La Buona Fede come strumento di valutazione della condotta e di attuazione della norma giuridica nel caso concreto
di Riccardo Pivetti, Consigliere di Corte di Appello, Sezione penale, Tribunale di Catania
La Buona Fede è espressione di una regola etico sociale che impone a tutti i consociati di agire nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica, pur in assenza di una norma specifica al riguardo.
Le situazioni in cui si avverte tale necessità sono quelle in cui il Legislatore non è ancora arrivato a normare.
Ne costituisce un esempio significativo, nel diritto dell’antica Roma, il procedimento processuale ordinario dal III secolo a.C. (e per tutto il periodo classico) che è il processo formulare, nato per l’esigenza di offrire tutela anche a coloro che non potevano esercitare le legis actiones; e cioè nasce per i non cittadini romani allo scopo di tutelare nuove situazioni giuridiche originate con l’espansione dei territori romani, sì tutelando le nuove popolazioni.
Il processo formulare non si basava, come la lege agere, sulla pronuncia di precise ed immutabili parole (certa verba) bensì sulla pronuncia di “formulae”, ovvero il corrispondente delle “actiones”, contenute nell’editto che, oltre 2000 anni or sono, vedeva il Pretore emanarlo ogni anno.
Oggi identica attività è svolta dalla magistratura che supplisce spesso al ritardo del Legislatore.
Il processo formulare, dal III secolo A.C. invece, nasceva dalla necessità di dare tutela ai non cives che ricadendo all’interno dei nuovi territori conquistati da Roma, per avere tutela giurisdizionale, non potendo agere lege, venivano tutelati grazie all’editto del pretore (massima autorità militare e giurisdizionale) che trasformava in norma giuridica condotte che venivano considerate degne dall’etica, ma che ancora non potevano essere ricondotte all’interno delle legis actiones poste a tutela dei soli cittadini romani[1].
Nascono così i iudicia bonae fidei il cui contenuto veniva stabilito dall’Editto del Pretore ed erano costituiti da tre fasi assimilabili alle odierne tre fasi processuali civili: intentio (fase introduttiva della domanda), demostratio (fase istruttoria) condemnatio (fase decisoria) e adiudicatio nei giudizi divisori, quali parti della formula processuale[2].
Siamo sicuramente dinanzi al primo esempio concreto in cui la Buona Fede è strumento di valutazione della condotta e di creazione della norma giuridica più che di sua attuazione nel caso concreto, atteso che la norma per i nuovi territori conquistati da Roma, non esisteva.
Da qui il riferimento storico che aiuta a comprendere come la Buona Fede da regola sociale si trasforma in strumento giudiziario per riportare l’equilibrio tra i consociati e, nell’ambito dei rapporti negoziali, per riportare tale equilibrio in ambito contrattuale.
La Buona fede in senso soggettivo ed oggettivo
E’ innegabile, tuttavia, che la Buona Fede evoca anche una condizione psicologica del soggetto agente: soggettivamente è una condizione dell’animo umano e solo dal punto di vista del Giudice-Osservatore, oggettivamente, rimane uno strumento di valutazione della condotta e di attuazione della norma giuridica nel caso concreto.
Ecco che la Buona Fede unitamente al possesso continuato per dieci anni, in presenza di titolo idoneo, debitamente trascritto, consente l’usucapione della proprietà immobiliare (art. 1159 c.c.); e per i beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi, l’acquisto si avrà in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in Buona Fede (art. 1153 c.c.).
In presenza di Mala Fede l’esigenza per il Legislatore di avere certezza dei rapporti giuridici tra consociati, consente l’usucapione con il decorso di venti anni (art. 1161 c.c.).
E’ evidente che da queste prime riflessioni sul concetto di Buona Fede che quest’ultima da strumento di valutazione della condotta e di attuazione della norma giuridica nel caso concreto per il Giudice-Osservatore (Buona Fede in senso oggettivo), mutando il punto di osservazione, e passando dall’osservatore all’osservato, diviene anche una condizione psicologica del soggetto agente.
Tale condizione psicologica emerge prepotentemente nell’acquisto della proprietà a titolo originario, ma viene presa in considerazione dal Legislatore in tutti i rami del nostro Ordinamento Giuridico. E basti pensare, a tal riguardo, che in tema di illecito extracontrattuale (art. 2043 e ss) anche con rilevanza penale, agire nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica fa la differenza tra dolo e colpa.
La Buona Fede nel Diritto Penale
In ambito più strettamente penalistico consente di distinguere i delitti dalle contravvenzioni (punibili indistintamente per dolo o per colpa) ed è linea di demarcazione tra delitti dolosi e delitti colposi.
E’ soprattutto il diritto civile che menziona spesso la Buona Fede in entrambe le sue connotazioni, soggettive e oggettive e, queste ultime, nella materia contrattualistica; e purtuttavia la presenza di questa categoria etica, logica e giuridica, che lo studio del diritto romano, pure nella sua evoluzione storica, consente di percepire come la Buona Fede si spande prepotentemente in tutti i settori dell’Ordinamento Giuridico.
Ecco che la Buona Fede in senso soggettivo compare in una delle cause di giustificazione nel diritto penale, qual è lo stato di necessità, perché solo se pericolo in cui il soggetto agente si trova, non è da lui non volontariamente causato, il fatto tipico di reato è giustificabile (art. 54 ed art. 59 ult. comma cp); ed addirittura l’agire nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica (Buona Fede in senso soggettivo) esclude il dolo e può configurare solo la colpa se la condotta, comunque, è posta in violazione di regola prudenziale, di diligenza e/o perizia: l’errore scusabile scrimina il soggetto ed esclude il dolo; l’errore inescusabile, non scrimina e il soggetto è punibile a titolo di colpa; ed infine l’errore di fatto può escludere il dolo relativamente ad un determinato reato, lasciando comunque esistere il dolo relativo ad un reato diverso (art. 47 cp)[3].
L’errore di diritto, in forza dell’art. 5 cp, è inescusabile, salvo che l’errore dell’agente non cada sulla conoscenza della norma che impone la condotta, ma solo sulle modalità di esecuzione della stessa: l’agente non può invocare l’ignoranza affermando di avere agito nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica, ma può giustificarsi dicendo che l’errore è caduto su una norma che definisce una delle modalità della condotta disciplinata, non dalla norma violata, ma da una norma giuridica esterna.
La giurisprudenza ha assunto una posizione rigorosa sul punto affermando l’errata interpretazione di una legge diversa da quella penale, cui fa riferimento l’art. 47, ultimo comma, cp, ai fini dell’esclusione della punibilità, deve essere sempre originata da errore scusabile[4], ma l’errore è tale solo se sussiste una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma (nel caso esaminato di una norma fiscale extrapenale[5]), tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile.
Siamo dinanzi ad un errore che cade su un elemento normativo esterno a quello che definisce la norma penale (assai diffuso nelle norme penali in bianco qualcuno potrebbe sostenere) e che, proprio per l’incertezza applicativa, genera l’errore.
E così chi che è sottoposto a misura di prevenzione personale deve sempre comunicare le variazioni patrimoniali; sicché in tema di misure di prevenzione, l’art. 80 del d.lgs. n. 159 del 2011, relativo all’obbligo, per i soggetti già sottoposti a misura di prevenzione personale ex lege n. 1423 del 1956, di comunicare le variazioni del proprio patrimonio, la cui omissione è penalmente sanzionata dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011[6]; sanzione che si applica anche quando il provvedimento che ha disposto la misura è divenuto definitivo in data anteriore all’introduzione di tale obbligo.
Ma il Legislatore non indica il modo con cui comunicare la variazione patrimoniale; e, quindi, se l’agente erra nella modalità con cui comunicare la variazione patrimoniale ritenendo che il solo rogito notarile sia sufficiente a dare ossequio a tale obbligo, l’errore non cade sul precetto penale, ma su norma extra penale esterna al precetto, e, per tale ragione, è espressione di colpa e non di dolo, e, pertanto il sottoposto all’obbligo potrebbe non essere penalmente punibile.
Siamo dinanzi ad una situazione in cui vi è una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile essendo il rogito notarile un atto pubblico da cui si evince la variazione patrimoniale lasciata ad un regime di pubblicità che non consente di potere affermare che l’agente abbia voluto violare la norma sulla comunicazione, anche perché il Legislatore non esclude il valore della pubblicità del rogito notarile, né indica le modalità con cui veicolare la comunicazione.
Oggi, peraltro, a differenza del momento in cui la norma fu coniata, la diffusione e l’efficienza sempre più penetrante dei controlli informatici per mano del Fisco, può ingenerare fallace certezza nel sottoposto alla misura che il rogito notarile sia sufficiente modalità di informazione al Nucleo di Polizia Tributaria.
Il diritto penale tedesco non menziona l’errore di diritto su legge extra penale e ritiene che l’errore sulla modalità della condotta, disciplinato da norma esterna al precetto penale, rientri pur sempre nella categoria dell’errore di fatto che conclama l’agire del consociato nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica: siamo dinanzi ad una impostazione legislativa improntata ad una visione realistica e pratica, finalizzata a ottenere in modo diverso l’identico risultato che è l’assoluzione dell’imputato non perché il fatto non sussiste, ma perché non costituisce reato.
Situazioni di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma certamente possono configurarsi nell’ambito dei reati contravvenzionale in materia di rifiuti.
L’avere evidenziato che l’aver agito nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica perché il soggetto non è compos sui escludendo la riferibilità della condotta all’agente (art. 85 cp), l’aver menzionato la situazione di pericolo in cui il soggetto agente si trova, non da lui non volontariamente causato (art. 54 cp) e l’aver enumerato le ipotesi in cui l’errore di fatto e di diritto escludono il dolo (art. 47 cp), consente di avere un modello di riferimento per l’operatore da mettere in campo per valutare l’altrui condotta nell’ambito della tipicità, dell’antigiuridicità e della colpevolezza, tutte le volte in cui l’esame di un fascicolo imporrà questo tipo di sensibilità, magari in assenza di una massima della Corte di Cassazione chiara al riguardo.
Ecco che gli esempi si possono moltiplicare nel settore penale anche perché in una Europa multirazziale le varie etnie spesso non sono pronte a recepire ed accettare usi e consuetudini diversa da quelle del loro paese natale.
La Germania e la Francia hanno un passato coloniale che vede numerosi migranti sbarcati in Sicilia con un senso etico differente dai cittadini dell’Unione: in Germania fino a 60 anni fa, quasi non si trovavano immigrati legati a una cultura diversa dalla cultura tedesca, né la legislazione, né la giurisprudenza o la dottrina si interessavano al problema dei reati culturalmente motivati.
E neppure l’immigrazione di lavoratori italiani, spagnoli, portoghesi e slavi, iniziata negli anni ’50 del secolo scorso ha creato seri problemi alla giurisdizione penale.
I lavoratori turchi arrivati in Germania, vi rimasero, non ritornarono in Turchia, anzi le ricongiunzioni familiari hanno consolidato in Germania la loro stabile permanenza nel territorio tedesco ed europeo.
Innumerevoli ondate di profughi dalla Siria, dall’ Irak, dall’Afghanistan e da paesi africani giungono in Germania ed hanno come primo approdo la Sicilia.
Le prime sentenze di tribunali tedeschi nelle quali si trova una discussione di reati culturalmente motivati risalgono agli anni ’60, ma oggi il loro numero è aumentato: numerosi sono i casi di omicidio d’onore e di vendetta di sangue.
Nel 2005 la giovane turca Hatun Sürücü venne uccisa a Berlino a una fermata dell’autobus.
Quell’omicidio eseguito dai fratelli non era motivato neppure da condotte sessuali contrarie all’Etica di quel Paese ma i fratelli furono accusati di aver ucciso la sorella per punirla a causa del suo modo di vita occidentale[7].
In un caso del genere bisogna chiedersi se occorre valutare la condotta in modo identico per chi da poco è approdato nel territorio dell’Unione, rispetto a chi da anni è radicato, anche solo al fine di commisurare la pena ai sensi dell’art. 133 del codice penale italiano.
Oggi questo tema si ripropone ai Colleghi italiani che dovranno giudicare i familiari di Samman Abbas, la 18enne pakistana che decise di non accettare un matrimonio combinato e che scomparsa dalla notte del 30 aprile 2021 da Novellara, in Emilia, è stata ritrovato uccisa.
La scusabilità dell’errore come espressione sintomatica di Buona Fede
è sempre e comunque il criterio da utilizzare per muoverci all’interno delle valutazioni di casi concreti per essere sicuri che l’agente abbia agito nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica: la condotta è scusabile se è conseguenza di un errore inevitabile perché è in questa che si ravvisa la Buona Fede secondo l’orientamento rigorista della giurisprudenza di legittimità[8]; e, quindi, in tutti gli altri casi l’evitabilità dell’errore conclama la Mala Fede e l’illecito perché prevedibilità dell’errore significa pure sua evitabilità.
Non è possibile un approdo ermeneutico differente perché … La responsabilità penale è personale … e tutto quello che non è evitabile non è neppure spesso prevedibile; e, quindi, l’errore per certo scusabile porta all’assoluzione, diversamente la sanzione non potrebbe tendere … alla rieducazione del condannato …
Seppur nato in epoca fascista l’art. 5 del codice penale con una interpretazione costituzionale orientata dall’art. 27 diventa nelle mani del Giudice uno strumento potente di riequilibrio dell’intero sistema.
In questo senso determinante è la pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza 24/03/1988 n° 364, sempre attuale, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5 del codice penale nella parte in cui esclude l’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale quando tale ignoranza è inevitabile. E certamente quando l’errore dell’agente non cade sulla condotta ma sulle modalità di questa, dinanzi a fattori confondenti tali da generare una ignoranza inevitabile con un errore altrettanto inevitabile, in quanto non prevenibile, l’approdo ermeneutico del Giudice sulla norma da applicare al caso concreto, non può che essere di tipo assolutorio per mancanza di dolo.
Vediamo adesso come tale strumento utilizzato nei decenni passati ha portato il Legislatore, su input del Giudice delle Leggi, ad apportare correttivi ben precisi a norme concepite in un’epoca storica passata ma la cui architettura giuridica è sempre validissima.
Ignoranza della legge penale
Muovendo dall’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 c.p. si è arrivati ad agganciare il concetto di Buona Fede ad una ignoranza del precetto scusabile, perché conseguenza di un errore inevitabile, frutto di fattori confondenti, assolutamente inevitabili perché ricadenti non sulla condotta – perché in questo caso la visione della Corte di Legittimità esclude categoricamente la scusabilità dell’errore in quanto ricadente sulla conoscenza diretta della norma extra penale che integra perfettamente quella penale – ma sulla modalità della condotta voluta dal Legislatore.
In un contesto sociale che si evolve così velocemente non può dirsi con certezza che il sottoposto ad una misura di prevenzione abbia voluto violare l’obbligo di comunicazione alla Polizia Tributaria con l’acquisto di un immobile: la diffusione e l’efficienza sempre più penetrante dei controlli informatici per mano del Fisco può ingenerare il dubbio nel sottoposto alla misura che il rogito notarile sia insufficiente modalità di informazione al Nucleo di Polizia Tributaria.
L’ignoranza della legge penale oltre che cadere sul nucleo essenziale della norma può interferire anche sugli elementi accidentali del fatto di reato: le circostanze non conosciute o erroneamente supposte che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti; ed altrettanto le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Si tratta di una integrazione dell’art. 59 cp operata dal Legislatore con l’art. 1 della Legge 7 febbraio 1990, n. 19 che così ha evitato la censura di incostituzionalità.
La riscrittura della norma ha poi avuto ricadute importanti in sede operativa. E così in tema di concorso di persone nel reato, il criterio generale di imputazione delle circostanze aggravanti previsto dall’art. 59, comma secondo, cod. pen. – per il quale è necessario che esse siano conosciute o ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa – opera anche ai fini del riconoscimento delle circostanze di natura oggettiva, che si estendono ai concorrenti per i quali sia configurabile il coefficiente soggettivo previsto dalla citata disposizione, non essendo detto criterio modificato dalla previsione dell’art. 118 cod. pen., che si riferisce soltanto ad alcune circostanze soggettive.
Nel caso concreto esaminato dal Giudice di Legittimità si è ritenuto sussistente il coefficiente psichico richiesto per il riconoscimento dell’aggravante dell’uso dell’arma in capo al concorrente non armato, in quanto i cocci di bottiglia utilizzati come arma impropria si trovavano sul luogo del delitto e il loro utilizzo era ampiamente prevedibile[9].
In materia di criminalità organizzata deputata al narcotraffico l’aggravante dell’associazione armata prevista dall’art. 74, quarto comma, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere imputata al singolo partecipante solo se sussiste un coefficiente di colpevolezza in relazione a tale aspetto, consistente quantomeno nella prevedibilità concreta della disponibilità delle armi da parte dell’associazione.
Anche in questo caso, il Giudice di legittimità, muovendo dal concetto di mala fede insita in una condotta dell’agente quanto meno colposa, desunta da intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva la conoscenza o comunque la possibilità di conoscere da parte dei sodali che l’arma detenuta da uno di essi era nella disponibilità dell’associazione, ha configurato l’aggravante[10].
Per le organizzazioni criminali di stampo mafioso o assimilate l’aggravante della disponibilità di armi, di cui all’art. 416-bis, commi 4 e 5, cod. pen., è configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino.
Così l’appartenenza storica del sodale ad associazione che negli anni si è macchiata di delitti commessi con armi, emerge la sua conoscenza o comunque la possibilità di conoscere che l’associazione detiene armi nella disponibilità dei suoi partecipi.
Pure in questo caso a distanza di vent’anni dal momento in cui l’art. 59 cp è stato riscritto la Buona Fede gioca un ruolo essenziale in sede applicativa dovendosi ritenere in Mala Fede il sodale che ha ignorato per colpa od ha ritenuto inesistenti per errore determinato da colpa la disponibilità di armi in capo all’associazione[11].
Sull’errore di fatto e sull’errore di diritto che cade su norma extra penale ci siamo già soffermati, ma nell’impianto riconducibile alla Buona Fede che scusa perché esclude il dolo va ricondotto pure l’errore determinato dall’altrui inganno (art. 48 cp) che ha impegnato moltissimo il Giudice di Legittimità in materia di la falsità ideologica[12], dove risponde del delitto commesso non il pubblico ufficiale ma chi ha determinato la persona ingannata a commetterlo[13].
Gli esempi sono innumerevoli e possono colpire settori innumerevoli della Pubblica Amministrazione, soprattutto nell’ambito di delitti come il peculato o le truffe ai danni dello Stato, la corruzione, oggi come non mai di imminente pericolo, in conseguenza della disponibilità di danaro ottenibile col piano nazionale di ripresa e resilienza e delle infiltrazioni, non solo in campo economico, per mano della criminalità organizzata e di altre forze estranee destabilizzanti; fenomeno quest’ultimo che non riguarda solo il nostro Paese ma tutti gli stati dell’Unione.
La Buona Fede nel Diritto Amministrativo
Il Legislatore con l’art. 2, comma 1, lett. 0a), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha aggiunto il comma 2-bis. all’art. 1 sulla nota legge del procedimento amministrativo: I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede.
Siamo dinanzi a un principio fondamentale dell’azione amministrativa che rende (o meglio dovrebbe dirsi che potrebbe rendere) palpabile l’interesse del privato alla tutela di una situazione che si è definita nella realtà giuridica per effetto di atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione.
Del resto, la nascita del Giudice Amministrativo emerge prepotentemente nella storia con questa finalità: un organo di garanzia destinato a migliorare la giurisdizione un tempo affidata al Tribunale del Re nei rapporti della Pubblica Amministrazione col cittadino.
Il principio della tutela dell’affidamento del cittadino verso la Pubblica Amministrazione è un argomento di interesse scientifico fortemente influenzato dall’istituto dell’apparentia iuris, atteso che esso pone il problema di capire se si possa o meno accordare tutela a chi confida in una situazione che appare conforme al diritto ma che, tuttavia, non lo è.
La regola comportamentale si ricava dalle norme di diritto civile sicché l’affidamento del privato cittadino può essere tutelato solo se ha agito nel rispetto delle regole di condotta del buon padre di famiglia (diligenza sancita dall’art. 1176 cc) e secondo buona fede (art. 1175 c.c.): un criterio comportamentale e interpretativo, anche di natura contrattuale, che ha fondamento nel principio di solidarietà sancito dall’articolo 2 della Costituzione.
La giurisprudenza amministrativa aggiunge che comunque il privato non può abusare dell’apparentia iuris per chiedere tutela in assenza di un vantaggio per il privato a seguito della situazione giuridica apparente; vantaggio che deve risultare in maniera chiara ed univoca da un altrui atteggiamento che, da parte della Pubblica Amministrazione, di cui il funzionario è espressione, non può essere improntato a mala fede.
Ovviamente anche nel diritto amministrativo vale quel che si è riferito nel diritto penale: l’errore inescusabile del cittadino non è espressione sintomatica di Buona Fede.
Ecco che le norme degli art. 1337 e 1338 c.c. che mirano a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dalla ignoranza della causa d’invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, son applicabili anche alla Pubblica Amministrazione. E purtuttavia, se vi è colpa da parte del cittadino, se cioè egli avrebbe potuto, con l’ordinaria diligenza (art. 1176 c.c.), venire a conoscenza della reale situazione (escludendo la situazione di apparenza fuorviante), e, quindi, della causa di invalidità del contratto, non è più possibile offrirgli tutela perché la situazione di apparenza poteva essere disvelata mettendo in campo la diligenza del buon padre di famiglia.
Al riguardo il Giudice di legittimità ha confermato la decisione del merito, con cui si è escluso che il privato al quale la Regione aveva venduto un bene del Demanio marittimo dello Stato, potesse pretendere il risarcimento del danno conseguente alla nullità della compravendita, giacché l’incommerciabilità della res, quale causa d’invalidità negoziale, era obiettivamente ed agevolmente riconoscibile[14].
Infine, il cittadino, per difendere l’utilità ottenuta dal provvedimento amministrativo deve dimostrare di aver conseguito detta utilità mediante comportamenti che non devono essere ingannevoli o addirittura fraudolenti.
E’ necessario, allora, che l’affidamento si sia consolidato nel tempo, ossia che il privato abbia conservato l’utilità per un arco di tempo tale da convincerlo, oramai, della sua stabilità. E cioè un po’ quel che accade con il consolidamento del diritto di proprietà grazie all’usucapione.
E questo perché il nostro Ordinamento Giuridico non tollera situazioni di incertezza ed arriva giustificare anche la mala fede nell’usucapione ventennale, con l’evidente motivo che, dopo vent’anni, la condotta in mala fede non interessa più nessuno.
La Buona Fede nel Diritto Civile
Vi sono situazioni in cui emerge la necessità di una regola di protezione e di informazione dei consociati, che incarna la Buona Fede, che viene normata dal Legislatore, il quale, tuttavia, non menziona sempre la Buona Fede e parla di correttezza (art. 1175 c.c.), onestà e lealtà (art. 1375 c.c.).
Il contesto di questi parametri sintomatici di Buona Fede precedono la formazione del contratto e possano dar vita ad una responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.) che è la responsabilità precontrattuale, ovvero riguardano proprio la formazione dell’accordo, incidendo su uno degli elementi essenziali del negozio giuridico (soggetto, oggetto, causa e forma, art. 1325 c.c.) nei casi più gravi o, nei casi meno gravi, consentendo la nascita dell’accordo ma incidendo, comunque, sul processo volitivo (errore, violenza e dolo, art. 1427 c.c.).
Al riguardo la dottrina ha profuso uno sforzo notevole arricchendo il patrimonio di conoscenza[15] che ha dato esito fruttuoso vista la innumerevole casistica giurisprudenziale al riguardo.
Ovviamente la tutela giudiziaria nel caso di errore sarà di più evidente necessità se l’errore è essenziale nella determinazione della volontà contrattuale ed è riconoscibile dall’altro contraente (art. 1428 c.c.), mentre in tutti gli altri casi, è riservata alla valutazione del Decidente lo spazio di tutela con un giudizio che riguarderà, appunto, la necessità di riportare l’equilibrio contrattuale sino a diventare la condotta di Buona Fede, un’obbligazione accessoria, e, quindi, norma che integra il contratto.
La manualistica tradizionale ricava dalle norme del Codice civile le categorie della nullità e della annullabilità del contratto.
Ma spesso rimane meno percettibile il comportamento che sta a monte delle patologie contrattuali, riconducibili, ovviamente, alla regola etico sociale che impone a tutti i consociati di agire nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica, informando e proteggendo la propria controparte contrattuale anche con riferimento alla necessità di informare tale controparte circa la mancanza di quegli elementi che non consentono la nascita dell’accordo (nullità) o che ne viziano la formazione (annullabilità).
Se dall’accordo spostiamo il punto di osservazione sul rapporto generato dall’accordo, la violazione dei parametri di Buona Fede (correttezza, onestà e lealtà) impone al Giudice osservatore di applicare gli strumenti di tutela che sono rappresentanti dalle sentenze costitutive con cui si risolve il contratto per eccessiva onerosità o per inadempimento (art. 1453 e ss. c.c.).
Anche la rescissione rientra nell’ambito degli strumenti di tutela contrattuale costitutiva ma, in questo caso, l’inadempimento agli obblighi di protezione e informazione incide in particolare sul valore del bene-interesse, oggetto del contratto (artt. 1447, 1448 c.c.).
Esistono numerosissime situazioni in cui, pur non arrivando alla patologia contrattuale, la violazione dei parametri di Buona Fede (correttezza, onestà e lealtà) impone al Giudice il compito di riportare l’equilibrio all’interno dei rapporti tra consociati: trattasi dunque di un compito che si perpetua pure oggi anche se ormai, ovviamente, l’Editto del Pretore è solo un ricordo reso vivo dal Diritto Romano, sempre affascinante e spunto di riflessione non indifferente perché per intendere il meccanismo di protezione giudiziale, il riferimento storico risulta prezioso.
Ed è un preziosissimo apporto che ci fa intendere perché anche oggi (con un diverso assetto economico e storico, certamente lontano temporalmente dall’Editto del Pretore) si sente la necessità per la giurisdizione di portare l’equilibrio all’interno del contratto e nei rapporti tra consociati, attingendo direttamente il proprio potere creativo dalle norme della Costituzione.
Il riferimento va ai fondamentali principi di solidarietà sociale previsti nella Carta costituzionale, con specifico riferimento agli articoli 2, 36, 37, 39, 41 e 42 della Costituzione.
Dinanzi al potere creativo del Giudice il Legislatore non resta insensibile e così si innesca il processo di normazione (artt. 1175 e 1375 c.c. e artt. 2, 36, 37, 39, 41, 42 Cost.).
Ecco che la prima ipotesi normata è quella concernente i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, dove non è sufficiente solo retribuire, ma è altrettanto indispensabile proteggere e tutelare la salute del lavoratore, anche informandolo.
La tutela in questi casi è duplice: è contrattuale ma è pure penale nell’ambito dei reati che possono essere commessi in ambito di ambiente di lavoro dove si verificano le cc.dd. morti bianche ed infortuni sul lavoro.
Oggi le direttive comunitarie e i regolamenti svolgono un’importante funzione mediante questa attività di informazione e protezione in questi due ambiti.
Altrettanto può dirsi per l’attuale Codice del Consumo.
Insomma, la Buona Fede, espressione di una regola etico sociale che impone a tutti i consociati di agire nella consapevolezza di non ledere l’altrui sfera giuridica, pur in assenza di una norma specifica al riguardo, certamente incide sul processo normativo.
L’attività creativa giurisprudenziale
ci consente di individuare diversi esempi non ancora normati. E così il venditore consentirà al compratore, in sede di preliminare di compravendita di immobile, di ottenere il possesso e di far iscrivere ipoteca per ottenere il mutuo dalla banca, cancellando quella residua che dovesse esistere ancora in sede di stipula di preliminare[16]. Il venditore si asterrà di vendere lo stesso bene a più persone che rappresenta un classico della responsabilità precontrattuale a cui si associano numerose ipotesi similari[17] ovvero ipotesi in cui viene coinvolta la Pubblica Amministrazione che agisce iure privatorum[18].
Il ritardo nell’eseguire la prestazione dovrà essere tollerabile dal creditore, pur potendosi già qualificare la situazione in termini di inadempimento in senso oggettivo, sicché agire per la risoluzione, significa, appunto, comportarsi in male fede, abusando del proprio diritto.
A quest’ultimo riguardo la giurisprudenza ha guardato al divieto dell’atto emulativo, quale comportamento in mala fede del proprietario di un immobile che con lo scopo di raggiungere finalità diverse da quelle per cui gli sono riconosciute le facoltà proprietarie agisce con il solo scopo di nuocere o recare molestia ad altri (art. 833 c.c.), per riportare l’equilibrio economico nell’ambito di altri rapporti diversi dall’abuso del diritto in campo proprietario.
E così il creditore accetterà il pagamento del suo credito con modalità di pagamento diverse dal contante ed eviterà di instaurare più giudizi civili per esigere parte della prestazione in uno o più fori facoltativi abusando del proprio diritto di agere lege.
Ma dalla regola etica si arriva alla norma giuridica grazie alla sensibilità della giurisdizione e uno degli esempi più attuali riguarda gli investimenti in campo finanziario dove ci si è resi conto della necessità di tutelare, soprattutto, il piccolo investitore. Ecco che con decreto legge 58 nel 1998 e a tutt’oggi fonte normativa di riferimento in Italia in materia di finanza e di intermediazione finanziaria, si sono posti obblighi di protezione e informazione al consulente finanziario per evitare investimenti inconsapevoli in danno del cittadino inerme.
In questo caso si percepisce come la sensibilità giurisprudenziale attrae l’attenzione del Legislatore trasformando l’indirizzo giurisprudenziale di tutela in norma giuridica imperativa ed integrativa del contratto.
Si può certamente parlare in questo caso della conclusione di un processo evolutivo della regola comportamentale che dall’Etica arriva sino al Diritto, grazie all’intervento del Giudice Osservatore, per poi stabilizzarsi all’interno di un quadro di riferimento normativo certo grazie all’intervento legislativo.
Nell’ambito di una società governata dalle leggi l’incertezza delle condotte non può essere tollerata.
In definitiva per dare ordine alle condotte la discrezionalità giudiziale è il primo passo che deve orientare il Giudice a valutare le pattuizioni concordate dai contraenti non più come nucleo essenziale del contratto, ma come parte di un ben più ampio quadro in cui la mala fede può imporre l’intervento del Giudice Osservatore; e si parlerà in questo caso di Buona Fede in senso oggettivo affidata alla tutela giurisdizionale, per come già evidenziato all’inizio.
Là dove la sensibilità della giurisprudenza imporrà l’intervento legislativo si parlerà di Buona Fede in senso oggettivo affidata a norme imperative lasciate alla tutela legislativa e quindi alla volontà popolare.
Come abbiamo visto sin’ora non siamo dinanzi a novità dei tempi moderni.
Né la Buona Fede in senso soggettivo e oggettivo sono categorie che nella realtà si possono separare, ma più che altro rappresentano espressione di un processo evolutivo diretto a soddisfare la necessità tipica degli ordinamenti giuridici, che è la certezza del Diritto, sia negli ordinamenti giuridici di common law di origine britannica, basato sui precedenti giurisprudenziali, che in quelli che preferiscono la codificazione e in generale le leggi egli altri atti normativi di organi politici, come nel sistema italiano che è di civil law.
Ovviamente chi scrive non pretende di avere esaurito tutte le ipotesi in cui la categoria della Buona Fede opera nel diritto: con questa riflessione si è voluto soltanto sottolineare come la Buona Fede è strumento di valutazione della condotta e di attuazione della norma giuridica nel caso concreto di cui l’operatore dispone per evitare che l’uso rigoroso e indiscriminato di un diritto o l’applicazione rigida di una norma possa diventare un’ingiustizia anzi che arrivare ad una decisione giusta perché equa.
Chi esercita la giurisdizione non ha ereditato un potere autoreferenziale ma una forza che deve mettere al servizio del Cittadino. Gli insegnamenti che ci vengono dal passato come l’aforisma summum ius summa iniuria attribuito a Cicerone[19] e l’humanitas di Terenzio (quest’ultimo in ambito letterario e filosofico)[20] non si devono dimenticare … Homo sum: humani nihil a me alienum puto.
Li dobbiamo portare con Noi ogni giorno quando andiamo in ufficio a dicere ius.
Riccardo PIVETTI
Si ringrazia per la traduzione in lingua inglese la Dottoressa Irina MUHLIC
[1] Cesare Sanfilippo, Istituzioni di Diritto Romano, Settima Edizione, Catania, 1980, p. 114.
[2] Cesare Sanfilippo, loc. ult. cit. p. 113.
[3] Cfr. Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, p. 300, Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, Roma 1933, p. 273 e Pannain, Manuale di diritto penale, Torino, 1950, p. 552.
[4] Cfr. Cassazione Penale, Sezione Seconda, Sentenza n. 43309 del 08/10/2015 Ud. (dep. 27/10/2015 ) Rv. 264978 – 01.
[5] Cfr. Corte di Cassazione, Sezione VII, Ordinanza n. 44293 del 13/07/2017 Cc. (dep. 26/09/2017 ) Rv. 271487 – 01.
[6] Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell’articolo 80 è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.329 a euro 20.658. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati. Nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati ovvero del corrispettivo dei beni alienati, il giudice ordina la confisca, per un valore equivalente, di somme di denaro, beni o altre utilità dei quali i soggetti di cui all’articolo 80, comma 1, hanno la disponibilità.
[7] CONVEGNI SILVIA TELLENBACH, Fatti culturalmente motivati e diritto penale tedesco, pp 2 e ss.
[8] Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza n. 418 del 25/11/2021 Ud. (dep. 11/01/2022 ) Rv. 282560 – 01
In tema di patrocinio a spese dello Stato, l’errore sulla nozione di reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio non esclude l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non trattandosi di errore su legge extrapenale, posto che l’art. 76 del medesimo decreto è espressamente richiamato dalla predetta norma incriminatrice.
Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza n. 23810 del 08/04/2019 Ud. (dep. 29/05/2019) Rv. 275993 – 02.
Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 del d.lgs. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la Corte ha considerato inapplicabile anche l’art. 47 cod. pen. nel caso di errore sulla efficacia sanante della dichiarazione integrativa rispetto a quanto riportato falsamente nella dichiarazione originaria annuale).
[9] Cassazione Penale, Sezione II, Sentenza n. 8324 del 04/02/2022 Ud. (dep. 10/03/2022 ) Rv. 282785 – 02.
[10] Cassazione Penale, Sezione VI, Sentenza n. 15528 del 12/01/2021 Ud. (dep. 23/04/2021 ) Rv. 281212 – 02.
[11] Cassazione Penale, Sezione VI, Sentenza n. 32373 del 04/06/2019 Ud. (dep. 19/07/2019 ) Rv. 276831 – 02.
[12] Cassazione Penale Sezioni Unite 1827/1995, dove per errore determinato dall’altrui inganno in relazione alla parte dell’atto in cui il pubblico ufficiale attesta falsamente, anche senza esplicitarla formalmente, l’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto.
[13] Cassazione Penale, Sezione VI, 3368/2018.
[14] Cassazione Civile, Sez. 2, Sentenza n. 1987 del 14/03/1985 (Rv. 439900 – 01), Conf 2603/74, mass n 371043; Conf 3387/73, mass n 367329; Conf 1493/73, mass n 364248; Conf 2325/72, mass n 359693; Conf 2459/66, mass n 324765.
[15] Sacco Rodolfo, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, Torino, Giappichelli, 1949.
Breccia, Umberto. Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, Giuffrè, 1968.
Sacco Rodolfo, Cos’e la buona fede oggettivava ? Milano, Giuffré, 1987.
Nanni Luca, La buona fede contrattuale, Padova, CEDAM, 1988.
Fenu Giovanni Maria, L’ integrazione del contratto Roma, 2007.
Navarro Pierluigi, Definizione giuridica e funzione economica della buona fede contrattuale nell’ordinamento italiano, Roma 2010.
Piraino, Fabrizio, La buona fede in senso oggettivo, Torino, Giappichelli, 2015.
[16] Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza n. 3185 del 04/03/2003 (Rv. 560832 – 01).
La buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia, tra l’altro, in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (nell’affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha così cassato la decisione del giudice di merito che aveva escluso ogni violazione di obblighi, contrattuali e di comportamento secondo buona fede, nella mancata, tempestiva cancellazione ipotecaria da parte del promettente venditore di un immobile che tale cancellazione si era obbligato a compiere, con clausola inserita nel preliminare, “entro il rogito definitivo”: la S.C. ha, difatti, rilevato come il predetto fosse a conoscenza della circostanza che il promissario acquirente, stipulato un contratto di mutuo con un istituto bancario al fine di adempiere alla sua residua obbligazione di versamento del prezzo, aveva condizionato il mutuo stesso, come da prassi, alla possibilità di iscrivere, per la banca, “prima ipoteca, o altra di pari effetti sull’immobile oggetto di compravendita”, e come da ciò conseguire l’obbligo di esso promittente venditore, alla stregua del ricordato principio di buona fede nell’esecuzione del contratto – e salvo accertamento, demandato al giudice del rinvio, dell’eventuale, eccessiva gravosità di esso – di procedere tempestivamente alla cancellazione ipotecaria – in epoca, dunque, precedente il rogito – onde consentire la convenuta iscrizione alla banca mutuante).
[17] Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza n. 1887 del 25/01/2018 (Rv. 647088 – 01)
Colui che si è obbligato a trasferire un bene sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative ha il dovere di conservare integre le ragioni della controparte, comportandosi secondo buona fede, compiendo, cioè, tutte le attività, che da lui dipendono, per l’avveramento di siffatta condizione, le quali tuttavia non possono implicare il sacrificio dei suoi diritti o interessi, in particolare imponendo l’accettazione del mutamento dell’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto, posto che l’obbligo di buona fede è semplicemente volto ad impedire (e non a provocare) ai contraenti un minor vantaggio ovvero un maggior aggravio economico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, secondo la quale il promittente venditore di un immobile da ristrutturare a cura e spese del promittente acquirente, il cui prezzo avrebbe dovuto essere pagato mediante retrocessione di una porzione di cubatura dell’immobile dopo la ristrutturazione, a seguito della mancata approvazione comunale del relativo progetto, non poteva ritenersi tenuto a sottoscrivere un nuovo progetto, che avrebbe potuto essere approvato, ma che avrebbe comportato la diminuzione della cubatura ad esso spettante in base al contratto).
[18] Sez. U, Ordinanza n. 14833 del 24/06/2009 (Rv. 608720 – 01)
La controversia promossa da un privato per ottenere, nei confronti di un Comune, il risarcimento del danno conseguente alla prospettata responsabilità del medesimo ente, in qualità di alienante, per la violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nella vendita di un complesso immobiliare, per avere taciuto l’inesistenza di tutte le condizioni di legge per procedere alla cessione dell’immobile (segnatamente, l’autorizzazione della Soprintendenza regionale) appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché trattasi di domanda risarcitoria che non attiene alla fase pubblicistica della gara, ma a quella prodromica, rispetto alla quale si fa valere la responsabilità precontrattuale della P.A., con conseguente rilevanza del criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla natura della situazione soggettiva dedotta in giudizio, la quale, nella specie, ha consistenza di diritto soggettivo.
[19] De officiis, I, 10, 32 e 33. Può darsi infatti che qualche promessa o qualche accordo sia di natura tale che il mandarlo ad effetto procuri danno, o a chi è stata fatta o a chi l’ha fatta. In verità, se Nettuno, come raccontano le favole, non avesse mantenuto la promessa fatta a Teseo, Teseo non avrebbe perduto il figlio Ippolito. Di quei tre desideri , come si narra, gliene restava da chiedere uno, il terzo, ed ecco che, accecato dall’ira, chiese la morte d’Ippolito: poichè il desiderio era stato esaudito, egli piombò nei più atroci dolori. Dunque non si debbono mantenere quelle promesse che sono dannose alle persone a cui son fatte; se quelle promesse recano maggior danno a chi le ha fatte che vantaggio a chi le ha ricevute, non è contrario al dovere anteporre il più al meno. Così, per esempio, se tu avevi promesso a qualcuno di recarti in tribunale per assisterlo in giudizio, e nel frattempo un tuo figliuolo fosse caduto gravemente malato, non sarebbe contrario al dovere non mantener la parola, anzi mancherebbe ben di più l’altro al suo dovere, se si lamentasse dell’abbandono. Inoltre, chi non s’accorge che non bisogna mantenere le promesse che si son fatte o costretti da paura o tratti in inganno? E appunto la maggior parte di questi obblighi è annullata dal diritto pretorio; alcuni di essi anche dalle leggi. …Si commettono spesso ingiustizie anche per una certa tendenza al cavillo, cioè per una troppo sottile, ma in realtà maliziosa, interpretazione del diritto. Di qui il comune e ormai trito proverbio: somma giustizia, somma giustizia.
[20] Heautontimorumenos, IV, 5.
***
In foto: Il figlio dell’uomo di René Magritte, 1964, Collezione privata