
Commento all’art. 127 della Costituzione
di Gabriella Palmieri, Avvocato Generale dello Stato
Art. 127 – Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.
La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge.
Abstract: Il commento esamina il giudizio in via d’azione disciplinato dall’articolo 127 della Costituzione; l’originaria diposizione prevedeva un controllo statale preventivo, frutto di una particolare cautela nei confronti dell’autonomia legislativa regionale. A seguito della riforma del titolo V della Costituzione con l’ampliamento dell’autonomia normativa regionale il ricorso diretto ha visto una sostanziale parificazione delle posizioni dello Stato e delle Regioni. Nello scritto vengono poi esaminati i presupposti processuali del ricorso in via d’azione, con riferimento ai soggetti legittimati, ai motivi deducibili e all’oggetto del ricorso e alle decisioni che possono essere rese dalla Corte costituzionale. Particolare rilevanza assume, nel ricorso diretto, la deliberazione di impugnazione che consiste in atto politico, riservato alla decisione dell’organo collegiale e di vertice del Governo statale o regionale e la necessità che sussista una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione ed il contenuto del ricorso.
Parole chiave: Stato; Regione; ricorso diretto; delibera; parametri.
Sommario: 1. Premessa 1.1. La riforma del 2001. 2. Il Procedimento. Cenni generali 2.1. L’oggetto del ricorso e la sospensione dell’atto impugnato. 2.2. La legittimazione 2.3. L’intervento 2.4. L’interesse a ricorrere e i parametri invocabili 2.5. Segue il procedimento 3. Le decisioni. Cenni generali 3.1. Le decisioni processuali 3.2. Le decisioni di accoglimento e di rigetto 4. Particolari ipotesi di ricorsi in via d’azione 4.1 Il ricorso in via diretta nella Regione Trentino-Alto Adige 4.2. Il ricorso in via diretta nella Regione siciliana.
- Premessa
Il sistema di giustizia costituzionale italiano, come noto, è un sistema caratterizzato, principalmente, dall’accesso in via incidentale. Infatti, sebbene fosse stata ipotizzata, nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, la possibilità di un ricorso diretto da parte dei privati, alla fine prevalse l’idea di limitare il ricorso in via d’azione solo allo Stato e alle Regioni, come naturale corollario del riconoscimento della potestà legislativa in capo alle Regioni. L’espresso riconoscimento di un diritto di impugnativa anche alle Regioni nei confronti delle leggi statali trovò, tuttavia, molte resistenze e la legittimazione delle Regioni ad impugnare una legge o un atto avente forza di legge dello Stato, non trovò ingresso nel previgente articolo 127 ma solo nell’articolo 2, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1948.
L’introduzione del controllo di legittimità costituzionale da parte dello Stato, si collegava, certamente, a una certa cautela verso l’attribuzione del potere legislativo anche alle Regioni.
Nella previsione originaria tale potere di controllo si espletava in due momenti, il primo, incentrato su un meccanismo di rinvio per riesame del disegno di legge al Consiglio regionale per motivi di incostituzionalità o di lesione dell’interesse nazionale o di altre Regioni; il secondo, relativo, invece, all’impugnazione del disegno di legge riapprovato dal Consiglio regionale, rispettivamente davanti alla Corte costituzionale per vizi di legittimità, e davanti al Parlamento per vizi di merito.
Peraltro, il mancato funzionamento delle Regioni a Statuto ordinario fino al 1970 ha reso il giudizio in via d’azione, per molti anni, circoscritto alle controversie con le Regioni a Statuto speciale (tra le quali, peraltro, il Friuli-Venezia Giulia soltanto dal 1963). Dopo il 1970, la situazione è parzialmente mutata, sebbene nei primi anni di funzionamento del sistema delle Regioni non si registrò un significativo sviluppo del giudizio sulle leggi in via d’azione.
1.1. La riforma del 2001
L’articolo 127, nel testo vigente, è stato riformulato con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.
La riformulazione si inserisce, infatti, nel quadro della riforma del Titolo V della Costituzione che ha ampliato l’autonomia legislativa regionale. Il ricorso statale, nel testo vigente, non è più preventivo, ma successivo e nello stesso articolo viene previsto, al secondo comma, il ricorso diretto delle Regioni avente ad oggetto una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di altra Regione.
Venendo meno il ricorso preventivo, lo Stato e le Regioni si trovano in una situazione di sostanziale parità superando così l’asimmetria creata dall’articolo 127 nella sua precedente formulazione.
L’eliminazione dell’impugnazione preventiva, e della conseguente possibilità di impedire l’entrata in vigore della legge regionale, come da più parti rilevato, ha determinato il venire meno della negoziazione tra il Governo e le Regioni circa le modifiche da apportare ai testi legislativi regionali e costituisce, probabilmente, una delle cause del significativo aumento della conflittualità tra lo Stato e le Regioni.
Una parte rilevante delle pronunce rese ogni anno dalla Corte costituzionale è, infatti, attualmente riferibile ai giudizi promossi in via principale dallo Stato e dalle Regioni e Province autonome.
In particolare, negli anni 2011 e 2012, il numero dei giudizi in via principale è risultato addirittura superiore a quello dei giudizi in via principale.
Questo “sorpasso” è stata espressione evidente della difficoltà di composizione, in sede politica, delle controversie sulla delimitazione delle rispettive competenze sia
legislative che amministrative.
Il dato si è successivamente “stabilizzato”: nel 2021 le pronunce rese in relazione a ricorsi diretti si è attestato al 40% del numero totale delle pronunce costituzionali, in leggero aumento rispetto al trend registrato negli ultimi quindici anni (cfr. la Relazione sulla giurisprudenza costituzionale nel 2021 in www.cortecostituzionale.it).
Sempre nel 2021, la maggior parte delle pronunce rese dalla Corte costituzionale nei giudizi in via principale ha riguardato impugnazioni da parte dello Stato (97 pronunce) (così la Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2021 del Presidente Giuliano Amato svolta il 7 aprile 2022 e pubblicata sul sito istituzionale della Corte costituzionale); segnalando come sarebbe auspicabile che il Governo e la Regione o la Provincia autonoma interessata potessero interloquire in tempi rapidi, anche nell’ottica di una leale collaborazione tra le istituzioni, per poter ridurre, in misura significativa, il numero delle impugnative proposte.
- Il procedimento. Cenni generali.
L’articolo 127 Cost. prevede che il ricorso venga proposto entro sessanta giorni dalla pubblicazione dell’atto normativo.
Ulteriori previsioni dettagliate sui termini e sulle modalità di proposizione del ricorso sono contenute negli articoli 31 e seguenti della L. 11/03/1953, n. 87 “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale” e negli articoli 22 e seguenti delle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale” (pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 3 novembre 2021, n. 262).
In particolare, il ricorso deve essere notificato entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge (o dell’atto avente forza di legge) sulla Gazzetta Ufficiale o sul Bollettino regionale, rispettivamente, al Presidente della Giunta regionale (o ai Presidenti delle Giunte regionali, qualora lo stesso ricorso sia proposto contro più leggi regionali) oppure al Presidente del Consiglio dei ministri (o, nel caso di impugnazione di legge di altra Regione, al Presidente della Giunta di quest’ultima, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri). La difesa tecnica è affidata all’Avvocatura dello Stato per il Governo e agli avvocati del libero foro abilitati al patrocinio di fronte alla Corte di Cassazione, muniti di procura speciale, per le Regioni, a statuto ordinario o speciale e/o le Province autonome, se non sono dotate di una Avvocatura interna.
La notificazione può essere effettuata anche a mezzo posta elettronica certificata (si veda al proposito, l’ordinanza n. 243 del 2020).
I termini entro cui il ricorso deve essere notificato sono ritenuti, con giurisprudenza assolutamente consolidata, perentori “senza che operi l’istituto della sospensione feriale, tenuto conto delle peculiari esigenze di rapidità e certezza cui il processo costituzionale deve rispondere” (si veda da ultimo la sentenza n. 278 del 2010).
Anche nei giudizi in via d’azione, ai fini della verifica della tempestività del ricorso opera la regola -posta dalla stessa Corte con la sentenza n. 477 del 2002 per la notificazione di atti giudiziari in generale – della scissione tra il momento in cui la notificazione deve intendersi effettuata per il notificante, rispetto a quello in cui essa si perfeziona per il destinatario dell’atto.
La notificazione del ricorso deve essere effettuata a cura del ricorrente presso la sede del soggetto contro il quale l’atto è introdotto, essendo stata più volte dichiarata l’inammissibilità in caso di notificazione (in termini) presso l’Avvocatura dello Stato (anziché presso la Presidenza del Consiglio dei ministri), nonostante il Presidente del Consiglio si fosse regolarmente costituito e non avesse eccepito l’irregolarità della notificazione stessa.
Il ricorso deve essere poi depositato nella cancelleria della Corte costituzionale entro il termine di dieci giorni dalla notificazione (o dall’ultima di queste, ove più siano i soggetti ai quali deve essere notificato), così perfezionandosi la costituzione in giudizio del ricorrente. Anche di questo termine è stato più volte affermato il carattere perentorio (sentenza n.121 del 2010).
Il resistente deve costituirsi entro il termine di venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso.
2.1. L’oggetto del ricorso e la sospensione dell’atto impugnato.
Come già visto oggetto del ricorso è una legge o un atto normativo rispetto al quale si è perfezionato il procedimento legislativo, dunque, una legge o un atto normativo già in vigore, o che – considerati i tempi della vacatio legis – sta per entrare in vigore.
Il venir meno del controllo preventivo e la parità tra lo Stato e le Regione hanno portato alla previsione, con la legge n. 131 del 2003, che ha modificato l’articolo 35 della legge n. 87 del 1953, del potere della Corte costituzionale di sospendere, anche d’ufficio, la legge impugnata.
L’articolo 35 della legge n. 87 del 1953 nel testo vigente indica come presupposti per la sospensione, oltre al fumus boni iuris, “il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica” ovvero “il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini”.
La sospensione, seppure richiesta sia dallo Stato che dalle Regioni, è stata concessa solo una volta, su richiesta dello Stato, con l’ordinanza n. 4 del 2021, con la quale la Corte ha sospeso l’efficacia di una legge della Regionale Autonoma Valle d’Aosta. La Corte, esaminando la legge regionale che dettava misure per il contenimento della pandemia da COVID-19 non coerenti con le misure dettate dalla legislazione statale ha affermato, con riguardo alla sussistenza del fumus boni iuris, che “la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost.”, quanto al periculum, che “la legge regionale impugnata, sovrapponendosi alla normativa statale, dettata nell’esercizio della predetta competenza esclusiva, espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore; il che prescinde dal contenuto delle ordinanze in concreto adottate; le modalità di diffusione del virus Covid-19 rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione”.
2.2. La legittimazione
La legittimazione ad impugnare le leggi o gli atti aventi forza di legge dello Stato di fronte alla Corte costituzionale appartiene a ciascuna Regione, con ricorso del Presidente della Giunta, anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali (secondo l’integrazione contenuta nell’art. 9 legge n. 131 del 2003, che ha modificato l’art. 32 legge n. 87 del 1953), previa deliberazione della Giunta regionale.
Nello stesso modo e negli stessi termini può essere impugnata anche una legge di un’altra Regione, sebbene in tal caso, naturalmente, il ricorso debba essere notificato al Presidente della Giunta regionale interessata, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri. L’ipotesi di impugnazione di una legge regionale da parte di altra Regione è stata davvero rara, recentemente con la sentenza n. 269 del 2009 è stata definita una controversia tutta interna alla Regione Trentino-Alto Adige, vertendo su un ricorso presentato dalla Provincia autonoma di Trento avverso una legge provinciale di Bolzano.
In modo sostanzialmente speculare è previsto che le leggi regionali possano essere impugnate dallo Stato di fronte alla Corte costituzionale, con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, anche su proposta della Conferenza Stato-città e autonomie locali (secondo l’integrazione contenuta nell’art. 9 della legge n. 131/2003, che ha modificato l’art. 31 della legge n. 87/1953), previa deliberazione del Consiglio dei ministri.
La delibera di impugnazione è un atto politico, riservato alla decisione dell’organo collegiale e di vertice del Governo statale o regionale, come rilevato anche dalla stessa Corte già con la sentenza n. 33 del 1962, poi ripresa nella n. 54 del 1990, in cui ha affermato che la previa delibera del Consiglio dei ministri trova la sua giustificazione «in un’esigenza non di natura formale, ma di sostanza, connessa all’importanza dell’atto di impugnativa della legge e alla gravità dei suoi possibili effetti di natura costituzionale».
La Corte ha, di conseguenza, precisato che deve sussistere una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione e il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione, poiché l’omissione di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione all’impugnazione dell’organo politico, comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel ricorso (cfr. sentenza n. 166 del 2021)
Ciò determina, per altro verso, che non comporti conseguenze giuridicamente rilevanti, ad esempio, il comportamento del Governo che impugni la legge di una Regione e non quella di altra Regione, pur se analoghe o perfino identiche nel contenuto, escludendo la giurisprudenza costituzionale consolidata l’applicazione dell’istituto dell’acquiescenza, espressione della natura politica e discrezionale della scelta di impugnazione di leggi statali o regionali.
Quanto ai requisiti della delibera essa, pur non potendo essere generica, non dovrà necessariamente avere specificità tecnico-giuridica. In particolare, si ritiene che essa soddisfi le condizioni minime per l’individuazione della questione quando indichi le disposizioni di legge che si ritengono viziate e le disposizioni costituzionali rispetto alle quali sussisterebbe la violazione, mentre l’esposizione e la più puntuale indicazione dei parametri è in ogni caso rimessa alla difesa tecnica.
La legge n. 31 del 2003, modificando gli articoli 31 e 32 della legge n. 87 nel 1953, ha stabilito che il ricorso statale e quello regionale possono essere deliberati anche su proposta, rispettivamente, della Conferenza Stato-città ed autonomie locali e del Consiglio delle autonomie locali: si tratta di previsioni introdotte per rimediare all’impossibilità per gli enti locali via dire in via diretta alla Corte costituzionale.
2.3. L’intervento
L’intervento di soggetti diversi è, invece, pacificamente escluso dalla consolidata giurisprudenza della Corte, costante nell’affermare che «il giudizio di costituzionalità delle leggi in via d’azione si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (sentenza n. 27 del 2010), escludendo che in questo giudizio possa esservi la figura del controinteressato. Il giudizio in via d’azione, considerando, per contro, le modifiche delle norme integrative che hanno ampliato e regolato le modalità di intervento nei giudizi promossi in via incidentale, sembra ormai l’unico nel quale la Corte costituzionale esclude in modo categorico l’intervento di “terzi”.
2.4. L’interesse a ricorrere e i parametri invocabili
La legge costituzionale n. 3 del 2021 ha parzialmente modificato la formulazione del motivo legittimante il ricorso regionale, ma la Corte costituzionale ha ribadito il proprio orientamento formatosi sotto la formulazione previgente, rilevando che “le regioni possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una lesione delle loro attribuzioni costituzionali e le stesse regioni motivino sufficientemente in ordine ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione” (Relazione sull’attività della Corte costituzionale del 2021 in https://www.cortecostituzionale.it/actionRelazioniPresidenti.do).
Il problema non si pone, invece, quando il giudizio è proposto dallo Stato: in tal caso rileva la Corte che: “le questioni di legittimità costituzionale non devono essere necessariamente costruite come conflitti competenziali, ben potendo esse riguardare la violazione di parametri costituzionali diversi da quelli che regolano i rapporti tra Stato e Regioni” (Relazione sull’attività della Corte costituzionale del 2021 in https://www.cortecostituzionale.it/actionRelazioniPresidenti.do).
In via generale, nel giudizio in via principale il ricorrente può invocare, come parametro, norme di rango costituzionale e norme interposte (ad esempio, le leggi statali che richino principi fondamentali); può essere invocata, altresì, la violazione del principio di leale collaborazione. Può essere denunciata, poi, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. che prescrive al legislatore statale e regionale il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; al riguardo però la Corte costituzionale ha precisato che “le censure del ricorrente relative all’asserita violazione del riparto interno delle competenze legislative tra Stato e Regioni assumono carattere pregiudiziale, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto alle doglianze concernenti la violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” (cfr. sentenza n. 31 del 2021). Analogamente, la sentenza n. 38 del 2021 ha ribadito che “la questione relativa al riparto interno di competenza tra Stato e regioni presenta carattere prioritario, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto a quella diretta a denunciare la violazione dei vincoli europei, che investe il contenuto della scelta legislativa (…), e va quindi trattata per prima”
In ogni caso, il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali, dei quali lamenta la violazione, e di svolgere una motivazione che non sia meramente assertiva e che rechi una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure.
La giurisprudenza della Corte ammette la possibilità di proporre questioni interpretative nel giudizio in via principale. I giudizi in via principale, infatti, per le proprie peculiari caratteristiche – trattandosi di un processo di parti, svolto a garanzia di posizioni soggettive dell’ente ricorrente e soggetto a termini di decadenza – a differenza di quelli in via incidentale, possono ben concernere questioni interpretative qualora l’interpretazione prospettata non appaia implausibile e, comunque, sia ragionevolmente desumibile dalle disposizioni impugnate. Il ricorrente, “a differenza del giudice rimettente nell’incidente di costituzionalità, non ha l’onere di esperire un tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della disposizione impugnata, potendo trovare ingresso, nel giudizio in via principale, anche questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, purché le interpretazioni prospettate non siano implausibili e siano ragionevolmente collegabili alle disposizioni impugnate” (sentenza n. 37 del 2021).
Tuttavia l’ammissibilità, nel giudizio in via principale, di questioni promosse sulla base di interpretazioni prospettate dalla ricorrente come possibili non può comportare, secondo la Corte, che l’oggetto del giudizio medesimo – tanto più in mancanza di dissenso tra le parti – si esaurisca in una questione di esatta interpretazione della disposizione impugnata, dovendo questa necessariamente risultare connessa, in via strumentale, a quella relativa alla salvaguardia del sistema costituzionale di riparto delle competenze, una volta che se ne lamentino violazioni dirette e immediate (cfr. sentenza .
2.5. Segue il procedimento.
Dopo il deposito del ricorso in cancelleria, il Presidente della Corte dispone la pubblicazione del ricorso nella Gazzetta Ufficiale o nel BUR- se si è impugnata una legge regionale.
Decorso il termine di venti dalla pubblicazione, il Presidente nomina uno o più giudici «per l’istruzione e per la relazione» cui il cancelliere trasmette quindi il fascicolo.
La fissazione dell’udienza avviene con decreto del Presidente, con cui viene altresì convocata la Corte e trasmesso in copia alle parti costituite almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza.
L’art. 35 della legge n. 8 del 1953, come modificato dall’articolo 9 legge n. 131/2003, stabilisce, per il giudizio in via d’azione, che la Corte deve fissare l’udienza di discussione entro novanta giorni dal deposito del ricorso. La norma è stata interpretata nel senso che entro tale termine deve essere messa a ruolo (l’udienza – o la camera di consiglio secondo quanto diremo subito dopo – potendo svolgersi anche dopo molti mesi).
Le parti possono depositare memorie e documenti fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza.
Il giudizio può svolgersi – secondo quanto sopra detto – in udienza pubblica o, eccezionalmente (quando il Presidente, sentito il giudice relatore ravvisi che possa ricorrere un’ipotesi di manifesta infondatezza, manifesta inammissibilità o estinzione) in camera di consiglio.
3.Le decisioni. Cenni generali
Le decisioni sono rese normalmente in forma di sentenza mentre le ordinanze sono l’eccezione; tale ultima forma di decisione viene utilizzata ove venga dichiarata l’estinzione del giudizio o, meno frequentemente, la cessazione della materia del contendere.
Le decisioni della Corte possono essere di tipo processuale e di merito.
3.1. Le decisioni processuali
Tra le ipotesi di decisioni processuali, le più numerose sono quelle in cui, a seguito di rinuncia al ricorso, accettata da tutte le parti costituite, sia dichiarata l’estinzione.
Le pronunce di cessazione della materia del contendere rispondono, invece, ad ipotesi differenti tra loro, normalmente riconducibili a una sopravvenuta modificazione del parametro invocato o, assai più spesso, delle norme impugnate.
Tra le decisioni di tipo processuale rientrano poi quelle di improcedibilità e di inammissibilità (semplice o manifesta).
La formula della improcedibilità è stata impiegata da parte della Corte costituzionale a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, (esclusivamente) in relazione ai ricorsi con cui il Governo aveva impugnato in via preventiva – secondo quanto allora previsto dall’art. 127 Cost. – le delibere legislative regionali.
Le decisioni di inammissibilità, invece, sono piuttosto numerose ed utilizzate in diverse situazioni.
Passando in rassegna, senza pretesa di esaustività, le ipotesi di inammissibilità, si rileva che la più frequente è quella per genericità, insufficienza o inadeguatezza della motivazione delle censure proposte.
Un’ulteriore ipotesi di inammissibilità è quella legata alla discrepanza che, eventualmente, si registri tra l’atto introduttivo e la delibera dell’organo, sebbene sia stata ritenuta sufficiente l’indicazione di alcuni parametri nella sola preposizione finale della delibera, anche quando essi non siano riscontrabili nella motivazione della stessa.
L’inammissibilità è stata dichiarata anche nel caso di errata individuazione del parametro o delle disposizioni impugnate, o, come già visto – con riferimento ai ricorsi presentati dalle Regioni – per difetto di motivazione sulla ridondanza dell’asserita violazione di parametri extracompetenziali su attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni.
Quando non vi sono ragioni per pronunciare l’estinzione del giudizio o la cessazione della materia del contendere o l’inammissibilità (o improcedibilità) della questione di legittimità costituzionale, la Corte scende ad affrontare il merito della controversia.
3.2. Le decisioni di accoglimento e di rigetto
Ove la Corte ravvisi la fondatezza delle censure proposte, dichiara l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate; in caso contrario, concludendo, invece, con una decisione di rigetto, che, normalmente (e – a quanto consta – sempre negli ultimi cinquant’anni), conterrà una dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale, senza che siano in tal senso ravvisabili significative differenze rispetto all’ipotesi in cui la questione venga proposta in via incidentale.
Il rigetto risulta essere stato pronunciato, negli ultimi anni, più spesso che l’accoglimento, talvolta essendo riscontrabili anche capi di dispositivo dichiarativi dell’infondatezza di più questioni di legittimità costituzionale.
Nella maggior parte dei casi, naturalmente, la decisione di rigetto consegue al mancato riscontro della lesione dei parametri invocati.
La decisione di accoglimento del ricorso regionale produce, di regola, effetti generali per tutte le Regioni dato che l’ambito soggettivo dell’annullamento coincide con quello dell’atto annullato. Però se la legge statale è viziata sono in relazione alla Regione ricorrente la Corte potrà limitare l’ambito soggettivo della propria sentenza di accoglimento alla Regione in questione: ciò capita usualmente in caso di ricorso proposto da una Regione a Statuto Speciale data la specialità del parametro.
- Particolari ipotesi di ricorsi in via d’azione
Gli statuti delle Regioni ad autonomia differenziata prevedevano generalmente forme di impugnazione delle leggi regionali da parte del Governo modellate sul vecchio art. 127 Cost. La modifica di quest’ultimo, a seguito della revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione, con l’introduzione nel nuovo art. 127 di un procedimento volto ad una più elevata tutela dell’autonomia regionale, ha determinato l’applicazione di quest’ultimo anche alle Regioni a statuto speciale, in forza di quanto disposto all’art. 10 legge Costituzionale n. 3 del 2001.
Residuano, tuttavia, diverse ed ulteriori forme di giudizio in via d’azione di fronte alla Corte costituzionale.
4.1 Il ricorso in via diretta nella Regione Trentino-Alto Adige.
La Regione Trentino-Alto Adige si trova in una condizione del tutto particolare, in quanto la potestà legislativa è attribuita, oltre che al Consiglio regionale, ai Consigli delle due Province autonome. Pertanto, quanto sin qui detto e considerato per le Regioni deve essere ritenuto valido ed applicabile alle Province di Trento e di Bolzano.
Tuttavia, lo statuto speciale del Trentino-Alto Adige introduce ulteriori – elementi di particolarità del giudizio sulle leggi in via d’azione, prevedendo per il medesimo tre varianti: la prima su ricorso del Governo, secondo le stesse modalità fissate dal vecchio art. 127 Cost. (e quindi in via preventiva); la seconda su ricorso (privo di efficacia sospensiva) della maggioranza di un gruppo linguistico presente nel Consiglio regionale o in quello provinciale di Bolzano, entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge regionale o provinciale; la terza, cosiddetta “per mancato adeguamento”
Quanto alla prima ipotesi, come già detto in termini generali per tutte le Regioni a statuto speciale, essa risulta superata a favore dell’applicazione della nuova disciplina contenuta nell’art. 127 Cost. anche alla Regione Trentino-Alto Adige. Diversamente, paiono da ritenere ancora operanti le altre due forme di ricorso diretto in ragione della loro specificità e, per quanto più in particolare concerne quella per mancato adeguamento, in quanto ispirata ad una logica di maggiore garanzia dell’autonomia regionale, essendo parte di un più complesso meccanismo volto ad evitare l’immediata prevalenza della legislazione statale (di principio) su quella regionale o provinciale.
4.2. Il ricorso in via diretta nella Regione siciliana.
Lo Statuto siciliano (art. 28) prevede che le leggi regionali siano inviate, entro tre giorni dalla loro approvazione, al Commissario dello Stato, il quale, entro i successivi cinque giorni, può impugnarle davanti alla Corte costituzionale (testualmente all’Alta Corte, che come noto operò tra il 1946 ed il 1956, finché, con sentenza n. 38 del 1957, la Consulta dichiarò l’«assorbimento» delle funzioni a questa attribuite dallo Statuto regionale), la quale decide nel termine di venti giorni.
In base all’art. 29 dello Statuto, il Presidente della Regione può quindi promulgare la legge qualora, entro otto giorni dall’approvazione della stessa, non abbia notizia dell’avvenuta impugnazione oppure qualora, entro trenta giorni dall’impugnazione, non gli sia pervenuta la decisione di incostituzionalità.
A seguito dell’entrata in vigore della l. costituzionale n. 3/2001, la dottrina si è chiesta se fosse da ritenersi espressivo di una maggiore autonomia il sistema previsto dallo Statuto della Regione siciliana o, invece, il nuovo sistema previsto all’art. 127 Cost.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 314 del 2003, ha ritenuto di non dover esprimere un proprio orientamento in merito al maggiore favore per l’autonomia regionale nei due differenti sistemi di impugnazione delle leggi regionali ed ha rilevato che essi (quello di cui all’art. 127 Cost. e quello previsto dallo Statuto siciliano) non sono “globalmente” confrontabili alla stregua della nozione di «forma di autonomia più ampia» di cui all’art. 10 della l. Cost. n. 3/2001, concludendo, pertanto, che «il sistema di impugnativa delle leggi siciliane previsto dallo Statuto speciale, resta tuttora applicabile».
***
Gabriella Palmieri, prima donna a ricoprire la carica di Avvocato Generale dello Stato dall’8 agosto 2019, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Dal 2009 Agente del Governo italiano davanti alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Unione europea. Dal 2016 componente dell’OMRI – Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Da agosto 2019 Agente del Governo italiano innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Componente della Commissione di garanzia del CONI fino a gennaio 2022. Dal 1° febbraio 2022 Presidente del Collegio di Garanzia del CONI, nominata il 18 gennaio 2022, prima donna a ricoprire tale carica. Nel 1982 vincitrice del concorso di Procuratore dello Stato e del concorso di Uditore giudiziario, superato l’esame di Procuratore legale. Nel 1985 vincitrice del concorso di Avvocato dello Stato e del concorso di Referendario di T.A.R.. Componente del Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato, del Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato, prima donna Segretario Generale dell’Avvocatura dello Stato dal 2002 al 2006. Dal 2016 al 2019 prima donna Vice Avvocato Generale dello Stato.
Come Avvocato dello Stato ha esercitato la sua attività professionale, consultiva e contenziosa, in tutte le branche del diritto nazionale, in particolare, diritto costituzionale e diritto amministrativo, disciplina delle Autorità indipendenti, internazionale e diritto dell’unione europea. Ha patrocinato le Amministrazioni dello Stato e gli Enti pubblici dinanzi a tutte le giurisdizioni nazionali (Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Corte Costituzionale) e sovranazionali (Corte di giustizia e Tribunale dell’Unione europea, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ITLOS – Tribunale internazionale del diritto del mare); componente dell’international legal team nel contenzioso internazionale per la vicenda dei due marò (caso Enrica Lexie) innanzi ai Tribunali de l’Aia e di Amburgo; dal 2014 segue gli arbitrati internazionali azionati da investitori stranieri c. la Repubblica italiana innanzi all’ICSID – International Center of Settlement of Investiment Disputes di Washington e innanzi alla SSC – Arbitration Institute of the Stockholm Chamber of Commerce in tema di fotovoltaico e c.d. “spalma incentivi”.
Ha collaborato in vari Ministeri sia come Capo di gabinetto che come Capo di uffici legislativi che come Consigliere giuridico. Ha fatto parte di numerose commissioni di studio e di esame presso Pubbliche Amministrazioni ed Enti Pubblici. Ha partecipato in qualità di relatore a convegni, incontri e tavole rotonde nazionali e in sede europea. Nel luglio 2021 ha ricevuto l’onorificenza della Stella d’Argento al Merito Sportivo per la carica di Componente della Commissione di Garanzia degli Organi di giustizia sportiva, di controllo e di tutela dell’etica sportiva del CONI.
Nel luglio 2021 è stata premiata fra le 100 Eccellenze per l’anno 2020 nella Sezione “Donne al vertice”. Nel settembre 2021 la Rivista Forbes l’ha inserita fra le 100 donne italiane di successo nel 2021. Il 7 marzo 2022 è stata premiata fra le eccellenze capitoline nel corso della prima edizione del Premio Roma Rose Non solo 8 marzo.