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L’art. 40 della Costituzione

Commento all’art. 40 della Costituzione

di Guido Raimondi, magistrato, Presidente di sezione della Corte di cassazione

 

Art. 40 – Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano

Sommario: 1. Introduzione. 2. I lavori dell’Assemblea costituente; a) La prima sottocommissione; b) La terza sottocommissione; c) La Commissione; d) L’Assemblea. 3. La portata della norma costituzionale. 4. Cenno agli sviluppi successivi: a) I limiti penali allo sciopero, la distinzione tra sciopero e serrata e lo sciopero politico; b) Lo sciopero nei servizi essenziali; c) Il diritto di sciopero oltre il lavoro subordinato; d) I limiti all’esercizio del diritto di sciopero; e) La titolarità del diritto di sciopero. 5) Lo sciopero e l’Organizzazione internazionale del lavoro. 6) Lo sciopero nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 7) Conclusioni

 

  1. Introduzione

La disposizione costituzionale in commento, talora definita come “norma semplice” per la sua brevità[1], può essere riprodotta integralmente senza difficoltà. Essa recita: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.

Queste poche parole segnano, come pochi altri passaggi della Costituzione, la profondità del cambiamento che gli autori della nuova Carta hanno voluto imprimere alla neonata Repubblica italiana rispetto al passato regime, che nell’ambito del sistema corporativo aveva soppresso interamente il diritto di sciopero (per la verità anche quello di serrata), criminalizzandone l’esercizio con diverse disposizioni penali del Codice Rocco[2].

Non era scontato. Vi era stato chi, nell’Assemblea costituente, avrebbe preferito evitare di menzionare lo sciopero nella Carta costituzionale, lasciando al legislatore ordinario il compito di abrogare le norme fasciste che criminalizzavano questa forma di lotta sindacale. Si è osservato che, mentre aleggiava lo “spettro” dello sciopero politico, vasti settori della Costituente cercarono d’impedire il riconoscimento in Costituzione del diritto di sciopero e comunque, in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo principale, di assoggettarlo a vincoli tali da ridurne il più possibile l’esercizio[3]. Sullo sfondo vi era da registrare un vivo conflitto interno alla CGIL, Confederazione generale italiana del lavoro, allora unitaria, tra la componente di ispirazione marxista e quella democristiana quanto alle forme della lotta sindacale, con la seconda fermamente contraria allo sciopero politico e molto reticente quanto agli scioperi nei servizi pubblici[4], mentre era “vivissima l’eco” delle “antiche impostazioni”[5].

La norma riconosce esplicitamente il diritto, non solo quindi la mera “libertà” – che avrebbe eliminato l’illiceità penale dello sciopero, ma ne avrebbe mantenuto il valore di inadempimento sul piano civilistico del contratto di lavoro -, di un’azione collettiva di astensione dal lavoro a difesa di interessi comuni dei lavoratori, sia pure nel quadro normativo tracciato dalle leggi della Repubblica. I lavori preparatori dell’art. 40 della Costituzione, lavori ai quali parteciparono alcuni degli ingegni più notevoli presenti tra i costituenti – tra i quali Palmiro Togliatti, Giuseppe Di Vittorio, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Roberto Lucifero di Aprigliano e molti altri[6] – presentano uno straordinario interesse[7].

Si è osservato che il dibattito dei costituenti sul diritto di sciopero ha anticipato praticamente tutti i temi sui quali si è poi sviluppata l’analisi degli specialisti del diritto di sciopero, come la questione del contemperamento del diritto di sciopero con i servizi pubblici essenziali, quella dei limiti soggettivi del diritto di sciopero e della necessità del requisito della subordinazione, il tema della validità del parallelismo – propugnato dalla parte liberale – tra sciopero e serrata, quello della legittimità dello sciopero per scopi non contrattuali, cioè dello sciopero politico e quello dei limiti oggettivi del diritto di sciopero[8].

Del dibattito in seno all’Assemblea costituente cercheremo di dare sinteticamente – se non sommariamente[9] – conto, per poi accennare, sempre in estrema sintesi, alle soluzioni che la legge (in modo molto limitato, in pratica solo per i servizi pubblici essenziali, con la l. n. 146 del 1990) e soprattutto la giurisprudenza hanno offerto ai temi appena indicati, evocati, ma non risolti dalla Costituente. Ci sembra poi utile aprire una finestra sul diritto di sciopero nel quadro dell’Organizzazione internazionale del lavoro e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

 

  1. I lavori dell’Assemblea costituente

Come è noto, il testo della Costituzione venne elaborato dalla  Commissione per la Costituzione, più spesso chiamata Commissione dei 75 (in seguito: la Commissione), una commissione speciale, composta di 75 membri scelti fra i componenti dell’Assemblea costituente, che fu incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana.

La Commissione fu istituita il 15 luglio 1946 e avrebbe dovuto terminare i propri lavori entro il 20 ottobre dello stesso anno.  La commissione era presieduta da Meuccio Ruini, già presidente del Consiglio di Stato, e venne organizzata in tre sottocommissioni: la prima, sui diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini; la seconda, sull’organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta da Umberto Terracini; la terza, sui rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini. Fu inoltre istituito un comitato di redazione (detto “Comitato dei 18”) formato dall’Ufficio di presidenza della Commissione dei 75 allargato ai rappresentanti di tutti i gruppi politici. A tale comitato fu affidato il compito di coordinare ed armonizzare il lavoro prodotto dalle tre sottocommissioni. I lavori della Commissione dei 75 si protrassero fino al 1º febbraio 1947. L’Assemblea costituente (presieduta dallo stesso Terracini, che aveva proprio in quei giorni sostituito il dimissionario Giuseppe Saragat) diede inizio alla discussione generale sul progetto di Costituzione il 4 marzo 1947 per concluderla con la definitiva approvazione il 22 dicembre dello stesso anno.

Tutte e tre le sottocommissioni della Commissione dei 75 ebbero modo di occuparsi del diritto di sciopero. I lavori in seconda sottocommissione sul punto, però, non ebbero seguito data la soluzione che si raggiunse in Commissione dopo le deliberazioni delle altre due sottocommissioni. La Commissione iniziò i suoi lavori, con il rapporto dei presidenti delle due sottocommissioni prima e terza (Tupini e Ghidini), il 14 gennaio 1947 e li concluse nello stesso giorno[10]. Il testo venne poi esaminato dall’Assemblea plenaria, che adottò una soluzione finale di compromesso, cioè il testo dell’art. 36, poi divenuto l’attuale 40 della Costituzione, nella seduta pomeridiana del 12 maggio 1947[11].

2. a) La prima sottocommissione

In prima sottocommissione si confrontarono due relazioni di opposto orientamento: quella di Togliatti, tendente a riconoscere il diritto di sciopero senza limitazioni, e quella di Lucifero, che, oltre a porre sciopero e serrata sullo stesso piano, prevedeva la possibilità di un intervento statale per la pacifica risoluzione delle controversie di lavoro e la possibilità di dichiarare illegali lo sciopero e la serrata che turbassero gravemente l’ordine pubblico.

Il dibattito in questa sottocommissione fu molto articolato[12]. Meritano di essere menzionate la proposta del Presidente Umberto Tupini, che ammetteva lo sciopero tranne che “nei servizi di pubblica utilità e di pubblica difesa”, così evocando il tema degli scioperi nei servizi essenziali, sul quale è poi intervenuta la legge n. 146 del 1990, quella di compromesso di Aldo Moro, che propose di confermare al diritto di sciopero la sua posizione costituzionale considerandolo però come extrema ratio e lasciando allo Stato uno spazio di intervento, salvaguardando “i servizi essenziali alla vita della collettività”, e l’emendamento del democristiano Giorgio La Pira, che propose di utilizzare la formula dell’allora progetto di Costituzione francese della Quarta Repubblica, secondo cui “il diritto di sciopero è riconosciuto a tutti nell’ambito delle leggi che lo regolano”, una formula molto vicina a quella che sarà poi definitivamente approvata dall’Assemblea plenaria il 12 maggio 1947. Vi fu anche il tentativo, da parte del democristiano Camillo Corsanego, di escludere lo sciopero politico, cui ribatté con forza il socialista Lelio Basso.

Infine, nella seduta del 15 ottobre 1947, passò una proposta del Presidente Tupini che al primo capoverso riprendeva la formula ampia di Togliatti, secondo cui “E’ assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero” e al secondo affidava alla legge il compito di regolarne l’esercizio unicamente per quanto attiene “a) alla procedura di proclamazione; b) all’esperimento preventivo di tentativi di conciliazione; c) al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva.” Mentre il primo capoverso era approvato a larga maggioranza (14 voti favorevoli e un astenuto), il secondo passava di misura (7 voti favorevoli, 6 contrari e un astenuto)[13]. Per la “piccola storia”, può leggersi nel resoconto della seduta successiva del giorno seguente che in effetti la seconda parte della proposta del Presidente era stata approvata solo grazie all’assenza del comunista Concetto Marchesi, che il giorno prima si era dovuto allontanare dalla seduta per motivi di salute[14].

2. b) La terza sottocommissione

In seno alla terza sottocommissione il dibattito ricalcò nelle sue grandi linee quello della prima sottocommissione, anche se l’esito fu completamente diverso.

Relatore sullo sciopero era Giuseppe Di Vittorio, che propose una formula equivalente a quella presentata da Togliatti nella prima sottocommissione, formula secondo la quale il diritto di sciopero era ammesso senza limitazioni[15]. Il democristiano Giuseppe Rapelli, relatore sulla materia della “organizzazione sindacale”, difese invece una formula che ammetteva lo sciopero, purché esso fosse proclamato in forma libera e democratica dalla maggioranza dei lavoratori interessati e solo dopo almeno un tentativo di conciliazione, con esclusione, salvi casi eccezionali, dello sciopero nei servizi pubblici e dello sciopero politico. Anche in terza sottocommissione vi fu il tentativo liberale di equiparare lo sciopero alla serrata, con la proposta di Francesco Marinaro. Sempre da parte democristiana, fu affacciata da parte di Amintore Fanfani una proposta che, oltre ad equiparare sciopero e serrata, conteneva prescrizioni al legislatore in senso assolutamente restrittivo. Infine, la maggioranza, compreso Fanfani, si coagulò intorno all’idea, avanzata dal democristiano Giuseppe Togni, di non includere in Costituzione alcun cenno allo sciopero e alla serrata, idea che ottenne l’appoggio del Presidente della sottocommissione Gustavo Ghidini. Venne così approvato un ordine del giorno Fanfani secondo cui “la terza Sottocommissione, ritenuto urgente e indispensabile che una legge riconosca il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia, non ritiene necessario che la materia sia regolata dalla Carta costituzionale.” Molto si discusse in terza sottocommissione dello sciopero politico. Oltre a Rapelli, prese nettamente posizione contro l’ammissibilità di questa forma di protesta il Presidente Ghidini, mentre la legittimità dello sciopero politico venne appassionatamente difesa da Di Vittorio, che ne sottolineò l’efficacia proprio a presidio della democrazia: lo sciopero politico non come arma contro lo Stato, ma contro il pericolo di una involuzione dello Stato in senso reazionario[16].

2. c) La Commissione

Come si accennava, la Commissione dei 75 aprì e chiuse i lavori sul diritto di sciopero in una sola giornata, il 14 gennaio 1947[17].

Il Presidente della prima sottocommissione, Tupini, ne difese le conclusioni, che come si ricorderà propugnavano l’inclusione del diritto di sciopero in Costituzione, con limiti da individuarsi dal legislatore ordinario in relazione a tre aspetti: la proclamazione; la necessità di una prodromica fase conciliativa; il mantenimento dei servizi essenziali. Il Presidente della terza sottocommissione, Ghidini, criticò invece vivacemente questa impostazione, che avrebbe in pratica potuto condurre non solo alla mutilazione, ma alla soppressione del diritto di sciopero, e si collocò su di una posizione più avanzata rispetto a quella che aveva difeso in sottocommissione, dicendosi pronto ad accettare una formula che riconoscesse il diritto di sciopero senza altre specificazioni. Beninteso, Ghidini dava per scontato che questa soluzione avrebbe lasciato intatto il potere del legislatore di configurare il diritto e quindi di limitarlo, ma alla luce della Costituzione, non nel modo che sarebbe stato consentito accettando la proposta della prima sottocommissione.

Nel dibattito si confrontarono la tesi comunista dell’affermazione del diritto di sciopero senza altre specificazioni (“è assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero”), difesa da Di Vittorio, la proposta “pregiudiziale” del democristiano Pietro Bulloni di non menzionare il diritto di sciopero in costituzione, quella di Giuseppe Cappi, democristiano, di aggiungere al testo proposto da Di Vittorio la formula “una legge sui rapporti di lavoro ne regola l’esercizio”, e infine la proposta della prima sottocommissione.

Come è stato notato[18], di particolare interesse fu, nella discussione, l’intervento del socialista Lelio Basso, che osservò, come Ghidini, che l’accoglimento della proposta della prima sottocommissione, con i suoi tre limiti, avrebbe praticamente ucciso il diritto di sciopero, pur notando che anche una formula “pura” come quella proposta da Di Vittorio non sarebbe stata certamente di ostacolo al legislatore nella regolazione del diritto di sciopero, perché è “normale che la legge regoli l’esercizio dei diritti sanciti dalla Costituzione”. Nella critica alla proposta della prima sottocommissione Basso affrontò uno dei temi che sarebbero stati poi a lungo discussi in seguito, quello della titolarità del diritto di sciopero, se cioè esso sia un diritto collettivo, spettante alle organizzazioni sindacali, ovvero individuale. Egli dava per scontata l’opzione della natura individuale del diritto, e quindi della liceità dello sciopero spontaneo, osservando che “il solo fatto dire che la legge regola le modalità per la procedura di proclamazione dello sciopero significa che si viene a negare, in radice, la possibilità di abbandono spontaneo del lavoro da parte dei lavoratori, cioè la forma più semplice  e più democratica di sciopero”[19].

Infine passò a maggioranza la proposta Di Vittorio, e quindi il riconoscimento del diritto di sciopero senza altre specificazioni.

2. d) L’Assemblea

In Assemblea vi fu di nuovo il tentativo di escludere il diritto di sciopero dal testo costituzionale. Vennero anche avanzati emendamenti ulteriormente restrittivi rispetto alla proposta della prima sottocommissione e fu presentata – provocatoriamente –  dal qualunquista Guglielmo Giannini una proposta tendente a vietare sia lo sciopero sia la serrata, demandando alla legge la regolazione dei conflitti di lavoro[20].

Infine un punto di equilibrio venne trovato sulla base della proposta del democristiano Umberto Merlin, che traendo spunto dall’idea avanzata in prima sottocommissione su ispirazione dell’allora progetto di Costituzione francese da Giorgio La Pira, presentò il testo “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, ricalcando la formula del preambolo della Costituzione francese che intanto era stata approvata il 27 ottobre 1946[21].

Notevole l’intervento di Di Vittorio, che pur difendendo la sua formula “pura”, annunciò l’adesione dei comunisti all’emendamento Merlin per consentire l’approvazione di un testo a larga maggioranza dell’Assemblea, menzionando esplicitamente l’opportunità di una soluzione rispondente non solo ad attese largamente diffuse tra la popolazione, ma che potesse conciliare le diverse sensibilità presenti nella C.G.I.L., allora ancora unitaria[22].

L’intervento di Di Vittorio spianò la strada, dopo il respingimento della proposta Giannini e di quelle tendenti ad escludere la menzione del diritto di sciopero dalla Carta costituzionale, all’approvazione dell’emendamento Merlin, come art. 36 del testo, che poi, dopo l’intervento del Comitato di redazione, divenne l’art. 40 della Costituzione.

 

  1. La portata della norma costituzionale

Come dicevamo, il risultato cui la Costituente è pervenuta con l’art. 40 non era scontato, e la soluzione raggiunta ha segnato veramente una rottura con il regime precedente.

Varie letture sono state date della funzione del riconoscimento costituzionale del diritto di sciopero. A noi sembra insuperata quella di Piero Calamandrei, che si riferisce alla “efficacia funzionale” dello sciopero  quale “strumento stimolatore del miglioramento sociale … in vista del quale la Costituzione l’ha riconosciuto”[23], lettura con la quale sostanzialmente concorda Giuseppe Pera, secondo cui la maggioranza dell’Assemblea costituente reputò “di dover dare … una consacrazione costituzionale allo sciopero come strumento di progressiva elevazione del lavoro”[24], fondamento della Repubblica.

Tutto ciò sul presupposto del naturale squilibrio tra le posizioni del datore di lavoro da una parte e del lavoratore dall’altra, ciò che spiega il netto rifiuto dell’Assemblea costituente di equiparare lo sciopero alla serrata[25].

Certamente non sono mancate analisi tendenti a non valorizzare adeguatamente l’art. 40 della Costituzione, a causa della sua laconicità, a volte addirittura presentando questa disposizione come  norma “ambigua”[26].

Ci pare invece fondata la tesi elaborata da uno studio di qualche anno fa che assegna un valore pregnante ai lavori della Costituente. L’autrice osserva che “la presenza nella disposizione costituzionale di una nozione di sciopero – protetta dalla qualificazione giuridica di diritto costituzionalmente sancito – vincolante anche per il futuro legislatore, che l’interprete ha il compito di individuare e ricostruire, alla luce dei principi costituzionali”[27] ha una particolare pregnanza, ragione per la quale “l’interprete, così come il legislatore ordinario, può solo esplicitare, ma non modificare, il concetto di sciopero accolto dal Costituente”[28], il che, come è stato notato, circoscrive grandemente lo spazio di manovra del legislatore in materia di sciopero, anche al solo fine di regolamentarne l’esercizio[29].

Ne è una riprova che nei quasi settantasei anni di vita repubblicana quasi tutto sia stato lasciato alla giurisprudenza e alla autoregolazione sindacale e che l’unica vera legge che sia stata approvata – del resto previa concertazione con le grandi organizzazioni sindacali – è quella sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, la legge n. 146 del 1990 che, come si è osservato, sostanzialmente collega l’autoregolazione sindacale con l’esigenza di garantire i diritti fondamentali degli utenti dei servizi pubblici[30].

Lungi dall’essere una norma “muta”, l’art. 40 della Costituzione parla all’interprete e al legislatore, e lo fa ancora oggi con molta forza.

 

  1. Cenno agli sviluppi successivi

Sarebbe evidentemente impossibile in questo breve scritto dar conto degli sviluppi dell’art. 40 nella prassi e nella giurisprudenza nei decenni che ci separano dalla sua approvazione. Ci limiteremo perciò a qualche scarna indicazione sulle questioni evocate in sede di dibattito alla Costituente e non risolte in quella sede.

  1. a) I limiti penali allo sciopero, la distinzione tra sciopero e serrata e lo sciopero politico

Il Codice Rocco del 1930 conteneva diverse norme incriminatrici dirette a reprimere sia lo sciopero sia la serrata (art. da 502 a 506 cod.pen.). Nel confrontarsi con queste norme, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/1956, ha respinto l’idea di un’abrogazione implicita di tutte le norme penali sullo sciopero, e ha quindi proceduto selettivamente.

Di fondamentale importanza è la sentenza n. 29 del 1960, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la totale incostituzionalità dell’art. 502 cod.pen. relativo alla serrata e allo sciopero per motivi contrattuali. La Corte costituzionale è partita dalla incostituzionalità dell’incriminazione penale della serrata per motivi contrattuali, e l’ha poi estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, a quella dello sciopero per motivi contrattuali. Pur riconoscendo che l’art. 40 della Costituzione stabilisce bensì il diritto di sciopero, ma non quello di serrata, la Corte costituzionale ha ritenuto l’incriminazione di quest’ultima incompatibile con l’assetto costituzionale delle relazioni industriali delineato dagli art. 39 e 40 della Carta. Questo non trasforma la serrata in diritto. Essa è una semplice libertà, nel senso che non è più punita penalmente, ma conserva la sua natura illecita sul piano civilistico, per cui sono configurabili la mora del creditore e, eventualmente, la sua qualificazione come comportamento antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.

Sulla questione dello sciopero politico, ampiamente dibattuta, come si è visto, nei lavori preparatori dell’art. 40 della Costituzione, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha conosciuto un’evoluzione.

In una prima sentenza, la n. 123 del 1962, chiamata a confrontarsi con la legittimità costituzionale dell’art. 504 cod.pen. (coazione della pubblica autorità mediante serrata o sciopero), la Corte, con una sentenza interpretativa di rigetto, ha affermato la legittimità dello sciopero politico quando sia volto a sollecitare l’emanazione di misure “suscettibili di incidere in modo diretto sul settore del lavoro subordinato”. Il principio è stato ribadito con la sentenza n. 1/1974, che ha precisato come lo sciopero debba considerarsi legittimo quando venga proclamato in funzione della tutela degli interessi dei lavoratori presi in considerazione dalle norme del titolo terzo della parte prima della Costituzione (rapporti economici), mentre si doveva considerare escluso dalla tutela costituzionale lo sciopero puramente politico, cioè quello che, senza collegamento con i detti interessi, sia volto a condizionare l’indirizzo politico del Governo.

Successivamente, con la sentenza n. 290/1974, la Consulta ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 503 cod.pen. (serrata e sciopero per fini non contrattuali). La Corte si è riferita all’idoneità dello sciopero a perseguire i fini di cui all’art. 3, secondo comma, della Carta, rilevando che lo sciopero “politico – economico”, diretto all’ottenimento di misure direttamente incidenti sugli interessi dei lavoratori rientra a pienamente nella garanzia costituzionale dell’art. 40. Inoltre, anche l’incriminazione dello sciopero puramente politico, cioè quello inteso a condizionare le politiche generali governative, si doveva ritenere contraria a Costituzione, pur non potendosi ritenere coperto dall’art. 40. La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 503 cod.pen. è stata parziale, perché la Consulta ha ritenuto compatibile con la Costituzione l’incriminazione di entrambe le forme di sciopero politico quando essi siano diretti a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero a impedire o a ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare. Agli stessi risultati la Corte costituzionale è giunta rispetto all’art. 504 cod.pen. con la sentenza n. 165 del 1983, così superando la sentenza n. 123/1962.

Pur avendo la Consulta configurato lo sciopero politico “puro” come mera libertà, mancando la copertura dell’art. 40 della Costituzione, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16515/2004, ne ha ritenuto la liceità anche sul piano civilistico, con la conseguente impossibilità per il datore di lavoro di considerare inadempiente – con tutte le conseguenze, anche disciplinari – il lavoratore che abbia partecipato a uno sciopero puramente politico.

Per lo sciopero di solidarietà (art. 505 cod.pen) la Consulta, con una sentenza interpretativa di rigetto, n. 123/1967) ha sostanzialmente neutralizzato la valenza incriminatrice della norma riferendosi alla possibilità per il giudice penale di ricorrere alla tecnica dell’esimente di cui all’art. 51 cod.pen. (esercizio del diritto) quando vi sia comunanza di interessi, da accertarsi dallo stesso giudice, tra i due gruppi di scioperanti[31].

  1. b) Lo sciopero nei servizi essenziali

Della l. n. 146 del 1990 si è detto. A monte di questa legge si collocano alcune pronunce della Corte costituzionale, come la n. 123/1969, con la quale la Corte riconosceva “pienezza di esercizio del diritto di sciopero” nei pubblici uffici e servizi, con il limite, da individuarsi dai giudici comuni, del danneggiamento di “funzioni o servizi pubblici essenziali, aventi carattere di preminente interesse generale ai sensi della Costituzione”, dando anche delle indicazioni sulle modalità di esercizio del diritto di sciopero in questo settore, che però si sarebbero potute disciplinare solo con una legge. Con la successiva sentenza n. 222/1976 la Corte costituzionale sembrò anche ammettere l’azione diretta in questo settore anche in assenza di una legge, purché fosse conservata la “necessaria efficienza” ai servizi essenziali e fossero rispettate le specifiche norme inderogabili. Venne poi la stagione dei codici di autoregolamentazione dei sindacati, ed infine l’approvazione della legge n. 146 del 1990[32].

  1. c) Il diritto di sciopero oltre il lavoro subordinato

La Corte costituzionale, sempre nel quadro della compatibilità costituzionale delle disposizioni penali del Codice Rocco su serrata e sciopero, si è occupata della serrata per protesta degli esercenti di piccole industrie o commerci senza lavoratori alle loro dipendenze, punita dall’art. 506 cod.pen., e l’ha assimilata alo sciopero con la sentenza n. 222/1975. Sulla base di analogo ragionamento la giurisprudenza della Corte di cassazione ha riconosciuto il diritto di sciopero anche ai lavoratori parasubordinati (sentenza n. 3278/1978).

  1. d) I limiti all’esercizio del diritto di sciopero

La giurisprudenza, in mancanza di una disciplina legislativa specifica, ha dovuto confrontarsi con l’impatto sull’iniziativa economica privata, protetta dall’art. 41 della Costituzione, di scioperi esercitati con modalità articolate o anomale, come lo sciopero “a scacchiera”, parziale, “a singhiozzo”), concepite per massimizzare il danno arrecato al datore di lavoro e minimizzare il costo personale dello sciopero per i lavoratori.

Su questo terreno vi è uno spartiacque temporale, costituito dalla sentenza della Corte di cassazione n. 711 del 1980. Prima di questa pronuncia si ritenevano illegittime tali forme di azione sindacale, perché esse avrebbero arrecato al datore di lavoro un danno ingiusto costituito dalle retribuzioni versate a fronte di una prestazione lavorativa non correttamente utilizzabile (teoria dei sacrifici).

Con la detta sentenza n. 711 è stata abbandonata la dottrina del danno ingiusto e quindi del divieto degli scioperi attuati con modalità tali da creare all’imprenditore un danno proporzionalmente superiore alla mera sospensione dal lavoro (cosiddetti limiti “interni” al diritto di sciopero). La Corte di cassazione ha osservato che è estranea alla nozione di sciopero ogni delimitazione attinente all’ampiezza dell’azione o ai suoi effetti, cioè, per l’appunto, ai limiti “interni”.

Si può parlare invece ancora di limiti “esterni”, intesi quali vincoli al diritto di sciopero derivanti da norme che tutelano posizioni soggettive concorrenti con il diritto di sciopero e tutelate in modo prioritario, o quanto meno paritario. A partire dalla detta sentenza n. 711 del 1980, la Corte di cassazione individua come limiti all’esercizio del diritto di sciopero: il diritto alla vita, alla salute ed all’incolumità personale, il diritto all’integrità dei beni del datore di lavoro e di terzi, e più in generale il diritto dell’imprenditore alla continuazione dell’attività e dunque all’integrità del patrimonio aziendale. Dal punto di vista dell’interesse dell’imprenditore, il limite (esterno) al diritto di sciopero è costituito non più dalla non proporzionata perdita di produzione, come nella teoria del danno ingiusto seguita in precedenza, bensì dalla necessità di tutelare il potenziale produttivo delle aziende. Emerge così la distinzione tra il “danno alla produzione”, ritenuto ammissibile, e il “danno alla produttività”, che invece rende illecito lo sciopero.

Naturalmente, specialmente in situazioni particolari, quali le lavorazioni a ciclo continuo, l’applicazione concreta di questo criterio discretivo non è esente da difficoltà[33].

  1. e) La titolarità del diritto di sciopero

Non sarebbe possibile chiudere queste brevi note senza un accenno, seppur fugace, a un tema molto dibattuto, quello del se il diritto di sciopero sia un diritto collettivo, di spettanza cioè delle organizzazioni sindacali, esercitabile individualmente, ovvero un diritto individuale, ma esercitabile collettivamente.

Attualmente si ritiene maggioritaria la scuola di pensiero che privilegia la titolarità individuale del diritto di sciopero[34], secondo la quale spettando il diritto ad ogni lavoratore, anche una aggregazione spontanea o occasionale di lavoratori è legittimata a proclamare uno sciopero.

Si ritiene comunque che il diritto di proclamare uno sciopero non possa essere riservato alle organizzazioni sindacali, data la libertà di organizzazione sindacale sancita dall’art. 39 della Costituzione. E in ogni caso, con esclusione degli scioperi disciplinati dalla l. n.146/1990, l’esercizio del diritto di sciopero non è condizionato dalla sua proclamazione, essendo sufficiente il fatto dell’astensione collettiva dal lavoro per la tutela di un interesse collettivo[35].

È stato osservato che proprio la l. n. 146/1990, che ha affidato un ruolo fondamentale alle organizzazioni sindacali nella gestione degli scioperi nei servizi pubblici essenziali, ha dato nuova vita a questo dibattito, che sembrava essersi oramai concluso con la vittoria dei sostenitori della tesi della titolarità individuale del diritto di sciopero[36].

 

5) Lo sciopero e l’Organizzazione internazionale del lavoro

A livello universale, la libertà sindacale è considerata una delle garanzie fondamentali della pace e della giustizia sociale, per cui non stupisce che l’OIL, l’Organizzazione internazionale del lavoro[37], abbia adottato una serie di convenzioni, di raccomandazioni e di risoluzioni che costituiscono la fonte di riferimento più ricca in questo settore. Oltre ai meccanismi generali di controllo e quindi in primo luogo la Commissione di esperti per l’applicazione delle Convenzioni e Raccomandazioni internazionali del lavoro (CEACR), formata da personalità indipendenti, che prepara le decisioni della Conferenza internazionale del lavoro, l’OIL ha istituito anche una procedura speciale volta alla efficace protezione dei diritti sindacali.

Due organi sono stati creati a questo fine: da una parte, la Commissione d’investigazione e di conciliazione e, d’altra parte, il Comitato della libertà sindacale (Comité de la liberté syndicale, Committe on Freedom of Association, CFA).

La Commissione di investigazione e conciliazione è un organo che richiama la Commissione d’inchiesta prevista dall’art. 26 della Costituzione dell’OIL. La Commissione, organo lento e costoso, la cui costituzione ha bisogno dell’assenso del governo interessato, è stata istituita solo in sei occasioni.

Per converso, il Comitato della libertà sindacale, creato da una decisione presa dal Consiglio di amministrazione alla sua 117a sessione (novembre 1951)  è una delle istanze più vive e vitali dell’organizzazione. Formalmente, esso è una commissione del Consiglio di amministrazione. Il Comitato ha dunque una struttura tripartitica; esso è formato da nove membri titolari (tre per ciascun gruppo (Governi, datori di lavoro e lavoratori) e nove supplenti, più un Presidente, che è una personalità indipendente. Ci si attende che anche i membri che sono espressione dei gruppi costituenti agiscano in maniera obiettiva.

Ad oggi il diritto di sciopero, del quale la Conferenza internazionale del lavoro ha spesso dibattuto, non ha formato oggetto specifico di nessuna Convenzione o Raccomandazione internazionale del lavoro[38], ma l’assenza di norme espresse sul diritto di sciopero non significa, tuttavia, che l’OIL disconosca questo diritto o non si preoccupi di riconoscerne l’esercizio. In due risoluzioni dirette ad orientare la politica dell’OIL, la Conferenza internazionale del lavoro insiste sulla necessità di riconoscere il diritto di sciopero all’interno degli Stati membri. Nella Risoluzione del 1957 relativa all’abrogazione delle leggi dirette contro le organizzazioni dei lavoratori, la Conferenza invita gli Stati ad adottare, se non l’abbiano ancora fatto, “delle leggi che assicurino l’esercizio effettivo e senza restrizioni dei diritti sindacali dei lavoratori, compreso il diritto di sciopero”. Nella Risoluzione del 1970 relativa ai diritti sindacali e alle loro relazioni con le libertà civili, la Conferenza invita il Consiglio di amministrazione ad incaricare il Direttore generale (capo del Segretariato) di prendere una serie di disposizioni “in vista di studiare nuove misure volte ad assicurare il rispetto totale e universale dei diritti sindacali nel senso più ampio”, accordando un’attenzione particolare al “diritto di sciopero”. Questo diritto è proclamato anche in una serie di risoluzioni di conferenze regionali dell’OIL e di commissioni istituite per diversi settori di attività (le “commissioni d’industria”)[39].

Senza menzionare espressamente il diritto di sciopero, la Convenzione (n.87) sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale, 1948, afferma il diritto delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro – alle quali essa riconosce come scopo quello di “promuovere e difendere gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro (art. 10) – “di organizzare la loro gestione e la loro attività e di formulare il loro programma di azione” (Art. 3.1). Rilevante è anche la Convenzione (n. 98) sulla organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva, 1949.

Sulla base di queste disposizioni sia il Comitato della libertà sindacale (CFA), dal 1952, sia la Commissione di esperti per l’applicazione delle Convenzioni e delle Raccomandazioni (CEACR), dal 1959, hanno affermato, in diverse occasioni, che il diritto di sciopero è un diritto fondamentale dei lavoratori e delle loro organizzazioni e ne hanno definito i contorni elaborando una serie di principi – in senso lato definibili come “giurisprudenza” – che precisano la portata delle norme della Convenzione[40].

Alla 101a sessione della Conferenza internazionale del lavoro, tenutasi nel giugno 2012, si è verificata una grave crisi, che si è protratta sino al 2015. Il casus belli ebbe origine dall’inclusione nel rapporto annuale della CEACR destinato alla Conferenza dell’affermazione secondo cui il diritto di sciopero, pur non essendo esplicitamente menzionato dalle convenzioni n. 87 e 98, si deve ritenere incluso in tali strumenti essendo coessenziale alla libertà sindacale. Si tratta di una posizione non nuova della CEACR, che ad onore del vero era stata sempre contestata dal gruppo dei datori di lavoro, i quali sostengono da una parte che il diritto di sciopero non è previsto dalle convenzioni e, d’altra parte, che la CEACR, organo non contemplato dalla Costituzione dell’OIL, non ha l’autorità per interpretare queste ultime. Ma la novità del 2012 fu che, rifiutandosi di collaborare in seno alla Commissione tripartitica della Conferenza [41], il gruppo dei datori di lavoro, con un’azione senza precedenti, bloccò il procedimento, così inceppando il meccanismo di controllo.

L’impasse si è protratta per diversi anni, per poi risolversi nel 2015 nel modo che subito diremo. Nel frattempo venne seriamente considerata la strada di una soluzione “giurisdizionale”, basata sull’art. 37 della Costituzione dell’OIL, quindi con l’intervento della Corte internazionale di giustizia o con l’istituzione del tribunale previsto dal secondo comma di questa disposizione, ma non se ne fece nulla.

Infine, una riunione tripartitica dedicata al diritto di sciopero si è tenuta nel febbraio 2015 per tentare di superare lo stallo. La riunione ha prodotto tre testi: un rapporto finale, una dichiarazione congiunta dei datori di lavoro e dei lavoratori e una dichiarazione dei governi. La dichiarazione delle parti sociali, che fissa il modus vivendi che ha consentito di sbloccare il meccanismo di controllo, stabilendo un metodo di lavoro innovativo per la Commissione di applicazione delle norme della Conferenza internazionale del lavoro. Si è così stabilito che a ogni sessione la Commissione sarà chiamata ad esaminare 24 casi, 12 scelti dai datori di lavoro e 12 dai lavoratori, a partire da una lista di 40 casi. La dichiarazione dei governi, che si sono espressi all’unanimità in questa occasione, ribadisce l’importanza del diritto di sciopero[42].

 

6) Lo sciopero nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Se il diritto di sciopero è espressamente menzionato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 28)[43] e anche dalla Carta sociale europea (art. 6, comma 4, della versione rivista del 1996), la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (in seguito, la Commissione), è silenziosa sul punto, anche se il suo art. 11, dedicato alla libertà di associazione, menziona espressamente il diritto di fondare dei sindacati e di affiliarvisi.

In effetti proprio la crisi all’interno dell’OIL della quale si è appena detto rende particolarmente interessante l’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di diritto di sciopero. Quest’ultima evoluzione, che era stata largamente influenzata dai progressi degli organi di controllo dell’OIL, valorizzati dalla Corte di Strasburgo, aveva probabilmente provocato l’irrigidimento del gruppo datoriale all’OIL che aveva condotto alla crisi del 2012[44].

Dopo una prima fase durante la quale la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo aveva mantenuto un atteggiamento restrittivo sulle libertà sindacali[45], la giurisdizione di Strasburgo è giunta poi ad attribuire un’importanza crescente alla necessità di tutelare “armi” effettive a disposizione delle organizzazioni sindacali per difendere gli interessi dei loro affiliati.

Un importante passo in avanti è stato compiuto nel 2008, con la sentenza della Grande Camera, particolarmente importante, Demir e Baykara c. Turchia[46], che ha considerato la contrattazione collettiva parte del contenuto essenziale dell’articolo 11 della Convenzione.

In estrema sintesi, l’evoluzione della giurisprudenza relativamente al contenuto del diritto sindacale consacrato dall’articolo 11 è quindi contraddistinta da due principi direttori: da una parte, la Corte prende in considerazione l’insieme delle misure adottate dallo Stato interessato al fine di assicurare la libertà sindacale nell’ambito del suo margine di apprezzamento; d’altra parte, la Corte non accetta le restrizioni che incidono sugli elementi essenziali della libertà sindacale, senza i quali il contenuto di questa libertà sarebbe svuotato della sua sostanza. Questi due principi, che non sono in contraddizione, sono anzi correlati. Questa correlazione implica che lo Stato contraente interessato, pur essendo libero in linea di principio di decidere quali misure esso intenda prendere al fine di assicurare il rispetto dell’articolo 11, ha comunque l’obbligo di includere tra tali misure gli elementi considerati come essenziali dalla giurisprudenza della Corte.

Fino alla sentenza Demir e Baykara erano stati individuati i seguenti elementi essenziali del diritto sindacale: il diritto di formare un sindacato e di aderirvi, il divieto degli accordi di monopolio sindacale, il diritto per un sindacato di cercare di persuadere il datore di lavoro ad ascoltare quanto esso ha a dire in nome dei suoi membri. A questi elementi essenziali la sentenza Demir e Baykara ha aggiunto, come dicevamo, il diritto alla contrattazione collettiva.

E il diritto di sciopero? Si deve ritenere che anch’esso sia incluso negli elementi essenziali del diritto sindacale “coperti” dall’articolo 11? La risposta a questa domanda non è evidente, e forse c’è da auspicare un intervento chiarificatore della Grande Camera, cioè la formazione di giudizio più solenne della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche se diversi indizi conducono nella direzione di una risposta affermativa.

Una pronuncia importante in questo quadro è la sentenza Enerji Yapi-Yol Sen del 2009[47]. La giurisprudenza precedente a Demir e Baykara aveva già riconosciuto che il diritto di sciopero è senza dubbio uno dei mezzi “più importanti” attraverso i quali i sindacati possono proteggere gli interessi occupazionali dei propri membri[48]. La Corte aveva anche riconosciuto il legame tra la possibilità di intraprendere un’azione industriale da una parte e un’efficace contrattazione collettiva dall’altra[49].

Il caso Enerji Yapi-Yol Sen c. Turchia è stato deciso dopo Demir e Baykara. Citando la giurisprudenza precedente, la Corte ha ribadito che il diritto di sciopero è un aspetto «importante» della protezione degli interessi dei membri di un sindacato. Anche se la Corte non ha utilizzato la terminologia “elemento essenziale”, essa non ha svolto un’analisi volta a stabilire se eventuali altri mezzi attraverso i quali il sindacato avrebbe potuto far sentire la sua voce nell’interesse dei suoi membri sarebbero stati sufficienti. Al contrario, la Corte è giunta direttamente alla conclusione che il divieto di partecipazione allo sciopero costituiva un’ingerenza nel diritto alla libertà di associazione, un’ingerenza che doveva essere giustificata ai sensi del secondo comma dell’articolo 11[50]. In questo caso, la Corte – seguendo l’approccio interpretativo sviluppato in extenso in Demir e Baykara – ha tenuto conto del fatto che il diritto di sciopero è riconosciuto in altri strumenti internazionali del Consiglio d’Europa, dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (OIL), dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, strumenti che fanno parte della tela di fondo nel cui quadro la portata della libertà di associazione deve essere interpretata. In particolare, riaffermando i principi interpretativi esposti in Demir e Baykara, la Corte ha esaminato il diritto di sciopero alla luce della Convenzione no. 87 dell’OIL e dell’articolo 6 della Carta sociale europea. Per quanto riguarda il primo punto, la Corte ha preso in considerazione l’interpretazione degli organi di controllo dell’OIL secondo i quali, come abbiamo visto, anche se la Convenzione n. 87 dell’OIL tace sul diritto di sciopero, questo diritto è un elemento (“corollario inseparabile”) della libertà di associazione sindacale. Sul secondo punto, la Corte ha osservato che l’articolo 6 della Carta sociale europea stabilisce un collegamento tra il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto di sciopero, qualificando quest’ultimo come un mezzo volto ad assicurare l’effettività del primo[51].

Sulla portata di Enerji Yapi-Yol Sen  sono stati espressi dubbi nella giurisprudenza britannica[52] e sembra che le parole del giudice inglese abbiano trovato un ascolto attento all’interno della Corte di Strasburgo, perché nel caso National Union of Rail, Maritime and Transport Workers c. Regno Unito (RMT)[53], una sentenza della quarta sezione della Corte, collocando la pronunzia nel caso Enerji Yapi-Yol Sen sullo stesso piano delle decisioni precedenti a Demir e Baykara che avevano ritenuto la natura semplicemente “importante” e non “essenziale” del diritto di sciopero[54], ha affermato che:

“…The Court does not [therefore] discern any need in the present case to determine whether the taking of industrial action should now be accorded the status of an essential element of the Article 11 guarantee.”[55]

In questo modo la sentenza RMT negava che all’inclusione del diritto di sciopero tra gli elementi essenziali del diritto di associazione di cui all’articolo 11 della Convenzione si fosse giunti con Enerji Yapi-Yol Sen, tra l’altro osservando che l’espressione di questa pronunzia secondo la quale il diritto di sciopero è un “corollaire indissociable du droit d’association syndicale”[56] si riferiva all’attitudine degli organi di controllo dell’OIL, ma non andava intesa nel senso di una evoluzione della giurisprudenza della Corte volta a riconoscere al diritto di sciopero il carattere di “elemento essenziale” della libertà di associazione ai sensi dell’articolo 11 della Convenzione[57]. La sentenza stabilisce anche una distinzione tra azioni “primarie” e azioni “secondarie”, cioè gli scioperi di solidarietà, come nella fattispecie considerata, giungendo alla conclusione che questi ultimi necessitano di una minore protezione.

La giurisprudenza successiva contiene elementi che vanno nell’una o nell’altra direzione[58]. La risposta alla domanda se il diritto di sciopero faccia parte del “contenuto essenziale” della libertà sindacale protetta dall’articolo 11 della Convenzione non è attualmente rinvenibile con assoluta chiarezza nella giurisprudenza, anche se, come dicevamo, diversi indizi sembrano condurre l’interprete verso una soluzione affermativa. A questo punto un intervento chiarificatore della Grande Camera della Corte di Strasburgo sembra auspicabile. L’occasione potrebbe essere utilizzata anche per verificare l’affermazione della sentenza RMT secondo la quale le azioni “secondarie” avrebbero diritto a una protezione attenuata.

7) Conclusioni

Come dicevamo, l’art. 40 della Costituzione, a nostro sommesso avviso, non è assolutamente una norma muta, e ha parlato e ancora oggi parla all’interprete, e al legislatore, con immutato vigore. Se si era potuto tacciare, come abbiamo visto, il contenuto dell’art. 40 della Costituzione di eccessiva laconicità o addirittura di ambiguità, gli sviluppi successivi hanno mostrato la vitalità di questo linguaggio costituzionale pur così parco di parole.

In tutti i campi più importanti legati al diritto di sciopero, come la questione del contemperamento del diritto di sciopero con i servizi pubblici essenziali, quella dei limiti soggettivi del diritto di sciopero e della necessità del requisito della subordinazione, il tema della validità del parallelismo – propugnato dalla parte liberale – tra sciopero e serrata, quello della legittimità dello sciopero per scopi non contrattuali, cioè dello sciopero politico e quello dei limiti oggettivi del diritto di sciopero, l’art. 40 ha funzionato da guida sicura per l’interprete, che si trattasse del legislatore o del giudice, costituzionale e comune. Crediamo quindi che la scelta, non scontata, di includere in Costituzione il diritto di sciopero sia stata particolarmente felice.

Ci sembra perciò opportuno ricordare ancora una volta, in chiusura, la tesi elaborata da un lavoro che assegna un valore particolarmente importante ai lavori della Costituente. Come si ricorderà, si sostiene in questo studio che “la presenza nella disposizione costituzionale di una nozione di sciopero – protetta dalla qualificazione giuridica di diritto costituzionalmente sancito – vincolante anche per il futuro legislatore, che l’interprete ha il compito di individuare e ricostruire, alla luce dei principi costituzionali”[59] ha una particolare pregnanza, ragione per la quale “l’interprete, così come il legislatore ordinario, può solo esplicitare, ma non modificare, il concetto di sciopero accolto dal Costituente”[60], il che circoscrive grandemente lo spazio di manovra del legislatore in materia di sciopero, anche al solo fine di regolamentarne l’esercizio[61].

Non crediamo poi inutile per il giurista italiano continuare a seguire gli sviluppi che sul diritto di sciopero si registreranno a livello dell’OIL e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, fori nei quali la questione, vivacemente dibattuta, non ha ancora trovato una sistemazione definitiva.

Riteniamo infatti, sommessamente, che l’analisi e l’approfondimento del diritto nazionale in tema di sciopero – istituto, in un sistema democratico, coessenziale al lavoro, fondamento della Repubblica – non possa che trarre giovamento e ricevere prezioso alimento dagli sviluppi di questo diritto, inteso come diritto fondamentale della persona, sul piano universale e su quello europeo.

 

Note bibliografiche

[1] L.GAETA, Sciopero, potere decisionale e rappresentatività sindacale, in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, Attualità di uno storico dibattito, Torino, Giappichelli, 2021, p. 115.

[2] Sotto il fascismo l’ordinamento corporativo, instaurato con la legge n. 563/1926, aveva abolito la libertà sindacale e assorbito il sindacato nelle rappresentanze delle corporazioni di mestiere, che funzionavano come strumenti di consenso al regime. Lo sciopero era considerato un delitto e, al suo posto, si potevano esperire delle procedure di composizione delle controversie, sotto il controllo della magistratura del lavoro. V. U.ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro durante il fascismo. Uno sguardo d’insieme, in Diritto del lavoro, 2003, p. 77.

[3] A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero all’Assemblea costituente. Attualità di un dibattito, in in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 70 e s..

[4] A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 71.

[5] G.PERA, Problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 159, citato da A.BELLAVISTA, Ibidem.

[6] I nomi citati riflettono le tre grandi correnti di pensiero ispiratrici della Carta costituzionale: la marxista (Togliatti e Di Vittorio), la cattolica (La Pira e Moro) e la liberale (Lucifero).

[7] Si raccomanda la lettura integrale dei saggi raccolti in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit.

[8] Il rilievo è di L.GAETA, Le teorie dello sciopero nella dottrina italiana. Una guida alla lettura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, p. 140. V. anche C.PINELLI, Lo sciopero nel dibattito alla Costituente e nella giurisprudenza costituzionale, in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 55, che cita G.COLAVITTI, La libertà sindacale e il diritto di sciopero, in R.NANIA e P.RIDOLA, (eds), I diritti costituzionali, III, Torino, Giappichelli, 2006, p. 976.

[9] Per una informazione più completa si rinvia a L.GAETA, Le quattro facce dello sciopero, in L.GAETA (ed.), Prima di tutto il lavoro. La costruzione di un diritto all’Assemblea Costituente, Roma, Ediesse, 2014, p. 255 e ss. e al volume curato da G.PINO compiutamente citato alla nota n. 1.

[10] Commissione per la Costituzione, 11, Resoconto sommario della seduta del 14 gennaio 1947, pubblicato integralmente in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 286 e ss.

[11] Assemblea Costituente, CXXII, Seduta pomeridiana di lunedì 14 maggio 1947, p. 3918 s., pubblicato integralmente in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 337 e ss.

[12] V., per tutti, A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 72 e ss.

[13] Prima Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di martedì 15 ottobre 1946, pubblicato integralmente in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 220 e ss.

[14] Prima Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di mercoledì 16 ottobre 1946, pubblicato integralmente in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 234.

[15] Terza Sottocommissione, 35, Resoconto sommario della seduta antimeridiana di mercoledì 23 ottobre 1946, p. 240.

[16] Sul dibattito in terza sottocommissione v. per tutti A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 77 e ss. Citando F.SANTONI, Lo sciopero, V edizione, Napoli, Jovene, p. 47, Bellavista nota che le limpidissime argomentazioni di Giuseppe Di Vittorio erano volte ad individuare “una precisa fattispecie di sciopero politico che parecchi anni dopo avrebbe trovato esplicita concretizzazione nell’art. 2, comma 7, legge n. 146/1990 [‘7.  Le disposizioni del presente articolo in tema di preavviso minimo e di indicazione della durata non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori.’]”, A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 78.

[17] Commissione per la Costituzione, 11, Resoconto sommario della seduta del 14 gennaio 1947, cit.

[18] A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 87.

[19] Commissione per la Costituzione, 11, Resoconto sommario della seduta del 14 gennaio 1947, cit., p. 293.

[20] La seduta decisiva dell’Assemblea sul diritto di sciopero fu quella pomeridiana del 12 maggio 1947, su cui Assemblea costituente, Seduta pomeridiana di lunedì 12 maggio 1947, CXXII, p. 3883 ss. Pubblicato anche in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 337 e ss.

[21] Assemblea costituente, Seduta pomeridiana di lunedì 12 maggio 1947, cit., p. 3897 (p. 251 nel testo pubblicato in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit.).

[22] Assemblea costituente, Seduta pomeridiana di lunedì 12 maggio 1947, cit., p. 3918 e s. (p. 372 e s.  nel testo pubblicato in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit.).

[23] P.CALAMANDREI, Significato costituzionale del diritto di sciopero, in Riv. giur. lav., 1952, I, p. 243.

[24] G.PERA, Problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 163.

[25] Secondo Calamandrei la simmetria tra sciopero e serrata è solo apparente. Egli osserva che tale simmetria “cessa di esser tale quando si consideri che, in caso di sciopero, l’industriale ha da temere soltanto (e soltanto quando lo sciopero si protrae) una contrazione dei profitti a lunga scadenza, mentre in caso di serrata i lavoratori sanno che fin da domani li attende, al posto del salario, la fame.”, ciò che spiega perché nella Costituzione, mentre lo sciopero è un diritto, non lo è la serrata, e su questo punto “è inutile farsi cattivo sangue”, [25] P.CALAMANDREI, Significato costituzionale, etc., cit. p. 237-238. V. F.PASCUCCI, I limiti interni al diritto di sciopero. I ripensamenti della giurisprudenza, in Variazioni sui temi di diritto del lavoro, Rivista telematica, 2017, fasc. 3.

[26] M.RUINI, L’organizzazione sindacale e il diritto di sciopero nella Costituzione, Milano, Giuffré, 1953, p. 81 si riferisce al testo come “una formula breve, che fu anche detta ellittica e sibillina”; G.PERA, Problemi costituzionali, etc., cit., p. 163, la definisce “formula transattiva”.

[27] F.BORGOGELLI, Sciopero e modelli giuridici, Torino, Giappichelli, 1998, p.14.

[28] F.BORGOGELLI, Sciopero, etc., cit., p. 18.

[29] A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 99.

[30] A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p.93. V. anche G.PINO (ed.), Diritti fondamentali e regole del conflitto collettivo, Milano, Giuffré, 2015 e P.CURZIO, Autonomia collettiva e sciopero nei servizi essenziali, Bari, Cacucci, 1992. . Le altre rare disposizioni legislative in tema di sciopero sono l’art.  4 l. 23.5.1980, n. 242 per gli addetti al controllo del traffico aereo; l’art. 48 d.lgs. 17.3.1995, n. 230 per gli addetti ad impianti nucleari e per alcuni divieti di esercizio dello sciopero (militari: art. 1475 d.lgs. 15.3.2010, n. 66; Polizia di Stato: art. 84 l. 1.4.1981, n. 121; Polizia penitenziaria: art. 19 l. 15.12.1990, n. 395). V. P.PASCUCCI, Sciopero. 1. Ordinamento italiano, Treccani, Diritto on line (2018). Come osserva quest’ultimo, certamente la mancanza di una disciplina organica dello sciopero è da collegare anche alla mancata attuazione dell’art. 39, seconda parte, della Costituzione sul riconoscimento giuridico dei sindacati e sull’efficacia erga omnes dei contratti collettivi.

[31] P.PASCUCCI, Sciopero. 1. Ordinamento italiano etc., cit.

[32] C.PINELLI, Lo sciopero nel dibattito alla Costituente e nella giurisprudenza costituzionale, in G.PINO (ed.), L’Assemblea costituente e il diritto di sciopero, etc., cit., p. 66 e ss V. P.PASCUCCI, Sciopero. 1. Ordinamento italiano, Treccani, Diritto on line (2018).

[33] Sulle ritenute incoerenze, a questo proposito, della giurisprudenza successiva della Corte di cassazione, v. F..PASCUCCI, I limiti interni al diritto di sciopero. I ripensamenti, etc., cit., p. 3 dell’estratto, che vede uno “slittamento interpretativo in tema di rifiuto delle prestazioni residue dei lavoratori a seguito dello sciopero articolato, rifiuto che, il più delle volte, a giudizio dell’autore, viene considerato legittimo.

[34] R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, XI ed., Milano, Giuffrè, 2019, p. 290; A.ALAIMO-B. CARUSO, Diritto sindacale, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 273; M.V. BALLESTRERO, Diritto sindacale, IV ed., Torino, Giappichelli, 2012, p. 378; L. GALANTINO, Diritto sindacale, XVI ed., Torino, Giappichelli, 2009, p. 207; G. GIUGNI, Diritto sindacale, Bari, 2 Cacucci, 2006, p. 229. Per l’opinione contraria, A.ZOPPOLI, La Titolarità sindacale del diritto di sciopero, Napoli, Jovene, 2006.

[35] P.PASCUCCI, Sciopero. 1. Ordinamento italiano etc., cit., p. 7 dell’estratto.

[36] L.GAETA, Sciopero, potere decisionale, etc., cit., p. 116-119, che propone un’interessante lettura diacronica delle diverse fortune delle due teorie nel corso delle alterne vicende della nostra storia repubblicana. Lo stesso R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, cit., p. 292, riconosce che il “tema rimane problematico e privo di una soluzione certa.”

[37] Sulla struttura dell’OIL v. G.RAIMONDI, ILO ( International Labour Organization), in S.CASSESE (ed.), Dizionario di diritto pubblico, Milano, Giuffré, 2006, vol. IV, p. 2871 ss.

[38] Il diritto di sciopero è incidentalmente evocato nella Convenzione (n.105) sull’abolizione del lavoro forzato, 1957, e nella Raccomandazione 8n.92) sulla conciliazione e arbitrato volontari, 1951. Il primo strumento vieta ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio “come punizione per aver partecipato a uno sciopero” (art. 1 d)). Il secondo invita ad evitare lo sciopero durante le procedure di conciliazione o arbitrato (§§ 4 e 6) e precisa che nessuna delle sue previsioni “limita in alcuna maniera il diritti di sciopero.

[39] B.GERNIGON, A.ODERO e H.GUIDO, Les principes de l’OIT sur le droit de grève, Genève, Bureau international du Travail, 2000, p. 7.

[40] B.GERNIGON, A.ODERO e H.GUIDO, Les principes, etc., cit., p. 8.

[41] Nella prassi i gruppi concordavano una «lista ristretta» di 25 casi sui quali concentrare i lavori della Commissione tripartitica durante la Conferenza. Nel 2012 i datori di lavoro si rifiutarono di cooperare a definire una lista di casi che includessero osservazioni della CEACR sul diritto di sciopero. La prassi è stata poi modificata nel 2015, come si dirà nel testo.

[42] Riunione tripartitica sulla Convenzione (n. 87) sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale, 1948, con riguardo al diritto di sciopero e sulle modalità e pratiche dell’azione di sciopero a livello nazionale (Ginevra, 23-25 febbraio 2015). Tutta la documentazione pertinente è disponibile sul sito dell’OIL: https://www.ilo.org/global/meetings-and-events/WCMS_340487/lang–fr/index.htm.

[43] G.ORLANDINI, Sciopero 2. Diritto dell’Unione europea Treccani, Diritto on line (2014), p. 1 dell’estratto.

[44] G.RAIMONDI, Il diritto di sciopero è elemento essenziale della libertà di associazione?, in Lavoro, Diritti, Europa, 2019, p. 3 e s. F. EBERT e M. OELZ, Bridging the gap between labour rights and human rights : The role of ILO law in regional human rights courts, IILS Discussion paper DP/2/212/2012, ILO, Ginevra, 2012. V. anche K. EWING, United Kingdom, in C. LA MACCHIA (ed.), The Right to Strike in the EU, The complexity of the norms and safeguarding efficacy, Rome, 2011, p. 231 e ss., spec. p. 234 ss.

[45] V., più ampiamente, G.RAIMONDI, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 4 e ss.

[46] CEDU, Demir e Baykara c. Turchia [GC], no 34503/97, §§ 140-146, CEDH 12 novembre 2008  .

[47] CEDU, Enerji Yapi-Yol Sen c. Turchia, no. 68959/01, 21 aprile 2009.

[48] CEDU, Schmidt et Dahlström, cit., § 36 ; Federation of Offshore Workers’ Trade Unions et autres c. Norvegia (dec.), no. 38190/97, CEDH 2002-V ; UNISON c. Regno Unito(dec.), no. 53574/99, § 35, CEDH 2002-I ; Wilson et Union nationale des journalistes et autres, cit., § 45 ; Karaçay c. Turchia, no. 6615/03, 27 marzo 2007 ; Dilek et autres c. Turchia, no. 74611/01, 26876/02 et 27628/02, 17 luglio 2007 ;Urcan et autres c. Turchia, no. 23018/04, 23034/04, 23042/04, 23071/04, 23073/04, 23081/04, 23086/04, 23091/04, 23094/04, 23444/04 et 23676/04, 17 luglio 2008.

[49]CEDU, Wilson et Union nationale des journalistes et autres, cit., § 46 ; il punto è stato poi ribadito da Enerji Yapi-Yol Sen c. Turquie, cit., § 24.

[50] CEDU, Enerji Yapi-Yol Sen c. Turchia, cit., §§ 24 e s.

[51] CEDU, Enerji Yapi-Yol Sen c. Turchia, cit., § 24.

[52] Lord Justice Lloyd in England and Wales Court of Appeal (Civil Division) Decisions, [2009] EWCA Civ 829.

[53] CEDU, National Union of Rail, Maritime and Transport Workers (RMT) c. Regno Unito, no. 31045/10, 8 aprile 2014.

[54] V. pronunzie citate nella nota n. 48.

[55] CEDU, National Union of Rail, Maritime and Transport Workers (RMT), cit., § 84.

[56] CEDU, Enerji Yapi-Yol Sen, cit., § 24.

[57] CEDU, National Union of Rail, Maritime and Transport Workers (RMT), cit., ibidem.

[58] Per maggiori dettagli si rinvia a G.RAIMONDI, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 12 e ss.

[59] F.BORGOGELLI, Sciopero, etc., cit., p.14.

[60] F.BORGOGELLI, Sciopero, etc., cit., p. 18.

[61] A.BELLAVISTA, Il diritto di sciopero, etc., cit., p. 99.

 

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Guido Raimondi, nato a Napoli nel1953, è Presidente di sezione della Corte di cassazione, attualmente titolare della Sezione Lavoro. Entrato in magistratura nel 1977, tra il 1989 e il 1997 è stato co-agente del Governo italiano presso la Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Tra il 1997 e il 2003 ha operato alla Procura generale della Corte di cassazione come magistrato di appello e poi alla stessa Corte di cassazione come consigliere. Nello stesso periodo è stato giudice ad hoc della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal 2003 al 2010 è stato prima vicedirettore e poi Direttore (Legal Adviser) del servizio giuridico dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) a Ginevra.

Dal 2010 al 2019 è stato giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra il 2012 e il 2015 anche vicepresidente e presidente di sezione e dal 2015 Presidente).

Autore di numerose pubblicazioni nel campo del diritto internazionale, in particolare su argomenti riguardanti i diritti umani, è co-titolare dell’insegnamento di Tutela internazionale dei diritti umani presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università LUISS di Roma.

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