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“Anche Falcone e Borsellino furono prima giudici e poi pm”, parla Dora Bonifacio

Intervista a Dora Bonifacio, componente della Giunta esecutiva centrale dell’Anm

Governo e maggioranza tirano dritto sulla riforma Nordio che per la magistratura associata resta profondamente sbagliata. Perché? 

“Come hanno sottolineato anche molti costituzionalisti, è certamente sbagliata nel metodo, perché ogni riforma della Costituzione, che come sappiamo è la carta fondamentale su cui si regge la nostra democrazia, dovrebbe essere condivisa dalla stragrande maggioranza del Parlamento, senza distinzione tra maggioranza e opposizione. E poi quindi dovrebbe essere aperta a tutte le modifiche possibili. Invece questa è stata una riforma che dall’inizio è stata, come ci hanno detto, blindata, perché in occasione dell’incontro dell’Anm con il governo del 5 marzo ci è stata detto che non era suscettibile di alcuna modifica.
E poi è inutile, oltre che sbagliata, perché quello che serve davvero a far funzionare la giustizia, che è appunto l’interesse primario dei cittadini, non è la separazione delle carriere, ma dotare alla magistratura dei mezzi necessari e anche distribuire in modo efficiente le risorse sul territorio. Questa è un’esigenza che vediamo adesso, in cui c’è tutto un dibattito sul mancato raggiungimento degli obiettivi del Pnrr, su cui appunto stanno approvando delle misure straordinarie, che invece a cui ci si poteva dedicare molto tempo prima, invece che alla riforma.

Quali sono gli aspetti più preoccupanti della riforma?

“In primo luogo credo che l’aspetto più preoccupante è lo scopo di questa riforma, che è di ridimensionare il ruolo del pubblico del ministero e, come logica conseguenza, sottoporlo al governo. Ma anche se questo non fosse davvero l’intento dell’attuale maggioranza, perché continuano a dire che non hanno modificato in questo senso il criterio dell’autonomia e dell’indipendenza, anche del pubblico ministero, a quel punto il rischio è quello di creare un potere assolutamente autonomo e fuori dalla giurisdizione, con un suo organo di autogoverno e quindi in tal modo si creerà un superpotere che non esiste. Al contrario, il Csm come organo unico ha sempre garantito la vera autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero, perché ha garantito che la sua funzione si svolgesse all’interno di quella che chiamiamo la giurisdizione, dove sia il pm che il giudice, sono entrambi deputati alla ricerca della verità e alla tutela dei diritti fondamentali”.

Il governo la presenta come la separazione delle carriere, è giusto definirla così?

“Non è affatto corretto, innanzitutto perché la separazione delle funzioni esiste già dal 2006 e aggiungerei purtroppo. Lo dico perché abbiamo notevoli esempi di ottimi pubblici ministeri che provenivano dalla carriera giudicante, si pensi a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, questo secondo me è sempre stato un valore aggiunto. Un pubblico ministero che conosca a fondo, perché lo ha svolto, il lavoro del giudice, è importante: sa bene quanto e quando le prove che ha raccolto possono davvero superare il vaglio del giudice. Lo scopo della riforma non è quello di separare le carriere ma è sempre quello di ridimensionare il ruolo del pubblico ministero, si tratta di una riforma che impatta sul sistema giudiziario e sulla magistratura, i cui elementi costitutivi sono proprio il doppio Consiglio superiore della magistratura con quel rischio, anzi con quella certezza che dicevo prima. E quindi anche istituzione dell’Alta Corte e il sorteggio.

E non mancano altri timori…
“La separazione è una ‘porticina’, come ha detto il costituzionalista Campanelli, dietro cui poi si celano i veri passaggi importanti. Per esempio, con il sorteggio si creerebbe un sistema assolutamente unico perché non è previsto per nessun organo rappresentativo: dal Consiglio dell’ordine degli avvocati fino all’elezione dell’amministratore di un condominio, ovviamente sono tutti organi rappresentativi. E in Europa, a parte la Grecia, non è previsto in nessun altro ordinamento”.

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