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Gaetano Costa, il ricordo del procuratore ucciso a Palermo

“Gaetano Costa è un’anomalia a Palermo. Arriva da Caltanissetta dove in gioventù è stato partigiano clandestino insieme a Sciascia, a Vittorini. Ha una sua storia prima di entrare in magistratura, ed è amico di grandi intellettuali. Arriva in una Palermo dove è già accaduto qualcosa di drammatico, perché hanno ucciso il giudice Cesare Terranova”. È lo storico cronista del Corriere della Sera Felice Cavallaro a parlare. Traccia un ritratto del magistrato Gaetano Costa, mette assieme ricordi e aneddoti.

“Costa entra immediatamente in sintonia con Rocco Chinnici“, spiega Cavallaro. Chinnici è il fondatore del pool antimafia, che poi sarà ucciso nel 1982. Mentre Gaetano Costa è vittima di Cosa nostra il 6 agosto 1980. “Come dice Chinnici, durante un’audizione al Csm, si era rotto un patto con gli avvocati dei mafiosi per eliminare i processi per associazione a delinquere. Insomma, bisognava fare soltanto processi per furti, rapine, omicidi, ma non l’associazione a delinquere. Costa lo capisce”.

La consapevolezza delle difficoltà momento Costa la condivide con qualche amico. Cavallaro ne parla con lo scrittore e intellettuale Leonardo Sciascia. “In quegli anni lavoravo già al Giornale di Sicilia da una decina di anni – racconta il cronista – e il golpe della mafia su Palermo comincia proprio dal Giornale di Sicilia, che viene considerato il palcoscenico dove regolare una serie di colpi. A pagare Mario Francese, subito dopo verrà il turno di Boris Giuliano, di Cesare Terranova e poi del presidente della Regione Piersanti Mattarella. A seguire Michele Reina, segretario della Democrazia cristiana e quindi il procuratore Costa che ha inviato un’ispezione per gli appalti sulla città di Palermo”.

Il nome di Gaetano Costa è in piazza della Memoria, assieme a quelli delle altre vittime della mafia. “Soltanto conoscendo cos’è accaduto prima si potrà tentare di evitare di ritornare e di persistere negli errori”, conclude Cavallaro.

 

Di seguito la dichiarazione di Francesco Petrelli, presidente Unione Camere penali:

L’effetto per chi veda un video di tale fatta è quello che l’ANM accrediti la tesi che gli “avvocati della mafia” siano, non è chiaro a quale titolo, concorrenti nell’omicidio di Gaetano Costa. Si tratta di una affermazione gravissima in quanto investe l’intera avvocatura di una responsabilità diretta nell’uccisione del magistrato. Ma ciò che risulta ancora più grave è il fatto che l’ANM abbia diffuso sulla propria pagina Instagram una simile dichiarazione mai riscontrata da alcuna sentenza, e oltretutto pesantemente infamante e denigratoria nei confronti della intera categoria e della stessa funzione difensiva, nell’odiosa equiparazione tra assistito e difensore e fra delitto ed avvocato.

In nessun frangente Felice Cavallaro attribuisce all’avvocatura la responsabilità dell’omicidio Costa. Al contrario il cronista intervistato da La Magistratura fa una ricostruzione storica, citando oltre tutto le fonti.

La Redazione

 

 

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