Qualcosa di perfettamente diritto

Vorrei riuscire a onorare questo nostro incontro con il silenzio, anzitutto, perché le parole sono un po’ come il cibo, dopo un po’, quando sono troppe, appesantiscono. Se potessi parlare tacendo, sarei felice. Infatti, il mio primo obiettivo è non rovinare tutto il carico umano e professionale, e vorrei dire anche spirituale, che stando lì seduto ho sentito arrivare su di me. E immagino che anche voi avete sentito arrivare su di voi. Non rovinare per raccogliere dentro di noi e trasformare, così come facciamo con il cibo, in calorie, in energia; in questo caso in prospettiva, in motivazione, tutto quello che è stato detto. Però non è possibile, visto che sono qui, non prendere la parola. E quindi lo faccio.

Anche io, come è stato già detto da più di uno, emozionato, perché non mi è mai capitato di parlare in una sede così importante, ma vorrei dire soprattutto per le mie origini siciliane, che sono state ricordate. E quando ero seduto lì, quando ho visto Rosario Livatino e subito dopo la foto di Giovanni Falcone, ho sentito una profonda commozione muovermi dentro. Io faccio spesso nelle mie conferenze in Italia il nome di questi tre: di Rosario Livatino, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Faccio spesso questo nome perché noi abbiamo bisogno di testimonianze, più che di concetti, più che di dottrine, didascalie, etc. Abbiamo bisogno di testimoni. I nostri giovani, soprattutto, hanno bisogno di testimoni. E queste tre persone cosa hanno testimoniato? Cosa continuano a testimoniare?

E’ quello di cui parlerò adesso, riprendendo un verso, una riga di Immanuel Kant, che nel suo scritto “La religione nei limiti della sola ragione”, che venne pubblicato nel 1792/93 dice esattamente questo: che l’umanità, quindi tutti noi, è un legno storto. E che sia storta l’umanità, secondo me, lo testimonia l’esistenza di questo palazzo e tutto quello che questo palazzo testimonia. Lo testimonia l’arma che il carabiniere ha qui al mio fianco. Lo testimoniano i codici, il codice di diritto su cui il beato Livatino poggiava la mano. Se non ci fosse la stortura, non ci sarebbe il diritto codificato positivo, per raddrizzare le storture che la natura umana procede. Sto dicendo cose elementari. Ma, da questo legno storto cosa si fa?

Kant era figlio di un sellaio, famiglia di umile origine. Dovette guadagnarsi da vivere facendo tutta una serie di cose e sapeva il valore del legno e la possibilità di utilizzare il legno anche per i finimenti dei cavalli e per le strutture che si facevano. Quando arrivava invece un legno storto, il legno storto lo si poteva mettere solo nel camino e non si poteva fare nulla. Eppure, lui stesso si chiede: ma come è possibile che dal legno storto dell’umanità possa sorgere qualcosa di pienamente, perfettamente diritto?

E noi oggi, che ci sia il legno storto lo sappiamo alla perfezione, anzi la sindrome dei nostri giorni è esattamente questa: che noi abbiamo completamente sfiducia in noi stessi, sfiducia nell’umanità. E ci difendiamo dagli altri esseri umani, ci mettiamo (come cantava il mio amico Lucio Dalla) sacchetti di sabbia alla finestra, si esce poco la sera. Nella nostra finestra interiore, nel nostro cortile interiore, mettiamo un filo spinato, sacchetti di sabbia, ci difendiamo. E sapere che, invece, esiste la possibilità che qualcuno sia perfettamente diritto e mostrarlo è estremamente consolante, è edificante, è qualcosa che ti tira su, che ti dà energia e ti fa credere in te stesso, perché anche tu, che sai che sei storto, tuttavia puoi diventare diritto.

Io non parlerò, se non brevemente, di Rosario Livatino in quanto magistrato, è chiaro, io qui, nell’Aula Magna della Cassazione, cosa posso dire davanti a voi uomini del diritto, ho ascoltato con piacere. Non parlerò di Rosario Livatino neanche come beato, altri hanno detto. Io poi penso che la beatitudine che viene certificata dalla Chiesa (scusate forse è un’eresia) è, appunto, una certificazione. Gandhi non sarà mai dichiarato beato dalla Chiesa cattolica, perché era induista; Falcone era agnostico in materia religiosa e non sarà mai dichiarato beato. E forse non sono giusti? C’è una beatitudine che va al di là, appunto, delle certificazioni, così come esiste un diritto naturale che va al di là della legge statuita, allo stesso modo esiste una santità, una probità, una statura intellettuale e morale che va al di là delle varie certificazioni, che è giusto che ci siano, sia chiaro.

Quindi, io parlerò della coscienza morale, cioè di Rosario Livatino come di una epifania della possibilità che noi disponiamo questa energia immateriale, che si muove e si agita e che opera dentro di noi, la disponiamo in modo retto. E dalla disposizione del nostro sguardo e dai nostri pensieri poi discendono azioni rette. Perché tutto nasce dalla mente, è chiaro.

Come la chiamate voi questa energia libera che si muove dentro di voi e che con una parola generica chiamiamo interiorità? Ciò che costituisce la peculiarità di un essere umano la si può chiamare anima, la si può chiamare spirito, mente, io, ego. A me piace, soprattutto in questa sede, parlarne in termini di coscienza.

La coscienza ha tre manifestazioni. La prima, che accomuna tutti i viventi, persino le piante (in quanto esseri viventi) è capacità di cognizione. Ogni vivente, per vivere, deve nutrirsi e tende alla riproduzione. Per nutrirsi e per riprodursi occorre produrre atti cognitivi. Quindi, non esiste vivente che non abbia questo primo livello della coscienza, in quanto capacità di elaborare informazioni, al fine di produrre atti cognitivi.

Poi esiste un secondo livello della coscienza, che è la coscienza in quanto autocoscienza, in quanto consapevolezza. E già da questo punto di vista il fenomeno umano appare nella sua singolarità. Per quanto, da quando ho un pastore tedesco, non sono così sicuro che la coscienza e la autoconsapevolezza sia solo degli umani, perché anche negli animali vedo che esiste.

Infine, terzo momento, la coscienza in quanto capacità di giudicare ciò che è diritto e ciò che è storto, anche a prescindere dal tuo particulare, dal tuo interesse, anche riguardo a eventi molto distanti da te. La capacità di elaborare giudizi morali, (quindi giudizio, giudice). E per fare il giudice (è già stato detto e io lo riprendo) occorre che ci sia giustizia interiore. Io sono assolutamente convinto di questo. Cioè noi ci troviamo al cospetto di qualcosa di perfettamente diritto non perché esteriormente è perfettamente legale (questa è la grande distinzione tra lex e ius). Ci troviamo al cospetto di qualcosa di perfettamente diritto perché è giusto.

Rosario Livatino, insieme ad altri giudici, avvocati, carabinieri, poliziotti, giornalisti, politici, era abitato da un tale desiderio (e direi innamoramento, fascino) della giustizia, tale da superare anche l’istinto di sopravvivenza, che dicono essere il più forte di tutti biologicamente parlando. Prima nel documentario abbiamo visto che guardava alla finestra (diceva il padre di Rosario Livatino) negli ultimi giorni della sua vita. Cosa guardava? Io non lo so cosa guardava alla finestra, forse guardava dentro di sé, forse sentiva quelle minacce, forse diceva: ma allora posso fare qualcosa per non correre più i rischi, per essere sicuro, per andare avanti nella vita? L’istinto di sopravvivenza è uno dei più forti che abbiamo, qualcuno dice il più forte che abbiamo. Ma esiste un altro istinto, a quanto pare, in un legno perfettamente diritto, che diventa ancora più forte. E’ l’istinto, direi il fascino, della giustizia, del bene.

Qui ci sarebbe da riflettere. Infatti, Kant si pone questa domanda: ma come si può aspettare di ricavare da un legno così storto qualcosa di perfettamente diritto? Eppure avviene. Ma come avviene questa cosa? Tentava di ragionare in termini puramente laici Immanuel Kant, pur essendo a suo modo credente, come quasi tutte le persone che pensano, che sono credenti a loro modo. E, tuttavia, rimaneva la sorpresa di fronte a questa antinomia: qualcosa di storto che produce qualcosa di perfettamente diritto. Che cosa avviene in un essere umano perché possa succedere questa metanoia, questa trasformazione?

Vedete, ho già accennato prima, su tutti noi incombe oggi un senso di incertezza. Non è solo la magistratura che sta vivendo il suo momento più basso. Non è solo la magistratura, è la coscienza morale di questo Paese, che sta vivendo forse uno dei suoi momenti più bassi. Forse è la coscienza dell’umanità, in questo tempo così lattiginoso, che noi chiamiamo post-moderno per dire che è finita una cosa, senza sapere che cosa è iniziato. Non c’è più quell’ottimismo che la modernità aveva in sé. Che cosa c’è dopo? Non lo so e quindi dico semplicemente post. Si parla di post-umano, è stata celebrata la parola post-verità.

In questo tempo, la vita e la morte di Rosario Livatino sono un evento che davvero per molti può rappresentare un punto fermo. Forse la natura non è giusta, forse la vita che deriva dalla natura non è giusta. Di sicuro, non è sempre giusta la natura umana. E tuttavia, la vita, la natura, la grazia, l’ispirazione, la cultura, immettono nella vita umana il desiderio di raddrizzare, di aggiustare il legno storto. E’ bellissimo il verbo aggiustare, che noi usiamo per riportare (per esempio) un meccanismo, una macchina alla sua funzione che ha perso. Usiamo la parla giustizia, devo riportarlo ad essere giusto, conforme alla sua natura originaria. La vita va aggiustata, va resa giusta.

E anche il termine diritto indica questa stessa cosa. Da dove nasce il diritto? I filosofi, i giuristi non concordano sulla nascita del termine diritto. La domanda sull’origine del diritto produce diverse filosofie del diritto, che io in maniera grossolana elenco mediante quattro sostantivi latini. C’è chi pensa che il diritto venga da veritas. C’è chi pensa che il diritto venga da auctoritas (non veritas, auctoritas facit legem diceva Thomas Hobbes, mostrando così le due filosofie del diritto tradizionali, da un lato veritas, dall’altro auctoritas, da un lato Dio o la Ragione universale -si potrebbe dire- e dall’altro il potere). Terza teoria: pactum facit legem. E’ il contrattualismo, tutta la modernità da Spinoza in poi, fino a Kant, il neocontrattualismo, Rowls e così via. Infine la quarta: la natura, il giusnaturalismo, la natura umana stessa.

Vado a concludere: qualunque sia l’origine del diritto, la testimonianza di un uomo che al diritto ha consacrato la vita costituisce per tutti noi un appello morale. E quindi, la vita e la morte di Rosario Livatino diventano una domanda: tu per fondare dentro di te l’idea, il sentimento del diritto, su cosa ti appoggi? Su una rivelazione divina? Su una costrizione dell’autorità e del potere? Su un patto con altri? Sulla logica della natura?

Ecco la coscienza che emerge, la coscienza che viene attratta dalla bellezza della giustizia. Io penso che il diritto possa avere, per alcuni, una fondazione che è parente stretta dell’etica e, ancora prima, dell’estetica. Kalos kai agatos, io faccio questa cosa perché ne sono innamorato, io sto dalla parte della giustizia perché è bello, e facendo questa cosa divento bello. Per questa connessione con l’etica e con l’estetica, il diritto rimanda oltre la positività e conduce a quelle parole sacre che Sofocle fa pronunciare ad Antigone, quando dice: le leggi non scritte e incrollabili degli Dei. Leggi non scritte, o meglio scritte qui, e per questo incancellabili fino a quando c’è il cuore, fino a quando c’è l’umanità. E quindi, ecco c’è la coscienza morale.

Si legge nei diari di Beethoven: “come lo Stato deve avere una Costituzione, così il singolo uomo deve avere la propria”.

La vita e la morte di Rosario Livatino sono la più luminosa testimonianza della stretta connessione tra il rispetto della Costituzione esteriore e la presenza della Costituzione interiore. A noi, penso, non resta che onorare la sua memoria, rendendo sempre più salda e più pulita la nostra Costituzione interiore.

Grazie dell’attenzione.

Prof. Vito Mancuso

Teologo