice ma si riflette, a ben vedere, anche sul delicato tema di imparzialità del giudice.
L’indipendenza del giudice è, infatti, un presidio finalizzato a garantire, appunto, l’imparziale applicazione del diritto positivo e la pari dignità ed uguaglianza delle persone dinanzi alla legge, che è insieme fondamento e limite dell’indipendenza del giudice (soggetto alla legge e “soltanto” ad essa).
10. È l’imparzialità nell’applicazione della legge, perciò, il valore fondamentale da preservare, dentro e fuori dal processo.
Il giudice deve sì essere indifferente rispetto agli interessi delle parti del processo (c.d. imparzialità oggettiva), ma anche evitare di farsi condizionare da principi che rispecchiano le sue personali opzioni politiche e culturali, e, nel far ciò, deve porsi in modo imparziale dinanzi al testo normativo.
11. Taluno parla, non senza fondamento, di un dovere di indipendenza del giudice anzitutto da sé stesso [18], non solo quando interpreta la singola norma, ma anche quando è chiamato a formulare un vaglio di proporzionalità nel necessario bilanciamento tra i principi coinvolti, quest’ultimo da realizzare senza sostituire la scelta politica alla base della legge con una propria diversa (e sempre opinabile) opzione culturale o politica.
La motivazione del provvedimento darà necessariamente conto “esteriormente” di questo difficile percorso.
12. Viene così in gioco, partendo da “dentro” il processo e dall’obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale, il valore costituzionale dell’esteriorizzazione dell’imparzialità del giudice. L’imparzialità, nel processo, si traduce nell’obbligo di motivazione dei provvedimenti («Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati», art. 111 Cost.), la quale consente, in un ideale percorso circolare, una verifica ex post dell’effettivo rispetto in concreto del principio di imparzialità anche nei suoi riflessi processuali futuri in sede di impugnazione [19].
Ma la dimensione dell’imparzialità non è, e non può essere, limitata alla sola motivazione del provvedimento, ponendosi essa come un principio connaturato alla giurisdizione e dotato di forza espansiva, in quanto costituisce requisito che precede e segue la fase della stessa decisione, accompagnando il giudice, come regola deontologica, nella sfera extra-funzionale.
13. La possibilità che l’imparzialità sia messa in discussione nel processo impone anzitutto al giudice una particolare attenzione e prudenza prima e dopo il momento decisionale. In questo senso si dice che il giudice deve non solo “essere” ma anche “apparire” imparziale.
La libertà di espressione, riconosciuta a tutti i cittadini dall’art. 21 Cost., deve avere per il giudice dei limiti strettamente correlati alla funzione esercitata.
Non a caso, la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, fin dal 1950, riconosce, all’articolo 10, il diritto di ogni persona alla libertà d’espressione, ma prevede, al contempo, che l’esercizio di questa libertà «può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, […] per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
Nell’ottica di tutelare sia l’imparzialità che l’autorità (o il prestigio) del potere giudiziario, l’art. 98 Cost. consente di stabilire, dunque, con legge limitazioni per i magistrati al diritto di iscriversi a partiti politici; e così l’art. 3, comma 1, lett. h, legge n. 109 del 2006, vieta a tutti i magistrati l’iscrizione ai partiti politici perché la “disciplina” e “l’onore” con cui devono assolvere la propria funzione pubblica (art. 54 Cost.) sarebbero in nuce incompatibili con la “disciplina” di partito.
14. Al di là di tale specifica previsione, l’imparzialità deve orientare alla prudenza e all’equilibrio, atteggiandosi ad habitus mentale del magistrato e deve indurre all’esercizio “discreto”, con ponderato equilibrio e misura, anche di alcuni dei diritti di libertà. Non si è mancato di evidenziare, infatti, che i magistrati, pur godendo dei diritti fondamentali garantiti ad ogni cittadino, debbono esercitarli, per la qualità e la delicatezza delle funzioni da loro ricoperte, con limitazioni che appaiono giustificate, in un’ottica di bilanciamento dei principi costituzionali, dalle stesse guarentigie della indipendenza e imparzialità della magistratura (art. 101, 104 e 108 Cost.) [20].
Se l’essere imparziale si declina in relazione al processo, l’apparenza di imparzialità è un valore immanente alla posizione istituzionale del magistrato, indispensabile per legittimare, presso la pubblica opinione, l’esercizio della giurisdizione come funzione sovrana: l’essere magistrato implicando, come sottolinea la Cassazione, una “immagine pubblica di imparzialità” [21].
15. Certo, un tale bilanciamento tra il godimento dei diritti di libertà e l’esercizio “discreto” degli stessi non sarà sempre agevole. Eppure, per quanto complesso possa essere realizzarlo nel quotidiano, è questo, essenzialmente, lo sforzo cui bisogna tendere per non incrinare la fiducia dei cittadini che è fattore essenziale di legittimazione istituzionale dell’intera magistratura.
[1] Montesquieu, De l’esprit des lois.
2. M. Barberis, Separazione dei poteri e teoria giusrealista dell’interpretazione, p. 11, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/old_sites/sito_AIC_2003-2010/materiali/convegni/aic200410/barberis.pdf
3. Cass., Sez. U, n. 11747/2019.
4. Cass., Sez. U, n. 15144/2011.
5. Cass., Sez. U, n. 12193/2019.
6. Cass., Sez. U, n. 9659/2023; cfr. M. Luciani, L’errore di diritto e l’interpretazione della norma giuridica, § 4.2, in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/l-errore-di-diritto-e-l-interpretazione-della-norma-giuridica_682.php .
7. Cass., Sez. U, n. 24413/2021.
8. Per tutte, Corte cost. n. 230/2012.
9. Relazione del Presidente della Corte costituzionale Prof. Augusto Antonio Barbera, Roma, Palazzo della Consulta, Salone Belvedere, 18 marzo 2024.
10. Cfr. l’intervento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano, al Convegno di studi “Giustizia al servizio del Paese”, organizzato a Palermo dalla Corte dei conti il 13 ottobre 2023, dove si afferma che, nel rispetto delle prerogative parlamentari, competerebbe alle Corti esprimersi “in nome del popolo italiano”, non “in vece del popolo italiano”.
11. Ancora A. Mantovano, intervento cit.
12. Ricorda l’eterno confronto fra il diritto e la legge e il dualismo tra Antigone e Creonte, G. Zagrebelsky, Intorno alla legge, Einaudi, Torino, 2009, 7 e ss.
13. G. Preterossi, La magistratura di fronte alle derive post-democratiche, in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-magistratura-di-fronte-alle-derive-post-democratiche_398.php .
14. Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con i magistrati ordinari in tirocinio nominati con D.M. 23 novembre 2022, Palazzo del Quirinale, 15/06/2023 (II mandato).
15. Cass., Sez. U, n. 12193/2019, cit.
16. E. Scoditti, I nodi del costituzionalismo contemporaneo e la sfida per l’Associazione Nazionale Magistrati, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/nodi-cost-cont-e-anm .
17. Cfr. G. Zagrebelsky, op. cit., 104, che parla di scienza giuridica sfidata a un compito, la “pratica concordanza” delle discordanze per usare un’espressione del costituzionalista tedesco Konrad Hesse, che richiede strumenti concettuali duttili, tra i quali principalmente il “bilanciamento” dei principi costituzionali.
18. Cfr. E. Scoditti, op. cit.
19. V. Zagrebelsky, La libertà di espressione e l’imparzialità, in https://www.giustiziainsieme.it/en/costituzione-e-carta-dei-diritti-fondamentali/2998-la-liberta-di-espressione-e-limparzialita-di-vladimiro-zagrebelsky .
20. Così Corte cost. n. 170 del 20 luglio 2018. Cfr. altresì Corte cost. n. 100 del 1981.
21. Così Cass., S.U., 14 maggio 2020 n. 8906.