L’ amarezza del fratello di Francesca Morvillo, uccisa nella strage di Capaci 33 anni fa
La lotta alla mafia dovrebbe essere patrimonio di tutta la comunità e faro della classe dirigente. Ma su questo a Palermo e in Sicilia, “nonostante i passi avanti, la battaglia non è vinta”. È un giudizio in chiaroscuro, a tratti amaro, quello che Alfredo Morvillo consegna in quest’intervista a La Magistratura. Giudice anche lui, come la sorella Francesca e il cognato Giovanni Falcone, uccisi dalla mafia 33 anni fa, ha affiancato in questi anni al lavoro da magistrato e all’impegno per la legalità, la custodia del ricordo non solo di Falcone e Morvillo, ma di tutti coloro che hanno sacrificato la vita per la lotta a Cosa nostra.
Ci avviciniamo all’anniversario della strage di Capaci. Perché è importante conservare e alimentare la memoria su quanto accaduto?

“Per un semplice motivo: tanta gente ancora non ha capito che questa terra è infestata dalla mafia. E in questa terra bisogna stare lontani da tutto ciò che ha anche il più lontano sapore di mafia. Per capire tutto questo bisogna ricordare che ci sono tante persone, uomini, donne, rappresentanti delle istituzioni, comuni cittadini, bambini, sacerdoti, che hanno dato la vita per la lotta alla mafia. Qui la gente vive come se vivesse in un’altra città dove la mafia si legge solo sui giornali. Purtroppo dalle nostre parti ancora questa intransigenza nei confronti del fenomeno mafioso non c’è, ed è un grande dispiacere. Numericamente, la parte di Palermo che crede nella lotta alla mafia è sicuramente perdente”.
“Gli uomini passano, le idee restano”. È una frase di Giovanni Falcone che si ricorda spesso. Quali sono le idee di Giovanni Falcone che sono rimaste?
“Giovanni Falcone più volte si è espresso con delle frasi che poi noi tutti abbiamo ricordato. Ad esempio un’altra frase conosciuta da tutti, che Giovanni ha spesso ripetuto è ‘la mafia, come tutti i fenomeni umani, ha un inizio e avrà una fine’. Però io oggi mi sentirei di dire a Giovanni che dovremo aggiungere la mafia avrà una sua fine se tutti insieme lo vorremo. Se non sarà così le parole di Falcone resteranno incompiute”.
Francesca Morvillo, sua sorella, era una giudice minorile e fece un lavoro prezioso ancora prima che la riforma della giustizia minorile entrasse in vigore. Qual è l’eredità che ha lasciato?
“Francesca, come tutte le persone che hanno creduto fino in fondo al proprio lavoro, che si sono impegnate molto, già allora oltre che occuparsi dell’aspetto sanzionatorio, che faceva parte in senso stretto del suo lavoro, si occupava anche del recupero dei minori.
Consapevole che il minore che commette dei reati proviene da un ambiente familiare che costituisce terreno fertile per imparare a delinquere. E che quindi lo Stato, oltre a sanzionare e punire, doveva preoccuparsi di creare le condizioni per evitare che i ragazzi nelle mani della criminalità finissero nella stessa spirale”.
La lotta alla mafia non sembra più la priorità nel dibattito pubblico o almeno in una parte di esso, come mai secondo lei?
“Io seguo più l’aspetto locale, l’aspetto legato al nostro territorio. Dove da un lato c’è una parte che segue la linea tracciata da Giovanni Falcone, da Paolo Borsellino e da tutti gli altri. Questa parte di Palermo ha degli ideali, ha dei modelli i cui nomi troviamo nell’elenco dei cittadini italiani insigniti della medaglia al valore civile. C’è poi un’altra parte di Palermo, che è numericamente prevalente, e che crede in altri ideali, imposta la vita su altri obiettivi e ha modelli diversi, i cui nomi possiamo trovare invece nei registri dell’ufficio matricola dell’Ucciardone o di altre carceri. Questa è la nuda e cruda realtà che noi viviamo, è molto triste.
Invece allargando lo sguardo…
“A livello nazionale il discorso è diverso, fino ad alcuni anni fa c’era una maggiore attenzione. Anche la legislazione in tema di antimafia, entro certi limiti, è adeguata alla necessità di porre in essere tutte le forze possibili e immaginabili per contrastare il fenomeno mafioso. Il periodo repressivo della lotta alla mafia ha conosciuto momenti di grande efficienza, sono stati arrestati tutti i latitanti e quindi sotto questo aspetto non possiamo obiettivamente lamentarci. Ma tornando al dibattito pubblico c’è un altro aspetto”.
Quale?
“Ormai non ci sono più Falcone e Borsellino. Avevano una forza trainante, eccezionale. Io mi domando, e domando ai palermitani, se oggi tifano ancora per Falcone e Borsellino con ciò che simbolicamente significa questa frase. Su questo ho seri dubbi. Oggi Palermo continua ad essere nelle mani di certa gente che è appena uscita di galera per reati di mafia. E tutto questo è vergognoso. Vero è che ci sono tanti segnali positivi e si investe molto sui giovani, ma non basta. Inoltre se dai governanti vengono segnali di intransigenza, di chiusura, nei confronti di tutto ciò che ha una parvenza di mafia, allora la gente percepisce il messaggio che bisogna starne lontani. Ma se questo messaggio non arriva noi possiamo continuare a fare dibattiti, convegni, a ricordare anniversari ma le cose non cambiano. Palermo per la sua storia dovrebbe essere un modello mondiale di antimafia. Invece non lo è. Non è altro che la capitale del solito, ben noto, squallido compromesso politico mafioso. È sotto gli occhi di tutti, basta soltanto volerle vedere certe cose”.
Torniamo all’eredità di Falcone, da un diverso punto di vista. È giusto usarne il nome per giustificare dei provvedimenti normativi? Negli ultimi mesi in molti hanno affermato che Falcone sosteneva la separazione delle carriere.
“Chi dice questo non conosceva Giovanni Falcone e lo fa citando alcune sue frasi pronunciate in pubblico. Ma non sanno che Giovanni, se ad un convegno si stava parlando di separazione delle carriere, non era il tipo di persona che prendeva la parola e tuonava contro quel tema. Manteneva sempre un’apertura al dialogo senza preclusioni. Chiarito questo, va spiegato che Falcone teneva ad un’altra questione: e cioè la separazione delle funzioni, resasi necessaria dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e del passaggio dal giudice istruttore come dominus delle indagini al pubblico ministero. Per sintetizzare Falcone era per una forte specializzazione del pubblico ministero, non certo per le carriere separate. Sostenere che la separazione è un modo per assicurare l’imparzialità del giudice è fuorviante, perché il giudice che non è imparziale è un mascalzone e basta. Piuttosto queste argomentazioni servono ad aumentare la sfiducia nella magistratura. I nostri politici dovrebbero alimentare la fiducia nella giustizia con tutte le garanzie che la giustizia stessa prevede per i cittadini. Oggi invece l’obiettivo è fare in modo che la gente non abbia fiducia nella giustizia, il che è una manifestazione gravissima di inciviltà”.
In una delle sue ultime interviste prima di essere ucciso Falcone parlò di menti raffinatissime. Quelle menti sono stata individuate ?
“Gli studiosi del fenomeno mafioso hanno più volte affermato, paragonando la mafia ad una società per azioni, che il vero capitale sociale di Cosa Nostra Spa non sono le armi, i killer e gli uomini d’onore ma le relazioni esterne. E cioè tutti quei personaggi che non appartengono in senso stretto alla criminalità ma che offrono i propri servizi alla criminalità mafiosa perché possa raggiungere i suoi obiettivi, i suoi fini. Sono queste le famose menti raffinatissime. Lo Stato ha fatto tanto per arrestare i latitanti ma per dare agli investigatori e ai giudici tutti i mezzi necessari per perseguire, identificare e eventualmente mandare giudizio le menti raffinatissime non fa granché.
Tutto questo non accade perché questo è un settore particolarmente delicato che attraversa le istituzioni, come le tante pagine oscure nella storia mafiosa di Palermo: dalla famosa mancata perquisizione al covo di Totò Riina alla sparizione dell’agenda rossa di Borsellino. Pagine che passano tutte dalle pubbliche istituzioni. Che se volessero potrebbero dare un contributo di verità molto importante. Ma tutto questo non accade, ci fanno arrestare i latitanti, ci fanno raggiungere dei bei risultati ma le relazioni esterne e le menti raffinatissime ancora sono ben lontane dall’essere scalfite dalle indagini”.